giovedì 24 novembre 2011

Mediamente idiota, che veicoli contenuti utili.

"Questo è esattamente quello che ti chiedo, mi ha risposto lei, definizione strepitosa, la tua!"
Bene, dico io, in tal caso, tanto vale riciclarmela per il titolo del post.
Ed eccomi lì, ricatapultata indietro ai tempi dei compiti in classe di Italiano, a stendere la mia bella traccia. E ammetto che un filino di ansia da prestazione me l'ha data 'sta cosa.
Non sono proprio quella in grado di scrivere su richiesta, tanto meno, poi, se ti si chiede di non superare i 4.000 caratteri. No perché, se non ve n'eravate accorti, io inserisco il pilota automatico e chi lo guarda più il contachilometri? Io macino, fino ad arrivare a destinazione. Ché se poi mi metti un limite al carburante, capace che la strada per arrivare prima te la trovo, ma il percorso perde in attrattiva.
E infatti è proprio quello che è accaduto in questo caso.
La traccia era: "Qualcosa che racconti di Pisa in generale (caratteristiche della città, carattere degli abitanti, e poi di te. Di come ci vivi come mamma). Se riuscissi a condire tutto con un pizzico di ironia..."



'Azz! E dici poco!
Comincio a scrivere, ma a metà strada mi accorgo di essere ormai in riserva di carburante. Il pezzo ha sforato, ma di brutto! E allora taglia che ti ritaglia, sposta là metti qua.
Il risultato lo potete vedere qui: non è proprio dei più brillanti.
Dov'è Suster lì dentro? Io ci vedo solo il mio grosso, stratosferico CULO! Certo, ci vuol coraggio per pubblicarlo su un sito ad accesso libero, sbatterlo in faccia a centinaia di visitatori.
Ecco, allora, che oggi voglio rendere sì giustizia alle mie fatiche pseudogiornalistiche (e alla mia immagine), per quanto faticoso sia stato assai di più il lavoro di ridurre (per via di levare, per usare le parole di un grande), ché ci ho perso tre giorni solo a tagliuzzare, piuttosto che quello di scrivere, per un totale di 20 minuti.

Vi mostrerò l'articolo nella sua originale interezza e prolissità.
Ta-dààààààààà! Come direbbe (indovinate chi?) la pupa!
Non siete curiose (/i)?

Ecco qua:


Io, Pisa e mamma.

Sì lo so che sarebbe più corretto scrivere “Io mamma e Pisa” da un punto di vista semantico-grammaticale, ma nel mio caso trovo più corretto rispettare l’ordine narrativo-consequenziale degli eventi. Ed ora vi spiego perché.
Io.
Sono arrivata a Pisa nel novembre del 2000; avevo 19 anni, iniziavo l’università, cercavo casa e mi sentivo totalmente imbranata alla vita, ma con ottimista entusiasmo avevo messo da parte una piccola somma con un lavoro stagionale, tale da darmi l’illusione di poter essere autosufficiente.
Per la verità la somma raggranellata con tanta fatica mi bastò appena per pagare la caparra e il primo mese di affitto, e questa fu la prima batosta. La seconda fu che la città mi accolse con un mese e mezzo di pioggia incessante, cielo grigio su e foglie gialle giù, il fiume si gonfiò fino a livelli allarmanti, tanto che ci fecero evacuare il centro storico e io mi chiesi più d’una volta chi me lo facesse fare di trasferirmi in una città fredda, piovosa, e a rischio alluvioni, a regalare i miei miseri stipendi a gretti affittacamere sfruttatori.
L’impatto traumatico poi però nel tempo si è trasformato in un reciproco rispetto e convivenza pacifica tra me e Pisa, vituperio delle genti.
Dimenticavo di dire che sono di Roma: quale realtà più lontana e antipodica quella della caotica, trafficata, chiassosa, disorganizzata metropoli, di fronte a questa piccola città di provincia, dal passato sì glorioso, ma oramai piuttosto impantanata nel ruolo di città universitaria e sede della celebre torre?
Pisa.
La prima cosa che mi saltò agli occhi fu che qui la gente circolava in bicicletta. Biciclette ovunque, che pareva di essere in Cina ai tempi di Mao, che se ti fermavi a bordo strada in una normale giornata feriale te ne vedevi passare davanti più di quante non ne avessi contate nell'intera tua vita precedente: passava lo studente scafato con la sua bici sgangherata, e va be’. Passava l’arzilla vecchina in direttissima dal mercato della frutta-verdura col suo carico di ortaggi nel cestino, e va be’. Passava il distinto signore in cappotto di feltro e giornale infilato nel portapacchi, e va be’. Passava il tipo da banca in giacca svolazzante e cravatta, la ventiquattrore sotto il braccio, e insomma: no! Questa era proprio strana: una nevrosi collettiva!


