martedì 13 novembre 2012

Danza con panza.



All'inizio pensavo che si sarebbe trattato di una sorta di ginnastica pre-maman, la solita roba, no? Esercizi per il pavimento pelvico, piegamenti, stretching, qualcosa con dei grossi palloni sui quali abbandonarsi pesanti dei nostri importanti volumi. Naturalmente un po' di training autogeno, che non può mai mancare, durante il quale faccio finta di "visualizzare" immagini e sensazioni corporee che la mia indolente fantasia sinestetica fatica a percepire.
Ma niente: era proprio danza. Danza con panza!
Una danza grave come quella che porti avanti per nove mesi, tu e lui/lei, che sciaborda allegro e beato nel brodetto primordiale della tua cavità uterina, mentre sempre più avanzi assumendo l'andatura dondolante di un grasso panda, cerchi baricentri nuovi su goffi equilibri  di gambe un po' più divaricate del normale e portamento un po' più cifotico del consueto, misurando spazi in cui prima entravi a intuito, centellinando il fiato e le energie e appoggiando sovente il peso delle tue stanche membra in pose da doriforo di Policleto, rinunciando a guardarti la punta delle scarpe e smadonnando ogni volta che si presenta l'eventualità di doverti chinare a raccogliere qualcosa che inevitabilmente ti cade di mano con una frequenza dieci volte più alta di quanto non ti capitasse prima.
Tutto questo per me era gravidanza, e non posso dire che non lo sia ancora: scoordinazione esasperata, perdita di contatto col mondo, con le misure, gestione casuale e disarticolata del mio corpo, più fastidi e malesseri vari ed eventuali. Assai poco contatto cosmico con la creaturina che nuota dentro me, niente legami psichici astrali, niente illuminazioni subitanee sul senso reale e profondo dell'esser madri. Tutto sommato, e a ben guardare, sono una creatura abbastanza lineare e pacificamente ancorata al mondo sensibile; il mio terzo occhio, se esiste, sonnecchia cisposo in qualche parte del mio distratto spirito.

Però mi capita anche di pensare a volte ad altri aspetti di questo singolare stato psicofisico che dicono gravidico, non avvicinabile a nessun altro che persona umana abbia mai provato, né di benessere né di malattia, che né di benessere particolare né di malanno si può parlare nella Gravidanza, ma al massimo di vari fastidi e malesseri saltuari e periodici, e di uno strano mai prima sperimentato stato di perenne coscienza del proprio ruolo di contenitore fisico e tramite di sensazioni, emozioni, percezioni, una consapevolezza che ti accompagna in ogni, singolo, fottuto, istante della tua giornata e che forse per questo ti induce ad atteggiarti e portare diversamente e con meno disinvoltura del solito, quasi misurassi ogni singolo passo e ragionassi su ogni singolo movimento, il tuo calibro e il tuo volume, assai prima che da fuori altri li si percepiscano nel loro aumentare ingente e incalzante.

E' una consapevolezza accresciuta della propria corporeità. Qualcosa che ti ricorda in ogni momento che tu sei anche corpo, e che a questo corpo devi prestar attenzione, ascoltarne i segnali, interpretare le esigenze, prendertene cura, perché in effetti non c'è cosa più stupida e volgare che il dar per scontato che appartenga a te sola.
No: tu sei solo colei a cui è stato assegnato in consegna, che ne dispone per un dato tempo e che deve provvedere a che non gli manchi niente.
E poiché penso che l'esser donna in sé implichi già di partenza, con i suoi cicli lunari, il mutare delle sue forme, la sua malleabilità e adattabilità, una maggior presa di coscienza della propria fisicità, di quanto non accada nell'esser uomo (ma forse qualche uomo vorrà smentirmi, chissà), credo anche che la gravidanza sia uno stato di esasperata amplificazione di questa consapevolezza, un esser donna all'ennesima potenza, e nella mia riadattata percezione del mondo mi capita di guardare un bel corpo femminile per strada e di trovarlo incompleto: dove diavolo è la sua panza?
Un corpo nella sua rotonda pienezza, se pur ingombrante, mi appare invece completo.

