mercoledì 20 aprile 2011

Venuta al mondo


Sono venuta al mondo in un primo pomeriggio di metà ottobre di quasi un trentennio fa.

Era l'anno dello scandalo P2, che in Italia aveva visto coinvolte tante personalità di riguardo.
L'anno in cui si votava per il referendum sull'aborto.
L'anno che aveva visto convolare a nozze Carlo d'Inghilterra e Lady Diana Spencer.
L'anno dell'arresto di Mario Moretti, esponente più in vista delle BR, esecutore dell'omicidio Moro.
L'anno in cui l'IBM lancia sul mercato il primo PC.
L'anno dell'esordio musicale dei Metallica.
L'anno in cui era morto a Roma Rino Gaetano, investito da un'auto.
L'anno in cui, a Miami, era morto anche Robert Nesta Marley, in arte Bob, ucciso da un melanoma maligno all'alluce destro.
E quell'anno, in estate, la televisione italiana aveva trasmesso, a reti unificate, la lenta agonia di un bambino di sei anni che era caduto dentro un pozzo e non si era riusciti a tirare fuori.
Era l'anno dell'attentato a Carol Woitila, papa Giovani Paolo II, in Piazza San Pietro.
In Francia veniva abolita la pena di morte.
E fu in questo anno già gravido di eventi, più o meno luttuosi,che si inserisce anche la mia storia.

Quel giorno, una settimana dopo l'assassinio di Sadat, il capo maresciallo delle flotta aerea egiziana, Hosni Mubarak diventava presidente dell'Egitto, e lo sarebbe rimasto fino al febbraio del 2011.
Quel giorno era mercoledi.

Quel giorno una donna alla sua terza gravidanza, nel suo appartamento all'ottavo piano della periferia romana, iniziava a sentire ben noti crampi al basso ventre.

Ma è a questo punto che i dati certi a nostra disposizione iniziano a mancare, che Wikipedia non sopperisce più alle faglie della memoria e della conoscenza, che il confine tra realtà storica e leggenda inizia a farsi sottile e labile. E' a questo punto che devo iniziare ad affidarmi ai ricordi di resoconti, e di racconti uditi e ripetuti tante di quelle volte, da divenir racconti di ricordi di racconti fatti precedentemente. Sempre un pochino più mitologici del reale, ma fin dove, è impossibile dirlo. Per me, che raccolgo la testimonianza da destinataria, quanto per la narratrice stessa, che rivive con sguardo di volta in volta diverso quegli istanti un tempo vissuti, ora ricordati.

E dunque non saprei dire, quel giorno, che tempo facesse, per esempio, ma posso provare a immaginarlo, perchè conosco gli autunni romani, nei primi mesi del loro ingresso, variopinti di colori caldi e fruscianti di un tappeto di foglie secche sui marciapiedi, e i loro cieli tersi, di un azzurro impeccabile, intenso come solo in quei mesi dell'anno riesce ad essere, vergato di tanto in tanto di pennacchi di nuvole, che tanti artisti barocchi hanno ispirato, sulle pareti delle sue chiese storiche.

E quindi quel giorno io me lo immagino così: caldo e luminoso, di quella luce dorata di un sole declinante verso sud, che ha già iniziato la sua parabola discendente cedendo le sue ore diurne alla notte, crepitante di passi sui selciati tappezzati di fogliame colorato, appena malinconico per qull'addio momentaneo al tepore e alla luce che sappiamo di godere ancora per poco, per gli ultimi, privilegiati giorni.

E da qui inizia la leggenda.
Narra la mia fonte, che quel giorno iniziò dunque ad avvertire a intermittenze regolari, questi sospetti dolori che lei da esperta qual era, credo avesse dovuto riconoscere subito.
Da esperta qual era però, ben sapeva che la questione sarebbe stata lunga e snervante, se avesse cominciato sin da subito a dare in escandescenze, e quindi, da esperta qual era, trovò il modo di sedare temporaneamente i dolorosi preamboli di quell'incipiente travaglio con ripetute docce fredde (o erano calde? Dovrei tornare a consultare la mia fonte, ma la cosa al momento ha scarsa importanza).

