lunedì 8 giugno 2015

Contemplando l'estate incipiente.


E' arrivato prepotente giugno, e all'improvviso è già tutto un finire, un chiudere, un concludere, un'affrettata corsa verso il dopo.
Mi costringo alla scrivania a scrivere un post che inizio nella maniera più banale possibile, parlando del tempo. Il tempo che passa e le stagioni che si avvicendano.
E' la maniera più semplice e anche la più sicura quando ti assenti per tanto tempo e non sai nemmeno il perché.
E il perché è sempre quello: il tempo.
Il tempo che manca, che manca sempre, che non basta mai a fare tutto quello che vorresti, come vorresti, e ti senti sempre un pochino insoddisfatta.

Rimane quel fastidio di fondo di non riuscire  a star dietro a tutti i tuoi fili, e ne perdi per strada.
Il tempo che scorre rapido ed è già finita un'altra settimana, dove sarà finita chi lo sa.
Il tempo che riempi sempre il più possibile perché non ne vada sprecata nemmeno una goccia preziosa. Ma poi senti l'asfissia della mancanza di pause, quel riprender fiato necessario nel corso delle frenetiche battute; sedici ottavi, a ripetizione, un sali e scendi continuo di note brevi e cadenzate.
Che va anche bene fare cose, ma occorre anche fermarsi a rimirarsi.
Fermarmi a scrivere è sempre stato fondamentale per me.
Ma per farlo occorrono un sacco di cose: occorre tempo e questo l'abbiamo già detto e confermato, occorre concentrazione, e ispirazione, e solitudine, e queste non sempre sono tutte presenti all'unisono.
Occorre presenza mentale e un minimo di buona volontà necessaria per organizzarti i pensieri nella testa e scrivere qualcosa di sensato e di utile.

Scrivo perché in qualche modo libero un pensiero dandogli una forma più definita.
Una volta messo per iscritto, immutabile, condannato all'immobilità della forma grafica, lui smette di tormentarmi; si è esternato ed ora è appannaggio del mondo, che ne faccia quel che più gli aggrada, me non riguarda più.
Leggo anche per impadronirmi dei pensieri altrui, perché ricomincino a fluttuare e a turbinare e a cambiar forma, liberi di nuovo da quella immutabile dell'inchiostro sulla pagina e delle lettere sullo schermo del pc.
E' qualcosa che riguarda da vicino l'essere e il divenire, l'esistere e il creare, il nascere e il morire.
Per me la scrittura è vitale.
Ma ci sono momenti in cui la senti così lontana e inadeguata, in cui ti riesce così sterile e asettica, in cui ti senti proiettata verso altri modi di essere e di vivere, e lei rimane indietro, ferma ai primi giorni di maggio.
O si vive o si scrive, giusto?
E' quello che ho pensato quella sera, sul mare, mentre guardavamo quel sole scarlatto adagiarsi pigro sull'orizzonte e il cielo diventava rosa ornato di nuvole di colori indescrivibili.
Le dune di sabbia diventavano montagne da scalare per le due alter ego delle mie bambine.
Mimi e Rania hanno due alter ego, Luna e Stella, due principesse sorelle che parlano un'ottava sopra il normale e non litigano mai.
In cima alla duna c'erano foreste di macchia mediterranea che pure quando sembra morta è in realtà viva, di una secchezza apparente che sprigiona fragranze intense d'estate e di estati passate e di ricordi d'infanzia, finocchio e ginepro e bouquet profumatissimi di un giallo pungente, di verdi scarichi e lilla esausti.
Intorno l'aria si faceva più fresca e umida, la pelle appiccicosa e i contorni delle cose meno netti.
E tu senti in fondo all'anima come una puntura d'insetto, il desiderio inconfessabile che la vita possa essere sempre e solo questo, questa contemplazione, questa pace, questo lasciarsi riempire attravesro i sensi dei colori e degli umori, dei profumi e della sensazione della sabbia sotto i piedi, quando sul bagnasciuga scrivi e disegni con l'alluce animali e paesaggi destinati a durare il tempo tra un'ondata e l'altra e intorno stampate le impronte di piedini meravigliosi, che il prossimo anno non saranno più così piccole e meravigliose, rincorrersi e rincorrere le tue, che conosci bene, perché sono sempre le stesse da diversi anni.
Sulla terrazza di casa, al nostro ritorno, ci aspettava una tavola apparecchiata per quattro, e tutto ciò è qualcosa di estremamente vicino alla perfezione, per me.

