venerdì 8 giugno 2012

Come iniziare?

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Come qualcuno mi ha detto, sporco la pagina bianca, e inizio a scrivere.
Gli inizi sono sempre un problema, lo sono stati sempre per me, in particolare, che già dai temi in classe alle elementari passavo la prima ora a scegliere la traccia, la seconda a rigirarmi la penna tra le dita, e poi scrivevo di getto otto facciate senza copiare in bella, fino all'ultimo minuto, dopo il suono della campanella e oltre, e poi è sempre stato così, fino alla tesi di laura, circa un anno solo per trovare l'argomento, sei mesi di concepimento, nove di gestazione.
Va be', ma ora che c'entra.
Gli inizi sono sempre un problema, come diceva anche Calvino, ora non ricordo più dove, se in una delle sue Lezioni americane o in Se una notte d'inverno, o forse non lo diceva mai, e sono io che elaboro qualcosa che lui diceva in fieri, o che ho pensato questo leggendolo, o forse non l'ho mai pensato e lo penso ora, e sono convinta di averlo sempre pensato, o di averlo letto da qualche parte, e cito uno degli autori che amo di più per dare credibilità al mio pensiero.
Perché gli inizi sono pericolosi, e rischiano di viziare tutto ciò che verrà dopo nell'impostazione che dai loro, nel ritmo, nel tono, nella forma, di mandarti fuori strada, e a volte ti impediscono di arrivare dove avevi deciso di arrivare.
E quando vorresti dire tante cose, ma non sai a quale dare la priorità, un buon inizio dà un ordine ai tuoi pensieri.
Un cattivo inizio si mangia i pensieri buoni e li infiacchisce, ti fa perdere la voglia di andare avanti e accartocci il foglio, tradotto in lingua moderna, salvi in bozze e lasci perdere.
Ma poi soprattutto un inizio fatto in un certo modo ti preclude la possibilità di iniziare in un altro modo, ti preclude di fatto la possibilità di dare vita ad infiniti altri possibili discorsi, che partono da altri inizi.
E quindi uno a volte non inizia proprio, per paura che un qualsiasi inizio possa impedirgliene tanti altri, possa depauperarlo dell'estrema libertà creativa, delle illimitate possibilità di infiniti nuovi inizi.
Ecco la fregatura qual è.
E allora io scrivevo una frase qualsiasi e andavo avanti, e poi, magari, mi dicevo, la cambio dopo, invece la lasciavo sempre tale e quale, chè cambiarla alla fine non era poi tanto facile, visto che apriva un discorso lungo e continuo, senza cesure logiche,
Quindi non lo cambierò nemmeno questa volta, e che bdciuyw sia.
Ma spero che si sia capito il significato, direi, esistenziale della metafora scrittoria.
Mi trovo forse io ad un inizio di qualcosa?
No, magari. Quello che mi sento è di essere alla ricerca di Un inizio, e di non riuscire a trovarlo, di chiedermi quale storia narrare, cosa immaginare, quali parole. E' il bello è che sono già arrivata al punto di accontentarmi di un inizio qualsiasi, per la paura di non riuscire a sviluppare proprio un bel niente, del tanto materiale che avrei, e sarebbe uno spreco, cavolo, solo per colpa di un inizio!
Dannato inizio.

Ma si può iniziare da una cosa qualsiasi, così a volte basta una parola detta, o scritta, da qualcuno, ad infonderti coraggio, fiducia, determinazione.
Sentirti dire da altri cose che hai sempre cercato di dirti da sola, ma in fondo in fondo c'era sempre in agguato quell'altra voce interiore che ti diceva che no, che ti stavi raccontando storie, che non era vero che tutto sarebbe andato bene, che avresti potuto fare altre scelte e invece te le eri bruciate.
Ci sono momenti in cui cadi nella spirale a tradimento del "ma chi me l'ha fatto fare, tornassi indietro farei tutt'altro", ma so che è subdola, e che non serve a niente, e che non devo caderci, e che non è così, soprattutto.
Tornassi indietro le mie scelte sarebbero esattamente le stesse, perché in fondo ho passato degli anni a fare cose che amavo, a costruire una mia identità, e questa identità ora non sono altri che io, così come sono, con tutte le mie paturnie e le mie paure, le mie incertezze e contraddizioni.
Del resto, come diceva Gianni Togni: che male c'è? Fanno per me.
E quando pensavo che non ce l'avrei mai fatta, e guardavo altri fare ciò che a me costava fatica e immenso sforzo di concentrazione presenza mentale con la più spensierata nonchalance e i miei obiettivi mi sembrava non fossero alla mia portata, alla fine ce l'ho fatta, e riuscivo in maniera brillante laddove altri si accontentavano di riuscire.
Forse dovrei lavorare sul concetto di leggerezza, sì, riuscire ad alleggerire. Ci sto provando, a momenti mi riesce.
Poi arrivano momenti pesanti.
L'inattività prolungata è il tarlo dell'anima, e così anche le cose che magari in altri contesti riusciresti ad affrontare serenamente a padroneggiare, in quel contesto ti sfiancano, ti sfibrano, diventano ossessioni.

Buttarmi in quel mondo dei bambini che vive solo di presente, di lei che è felice se una sera ceniamo tutti e quattro insieme, che si entusiasma perché andiamo a fare la spesa insieme Mimi Mamma e Master, che non pensa a cosa farà domani e che non vuole tornare dal parco anche se le spiego che è tardi e bisogna preparare la cena, che vorrebbe che le passeggiate durassero in eterno, e piange sempre un po' quando torniamo a casa, che non desidera un presente diverso da quello che ha e che forse non immagina che possa essere migliore di così, che ha così poco passato dietro di sé e non si chiede ancora se avrebbe potuto viverlo in maniera diversa, nessuna scelta fatta di cui pentirsi, nessun tempo perso, ma ancora tutto messo a frutto al massimo, e tutte le possibilità ancora aperte davanti a sé.
E cerco di pensare che sia così anche per me.
A giorni fiducia e abbattimento, spensieratezza e preoccupazione, speranza e sconforto, attesa, chissà.

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