Narra ancora la mia fonte, che quando si rese conto che la situazione stava rapidamente precipitando verso un parto accelerato, entrò in uno stato di concreta agitazione, poichè trovavasi al momento sola in casa, e facendosi impellente la necessità di raggiungere il più vicino ospedale, non aveva chi potesse accompagnarvela in auto, poichè il di lei marito risultava al momento irreperibile.

Ricordo, tanto per definire l'ambientazione storica, che i cellulari all'epoca erano ancora ben lungi dall'essere immessi sul mercato, e se già ne circolasse qualche prototipo, questo lo ignoro.
Fatto sta che la mia fonte dichiara di aver provato una grande angoscia, e racconta di come avesse chiesto aiuto alla signora che allora prestava servizio domestico presso l'abitazione dei suoceri, che abitavano sul pianerottolo, nell'appartamento di fronte del medesimo condominio all'ottavo piano di quella periferia romana.

Tal signora la carica in macchina e insieme si dirigono verso l'ospedale.

E qui per figurarvi la scena non dovete far altro che attingere alle numerosissime riproduzioni televisive, cinematografiche e pubblicitarie, che nel corso di decenni hanno arricchito la cultura collettiva di un campionario nutritissimo di casi di parto precipitoso, corredati da corsa all'ultimo minuto all'ospedale, con tanto di donna partoriente sdraiata nel sedile posteriore, urla strazianti e slaloom giganti in mezzo al traffico comatoso della capitale, tra comici e grotteschi inconvenienti e contrattempi di ogni tipo.
Perché pare che proprio così sia andata anche quella volta.

A detta della mia fonte, quel viaggio per arrivare in ospedale fu una corsa matta e disperatissima contro il tempo e le doglie, in un'auto alla cui guida era una persona che, oltre a possedere scarsissimi rudimenti in tema di conduzione di veicoli a motore, poco ne sapeva anche di logistica stradale, e assai male conosceva anche la sistemazione urbanistica delle città e la dinamica dei suoi percorsi viari.
E quindi la mia fonte racconta di come viaggiasse col cuore in gola su quel sedile posteriore (o era anteriore?), convinta che proprio lì lei avrebbe infine partorito, per quanto si sforzasse di concentrare la totalità delle proprie energie fisiche e psichiche nel tentativo di frenare o quanto meno rallentare quell'evento.

Racconta poi, la mia fonte, di come alla fine fossero arrivate all'ospedale sul filo del rasoio, di come l'avessero caricata sul lettino e scarrozzata di corsa per i corridoi  e dentro gli ascensori, tanto che, in questo scarrozzamento folle,  si perse persino la borsa del corredino della bimba che stava per venire al mondo, di come poi questa meravigliosa venuta al mondo si fosse consumata sulla soglia della sala parto, anzi no, che sto dicendo, nel corridoio del reparto maternità, anzi, no: nell'ascensore stesso che conduceva al piano.
E di come poi la neonata sia stata piazzata per un tempo non precisato sotto una lampada riscaldante, poiché, come detto prima, non si trovavano più i vestitini da infilarle, smarriti durante lo scarrozzamento folle della madre partoriente per i corridoi della struttura ospedaliera.

Per questo motivo, così credevo da piccola quando mi veniva raccontata per l'ennesima volta questa storia, poiché cioè ero rimasta nuda così a lungo, avevo avuto i miei primi brividi di freddo, di cui conservavo traccia in quella strana zona di pelle ruvida e granulosa che ho sempre avuto sul braccio destro, all'altezza del gomito, che sembra proprio come se avessi la pelle d'oca solo in quel punto, e che mio padre chiamava, con ironico motteggio, "pelle da rinoceronte", definizione che io accettavo e ripetevo con guerrigliero orgoglio.
I bambini si danno strane e fantasiose spiegazioni a fenomeni non altrimenti spiegabili, e se le fanno bastare.
I bambini hanno bisogno di attribuire origini leggendarie ai fenomeni che li circondano, compresa la loro stessa esistenza.
Il racconto della mia venuta al mondo, così come quella bizzarra pelle da rinoceronte che ho tuttora sul braccio, mi inorgoglivano smisuratamente.

Gli adulti dal canto loro finiscono per dare un peso eccessivo ad eventi che si verificano in fin dei conti per null'altro se non il caso, e spesso la nostra interpretazione di esso contribuisce non poco a imprimere una forma definita anche a ciò che viene dopo.

