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giovedì 18 agosto 2011

Canzoni per bambini: La barca non va più.


Eccoci qui, con un nuovo contributo del giovedì: le canzoni di Suster e della pupa!
Ora voi mi prenderete per una fan sfegatata di Orietta Berti (vi ricordo il precedente appuntamento con "La balena"), e io inutilmente cercherò di convincervi che non è così.
Quando eravamo piccoli, io e i miei fratelli (vedi se proprio ti interessa storia familiare di Suster qui) avevamo un piccolo mangiadischi, mi pare, arancione... o forse era rosso? Boh. Comunque, assieme al piccolo mangiadischi avevamo anche una discreta collezione di 45 giri di greatests-hits quali questa chicca, che a ben vedere era una delle mie preferite, anche se ammetto che solo ora mi è un po' più chiaro il contenuto profondo e profondamente impegnato del brano.
Che fa così:

La barca non va più - Festival di Sanremo 1981
(di Bruno Lauzi - Pippo Caruso)
Orietta Berti

C'era una volta un enorme veliero
pieno di vele di tutti i colori,
anche se a bordo l'umore era nero
era allegrissimo visto da fuori.

Il capitano era un uomo panciuto
che non lasciava guidare nessuno
e se qualcuno gli offriva il suo aiuto
lui lo spediva a trovare Nettuno.

E i marinai
eran lì a protestare
tutti quanti un po' stufi di lui,
e cosa accadde
che venne un tifone
che il timone alla nave spezzo,
che dalla coffa qualcuno gridò,
e dalla coffa che cosa gridò.

rit. Porca miseria qui la barca non va più,
la cosa è seria, la tua barca non va più,
oh capitano, se non fai qualcosa tu
andiamo giù!
Porca miseria qui la barca non va più,
la cosa è seria, la tua barca non va più,
oh capitano, se non fai qualcosa tu
andiamo giù!
Ci vorrebbero i delfini per portarci un po' più su...

Ma il capitano era proprio sparito,
s'era nascosto in cambusa e in un mese
s'era mangiato dal forte appetito
quel che sarebbe bastato a un paese.
"Tutto un paese?!"
Ma cosa hai capito!
Questo è un modo di dire, lo sai.
"Non ci credo!"
Stai fermo col dito
e se zitto ascoltare saprai
com'è andata a finire vedrai.

A questo punto anche i suoi marinai
che già da molto non eran contenti
o incominciarono a fare dei guai
o a non far niente, aspettavano i venti.
Era un disastro
"Vuoi dire un casino!"
Non devi dire parole così!
"Ti chiedo scusa se sono un bambino,
ma siete voi che parlate così!"
Poi cosa accadde?
Che si naufragò
e dalla spiaggia qualcuno gridò:

"Porca miseria qui la barca non va più,
oh capitano, la tua barca non va più,
e questo mare dove ci hai portato tu
non è più blu.
Porca miseria qui la barca non va più,
oh capitano, la tua barca non va più,
e questo mare dove ci hai portato tu
non è più blu."

In mancanza dei delfini
fa' un bel tuffo, scendi giù,
vanno bene anche i bambini,
vieni a spingere anche tu.
Dai!

Porca miseria qui la barca non va più,
la cosa è seria, la tua barca non va più,
oh capitano, se non fai qualcosa tu
andiamo giù!
Porca miseria qui la barca non va più,
la cosa è seria, la tua barca non va più,
oh capitano, se non fai qualcosa tu
andiamo giù!

Insomma, chiaro no?
Beh, che la nave sia metafora dello Stato non è certo una novità, che è un'immagine universalmente riconosciuta sin dai tempi di Aristotele, e così pure la tempesta (tifone) che potrebbe essere una guerra...
E comunque questo veliero aveva vele di tutti i colori, come mille bandiere di mille fazioni diverse e avverse, che non si mettono mai d'accordo, ma a bordo l'umore poi era semplicemente nero...

