mercoledì 13 marzo 2013

Tu che.


Tu che credi di sapere così bene quel che vuoi, e che non perdi occasione per rimarcarlo di fronte alle ingerenze altrui all'interno del tuo campo d'azione.
Tu che rendi la vita impossibile alle maestre, che ogni giorno a turno mi raccontano di qualche tua esplosione di collera nei loro confronti, per aver osato violare il tuo spazio sacro, i tuoi cerimoniali di vestizione, le tue dimostrazioni di autonomia; tu che non ti lasci corrompere dalla promessa di caramelle, raggirare da manovre diversive, distrarre da tentativi di dribblaggio... ma vai fino in fondo, anche se poi non sai tu stessa come uscirne fuori, intrappolata tra l'orgoglio di non cedere e l'evidente assenza di una valida causa per la quale batterti.
Tu che sei già in grado di analizzare e riflettere da sola sui tuoi comportamenti, che sei sorprendentemente consapevole dei tuoi meccanismi emotivi, e a freddo sai discuterne e individuare da sola i tuoi errori.
A te vorrei poter spiegare che la cosa più difficile nella vita non è accettare gli altri e i loro difetti, quanto accettare i propri e imparare ad ammetterli per superarli, mettendo di lato l'orgoglio; che perdonare gli errori altrui non è impresa tanto dura quanto perdonare i propri; che la sofferenza maggiore te la procureranno non tanto i torti subiti, le ingiustizie patite e i tradimenti ricevuti, quanto il ricordo di quei torti, di quelle ingiustizie e  di quei tradimenti che tu avrai attuato a danno altrui.

Tu che mi stupisci con la tua eccezionale sensibilità emotiva, che sai intuire gli stati d'animo ed esserne condizionata, che riesci ad intercettare i miei momenti di crisi e a metterli a nudo, lasciandomi senza difese e guarnizioni.
Tu che trabocchi di emozioni, e che smani dalla necessità di comunicarle, esprimerle, tu che riesci a tradurre verbalmente certe tue irrefrenabili eruzioni emotive, senza inibizioni né reticenze, e lo fai come e meglio di me, adulta, che rimango intrappolata nella difficoltà di dare una forma alle mie pulsioni più inconfessabili, dal pudore di manifestare i miei affetti più primordiali.
Tu che non hai problemi a dirmi che sei innamorata di me e che mi fai sorridere con inaspettate proposte di matrimonio ("Mamma, mi vuoi sposale?"); tu che applicando alla lettera la logica ferrea imparata al nido, affermi senza alcuna riserva che io te e Buia siamo fidanzati, perché è questo che sono due o più persone che si vogliono bene; tu che quando ti trovi in mezzo ad una compagnia che apprezzi non sai contenere la gioia che provi e allarghi le braccia come a contenere tutti i presenti ed esclami "Che bello che siamo tutti insieme!"
Tu che quando una situazione ti piace e ti fa sentire a tuo agio, balli di felicità, tu che sai ancora chiedere: "Mamma, pel favole, mi dai una carezza?" o "Ti posso dale un bacino?" e mi sento morire quando mi prendi la mano e dici di non preoccuparmi, ché ci pensi tu.
Tu che ti senti già forte abbastanza da poter proteggere qualcuno che ami, che hai sempre il "celotto" per guarire ogni tristezza, espressa o inespressa, o malamente celata da parte mia, tu che ripeti di essere "glande", e credi che l'esserlo sia sinonimo di una conquista di status.
A te vorrei far capire quanto eccezionale sia il tuo status di piccola, quanto la tua forza risieda nella tua apparente assenza di difese, che di fatto lascia senza difese chi con te si confronta.
A te vorrei dire di non perdere mai del tutto questa tua forza-bambina, di non lasciare che questa tua immediatezza nel sentire e nel trasmettere venga soverchiata e sopraffatta da etichette, e vuoti clichés comportamentali, che il darsi del tutto non è sinonimo di debolezza, ma di grande coraggio e onestà. Che la cosa più frustrante non è tanto il non sentirsi capiti, quanto il non sentirsi più in grado di comunicare, il non sapersi più in grado di "sentire".

