mercoledì 1 giugno 2016

Miriam è nata e lotta insieme a noi

Miriam è nata una mattina di maggio.
Quel giorno l'ho visto sorgere dalla finestra della sala travaglio; l'ho visto albeggiare sbigottita, perché poche ore prima mettevo a letto le mie bambine più grandi dopo una faticosissima lettura dei soliti due tre libri, che immancabilmente diventano otto nove, soprattutto quando non sai opporti perché in cuor tuo già sanguini al pensiero che domani non sarai lì con loro a leggerne altri; dopo aver perso per l'ennesima volta la pazienza e aver declamato, a voce chiara e scandita: "Mimi, ora mamma si incazza!" perché continuavano a litigare e non si infilavano sotto le coperte; dopo aver detto loro che forse quella notte sarei andata in ospedale, perché mi faceva "un po' male la pancia" e di non preoccuparsi, se svegliandosi non c'ero, ché le lasciavo con la zia, in buone mani; dopo aver col cuore grosso e l'utero in subbuglio, contenuto l'angoscia di Mimi che mi diceva non voleva che andassi; dopo aver soppresso l'ennesimo nuovo brutto presagio, perché mi sembrava davvero di star andando al patibolo, e realizzavo che sarei potuta anche non tornare più; dopo averle salutate in silenzio, con gli occhi, che dormivano nei loro letti, sicure e fiduciose in un domani noto, dunque, mi sono sistemata la valigia, ho lasciato un patetico post-it alla mia figlia maggiore, in stampatello, dove scrivevo di volerle bene, e sono andata in ospedale.
Da lì, qualche ora più tardi, ho visto albeggiare.

Miriam è nata il giorno in cui sua sorella avrebbe ricevuto il diplomino della scuola dell'infanzia, e si sarebbe esibita davanti a tutti con il suo saggio di musica e movimento. Io non c'ero.
Ma ho visto un pezzetto di video, dopo. Non è proprio la stessa cosa, ma lei è arrivata in sala degenza con in testa il tocco da laureata di cartoncino nero, e il diploma arrotolato di finta pergamena, chiuso da un nastrino rosso, e dopo mi ha dedicato anche un remake personalizzato delle coreografie del saggio, tutto per me, anche se si è incazzata a bestia perché Rania voleva danzare pure lei, invece quello era il SUO momento, suo di Mimi, e io dovevo guardare solo lei, Mimi.

Quando Miriam è nata, io dopo ho pianto.
Proprio lì, sul trespolo da parto, mentre a cosce divaricate ancora un'esperta equipe di medici mi rattoppavano e rimboccavano il rimboccabile e rattoppabile dello straboccato e sbrindellato.
Piangevo tra i complimenti dello staff medico, piangevo via tutta la paura e i brutti presagi e la sofferenza fisica delle ultime ore.
Ho pianto mentre uscivo di casa, lasciando le mie figlie nei loro lettini, e mentre salutavo mia sorella.
Ho pianto mentre l'auto varcava la soglia dell'ospedale.
Ho pianto anche tra una contrazione e l'altra, regredita a stadio infantile.
Miriam si è portata via tutte le lacrime.
Il mio corpo l'ha salutata con le ultime rimaste, la paura si è diluita in acqua salina, lavandosi via dagli occhi, abbondante, finalmente esorcizzata.

Dalla finestra della mia camera, in ospedale, vedevo via Risorgimento, e la torre campanaria che svettava da dietro le chiome dei pini e dei cedri, in piazza dei Miracoli. dalla finestra un cielo afoso di maggio che presto si è mutato in temporalesco. Il cielo di maggio ha salutato Miriam con una potente scrosciata d'acqua, ha lavato l'asfalto e i tetti di cotto, gli intonaci gialli, poi glie li ha restituiti brillanti e stillanti.
Miriam si è affacciata alla vita e ha salutato come il Papa benedicente dal balcone dei Palazzi Vaticani.
Ha detto: la pace sia con voi. Andate in pace.
Ora finalmente mi sento in pace.