In ogni caso, ben presto compresi la comodità e la praticità di tale mezzo per spostarsi in città: date le ridotte distanze, a cui non ero affatto abituata, pedalando e pedalando sei in grado di teletrasportarti in appena un quarto d’ora dall’estrema periferia della città, quella fatta di palazzoni e giardinetti, supermercati e strade a quattro corsie, all’affollatissimo centro storico, dove file di turisti dagli occhi a mandorla o no effettuano il loro perpetuo pellegrinaggio alla fin troppo nota torre pendente, che della città è emblema, fotografandosi in pose improbabili nell’atto di sorreggerla.


Questo a una prima, sprovveduta occhiata.
Ma Pisa, in realtà, è molto più di una cartolina di Piazza dei Miracoli.
Qui la vita scorre a ritmi più umani. Qui è possibile svegliarsi al mattino, andare a fare commissioni, trascorrere la giornata in biblioteca, incontrare un amico per strada, tornare a casa due volte nella stessa giornata per mangiare o anche solo per cambiarti, e recarti infine a lavoro in orario, infilandoci in mezzo pure un caffè al bar, senza dover impazzire un’ora nel traffico di intasatissime tangenziali o vie consolari. Solo qui ho potuto conciliare per tanti anni studio e lavoro.
Per contro girare in macchina è altamente sconsigliato, data l’assoluta assenza in centro di parcheggi liberi, o anche semplicemente di parcheggi, i labirintici sensi unici e i varchi ZTL come se piovesse, capaci di fruttare da soli nel giro di un’unica giornata un cospicuo capitale di contravvenzioni multiple.
Ragion per cui il centro città si presenta brulicante di camminatori e ciclisti.
Camminare favorisce gli scambi e gli incontri e poiché in fin dei conti gira che ti rigira i luoghi di ritrovo son sempre gli stessi, finisce che ci si conosce un po’ tutti, come in un paesone.


L’importanza di Pisa come centro universitario ne fa, poi, un piccolo universo multietnico e multisfaccettato, dove, accanto alle comitive di turisti in calzoncini, trovi la chiassosa umanità universitaria, anima stessa della città, che contribuisce non poco a ravvivare e consentire il ricambio umano della sua popolazione, altrimenti a rischio estinzione.
Il pisano tipo infatti, quello figlio di figli di pisani, sembra che non vi risieda, preferendo appartarsi nell’immediato interland residenziale.
Mostrasi normalmente affabile con i turisti, diffidente e insofferente verso l’altra fetta cospicua di umanità ivi presente, ovvero il rumoroso, nottambulo “studentame”.
Pur tuttavia la convivenza risulta piuttosto pacifica, assestata su una specie di simbiosi che garantisce agli uni la percezione di cospicui affitti su abitazioni per lo più fatiscenti, mal riscaldate, tremendamente umide e generalmente assalite da interi ecosistemi di muffe, agli altri una serena vita di bagordi e schiamazzi alcoolici finesettimanali sufficientemente tollerati dalla popolazione autoctona ancora residente in centro città.


C’è poi la città, col suo fascino indecifrabile, così antica e integra, nei suoi vicoli sormontati da archi, nelle sue case-torri svettanti dalla linea dei tetti al primo crocicchio, le sue numerose chiese, vestigia di un passato di glorie ormai appassite, così decadente, nell’abbandono evidente di molti dei suoi palazzi storici, nel puzzo di liquami che ristagna nell’umido degli stessi, pittoreschi vicoli.


Ma arriviamo a quando, poi, sono diventata mamma, dieci anni dopo.

Mamma.
Dal mio punto di vista di ospite e non nativa, ex studente e poi madre, che non può avvalersi dell’appoggio di un retroterra familiare e di un aiuto parentale, la città, così raccolta e a portata di mano, si è rivelata un nido accogliente, in cui andarmi a scovare spazi e situazioni adatti alle mie esigenze.


Nel mio percorso verso la maternità l’organizzazione delle strutture sanitarie e ospedaliere si è rivelata salvifica, visto che, da neolaureata spiantata e neodisoccupata squattrinata, non mi toccò sborsare un centesimo di tasca mia per tutti gli esami e le visite pre e post parto, che su iniziativa della regione Toscana vengono preventivamente prescritte a tutte le future mamme in un comodo libretto di impegnative prestampate, e l’abbondanza di tutti questi “pre-“ non può che infondere sicurezza e sollievo alla futura mamma in questione, per contro, sempre totalmente impreparata e sprovveduta su tutto.