Tu che non ti concedi sempre e subito a tutti, ma sei selettiva, e scontrosa, e hai i tuoi tempi di reazione non sempre in sintonia con quelli del mondo circostante. Tu che sai far male quando rifiuti, ed estrometti dal tuo mondo affettivo, e non ti rendi conto che ogni tua parola ha un impatto ben più forte della tua reale volontà di ferire.
Tu che mi fai ridere quando atteggi la faccia in cipiglio e fai la voce da posseduta e dici: "Vai via, sei blutta , io non ti voglio!"; tu che non accetti che qualcuno che ami possa fare o dire cose che non ti piacciono, o impedirti di fare ciò che vorresti, o disapprovare qualcosa che hai fatto, e ti opponi, e da giudicata passi a giudicante, e dai per scontato che il mondo debba girare intorno alla tua volontà, e che tutte le motivazioni contrarie siano secondarie.
A te vorrei insegnare che nella vita non vince sempre chi urla più forte, anche quando ci dicono che è così; che le vittorie silenziose a volte sono le più significative; a te vorrei mostrare quanto il saper lasciar correre senza rivendicare sia dote di pochi spiriti eletti, e come l'abitudine di voler avere sempre l'ultima parola rischi di diventare una gabbia che ti preclude lo scambio con l'altro.
A te vorrei  spiegare che la capacità di tacere e ascoltare le ragioni altrui può renderti ricca e aprirti prospettive prima mai considerate, e dare soddisfazioni neppure paragonabili alla prepotente smania di ricevere il riconoscimento delle proprie ragioni. Che il negare o il rifiutare ciò che non ci piace non servirà a risolvere un problema, né a migliorare una situazione. Che il riconoscere di aver sbagliato ti darà diritto a maggior considerazione da parte altrui di quanta te ne potrebbe dare una vittoria dialettica ottenuta per sfinimento.

Tu che vuoi sempre dare un nome a tutto, che chiedi in continuazione chiarimenti sugli aspetti che ti rimangono più oscuri, che sei capace a reindirizzare le risposte qualora non ti convincano, che mi obblighi a sfiorare pericolosamente il confine inviolabile del mondo degli adulti ("mamma, spiegamelo meglio!") per non aprirti prematuramente lo scrigno di verità difficili, quelle che non vorrei mai confessarti, che vorrei non ci fosse bisogno di spiegarti, e ti ritrovo ferma lì a rifletterci sopra, per provare a capirne da sola il come e il perché.
A te vorrei dire che anche quando, a un certo punto della tua vita, ti sembrerà che questo mondo sia un bello schifo, che la vita sia tutto un inganno, che la ricerca della felicità sia solo una favola tossica, per ubriacare la mente della speranza che davvero serva a qualcosa essere vivi (e prima o poi ti accadrà di pensarlo), ci sarà sempre qualcosa per cui varrà la pena aver vissuto, e ci sarà sempre qualcosa per cui varrà ancora la pena vivere, e che quel qualcosa da solo basterebbe a riscattare tutto il resto, che la bellezza da sola può salvare il mondo.

Tu che ti riconosci un'inequivocabile femminilità, tu che ti rivedi nella maggior parte delle tue eroine fiabesche, identificandoti nell'immediato con ognuno dei personaggi che già popolano la tua fantasia; tu che mi fai impazzire quando al mattino ti metti in testa di voler scegliere i tuoi vestiti, alla ricerca disperata di "quello da plincipezza", che vuoi i capelli sempre sciolti perché dici che "le plincipezze non hanno le codine", che hai acquisito chissà da dove la nozione delle fondamentali doti femminili, e le individui nella bellezza, nell'eleganza e nel ballo...
A te in questo mese di marzo dedicato alla donna, vorrei trasmettere il senso profondo di cosa ciò significhi, proprio io che il mio essere donna ho fatto una certa fatica ad apprezzarlo, accecata com'ero da fuorvianti luoghi comuni di una femminilità civettuola e frivola, dedita all'esteriorità e alla cura della propria immagine estetica, persa in discorsi vacui di nessunissimo interesse, e invece l'ho poi riscoperta in me in una particolare forza introspettiva, nella complessità e articolazione del discorso emotivo, nella predisposizione per la cura profusa nel'oggetto delle proprie passioni, nella sottigliezza e nella sfaccettatura degli stati d'animo.
A te ancora vorrei rivelare come la tua maggiore forza risieda proprio nel tuo essere donna ("No, mamma, tono una bambina, io"), nel tuo essere una bambina che un giorno sarà una donna, detentrice della facoltà di ospitare e dare vita, la forza più grande e inestinguibile che essere umano possa mai vantare.
Tu che sei già la mia piccola donnina.



Nessun commento:

Posta un commento

Che tu sia un lettore assiduo o un passante occasionale del web, ricevere un commento mi fa sempre piacere, purché inerente e garbato.
Grazie a chi avrà la pazienza e la gentilezza di lasciarmi un segno del suo passaggio.