Un anno e nove mesi.
Lei si arrampica sulla sedia della cucina e pretenderebbe di salire anche sul tavolo.
Sulle sedie, ormai ho rinunciato a impedirglielo, anche se lo so, prima o poi si rovescerà all'indietro, lei, la sedia, e tutto ciò che riuscirà ad afferrare nel tentativo di tenersi, quando cadrà. Sul tavolo tengo duro: non si sale.
Le chiedo di cosa ha bisogno e le allungo il suo bicchiere con succo di mela.
Noooooooooo! Un urlo echeggia per la casa.
Lei vuole arrivarci da sola. Ci sa arrivare, ha imparato come fare e non vuole essere aiutata. Giustamente, anche.
Mi allontano per quindici secondi, torno in cucina e la trovo trionfante, in piedi sulla solita sedia, una banana in mano, che mangia con gusto e soddisfazione.
- Ma... come hai fatto a...
Come vuoi che abbia fatto? Si è allungata sul tavolo e l'ha presa. Prima d'ora mi aveva sempre chiesto di togliere la buccia, ma evidentemente ha trovato la strada.
Sono contenta quando la vedo muoversi in autonomia.
Ultimamente il tempo che dedica a giocare da sola è sempre più lungo. La sento cantare, parlare, recitare a memoria le filastrocche dei suoi libretti. Prende un libro e inizia a leggerlo, da sola, al suo gatto Amleto. Oppure li fissa sull'orlo del comodino, a mo' di leggio, e prende a sfogliarli, seguendo le immagini parlando e cantilenando a voce alta. A volte si blocca o si perde, e allora intervengo io, sulla strofa dimenticata.
- Non leggia'e mamma! Non canta'e mamma!
Mi rimprovera, e io mi zittisco.
Mi porge un cd e mi chiede di mettere la musica.
Indipendenza è sapere ciò che si vuole, effettuare le proprie scelte in autonomia, e non è facile.
Fino a poco tempo fa non sapeva realmente quel che voleva. Ora inizia ad averne un'idea un po' più chiara: il fatto di saperlo comunicare verbalmente la aiuta a focalizzare l'obiettivo.
Scegliere un libro piuttosto che un altro, una canzone piuttosto che un'altra.
Fino a poco tempo fa non avrei potuto chiederle: "Vuoi questo o quello?" L'alternativa la spiazzava.
Ora sa scegliere: io la trovo una grande conquista.
La prima cosa quindi che mi viene in mente a proposito dell'indipendenza è questa: sapere cosa si vuole, e non è facile, neppure per un adulto. Molto più facile è sapere cosa non si vuole.
Prepararsi alle scelte importanti che si faranno crescendo è sapersi chiedere: cosa voglio fare?
Perché ogni scelta ne preclude altre: scegliere è eliminare alternative, riuscire a imporre la propria preferenza, stabilire quale sia per noi la soluzione più praticabile, più gratificante o più urgente.
Se penso a molte delle mie scelte passate, le vedo connotate soprattutto da due fattori: estrema indecisione fino all'ultimo, e una generale passività nei confronti delle circostanze, che ti porta in genere a percorrere la strada più scontata. Malgrado ciò non posso dire di aver lasciato che altri prendessero decisioni per me, o influenzassero, se non con consigli e pareri (che ho sempre richiesto) le mie.
Mi piacerebbe che lei nella sua vita riuscisse ad esercitare un'indipendenza di "scelta" non solo dalle persone, ma anche dai modelli precostituiti, dai percorsi forzati, dalle scelte in cui non credi con tutto te stesso, che riesca ad avere chiara l'idea di "cosa" vuole, "chi" vuole essere e "cosa" vuole fare, perché già il saperlo è la prima parte della realizzazione.
Per questo voglio che lei sperimenti e conosca, che impari a capire cosa le piace, che si identifichi con le proprie passioni, che le sue conoscenze entrino a far parte del suo modo di essere, del bagaglio di ciò che costituirà il nocciolo profondo del suo essere.