L’ospedale storico di Pisa, il Santa Chiara, si trova a due passi dalla piazza del Duomo, raggiungibile rapidamente e agevolmente per chi risieda in città: un grande vantaggio quando per esempio ti svegli la mattina che ti si sono rotte le acque e sai che non dovrai farti un’ora di macchina in mezzo al traffico metropolitano col cuore in fibrillazione e la paura di non arrivare in tempo.


Come pure, soprattutto per le mamme lavoratrici, posso assegnare un giudizio più che positivo al servizio dei nidi d’infanzia pubblici, che copre in maniera efficiente e soddisfacente l’intero territorio comunale, e offre un servizio di buona qualità, strutture e preparazione del personale docente (che, certo, se si svecchiasse anche un po' lasciando posto alle nuove generazioni di operanti nel settore non sarebbe male, ma la perfezione è lungi da tutto ciò che è umano).

Il pregio di Pisa di essere a misura d’uomo, non è cosa da poco quando ti trovi a dover scarrozzare da mattina a sera per le sue strade un pupo che non dorme.
Diciamo che in quanto a barriere architettoniche non si scherza. Le strade del centro sono per lo più sconnesse, prive di marciapiede in molti punti, o con marciapiedi larghi mezzo metro e continuamente ostruiti da cartelli stradali, alberi dalle poderose radici e passi carrabili, coscienziosamente pensati senza scivolo pedonale, e quindi la neomamma carrozzinomunita è spesso costretta ad effettuare ardimentosi slaloom tra le macchine, sali e scendi dai passaggi pedonali, e impegnativi dribbling di auto ferme in seconda fila che la costringono a piazzarsi esattamente al centro della carreggiata contromano, a rischio suo e della prole, che intanto inala a pieni polmoni boccate di ossido di carbonio.


Tutto questo solo per raggiungere il parco più vicino.
C’è da dire che il centro città non abbonda proprio di parchi urbani di grandi dimensioni, pur potendo vantare deliziose piazze alberate e lastricate con grandi aiuole, abitualmente frequentate da turbe di bimbi che sciamano nel post scuola e stormi famelici di piccioni.


Tutto sommato però, in relazione alle dimensioni del centro, gli spazi verdi non mancano. I più importanti sono principalmente due: uno è lo storico giardino Scotto, ex fortezza ora munita di ampio spazio gioco per piccoli di ogni fascia di età (strutture metalliche dai bizzarri ed eleganti profili gaudiani progettati più in funzione dell’estetica architettonica che di una reale sicurezza infantile), e inoltre luogo per piacevoli passeggiate; l'altro, il parco urbano delle Piagge, un lungo tratto di lungofiume alberato e attrezzato, assiduamente frequentato da fanatici del fitness, fanatici cinofili, e qualche scarrozzatrice di passeggini più o meno fanatica, oltre che da una sterminata popolazione di pappatacei che rendono in ogni stagione altamente sconsigliata e fastidiosa una permanenza prolungata con bimbi su quei lidi.


A metà strada tra il mare e i monti, raggiungibili in pochi minuti di auto per una fuga estemporanea dalla quotidianità, la città rappresenta per il mio modo di vivere la maternità, casalinga ma proiettata verso il mondo, un universo ideale in scala ridotta: gran cosa quando ti ritrovi a dover gestire i ritmi e i tetti di tolleranza minimi di un bambino piccolo anche solo per passare un pomeriggio in spiaggia!


Il visitatore occasionale che gira oggigiorno per le strade di Pisa potrebbe imbattersi facilmente in un curioso e caratteristico duetto di cicliste: una sulla trentina, una massa di capelli scomposta e indistinta, guida una bicicletta d’epoca cigolante e arrugginita che ondeggia sotto il peso delle buste della spesa; spesso pedala cantando “Lo sai che i papaveri son alti alti alti”; l’altra sull’anno di età, ballonzola sul seggiolino a ritmo e tiene traccia degli oggetti degni di nota che incontra lungo il percorso, come per esempio può essere un cane o un piccione, o una signora alla fermata dell’autobus.


