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mercoledì 14 settembre 2011

Le mie città invisibili: Sovana.

Le città e la memoria.

 

Al di là di sei fiumi e tre catene di montagne sorge Zora, città che chi l'ha vista una volta non può piú dimenticare. Ma non perché essa lasci come altre città memorabili un'immagine fuor del comune nei ricordi.


Zora ha la proprietà di restare nella memoria punto per punto, nella successione delle vie, e delle case lungo le vie, e delle porte e delle finestre nelle case, pur non mostrando in esse bellezze o rarità particolari.



Il suo segreto è il modo in cui la vista scorre su figure che si succedono come in una partitura musicale nella quale non si può cambiare o spostare una sola nota.

 




L'uomo che sa a memoria com'è fatta Zora, la notte quando non può dormire immagina di camminare per le sue vie e ricorda l'ordine in cui si succedono l'orologio di rame, la tenda a strisce del barbiere, lo zampillo dai nove schizzi, la torre di vetro dell'astronomo, la edicola del venditore di cocomeri, la statua dell'eremita e del leone, il bagno turco, il caffè all'angolo, la traversa che va al porto.






Questa città che non si cancella dalla mente e come un'armatura o reticolo nelle cui caselle ognuno può disporre le cose che vuole ricordare: nomi di uomini illustri, virtù, numeri, classificazioni vegetali e minerali, date di battaglie, costellazioni, parti del discorso. Tra ogni nozione e ogni punto dell'itinerario potrà stabilire un nesso d'affinità o di contrasto che serva da richiamo istantaneo alla memoria. Cosicché gli uomini piú sapienti del mondo sono quelli che sanno a mente Zora.




Ma inutilmente mi sono messo in viaggio per visitare la città: obbligata a restare immobile e uguale a se stessa per essere meglio ricordata, Zora languì, si disfece e scomparve. 



 
La Terra l'ha dimenticata.


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mercoledì 7 settembre 2011

Le mie città invisibili: Pitigliano.

Le città sottili.


Ora dirò della città di Zenobia che ha questo di mirabile: benché posta su terreno asciutto essa sorge su altissime palafitte,

 



e le case sono di bambù e di zinco, con molti ballatoi e balconi, poste a diversa altezza, su trampoli che si scavalcano l'un l'altro,





collegate da scale a pioli e marciapiedi pensili, sormontate da belvederi coperti da tettoie a cono, barili di serbatoi d'acqua, girandole marcavento, e ne sporgono carrucole, lenze e gru.







Quale bisogno o comandamento o desiderio abbia spinto i fondatori di Zenobia a dare questa forma alla loro città, non si ricorda,

 


e perciò non si può dire se esso sia stato soddisfatto dalla città quale noi oggi la vediamo,


 

cresciuta forse per sovrapposizioni successive dal primo e ormai indecifrabile disegno.
 



 Ma quel che è certo è che chi abita Zenobia e gli si chiede di descrivere come lui vedrebbe la vita felice, è sempre una città come Zenobia che egli immagina, con le sue palafitte e le sue scale sospese, una Zenobia forse tutta diversa, sventolante di stendardi e di nastri, ma ricavata sempre combinando elementi di quel primo modello.






Detto questo, è inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici.



Non è in queste due specie che ha senso dividere le città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri


 

 e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati.










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