martedì 16 ottobre 2012

Smaramba di pensieri (tra le righe: sindrome del nido).


Cielo in grande movimento.
Sole. Caldo. Pioggia. Acquazzone. Vento. Freschetto. Piumone. Afa. Zanzare. Boh.
Mi sveglia poco prima dell'alba un violento scroscione. Il mio pensiero va alle magliettine stese della pupa, in terrazza: pazienza. Poi alla bicicletta, esposta alle intemperie perché gli operai che lavorano all'appartamento del piano terra non vogliono che la lasci più sotto la tettoia; dicono che li intralcia nei lavori. Mah.
Mi alzo a fatica e così come sono (in pigiama, eh. Niente gocce di Chanel per me!) infilo il poncho impermeabile, le ciabatte e scendo a spostare la bicicletta, rischiando di ammazzarmi sulle scale bagnate, ché si scivola. E' praticamente buio e mette un po' di depressione. Non si capisce bene se il sole è già sorto o meno.
Raramente riesco ad anticipare le due sveglie feline sonore e tattili.
Un pensiero: lasciar dormire la pupa, che russa nel lettone col padre, mezza raffreddata e distrutta dalle scarpinate del giorno prima* e uscire per sbrigare alcune faccende che devo, che non avrei voglia, che preferirei rimandare, ma che devo.

(*In programma prossimo post sulle nostre gite domenicali, se ci riesco)

La maternità ha migliorato in me molti aspetti in cui ero prima assai carente.
Puntualità, rapidità di azione, organizzazione.
Chi mi conosce sorriderà di certo, pensando che non lo sono affatto nemmeno ora. Ma ora posso imputare gran parte dei miei insuccessi in questi campi alla di lei presenza, che ce la mette tutta per creare elementi di disturbo, per quanto è in suo potere.
Senza la pupa sono pronta in mezz'ora, lavata, vestita e colazionata, esco di casa con un'ora di anticipo rispetto al consueto, quando porto lei al nido, e sono di ritorno, a faccende sbrigate, all'ora in cui normalmente riesco ad uscire di casa.
Mi piace la città scintillante di pioggia, il cielo minaccioso che incombe sopra i Lungarni plumbeo, pesante, i colori più vividi dopo la lavata notturna, il sole che filtra di quando in quando creando spettacolari contrasti di luce.

E' un periodo strano. Come il cielo di questo ottobre fin troppo canonicamente autunnale mi oscuro e mi rassereno, altrettanto subitaneamente, mi abbatto per ostacoli tutto sommato ordinari, mi faccio coraggio e mi butto nell'ignoto con una discreta incoscienza, rinsavisco e muoio di strizza, crollo di stanchezza alle nove di sera, resuscito alle due di notte e non riesco a prendere sonno assediata da millanta dubbi e pensieri, ansie solo parzialmente razionali e problemi che in fondo a pensarci sono del tutto affrontabili, con la dovuta calma, mi riprometto metodo e efficienza diurni e poi mi perdo in tergiversazioni del tipo dovrei fare 'sta cosa ma siccome la sola idea di farla mi mette su un bel po' di ansia, magari prima faccio quest'altra, ritrovo a tratti la calma atarassica e mi sembra tutto perfettamente sotto controllo, mi mostro affabile, disponibile al confronto, diplomatica, fin troppo comprensiva e accomodante a tratti, esplodo di collere verso ignoti o verso noti in differita, rimugino risposte pronte non date in tempo, e quindi non pronte, ma tardive, in quanto tali inutili.
Chè non è la stessa cosa mandare un messaggino postumo dicendo, tipo: a proposito di quel che mi ha detto tre ore fa, ho pensato che la cosa più giusta sarebbe stata risponderle così:..."
Ormai è andata. Mi incazzo anche per l'immagine che proietto di me, affabile  e sprovveduta, docile alle manipolazioni, poi alzo la cresta e magari pecco un po' in presunzione e saccenza.
Non è così che vorrei, o che dovrei affrontare queste battaglie. Vorrei mostrarmi più calma, consapevole, riflessiva e cauta sì, ma non indecisa e titubante, determinata ma non in preda alla fretta e all'ansia.
Chè a me sembra proprio una battaglia questa estenuante ricerca di casa.
Una battaglia a tratti senza speranza.
A tratti mi sento così stanca, ma così stanca.
E getterei la spugna, sì. Chi me lo fa fare. Chi ce lo fa fare.
Ah, che senso di leggerezza, di libertà, al sol pensiero di non dover più combattere tutti quei duelli verbali, la diffidenza, il tastare il terreno, le mosse false, gli azzardi, le stoccate, la ricerca di un compromesso.... AH! Cazzo! L'ho detto! Ho detto quella parola! Compromesso!
Parola che da sola basta a mandarmi in fibrillazione.
Quasi quanto "mutuo", "notaio", "accatastamento", "visura catastale"... Aaaaah! Ma che è sta roba? Voglio morì!
Ricerco le mie onde Theta. Yuhù? Onde theta? Ci siete?

Hasuna una sera mi ha detto: allora, visto che tu non vuoi proprio venire in Libia potremmo vendere la macelleria e andare in qualche Paese tropicale, prenderci una casetta, aprire una piccola attività e vivere lì, senza tutti questi casini che ci sono in Italia.
L'ho guardato non capendo se stesse scherzando oppure no.
Era serio.

La verità è che a me piace vivere in questo porco Paese.
Non sono di quei topi che scappano quando la nave affonda, sono se mai di quei topi, se ve ne sono, che si rintanano in attesa che passi la tempesta, pronta a colare a picco con lei, con la nave in cui sono nata, che conosco, che amo, in cui mi sento al sicuro, a torto o a ragione, in cui ho progettato di navigare mari più limpidi, e chissà che non si riesca ad arrivare al porto sani e salvi, invece, non è mica detto che debba finire in un naufragio.
Io sono speranzosa. Ma allo stesso tempo tremo.
Oltretutto fa freddino e non trovo un pantalone che mi stia. Mi tocca andare in giro con variopinte gonne di cotone come una hippie fuori stagione.
Oh, accidenti alla panza accidenti!

Non volevo parlare qui di questa cosa della casa, ma i post su quanto è bella e simpatica la pupa e sui suoi librini stavano nauseando persino me.
Del resto dico di non essere scaramantica, ma in mancanza d'altro, uno prova tutte le strade.
Dicono si chiami sindrome del nido, e che sia colpa sempre dei soliti ormoni della gravidanza.
Voi ci avete capito qualcosa in questa smaramba?

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