Mimi mi ha chiesto a cosa servono le parole.
Io le ho risposto che le parole servono per comunicare, ma poi subito mi sono accorta che non è del tutto vero, ché anche gli animali comunicano, ché un cane anche senza bisogno di inventare una parola per indicare il sasso può guaire se qualcuno glie ne ha tirato uno addosso; anche senza una parola che indichi tristezza o solitudine anche gli infanti sanno comunicare di sentirsi tristi o soli.
Allora forse le parole le abbiamo inventate per comunicare riguardo a cose o a concetti o ad avvenimenti che non sono presenti qui e ora; le parole ci servono per parlare di quel che non c'è, che c'è stato o che sarà, ma che non riguarda il nostro immediato sentire, o vivere.
Mi sono accorta che io con le mie figlie riesco a essere più sincera che con chiunque altro.
Mi sono accorta che parlare con loro mi apre orizzonti e mi stimola alla riflessione più di qualsiasi altra conversazione.

Rania ha chiesto: "Chi ha messo i sassi nell'acqua?" riferendosi agli scogli affioranti.
Mi è sembrata una domanda legittima, e ho rincarato a mia volta chiedendomi chi mai avesse messo tutta quella sabbia sulla spiaggia.
Mimi ha afferrato al volo il gioco e ha chiesto chi mai avesse messo tutta quell'acqua nel mare.
Poco più in là sotto uno degli ultimi ombrelloni superstiti alla sera incipiente un'anziana coppia ascoltava e sorrideva.
Rania ci ha pensato e poi ha risposto che doveva esser stato un bimbo grande grande.
Allora mi son detta che tra qualche anno non mi sarei mai ricordata di questa conversazione, e che sarebbe stato un vero peccato.
Chissà, invece adesso che è qui, magari la rileggerò e sorriderò, anche se forse non ricorderò più il tono della voce e il modo di parlare esilarante della mia bimba piccola, e le dimensioni meravigliosamente piccole e perfette delle orme dei suoi piedini sulla sabbia.
Col tempo le cose perdono un po' di senso, o di intensità.
Forse il senso del mio scrivere è il disperato tentativo di fermare il tempo.
Forse le mie parole si sforzano di rimpiazzare in maniera maldestra attimi che già non sono più.





10 commenti:

  1. Semplicemente emozionante questo tuo post e bellissime le cucciole con le loro domande e conversazioni. A me siete mancate! Un abbraccio antonella - firenze 😊

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    1. La volontà sarebbe quella di essere più assidua, ma a volte è difficile e scrivere sempre diventa quasi un diktat. Non è ciò che voglio, quindi diciamo che abbasso le mie pretese su me stessa e mi accontento!
      Grazie. I commenti affettuosi al solito rinfocolano l'entusiasmo

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  2. Che emozione... Un abbraccio che fermi il tempo :)

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  3. L'hai detto proprio bene, sono precisamente i motivi per cui anche per me ha senso, ho voglio, ho bisogno, non posso fare a meno di scrivere.

    Un abbraccione a Luna e Stella e ai vostri dolcissimi dialoghi.

    Susibita

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  4. Bello! Anche per me le parole sono qualcosa di simile: rendono fisicamente reale quella parte di me (il pensiero) che sembrerebbe impalpabile, ma è reale quanto le mie mani.

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    1. Ah, ecco... Quindi la risposta giusta sarebbe: le parole servono a concretizzare il pensiero. Era molto più semplice di quanto pensassi!

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  5. Bentornata.....e se questo tempo ti è servito per scrivere questo post allora...è stato provvidenziale!!Molto emozionante...a presto!!!

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    1. Ciao! Sì... no... non proprio! No: ho utilizzato solo una ventina di minuti in realtà. Il resto è mancia!

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