mercoledì 18 marzo 2015

Sulla montagna del nord abbiamo cercato Elsa. Sintesi di un week end di fine inverno.

In questi scampoli di inverno c'erano un paio di cosette rimaste in sospeso che non avevo realizzato, un paio di propositi non esauditi, che stavano lì a prudermi, al centro della schiena, proprio lì dove non arrivi a grattarti.
Non è vero: io arrivo in ogni punto della mia schiena, anche quando devo spalmarmi la crema solare da sola. Però, malgrado il grattarsi, quel prurito ho preferito togliermelo una volta per tutte.
Una di queste cose era andare a trovare mia sorella, appollaiata sui monti del lontano nord, l'altra era portare Mimi sulla neve, come mi chiedeva senza soluzione di continuità già da novembre, affranta dal fatto che quaggiù, a 10 mt sul livello del mare se ci va bene, e non trattandosi del fiordo di Elsa, essa neve non scenda poi tanto di frequente.
Ma che ne sai della neve Mimi.
La neve mi piace tantissimo!
La neve è fredda.
Io non ho freddo, sono come Elsa.
La neve è bagnata e fa bruciare le mani.
A me non bruciano perché io ho il potere del ghiaccio nelle mani.
Non abbiamo l'abbigliamento adatto.
Mi porto il vestito di Frozen.

Com'è come non è, siamo andate.
Il ciuf ciuf, anche noto come Freccia Bianca, che di freccia ha solo il nome e il prezzo del biglietto, ma in quanto a velocità nutro le mie perplessità, è stato da noi atteso con trepidazione in stazione, con ripetuti richiami.
Mimi si è tenuta ben lontana dalla riga gialla, e mi esortava con trasporto accorato a fare lo stesso, o il treno arrivando mi avrebbe inesorabilmente risucchiato tra le sue rotaie d'acciaio.
Non risucchia, Mimi. E' un modo di dire. Basta non stare sull'orlo, vedi? Non è necessario stare a tre metri dalla riga gialla.
Oh, mamma ti prego, non voglio che tu venga spappolata sotto il treno! (Voce da eroina di melodramma).
Dopo un estenuante tenerci nel centro esatto della banchina, equidistanti da entrambe le righe gialle che ne delimitano il termine, il treno è giunto tra stridore di ferraglia ed esultanza di bimbe, poi ci ha accolto nelle sue viscere con poltrone, poi è partito e abbiamo salutato la stazione, la città, il fiume.
Poi si è fermato una prima volta e Rania ha detto: Noooo! Tiìto ciuf ciuf! (Che disdetta: è già terminato il nostro divertente giro in treno?)
No, Rani, non è finito ciuf ciuf, adesso riparte, guarda.
Ancora e ancora il ciuf ciuf si è fermato e ripartito. Dopo la quarta o quinta stazione Rania ha cominciato a dire: Batta ciuf ciuf mamma: etti! (Sono stanca di stare su questo treno, madre mia. Potresti cortesemente accompagnarmi al di fuori di questo vagone?)
Come "esci"! Ma se ci mancano ancora tre ore di viaggio!
Le ore di viaggio erano quattro invece.
Non sono mai stata un asso nel sommare o sottrarre orari di partenza e di arrivo, e nel calcolare i tempi di percorrenza non so mai cosa devo sottrarre o aggiungere a cosa.
Abbiamo cantato, ballato, raccontato storie, litigato, urlato, cambiato posto, ricominciato a raccontare storie, acquistato un pacchetto di ritz e uno di taralli al vagone bar alla modica cifra di 5 €, divorato i ritz e i taralli, e infine arrivati.

Siamo riuscite a beccare un fantastico week end di pioggia incessante dopo due settimane di temperature primaverili e sole battente.
Abbiamo ricevuto regali su regali che poi stentavano ad entrare nel nostro bagaglio di tre giorni già discretamente pieno perché si sa che sopra la latitudine di Genova io non mi muovo senza il vestiario sufficiente ad evitare la morte per assideramento.
Abbiamo imparato a memoria le infinite canzoni di Frozen con visioni reiterate del film suddetto.
C'è entrata anche una rimpatriata con cugine viventi nei paraggi, di cui semi-ignoravo l'esistenza fino all'altro ieri, con prole annessa.
E fu sera e fu mattina.
Un giorno passa poi due e poi tre.
Il ciuf ciuf è pronto per riceverci di nuovo.
Stavolta l'entusiasmo non è alle stelle come all'andata perché ormai abbiamo imparato com'è dura lo scendere e salir per l'Appennino.

