lunedì 24 febbraio 2014

Quel ca@@@ di riposino pomeridiano.

Eccoci lì, ancora e ancora e ancora, come tutti i pomeriggi.
L'ora del sonnellino della piccola, che non è un'ora precisa per la verità, ma che si colloca approssimativamente nel primo pomeriggio dopo pranzo.
A far dormire la grande ci ho ormai rinunciato.
Lei si è emancipata gradualmente da questa dipendenza, apparentemente tanto comoda per una madre, agli effetti distruttiva.

I nostri menage a trois prevedevano una prima fase in cui la piccola veniva prima sedata a suon di tetta (non è che la tramortivo dandogliela sulla testa, è lei che quotidianamente tramortisce me prosciugando ogni mia linfa vitale avendo mantenuto l'abitudine della poppata della buonanotte, conciliatrice di sonno e risucchiatrice di energie materne), e una seconda di "placcaggio stretto" o di corpo a corpo con la grande, in cui la mamma stringeva la figlia treenne in un abbraccio a tenaglia, di fatto impegnando con lei una lotta all'ultimo sangue, una morsa da boa constrictor che impegnava gambe e braccia e che alla fine non lasciava altro scampo alla vittima designata se non la resa, accompagnandola in un dolcissimo sonno coatto.



La procedura era lunga e perigliosa, e a volte, tra interferenza feline e ricadute, richiedeva circa un'ora totale.
Quando finalmente riuscivo a mettere a letto anche l'altra, a divincolarmi dall'abbraccio fatale e a uscire dalla camera del sonno congiunto levitando nell'aria come Keanu Reeves in Matrix, il sonnellino della piccola si poteva dire bell'e concluso.
Quindi ti puppi la piccola fatina da intrattenere a solo in casa fino al risveglio dell'altra, nel tardo pomeriggio invernale (tentare di svegliarla prima è praticamente un harakiri) ch'è già buio abbastanza da non poter più uscire, isterismi di Mimi che invece "Voglio uscire mamma! Voglio andare al giardino!", e intanto la piccola è già pronta per la cena, e per il susseguente sonno serale.
La grande invece, lei, resiste fino a tarda ora, tenace, forte delle tre ore buone dormite nel pomeriggio, e tu collassi assai prima di lei, al primo librino che ti accingi a leggerle, lei vigile ti incalza, vuole il secondo e il terzo, si arrabbia perché biascichi parole senza senso, interpoli assurdità, inventi finali alternativi, contamini personaggi e generi differenti, ti corregge incipit di pagina, e finanche tonalità improprie. Litigate sull'eventualità di un quarto librino, cerchi di ragionare, giochi a carte scoperte, ti dichiari stanca, domandi una tregua, poi ti incazzi, minacci, ne esci sconfitta comunque perché scateni solo nuove crisi isteriche, guardi l'orologio affranta sapendo che intorno alla mezzanotte, la piccola si risveglierà, abitudine che non ha mai perso, e inizierà la seconda faticosa fase della tuo nottata, quella comunemente detta "dei chupitos" di rinforzo, che consta di innumerevoli frammenti di sonno intervallati da piccole brevi o meno brevi poppate. Tu ormai sei in grado di sfruttare ogni frammento di minuto per dormire, e qualsiasi posizione ormai è buona, anche se ti svegli col braccio anchilosato e insensibile, freddo e inerte come un prosciutto appeso nella cella frigo di un salumiere.

Tutto questo era ciò che racchiudiamo nella definizione di "sonno asincrono delle pupe", e ci ho apposto la parola fine quando ho smesso di ostinarmi a far dormire anche Mimi nel pomeriggio.
Ora lei arriva a sera un tantinello isterica sì (sai la novità), ma praticamente a un passo dal catatonismo.
Una sera che l'avevo lasciata a cenare mentre mettevo l'altra a letto, sguscio fuori dalla camera da letto e trovo lei che dorme sulla sedia con la faccia nel piatto della minestra. Un'altra volta la rinvengo composta sul tappeto supina con le braccia sul petto. Evidentemente giocava a fare Rosaspina (La Bella addormentata per capirci) e nel'attesa del bacio principesco c'è rimasta secca per davvero.
Quindi un problema in meno.
Il pomeriggio continuo a far dormire la piccola, un oretta, con lei che intanto mi fa un ostruzionismo spietato.

- Mimi, metto Rania a letto ch'é stanca, ok?
- OK, mamma.
- Tu stai qui a giocare, o vuoi venire di là con noi?
- Non voglio venire.
- Sei sicura? Non è che poi entri mentre la sto addormentando e fai casino?
- Sì mamma, non entro.
- Vuoi che ti metto un film? Ti metto La bella addormentata?
- No, mamma, aspetto te, perché c'è Malefica che mi fa paura.
- Peter Pan?
- Eh, no, perché l'ho già visto tante volte Peter Pan.
- Azur e Asmar?
- No, perché ci sono quelli cattivi che vogliono uccidere Azur.
- Va bene, allora aspettami qui, che arrivo subito, eh? Mi raccomando: NON  entrare.
- Va bene mamma, va bene.