Per questo quando scelgo per lei cerco di fare grande attenzione a ciò che al momento la possa interessare e coinvolgere, e osservo le sue reazioni, le sue interazioni con le cose e con le attività.
Per questo, magari ingenuamente, ma provo spesso a proporgli delle alternative possibili, a renderla partecipe di alcune decisioni nell'ambito della gestione della nostra giornata, a farle capire che una cosa esclude l'altra, e a farglielo accettare in maniera consapevole, senza che debba apparire un ricatto.
La seconda cosa che mi viene in mente è legata al fare.
Fare da sola è dunque al momento un esigenza ricorrente: vuole inserire lei il disco nello stereo e lo vuole far partire lei, vuole accendere e spegnere la luce, quando entriamo in una stanza, vuole sbucciare da sola i mandarini che mangia, aprire pacchetti di creckers, lavarsi e asciugarsi le mani da sola, e pure pettinarsi. Guai ad aiutarla!
- E' MMMIIIOOOOO!
echeggia da qualche tempo per casa e pure per strada, quando ci troviamo noi a passare per un qualche luogo.
All'inizio pensavo si trattasse della rivendicazione di un possesso, e mi stupivo, perché quello della proprietà è sempre stato un concetto che ho cercato di limitare e di circoscrivere all'utilità degli oggetti. Ho pensato che il contatto con i bimbi del nido deve averla messa per forza di cose nella necessità di "marcare il territorio" nei confronti altrui.
Poi ho capito: "E' mio" in questo momento non si riferisce tanto al possesso di cose. Quando Mimi dice "E' mio" in realtà vuole significare: "Questa cosa devo farla io, è di mia competenza!"
Io devo aprire le finestrelle del libro, e tu non puoi nemmeno aiutarmi socchiudendole, anche se non mi riesce, piuttosto che lasciar spodestare il mio primato esecutivo dal tuo intervento, passo avanti e salto la pagina, anche se non saprò mai quale animale si nasconde dietro al bambù.
E se mi cade un pezzetto di carne mentre mangio, guai a raccoglierla! Lo devo fare IO, mamma, anche se non riesco a infilzarla come si deve tra i rebbi della forchetta (va be', rebbi lo dici tu, mamma, io dico "focchetta" ed è già tanta roba), ma ci provo e ci riprovo, anche se potrei portarmela alla bocca con le mani, ma qui è in gioco la dimostrazione della mia autosufficienza e padronanza del bon ton.
Il problema è questo: se non ci riesce perde le staffe, inizia a urlare, si arrabbia, si arrabbia di più se cerco di aiutarla senza toglierle l'oggetto di mano, di mostrarle il modo giusto per riuscire.
Rinuncio: va be', allora se lo sai fare fallo da sola. Ma questa presa di distanza non può che causare un nuovo accesso di rabbia: l'ho appena messa di fronte alla sua incapacità di risolvere da sola un problema. Voglio farlo e non ci riesco. Però voglio farlo io, proprio io, da sola.
Non sono ancora brava ad affrontare queste situazioni di conflitto, la frustrazione delle cose e delle situazioni che non vogliono rispondere ai suoi comandi, alla sua volontà, ora che inizia ad avere chiara l'idea del suo potere su di esse, di poterle trasformare, di avere la possibilità di farle funzionare.
La conquista dell'indipendenza si accompagna allo sviluppo della propria autostima e contribuisce ad alimentarla. Forse il ruolo del genitore in questi casi può essere quello, non solo di incoraggiare la libera iniziativa, ma di insegnare a gestire il proprio orgoglio, ad accettare i propri limiti, ad avere consapevolezza delle proprie capacità e ad essere disponibili per affinarle, imparando dagli altri, a non essere schiavo dell' "Io lo so fare da solo", ma armarsi dell' "Io posso imparare a farlo da solo".
Chissà tra quante altre sfuriate di rabbia ancora...
La riflessione sul tema dell'indipendenza mi viene da un'iniziativa del blog Mens Sana.
Io però sono rimasta indietro, a qualche settimana fa. Recupero oggi a percorso concluso.