martedì 10 settembre 2013

L'età scanzonata.

Arrivati, finalmente.
Lui spegne il motore, tira il freno a mano. Silenzio. Solo la radio continua a suonare vecchio rock anni '70.
Loro dietro schiantate di sonno, ognuna nel proprio seggiolino.
C'è stato un tempo in cui me ne sarei rimasta così per un tempo imprecisato.
Il relax di sapersi arrivati, la pigrizia di indugiare ancora in macchina, seduti ad ascoltare la musica, a motore spento, canticchiando o parlando d'altro o lasciando vagare la testa.
Invece ora lo sai cosa ti aspetta.
Incollarsi loro su per le scale, ansimando sotto il peso dei tre anni di lei, o dell'ovetto dannatissimo dell'altra, a seconda della ripartizione dei pesi tra i due genitori. Poi magari tornare giù per incollarsi il resto del bagaglio, le restanti due tre borsone compresa borsa frigo da 2 Kg a vuoto, circa 10 a pieno carico.


E poi, magari, una volta arrivati in cima, una volta scongiurato il pericolo di incespicare sull'ultimo gradino in pietra, o di destare passando un'intera muta di cani da guardia che iniziano ad abbaiare in stereofonia svegliando a loro volta il mondo intero, comprese le due che vi dormono addosso,metti piede in casa e a dire culo una delle due emette un flebile lamento, in crescendo, spalanca gli occhi spiritata, come nel miglior repertorio thriller cinematografico, da The Ring in poi, e rende vano ogni tuo sforzo finora elargito nell'intento disperato di ficcarle a letto in direttissima dall'abitacolo della vettura, evitandoti lunghi e sofferti addormentamenti.
Ma no: una delle due si sveglia sempre, a questo punto. Una se non entrambe.

Niente recupero serale post vacanziero a prendere il fresco in terrazza, cullandoti amenamente sulla sedia a dondolo in vimini. Niente indugi a motore spento, a molleggiare le spalle a ritmo di un pezzo di musica giovanile scritto ed eseguito a ben vedere assai prima della tua nascita, me sempre giovane, tuttavia, cosa che non si può continuare a dire di te.
Te che ancora una volta arranchi sotto il peso crescente del tuo futuro presente incarnato in due esseri di 13 e 9 Kg (inquiatante considerazione, quella che la piccola pesi già quasi quanto la grande).
Te che un tempo ti sentivi di avere il mondo in pugno solo perché non avevi scollinato ancora il quarto di secolo e tutte le strade ancora ti sembravano praticabili. Te che ora ti sembra di avere in pugno la felicità mentre abbracci il tuo futuro e te lo carichi in spalla, sperando che rimanga dormiente, almeno fino al termine della notte.
Rientri tardivi, che un tempo erano considerati tali se vedevi l'alba, ora se superi le dieci di sera e ti avvicini pericolosamente alla mezzanotte, ora dopo la quale non è detto che poi si riesca a dormire sodo, chè iniziano i risvegli continui e frequenti delle mille e una tetta a interrompere il tuo povero sonno superstite.
Rientri tardivi che sai che pagherai caro.

Ora capisci, ora, cosa significava viverli dall'altra parte.
Un tempo eri tu ad addormentarti in macchina e a venir trasportata in dormiveglia su su e sempre più su, di gradino in gradino, fino alle stanze del sonno. Oh, com'era dolce.
Ma quella era un'età in cui al futuro non ci pensavi proprio, e ti dicevano di non fare questo e quello, e che alcune cose te le avrebbero spiegate quando saresti stata più grande, e altre intuivi che non era il caso di chiederle, taciti tabù, zone d'ombra che non capivi, e in fondo di diventare grande non avevi poi tutta questa fretta, per paura di diventarlo troppo presto, e di non essere ancora pronto.
E alla fine, quando poi è successo, non lo eri davvero.

Ma hai imparato, e ancora stai imparando.
E se ci pensi non era poi così male, diventare grandi, anche se faceva sempre un po' paura, e a tratti ancora lo fa. Ma non puoi fermarti a pensarci perché ci sono due bambine da portare a letto, e ancora due o tre bagagli da scaricare.
Ma sai che va bene così, che non rinunceresti a questa illusione di felicità nemmeno se ti offrissero di tornare indietro a quell'età scanzonata in cui non avevi bambine da caricarti in spalla quando rientravi tardi la sera, e nemmeno a quell'altra in cui erano gli altri a dovertisi caricare in spalla, anche se allora avresti voluto che tutto rimanesse per sempre fermo ad allora.

(Tratto da: I flash serali del rientro).


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