giovedì 16 aprile 2015

C'è vita sulla terrazza.


Mi sveglio con la testa piena di sabbia.
Risultato di un pomeriggio con le bimbe in spiaggia.
Sabbia tra i capelli, sabbia sul cuscino, sabbia nei pensieri.
Testa pesante, occhi pesti, mattine luminose di primavera, pressione bassa, bambine lamentose, noiose, ostruzioniste.
Primavera si riaffaccia sempre faticosa, per quanto bella.
In primavera la mia casa si amplia, le pareti si fanno permeabili, il dentro lascia entrare un po' di fuori e il fuori ci accoglie tiepido e confortevole come un pezzo di dentro.
Tra qualche mese la mia terrazza sarà impraticabile per buona parte della giornata; le sue piastrelle esposte a meridione diventeranno incandescenti sotto gli implacabili dardi del sole estivo che la batteranno per svariate ore al giorno.
Ma ora è il momento più propizio che mai.

Restiamo in terrazza al rientro da scuola, nel medio pomeriggio fino all'avvicinarsi del crepuscolo, e senza mettere nemmeno un piede in casa, perché non ce n'è bisogno.
Disegniamo con i gessi, buttiamo giù birilli e barattoli, assembliamo farfalle e infiliamo perline. Consumiamo merende che sfociano in apericene a base di creme di fragole e cantucci.
Beviamo succhi di frutta analcolici e addizionati con Aperol, giacché c'è la bottiglia aperta in frigo. Una si arrangia come può.
Mi adatto alla compagnia bambina mentre piego panni e propongo giochi che poi proseguono fortunatamente in autonomia. La primavera è la stagione giusta per essere bambini.

Intanto progetto nuovi fiori e nuovi vasi, scartando le qualità che non sono sopravvissute al nostro inverno. I bulbi piantati a gennaio ci regalano esplosioni di colore insperate.
La primavera sprigiona intorno tanta di quella energia che ti viene da chiederti dove vada a finire quella necessaria ad alzarsi ogni mattina, e ancora non ho fatto pace con l'orario legale.
Due volte a settimana si aggiunge il terzo elemento. Faccio il giro dei tre istituti per recuperarle tutte: due materne e un nido, le due figlie e la figlia acquisita, incastrando seggiolini e rialzi sul sedile posteriore della gloriosa Fiesta e attraversando le strisce pedonali in lunghe catene di mani, e sul marciapiede ogni tanto qualcuno ci guarda e sorride, e mi chiede se sono tutte mie.
Sì, dico, due fisse e una in prestito. Tecnicamente lo chiamiamo babysitting familiare, ed è una buona alternativa ai faticosi incontri con amichette. In più vengo pagata, che non è il fattore secondario.

La primavera trascina con sé progetti e proposte, idee e iniziative.
Rapidamente scivola verso le idi il mese di aprile, senza che tu sia riuscita a venire a capo di mezza, tra quelle che avevi in testa, qualcuna la concludi, altre chissà.
Pedalo nell'aria che ha l'odore dell'erba falciata delle aiuole. E' l'odore bambino della primavera, che fa pensare quasi alla campagna, e a passati ancestrali di vita campestre mai vissuti, ma senza letame.
Vorrei fare, dire, scrivere, proporre, sistemare, inventare...
Ma anche mettermi in terrazza a guardare il cielo sopra il profilo del mio panorama urbano residenziale, che conosco fin troppo bene, a far finta di leggere un libro che è sempre aperto alla stessa pagina.
Aprile è anche il mese della lettura, ma io sono stata finora una pessima emissaria.

E mentre questo tempo continua incessante ad andare e a tirar via con sé cieli di stagioni diverse e mesi che si avvicendano e ritornano ancora, ed età di bambine che non torneranno, e anni della mia vita che stanno lì a ricordarmi che non ho ancora provveduto a trovarle un indirizzo, un incanalamento valido e fruttuoso, una ragion d'essere nella società e nel mondo per cui potermi dire soddisfatta di quanto fatto finora, mentre tutte queste cose, io mi fermo a pensare cosa davvero sia il nucleo centrale di questa che chiamiamo vita, e quale il suo significato.
Se è davvero solo l'equazione lavoro-produco-guadagno-spendo-consumo che ci fa sentire individui in qualche modo validi e degni di calcare questa terra, o se si può arrivare a trovare la propria dimensione in altro. Se siamo destinati a perpetrare la specie nell'illusione di una generazione successiva alla nostra che arrivi a raggiungere i nostri successi mancati, a coronare i nostri sogni irrisolti, o anche solo a riuscire più fortunata, capace e insomma, migliore di quanto non lo siamo stati noi, e se in virtù di questo arriviamo a sentirci appagati nella genitorialità, convinti di allevare schiere di enfants prodige che una volta adulti, a loro volta, vedranno cadere uno a uno tutti i loro sogni e aspirazioni di infinito, chiudersi gli orizzonti, e constatare quanta poca sostanza si celasse dietro tanta preparazione e speranze malriposte in una promessa di chissà quali fulgidi futuri.
E' davvero questo gioco perverso al futuro, la vita, a preparare il terreno per un domani che verrà e che sarà migliore, o ci stiamo perdendo qualcosa di altro, di meno ostentato ma più tangibile?
E cos'è questo qualcosa? E cosa resterà di questo nostro ora, di questi pomeriggi in terrazza, di queste bambine ora litigiose e irascibili, ora canterine e adorabili, di questa me che vagheggio e non arrivo a niente, e non so ancora dove arriverò, se da qualche parte arriverò?

Me lo chiedo quasi inconsapevolmente mentre sono assorta a misurare mentalmente la superficie di cielo sopra la terrazza e pondero con oculatezza di brava donnina di casa la possibilità di farmi installare in vista dell'estate prossima un bell'avvolgibile che ripari la nostra estate dal solleone, e le nostre piante dall'arsura, i nostri piedi dall'ustione e ci lasci in salvo questo pezzettino di fuori.
Sfrondando tutto cosa è veramente indispensabile?
E perché ci riempiamo la testa e l'agenda di cose-da-fare che a ben vedere sono prorogabilissime e anzi, non assolutamente imprescindibili né necessarie al nostro appagamento e perché sempre questo senso di incompiutezza da colmare, di insoddisfazione da saziare?

Girava un giochino un tempo, che non ricordo più bene, sulle tre cose senza le quali non potresti vivere. Ricordo di aver letto tante risposte tipo: gli amici, l'amore, il caffé, la musica.
Non è vero: si può vivere anche senza tutto questo, ci si abitua a fare a meno.
Se invece provo a pensare a quale assenza mi farebbe del tutto passare la voglia di vivere, credo che per me sia l'assenza di orizzonti, l'impossibilità di vedere il cielo e la mancanza di prospettive future.

Forse è questo che rappresenta per me la mia terrazza, da cui vedo le montagne all'orizzonte dietro le case, e su cui giocano le mie figlie in primavera, e si rotolano i miei gatti, mentre io raccolgo i panni dallo stendino.










2 commenti:

  1. Sono sempre belle le tue riflessioni ... Mi piacerebbe affidare a te la mia bimba mentre vado al lavoro .. Siete così belle tu e le tue ragazze ! Un bacione a tutte e tre ! Sabry

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  2. Ti ringrazio davvero, sei molto cara.
    In realtà mi piacerebbe anche provare l' ebbrezza di affidare le mie bimbe a qualcuno per andare a lavoro, ma in mancanza di ciò uno si adatta...

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