Io non lo so perché il meccanismo è così reiterato e identico a se stesso. Ogni santo giorno.
Non so come sia possibile non riuscire a interrompere il circolo vizioso dei nostri gesti quotidiani.

Io sul lettone, sdraiata di fianco, con la piccola attaccata al capezzolo, che mi tira di gran manate sulla faccia, mi scarnifica il petto con artigli affilati e attenta alla mia vita accanendosi sui miei nei in rilievo, la cui esistenza evidentemente le procura un gran fastidio.
Ecco, ci siamo quasi, emette mugolii sempre più sommessi, chiude gli occhi, smette di massacrare la mamma con la mano libera (l'altra è bloccata sotto la mia tetta, vi spiego la dinamica?). Ancora un poco e provo a staccarla da me, poi scivolerò via alla Diabolic, non un soffio, non un fruscio, e...
Sento la porta che si apre, la maniglia che scatta, una lama di luce inondare la stanza in penombra.
Qualcuno entra in stanza. Qualcuno si arrampica sul letto, rumore di imbottitura di piume schiacciate, sobbalzi del materasso. Qualcuno avanza con garbo opinabile ginocchioni sul letto, mi si avvicina di spalle, mi chiama sussurrando "Eccomi, mamma, volevo stare con te".
La piccola apre gli occhi, dice "Eh!" (E che cazzo)
"Mimi, se vuoi stare qui stai zitta e buona."
"Ok, mamma"

Eccoci lì, dunque, tutte e tre, sempre la stessa storia.
Eccoci lì sul letto: la piccola che succhia, io coi nervi a un passo dallo sclero, Mimi accanto a me che le dò le spalle, giocherella con i miei capelli, mi dà spintine costringendomi ad opporle resistenza.
La piccola ha un sussulto. Mi irrigidisco, serro i denti. Smadonno mentalmente.
Passano i minuti, la piccola richiude gli occhi e  riprende a succhiare convinta.
Silenzio. Solo la colonna sonora di sottofondo dello stereo in modalità repeat, che all'infinito ci rimanda la musica del sonno, sempre la stessa da quasi un anno a questa parte, talmente ascoltata che a momenti ti nausea.
SBAM. Una pedata sul piumino. STONF. Pedate e pedate. SQUOSH. Un corpo che rotola tra le piume.
- Shhh!
Bloccata tra l'urgenza di imporle un freno vocale e l'impossibilità di alzare il tono della voce, pena l'affanculo di tutti i miei sforzi profusi finora, le allungo una manata a casaccio su qualche parte del corpo non ben identificata.
Smette.
Per un po'. Poi la sento canticchiare sottovoce, in un sussurro.
Le "S" e le "SC" che fischiano nel quasi silenzio della traccia 4 del cd del sonno, infinita traccia 4, volume 3, la formula perfetta dell'auspicata nanna pomeridiana.
- Mimi, mo' m'arrabbio eh! Falla finita o vedi che succede.
- E va bene mamma! E scusami!
Piagnucolando affonda  il viso tra i cuscini. Singhiozza un po'.
- Shhhhhh!
Lo dico piano, stavolta. Dolce, per quanto sia possibile conferire un'inflessione dolce al suono sibilante "SH".
In fondo, mi dico. In fondo è anche lei piccola. Uno tende sempre a considerarla grande e invece. Invece ha tre anni, porca zozza! Tre anni. Non puoi mica pretendere che si comporti da adulta. E' normale che pretenda attenzioni. Cosa credi, che sia facile per lei accettare che tu rivolga tutte le tue attenzioni alla sorella. E non far questo e non far quello. Lo sa che ti arrabbi, ma a lei basta una qualsiasi forma di attenzione, anche se si tratta di rimproveri, di manate, di minacce. Lo vedi che tua figlia ti sta chiedendo disperatamente di dedicarle un briciolo di attenzione? Ti costa tanto avere un poco di pazienza e comprendere che alla fine ha solo tre anni, cribbio! E sei tu l'adulta, non lei...

Ti stacchi dalla  piccola, che finalmente dorme. Ti giri dalla sua parte, allunghi un bracio a cingerle il corpo.
Lei si passa una mano sulla faccia. Si asciuga il pianto di abbandono dagli occhi. E dal naso.
Senti una manina che ti carezza i capelli e capisci che quel gesto, quella manina tra i tuoi capelli, significa: "Mamma, ti perdono. Avevo solo bisogno di sapere che non ti sei scordata di me". E sai anche in quell'istante, che quella manina tra i tuoi capelli la ricorderai per tutta la vita.

Solo tra qualche minuto, invece, quando finalmente uscirete dalla camera dove ora dorme la tua secondogenita, scoprirai che tua figlia ti ha spalmato una bella manata di moccio sui capelli.

I figli so' piezz' e core.
Ma qualche volta sono anche piezz'e mmerd'!

Tipica formazione da sonnellino pomeridiano con felino domestico ornalmentale.

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