Solo molti anni dopo, trovandomi a mia volta dalla parte di colei che dà alla luce, e non di colei che viene alla luce, ho riconsiderato quel racconto dal punto di vista di chi tante volte me lo aveva narrato, e non dal punto di vista di una bambina che, a detta degli adulti, "non vedeva l'ora di uscire fuori" oppure "aveva proprio deciso che era ora di vedere il mondo", o che infine "non aveva più voglia di aspettare ancora".
Ne vien fuori l'immagine di un neonato predestinato al tagliar corto, al "lasciate fare a me", all' "ora basta, facciamola finita", o al "non ho bisogno di aiuto, io: faccio da sola, grazie" che è quanto meno un azzardo della pseudo-scienza del dimmi-come-sei-nato-e-ti-dirò-chi-sei, che va fortissimo ultimamente.
Del resto è stata un'etichetta che mi sono in parte dovuta accollare nel mio crescere, quella della figlia indipendente e autonoma, che vuole fare da sola, e che ha condizionato non poco anche alcune scelte della mia vita, spingendomi spesso a cacciarmi in situazioni per le quali forse non ero proprio all'altezza.
O magari c'era davvero un poco di verità in quel mio voler venire alla luce a tutti i costi quando lo dico io e solo quando lo decido io.

Ci sarà pure un motivo, dico io, se i Greci raccontavano che Minerva, dea della saggezza e della giustizia, fosse stata partorita dalla testa di Zeus, signore dell'Olimpo.

E forse non tutti sanno che la poetica nascita di Venere, dea dell'erotismo e dell'amore, dalla schiuma del mare, fosse stata in realtà dovuta al fatto che, tra quei flutti, il nostro Zeus avesse gettato i testicoli amputati del suo crudele padre Crono, divoratore dei propri figli.

Fatto sta che in ogni nascita credo ci sia quel tanto che basta di leggendario. E' nello stabilire in quanta parte questo leggendario sia presente, che sta il difficile.
Come l'arrivo tardivo del padre irreperibile all'ospedale, che pare abbia pronunciato, nel suo presentarsi a cose fatte, una frase del genere: "Allora, quanto manca al parto?"; o forse: "Sono già iniziate le contrazioni?", quando la sua adorabile figlioletta già si sollazzava nella culletta accanto agli altri bebé della nursery.
Ecco, come questa.

E mi viene inevitabilmente da pensare a come racconterò a mia figlia la sua venuta al mondo, e cosa lei ne penserà, e come questo racconto potrà condizionare l'immagine che lei stessa avrà di sé nel tempo a venire.
E anche se mi dico, con un pizzico di delusione e rammarico, che quella venuta al mondo in realtà ha avuto ben poco di leggendario e iperbolico, sono sicura del fatto che solo il tempo saprà tirar fuori dalle nebbie della mia memoria quanto di incredibile e mitologico si racchiudeva in realtà anche nella nascita di mia figlia, a pensarci bene.
Perché in fondo ogni nascita ha del miracoloso.

Con questo post rispondo all'invito di Mamma è in pausa caffé, qui.

Se anche voi volete arricchire il repertorio mitografico con la vostra leggenda, prego: fate pure.
Non potrà che essere interessante. E istruttivo!

Aggiornamento a dì 7/12/211: bannerizzo e partecipo al contest (infine) indetto dalla mia comare Trimamma:


12 commenti:

  1. ciao, è da un po che ti leggo ma senza commentare. i tuoi post e i tuoi rcconti sono sempre molto belli e divertenti. Adesso ne approfitto per farti gli auguri di buon compleanno!

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  2. Wow, che inizio leggendario! (Stavo anch'io per farti gli auguri...Ma meno male che andiamo verso l'estate!) :) Ciao, buona giornata! E buona giornata anche a Pandora!

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  3. Ehm... no no!In effetti il mio compleanno non è ora, ma tra altri 6 mesi! Diciamo che li prendo per buoni, gli auguri, per quello passato, visto che è stato festeggiato in maniera veramente indegna. NO: il post era per risspondere, come ho scritto, all'invito fatto da questa blogger qui:

    http://mammainpausacaffe.blogspot.com/2011/04/vi-racconto-una-storia.html

    Sapevo che se avessi aspettato 6 mesi, alla fine non avrei concluso più niente! Quindi, per quanto fuori stagione, mi sono permessa di autocelebrare la mia nascita così.
    Un attimo di autoesaltazione, niente di più

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  4. Ah scusami..... non avevo capito nulla allora....hum...
    Come ingresso nel tuo blog non è il massimo...