No: dopo aver avuto Mimi, del pancione non ho sentito la nostalgia, come dicono accada, nemmeno per un secondo, anche se guardavo con un certo rammaricato fastidio quall'ammasso di materia inerte che ora continuava a stazionare nel mio basso ventre flaccido, in attesa di rientrare entro dimensioni normali.
Era una pienezza e un'esigenza di pienezza che è durata il tempo che è durata, e che si è dissolta con la fine della mia grave danza.
E che ora inizio ad avvertire di nuovo, con il progredire di lei.
Se si può parlare di rivelazioni subitanee le mie sono tutt'altro che metafisiche, direi iperfisiche piuttosto.

Insomma, per la verità avevo un po' bisogno di fare pace col mio corpo, ché ultimamente lo stavo maltrattando senza tregua, tra notti insonni, attacchi d'ansia, sollevamento pupa su per scale e in cima a seggiolini, trasporto di panni sporchi casa-lavanderia e lavanderia-casa, mi sentivo perennemente stanca, indolenzita, e fiacca.
E così sono andata a provare questa GraviDanza creativa, tanto male non può fare.
E ho danzato, insieme ad altre donne, con o senza panza. Rotondamente, dentro bolle immaginarie, senza schemi e senza modelli da seguire, solo improvvisando e seguendo il perimetro immaginario di quella bolla, con movimenti ampi, più ampi possibili e lenti, continui.
Proprio io, che quando azzardo una parvenza di danza devo essere o molto ubriaca, o molto sicura di essere assolutamente sola, e anche allora non posso dire di abbandonare del tutto i miei pudori di fronte a me stessa, ho danzato, e ho cercato di lasciarmi andare.
E ho sentito le mie giunture gemere e scricchiolare, i miei muscoli tirarsi all'inverosimile, il mio fiato arrancare, anche se nessuno mi imponeva un ritmo al di sopra delle mie possibilità, ma la mancanza di abitudine fa di questi scherzi, che poi ti senti perennemente sotto esame, e sotto giudizio, anche se le altre non ti si filano di striscio, tutte concentrate come sono nella loro, di danza rotonda, e se ne fregano di riflesso di come possono sembrare, ridicole o goffe, dal di fuori, mentre tu stai lì a guardarti intorno imbarazzata e a guardare come fanno loro, per non fare cose che possono sembrare idiote o fuori luogo, e poi ancora le vedi che si rotolano per terra senza pudori, tutte beate nella loro bolla immaginaria, e  alla fine ce la fai pure, a lasciarti un poco andare, ché queste cose, se le fai, le devi fare convinta, se no non ha senso, ché non devi mica compiacere nessuno, e ogni tanto sarebbe buona prassi allentare un poco il controllo su se stessi e il pensiero di come ci potrebbero vedere gli altri, e abbandonare la vigile coscienza di te.

E vi giuro: è una goduria.

Immagine tratta dal blog Una doula per amica.
PS. In questa foto è inutile che voi mi cerchiate: anche se ho dovuto violentare il mio senso del pudore e impedirmi di sottrarmi alle riprese fotografiche avvenute durante la mia prima e unica sessione di danza rotonda, queste immagini risalgono a un incontro precedente al mio debutto ufficiale. Comunque sono stata un'étoile!

PPS. Il secondo incontro sarebbe stato domani, ma tanto per essere continue in tutto ciò che faccio, giust'appunto c'è lo sciopero delle maestre del nido (beate loro che hanno qualcosa per cui scioperare), e una pupa che portarmi dietro non lascerebbe tanto spazio a pensieri di armonia, concentrazione e relax. Sarà per la prossima volta. Sob.

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