Poi: Il capitano era un uomo panciuto. Chi potrebbe mai essere? Mah.
E i marinai? Eran lì a protestare, ma nessuno però fa realmente qualcosa di pratico per cambiare la situazione, che in fondo va bene così, finchè la barca va... (scusate: mi è scappata). Una cosa molto italiana questa: vero, centrosinistra?
Poi però si accorgono che la barca non va più, e allora tutti a gridare: "Oh tu che ci conduci, se non fai qualcosa tu, vedi che andiamo giù!" Insomma: che qualcuno faccia qualcosa! E di chi è la colpa? Chi è che ci conduce? Vedi che non ci vai più mica tanto bene: "E questo mare dove ci hai portato tu non è più blu". Non che prima non lo sapessimo, che era una chiavica, ma tu eri così convinto quando ci dicevi che ci avresti condotto verso un avvenire azzurro e luminoso, che noi ti abbiam creduto sulla parola, anche se poi i nostri occhi ci dicevano tutt'altro, ma perché fidarci dei nostri sensi fallaci, quando abbiamo una guida illuminata che vede più lungi di quanto al nostro sguardo corto non sia concesso? E invece ecco, che ora che le cose non buttano più bene, mi pare proprio di averci visto giusto... anzi, sapete cosa vi dico? Io in realtà l'ho sempre saputo che andava a finire così, e ve l'avevo pure detto. Poi non si dica mai che io ero d'accordo solo perché, per amor di pace non mi sono opposto mai, ed eravate tutti così entusiasti e convinti che non mi pareva il caso di fare il guastafeste, sì, l'uccello del malaugurio, innalzare gogne, sempre con questi disfattismi... uff!
Insomma, capito, no?
C'è persino chi si appella ancora ai delfini... mentre il capitano era proprio sparito, troppo intento a cautelarsi per la propria incolumità, si premurava di fare scorta per i giorni di magra che si prospettavano, tanto a questo punto si salvi chi può, che per tutti non ce n'è, anche se poi si dice: "Quel che sarebbe bastato a un Paese" lo sanno tutti che è un modo di dire, che ad accontentar tutti non rimane niente per nessuno.
Insomma qual'è la morale in tutto questo, se una morale c'è?

In mancanza dei delfini, che poi cosa caspita ci sia da aspettarsi da loro, suvvia, piuttosto fa' un bel tuffo, scendi giù, scendi giù, manifesta pure tu. Vanno bene anche i bambini, che se no cosa sto a cantare a fare della favoletta del capitano arrogante e dei marinai ignavi? Sono loro il futuro, come cantavano Michael Jackson e Lionel Richie, ed è bene che lo sappiano, che tocca fare da soli qui, talvolta, che imparino a partecipare, e non a lasciarsi condurre dove vogliono altri capitani panciuti o no, ma soprattutto: vieni a spingere anche tu!

Perdonate la parafrasi: mi sono lasciata prendere la mano. Ma chissà poi se il messaggio passa, quando uno canticchia e ascolta a oltranza sempre lo stesso piccolo LP in vinile, anche se si chiede per tutto il tempo: ma che cavolo c'entrano i delfini ora? E come fanno i bambini a spingere la nave che è pesante. Perché non riparano il timone invece? Poi a un certo punto sei grande e capisci, allora ti esalti e la canti a tua figlia, ché uno spera sempre nelle nuove generazioni. Sempre meglio che aspettare i delfini comunque...

Vi è piaciuta la canzone? La conoscevate?
(E poi, guarda un po': non sapevo che fosse una canzone portata a un Sanremo!)

giovedì 21 luglio 2011

Canzoni per bambini: La balena.


Allora, siccome con questa canzone ho frantumato los cojones a tutti coloro che hanno avuto la sfortuna di frequentare me e mia figlia negli ultimi giorni, ho pensato bene di condividere con voialtri del web questo piacevole intermezzo video-musicale.
Trattasi di canzone riesumata da me durante il periodo di soggiorno pupesco presso casa della nonna: andare a scovare le musicassette Bimbo Mix Parade è affini ha generato mostri che nemmeno il sonno della ragione sarebbe capace di evocare.
Il risultato è stato una pupa completamente in fissa, che punta gli indici al cielo ballonzolando sul sedere ogni volta che si imbatte in una qualsivoglia riproduzione grafico-plastica di un esemplare di cetaceo, anche vagamente abbozzato o caricaturale: è il suo segnale in codice per attaccare con la colonna sonora.
L'ingegno multiforme della mamma è in seguito riuscito a scovare on line questo bellissimo video, e allora è stata davvero la fine. Il ballo del qua qua è stato definitavemnete scalzato dalla pole position, e ora la sola vista del pc, per lei, significa una sola cosa: "La balena".
Ecco dunque per voi il testo della canzone.
La balena
(sigla della trasmissione "Domenica In", interprete: Orietta Berti)

Com’è grande, com’è grossa la balena!
Porta undici trichechi sulla schiena,
ha un sorriso di sei metri, la balena
ed una cosa buffa in più:
la doccia che dal basso sale su!

Verso il polo dove vive la balena
per sei mesi il sole spunta a malapena
non esiste un trampolino, un’altalena
e bene o male esiste chi
non è felice di restare lì!
Un piccolo esquimese di stare in un igloo
e avere freddo non ne poteva più
con il pollice per aria
un ghiacciaio cavalcò
e un passaggio a chi passava domandò.