E’ questa la città dove ogni pomeriggio ce ne andiamo a giocare e passeggiare in un parchetto diverso, a rotazione, che siam gente che ama cambiare noi, oggi qui, domani lì, e però i bambini che incontriamo finiscono per essere sempre gli stessi.
La città dove andiamo ogni tanto a trovare babbo a lavoro, e sostiamo a lungo lì fuori, sul piazzale lastricato davanti al negozio perché passa sempre qualche amico o conoscente che si ferma a scambiare due chiacchiere.
La città i cui abitanti difficilmente si mostrano giulivi e ciarlieri col primo venuto, che magari ti salutano col grugno e ti guardano strano se non corrispondi ai loro standard mentali, ma che se poi riesci a penetrare il loro muro di diffidenza sanno mostrarti il loro lato più affabile e affettuoso.

Ci sono le libecciate calde che portano l’afa insopportabile dal mare, e i venti di neve che spazzano via le nubi e ti sferzano la faccia in inverno.
Ci sono i suoi lungarni variopinti di facciate ocra e gialle e rosso mattone, i nostri luoghi noti, i selciati dove lei ha intrapreso le sue prime esplorazioni autonome, e la sensazione di avere tutto un microcosmo a portata di mano, come un nostro personale parco giochi.

12 commenti:

  1. Troppo incuriosita dal titolo ho aperto il post!
    La foto della Pupa neonata è strepitosa (con quella avresti vinto quel concorso ((a proposito com'è finita?))).
    Ho capito di che si tratta, ma ora mi tocca spegnere! Ci torno!

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  2. Sono stata eliminata alla prima selezione. >D

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  3. Ecco la vera Suster!!!!
    Ma che strano che ti abbiano elimanta, non me lo sarei mai aspettato dopo quel lavoro di taglio. Consiglio per il futuro: lascia che a fare i riassunti sia qualcuno che ti conosce bene e non farli mai tu stessa U___U (grande perla di saggezza)
    Bacini e bacetti <3

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  4. Mh... no no amichetta! L'eliminazione era riferita al concorso Leica. L'articolo era invece un guest-post (così lo ha chiamato il mio contatto!) per un nuovo sito di mamme a cui mi è stato chiesto di contribuire con la mia testimonianza di vita da mamma in Pisa. Il riassunto l'ho fatto a metà stesura quando ho visto che lo scritto sforava di gran lunga il limite massimo richiesto. A lei ho consegnato entrambi, lasciandole la scelta della versione più adatta al caso. E' risultato troppo lungo. Peccato che poi, leggendo gli altri contributi, mi son accorta che non era poi così tassativo! sai che c'è? Ma sti gran cxxxi!

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  5. Da pisana per metà-Doc ti faccio i complimenti per il post! Ho passato molto tempo a detestarla questa città che mi andava stretta, che era sporca, che ci piove sempre, che c'è gentaccia,che d'estate è un deserto e via così. Poi è successo che mi son ritrovata a vivere realtà differenti, e ho capito che c'è molto molto peggio. Per me che ci son nata come Pisa non ce n'è, ne puoi trovare meglio ma uguali no (e meno male!). :D

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  6. WAUUUUUU effettivamente ti sei un po' lasciata prendere la mano...peccato perchè anche se lungo era sicuramente un testo più vivo rispetto all'altro, c'era cuore e cervello nella giusta misura, sai che mi hai fatto venire voglia di vedere Pisa?
    ciao bella...la fascia per capelli rimane sempre il tuo segno distintivo :-)

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  7. C'è voluto del tempo... ma sono riuscita a finirlo senza troppe fanciullesche interruzioni! Grazie, per questo bel quadro di Pisa!

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  8. L'articolo l'ho trovato delizioso... ma parliamo della foto della Pupa in braccio al suo Babbo? È un capolavoro!

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  9. fai venire voglia di venire a vederla, questa Pisa .
    giuppy

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  10. ma non è un articolo....è un racconto di letteratura. Bellissimo!

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  11. Oh, cari! Voi mi rincuorate! Mi era rimasta un po' d'amarezza per questa storia. Si vede, non sono fatta per la comunicazione su larga scala. Lo diceva il mio relatore che dovevo imparare a scrivere in maniera più accattivante...

    Giuls, il tuo complimento da (mezza) pisana mi fa senz'altro onore!

    6cuori: e tu mi onori per esser riuscita a trovare il tempo! ;)

    @mafalda: sì, la pupa di un giorno che sorride al padre è speciale. Certo non deve aver preso molto dalla madre musona...

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  12. Suster sboccata! Allora dai che magari una speranza ancora c'è! Quelli della leica selapiasseronderculo dato che hanno fatto passare Diego credo che il concorso più che per la bellezza della foto fosse per la tecnica...

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