Ma non ce ne andiamo comunque prima di aver visto la neve.
E neve sia.
Indossiamo l'abbigliamento consono e saliamo, saliamo, saliamo.
Ed ecco il paesaggio intorno a noi farsi più bianco, più bianco, più bianco, che più bianco non si può.
Elsa quel giorno, infrattata da qualche parte nel profondo della montagna del nord, doveva essere di buon umore, perché i fiocchi venivan giù sì, ma delicati e gentili, come petali di fiori di pesco.

Mimi si è spatasciata, tuffata, rotolata, immersa inglobata nella massa nevosa.
Rania si muoveva circospetta con la meraviglia negli occhi.
Sua sorella subito subito le spiaccica una manata di fresca neve sulla faccia e io mi incazzo.
Mimi corre e si arrampica sui mucchi di neve, Rania sprofonda a ogni passo di un buon dieci centimetri nel manto di neve appena posata.
Io seguo con moderato entusiasmo perché non sono avvezza e non mi fido.
Mimi abbraccia la neve a pieno carico.
Rania inciampa nell'orlo del vestito consono indossato per l'occasione (la sorella le aveva detto, poco prima di uscire, che saremmo andate a un ballo).
Io le guardo e cerco di ricordare come fosse magico il mondo visto da quella loro altezza dimezzata.
La neve scende incessante e io non riesco a fare che poche foto perché mi si appanna l'obiettivo e mi si bagna la macchina.
Mimi dice: ho un'idea! Possiamo venire a vivere qui!
Io sorrido e penso che non lo farei nemmeno se mi regalassero una casa, lassù.
I suoni sono davvero ovattati, gli strilli delle mie bambine viaggiano come petardi andandosi a smorzare sul primo mucchio di neve che incontrano.
La costruzione del pupazzo Olaf si rivela un tragico fallimento con la neve appena posata che si sgretola tra le mani. E oltretutto non avremmo neppure con noi una carota.
Rimane così, un abbozzo di Olaf non ben identificato, ma comunque una piccola Anna in abito oro lo abbraccia felice, e si risolleva con la faccia infarinata di bianco e il bavero della giacca innevato.
Il tutto sarà durato non più di venti minuti, perché con la nevicata rischiavamo di rimanere bloccati con la macchina lì, a restar di più.
Elsa non l'abbiamo vista, ma Mimi ha detto di aver capito il perché: è perché sono io Elsa, mamma! Ecco perché non l'abbiamo vista!
Io scommetto che se questo resoconto ve l'avessero potuto fare loro al mio posto sarebbe stato completamente diverso. In una maniera che voi umani... Perciò nemmeno provo a immaginarlo, io, povera umana.

E così posso dire di aver chiuso finalmente i conti con questo inverno.
E con Frozen, ché a furia di vederlo e rivederlo durante la nostra clausura domestica forzata ho finito per superare l'antipatia iniziale.
Al rientro dalla nostra nevosa escursione Mimi aveva fradicie persino le mutande.
Rania sull'uscio di casa, è esplosa in un risentito: No qui! Bayyo! (Perché accidenti mi stai conducendo alla dimora da cui siamo partiti, madre? Non avevamo detto che saremmo andate al ballo?)
In effetti non aveva tutti i torti ad essere risentita. Dovevo saperlo che i bambini non dimenticano...

Eh, sì: ora mi toccherà portarla anche al ballo. Prima o poi.

Abbigliamento consono.

Ma si può toccare?

Quanta ne posso abbracciare?

Nevicata demotivazionale. (Tu adesso te ne torni a casa, Anna!)

7 commenti:

  1. certo che vestite da principesse in mezzo a tutta quella neve sono una meraviglia!
    E devo dire che ammiro anche te per averglielo concesso, fregandotene di convenzioni e paura di infreddature.
    Lo ricorderanno per sempre e questo è il dono più bello

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    1. Ahaha! Be', ma sotto avevano i vestiti normali però! 😛

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  2. come è bella la maniera che hai di narrare......e quanto è grande la tua capacità di restituire a tutti noi che leggiamo il mondo visto con gli occhi delle tue bambine.
    Grazie, è sempre molto bello passare qua. Le principesse sulla neve sono fantastiche e poi......vuoi mettere che bel ricordo hanno immagazzinato!
    Emanuela

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  3. Le tue bimbe sono splendide ed in mezzo alla neve anche di più ! Tu scrivi sempre in modo da farmi emozionare ! Complimenti per tutto ! Sabri

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