E la balena si fermò
ed a salire lo invitò
e quando al largo si trovò
“Dove ti porto?” domandò
“Voglio andare non so dove,
dove trovo non so che,
ma bisogno di pellicce non ce n’è”.

E la balena lo guardò
e senza dir ne’ sì ne’ no
dal polo nord si allontanò
e verso il caldo navigò.

La balena è un transatlantico
che non si ferma mai
senza elica o timone e marinai.
Col suo piccolo esquimese sulla schiena
è partita in un baleno la balena
è arrivata in Portogallo per la cena
e avanti tutta, a testa in giù
in rotta per il caldo, per il sud.

E se è vero, com’è vero certamente,
che c’è stato qualche caso precedente,
stare dentro è molto meno divertente
uno non vede mai dov’è
e allora dimmi tu che gusto c’è.

Ma a dorso di balena
vedi dove vai,
si fanno incontri che non speravi mai.
Per gabbiani, pellicani, cormorani e per le gru
è una grande portaerei tutta blu.

E la balena va e va
fin dove freddo non ne fa
guarda di qua, guarda di là
è un mare di curiosità.
Dallo Zorro delle Azzorre
per un pelo si salvò
e Canarie e canarini salutò.
E la balena continuò
e sempre avanti navigò
così alla fine si trovò
un’altra volta al polo nord.

Ma io so che non a caso si trovarono lassù
perché casa dolce casa è anche un igloo.
Applaudito dalle foche
ride il piccolo e fa ciao
abbronzato sembra un eskimo al cacao.

Sbuffa e parte la balena dove vada non si sa
forse è stanca
e a dormire se ne va.
Insomma, vi chiederete, questa che cavolo vuole, perché pubblica sul blog il testo di una vecchia sigla televisiva corredata da video con cartone animato?
No, è che... pensavo che... credevo... potesse... tornare utile a qualcuno ecco.
A qualche mamma, magari, una categoria a caso.
Non so: magari sarete di quelle che "televisione cartoni animati e computer mai e poi mai prima dell'età scolare!"
Siccome io non ci vedo nulla di male, ogni tanto le faccio vedere qualche video su internet, e pure qualche cartone animato per piccolissimi su Al Jazeera, così prende dimestichezza con l'arabo.
Poi, prese di posizione a parte, il video è davvero grazioso, e a lei piace da matti.
Almeno finché non si stanca, che anche i bambini si stancano alla fine.
La canzone poi è deliziosa, e, tanto per dire una banalità, canzoni così non ne fanno più, e se lo dico io, che dovendola cantare dalle dieci alle trenta volte a dì avrei tutte le buone ragioni per detestarla...
Quindi ecco il testo, per le più coraggiose che vogliono cimentarsi nella rocambolesca impresa di impararla, malgrado sia decisamente lunghetta... io ce l'ho fatta! (potere della reiterazione a oltranza).

E ora vi invito, chi volesse, a condividere anche voi una canzone per l'infanzia, con o senza video, va bene lo stesso!
Su che ho bisogno di rinnovare il mio repertorio canoro!

Ah, dimenticavo: il video del ballo del qua qua è qui:


domenica 10 luglio 2011

Se avessi i soldi!


Giorni di stanchezze individuali e specifiche, settimane di insofferenze reciproche e non-comunicazione, infine mesi di semi-indifferenza e vite parallele o solo momentaneamente tangenziali, istanti troppo brevi per essere significativi, come due spettri confinati in due dimensioni vicine eppure non interferenti, sprofondati ognuno nelle sue occupazioni anche nei residui momenti di relax, ovvero, la sera, dopo cena.
Lui con la testa nella tv, e il cuore sempre lontano, tra le bombe e le notizie che non arrivano o arrivano troppo tardi; io concentrata sul quotidiano, sugli irrilevanti, privati eventi del mio piccolo universo, alieno dalla realtà geopolitica, forse un rifiuto, una volontà di affermare che in fondo anche questa mia è vita, che non si può vivere l'assenza più della presenza, la lontananza più della vicinanza. Che ci siamo anche noi due, io e lei, e siamo qui, e aspettiamo.
Stanca, più che insensibile, isolata dall'incomprensione altrui, dal sentirmi ripetere che "Eh, però anche tu devi capire..." da chi probabilmente non ha capito nemmeno la metà; e io che la vivo ogni giorno attraverso lui e sulla mia pelle, di certo lo capisco meglio di chiunque altro che una guerra che si trascina ormai da mesi interminabili riesce a sfibrare e a logorare persino chi non ci si trova dentro fisicamente, ché la sua testa si è trasferita lì in modo permanente, con sporadici ritorni sulla terra, e questo a lungo andare ci allontana, ci allontana... e che a volte mi sento così stanca di sentirmela addosso che quasi quasi me ne andrei, come quando girai da sola l'Andalucìa, solo io e la mia tracolla, "Una ragazza? Da sola? Ma è rischioso!" "Tua nonna è rischiosa!" ho risposto alla mia povera, mentalmente limitata collega. Che mi sento imprigionata e senza via di fuga, e avrei proprio voglia e bisogno di vedere orizzonti illimitati avanti a me. Ma ora non potrei, no. C'è lei, che ha bisogno di me, e anche lui. E' questa è una delle poche certezze che io abbia acquisito finora. Quella di essere necessaria.
Arroccata sulle mie posizioni sbagliate, a tratti più morbida, a tratti più scostante, rassegnata al mio ruolo di massaia, ritrovo in me soffocati livori e attese di riscatto e affermazione personale, quando avrò sistemato qualche faccenda, aspetta un po' e vedrai, e non so neanche più con chi ce l'ho, se con lui o con me stessa. Più probabile la seconda. Ma intanto è più comodo avere qualcuno a tiro di schioppo.