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  5. E io ho scritto "qual" con l'apostrofo per ben 3 volte di seguito. Direi che alcuni errori nella vita ci stanno tutti...

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  6. Carissima come stai? :)

    Perdona il ritardo con cui ti comunico gli awards (hai fatto prima tu a scoprirlo da sola!XD)...il topic era programamto, perciò si è autopubblicato ed io sono in ritardo con l'assegnazione! (La solita ritardataria...ç_ç)

    Ad ogni modo, ecco qua:

    http://lacollezionistadidettagli.blogspot.com/2011/04/premi-premi-e-ancora-premiiii.html

    Many kisses! :*

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  7. mitica! come sempre tu, e la tua nascita, al limite del tragi-comico!
    avrei un commento per ogni paragrafo...

    ...mi sono venuti i brividi al ricordo della vicenda di Alfredino. Ricordo una notte passata accanto a mio padre davanti alla tv. Ricordo la speranza di quelle ore e la delusione per ogni tentativo fallito. Ed infine l'immensa tristezza.

    "tenera" l'ironia di tuo padre sulla "pelle da rinoceronte"!

    e altro altro ancora...

    Ritrovo, nel tuo modo fantastico di dire le cose, tante piccole (grosse) verità!

    Mi è venuta voglia di farci un contest! ma come si fa? tu ne sai qualcosa?

    ciao e grazie!

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  8. Grazie Claire!

    Tri mamma, ti ho risposto per mail. aspetto il contest! ;)

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  9. Somiglia davvero a una favola, intensa e profonda!
    Mi hai ricordato di Alfredino, non sai come ci sono stata male, avevo pochi anni io. Piangevo per lui, non mi davo pace in quei giorni. Quando morì mia madre preferì mentirmi, perché l'avevo presa troppo a cuore. I bambini sanno essere davvero empatici. Da adulta ho scoperto la verità, ero l'unica che affermava con assoluta certezza che Alfredino si era salvato. Sono corsa da mia madre, così ho scoperto anche questa storia che lei aveva modificato per me, per difendere il mio animo sensibile :)

    Grazie Suster per questo splendido racconto, a metà tra mito e realtà :D

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  10. Oh, Nina, grazie! Che bei complimenti! Sono contenta che ti sia piaciuto. Ho atteso il contest di Tri molto a lungo come puoi vedere: sono la più anziana partecipante al contest!!

    Quella storia aveva colpito molto anche me, quando ne sono venuta a conoscenza, me la narrò mio padre, sei anni più tardi (avevo l'età di Alfredino allora), ma posso solo immaginare come può esser stato averla seguita in diretta tv... una delle più grosse aberrazioni mediatiche della nostra Storia televisiva credo. Forse tua mamma ha fatto bene a difenderti da tanta bruttura: i bimbi hanno bisogno di fiducia nel mondo degli adulti.
    Grazie ancora per questo tuo commento.

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  11. Credo molto nell'"arte" del racconto.
    E' anche con le storie che tramandiamo le nostre emozioni ( così hanno fatto i nostri genitori con noi).
    La tua "pelle di rinoceronte" è degna di una fiaba classica!
    Per me, al limite del ridicolo, è importante e mi piace raccontare a ciascuno dei miei tre figli la loro storia, guardando anche le foto, soprattutto vicino alla data del loro compleanno. Loro mi ascoltano come se raccontassi davvero una favola, la loro speciale storia.
    Bellissimo post!

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  12. Anche io credo sia importante cercare e rielaborare il lato fiabesco delle nostre vite. In fondo in una società in cui la tradizione orale familiare, e la sua memoria a lungo termine sono praticamente state rimpiazzate dalla tradizione mediatica e dalla sua memoria a breve termine, mantenere vivo il legame intergenerazionale attraverso la parola è diventato quanto mai importante per preservare in un certo senso la nostra personale identità.
    Ho cercato di farlo inserendo il mio piccolo racconto privato nel cuore dei grandi accadimenti nazionali e mondiali dell'epoca. Anche l'epica deve rimanere al passo con l'attualità se vuole mantenersi credibile...

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