Finché poi arrivano giorni che ti lasci andare di nuovo alla leggerezza, a lasciarti prendere di sorpresa dal lato assurdamente comico di certe situazioni, e ti scopri a ridere di te, di noi, di una vita imperfetta, ma in fondo la nostra, che se ti lasci andare più spesso, senza rimuginare troppo su gesti e frasi stizzite, sicuramente vivresti meglio, e chi ce lo fa fare di arroccarci così sulle nostre posizioni. tanto vale lasciarsi vivere e prenderla come viene.

Lo vedo armeggiare scocciatissimo con il contenitore delle posate, incastrato sul ripiano del lavello tra una piramide di piatti lasciati a sgocciolare in verticale e il residuo bellico dei nostri bicchieri scampati al rovinoso crollo del ripiano pensile di mesi e mesi fa, tutti sbreccati e incrinati, chi più chi meno, artisticamente compositi, pezzi unici di set ormai non più tali. Ricomprarli no, non ci è ancora venuto in mente, anche se abbiamo ricevuto qualche gentile donazione da amici caritatevoli, ad infoltire la schiera  di pezzi scompagnati delle più varie forme e dimensioni.
- Borca troia, cazzo!
- Ottimo, Hasuna: continua così e tua figlia un bel giorno si sveglierà e ti dirà: "Vaffanculo babbo!" al posto di buongiorno.
- Dai non rombere pure te: dove cazzo è finita la forchetta sottile?

Spiegazione di dovere: Hasuna, come tutti noi, ha alcune fissazioni tutte sue riguardo alle stoviglie. La sua forchetta personale è l'unica ad avere i denti stretti, come piace a lui, tutte le altre potrebbero tranquillamente essere usate come cucchiai: hanno denti larghi come paletti di uno steccato. Lui le odia; piuttosto che usarle si riduce a mangiare qualsiasi cosa col suo cucchiaino dal lungo manico.
Naturalmente la forchetta in questione è quella che non si trova mai, che finisce sempre in frigo dentro a una zuppiera di pasta fredda, o cade dietro il lavello, tra il carrello dei canovacci e la spazzatura, o viene prescelta dalla sorte per essere utilizzata come antenna di fortuna della tv o come utensile atto ad aprire un contenitore incastrato e poi rimane abbandonata in giro per casa.

- Forchette di merda! Te lo giuro: quando sarò ricco le butto tutte e le ricompro come dico io! Non vedo l'ora!

Non so se è stato il non-sense dell'affermazione, o la certezza dichiarata circa l'eventualità di essere un giorno "ricco" (eventualità del resto che non costituisce per il beduino oggetto di aspirazione alcuna, tenendo lui il denaro e il benessere in generale in scarsissima considerazione), o il paradossale pensiero che per acquistare un set di posate nuove occorra attendere l'improbabile svolta economica capace di proiettarti in un futuro laminato d'oro, fatto sta che questo è stato il momento dello sciogliersi di tutta la tensione accumulata in risa immotivate e liberatorie.
Perché tutto sommato basta poco per sentirsi ricchi, se tutto ciò che desideriamo è avere sempre a portata di mano la forchetta giusta, quella che corrisponde proprio alla tua idea di forchetta.

Fatto sta che il beduino non ha aspettato di diventare ricco. Una sera lo vedo rincasare con un'aria beata e soddisfatta, proclamando con entusiastica enfasi:
- Indovina cosa ti ho portato?
Come se si trattasse di una cosa che io attendevo da tempo.
E vi assicuro che l'ultima cosa a cui avrei pensato era che da quel sacchetto di plastica tirasse fuori sei, e dico sei, splendide, lucide forchette a denti strettissimi!
Mi è venuto ancora da ridere, ma mantenendomi su un tono semi-serio gli ho chiesto:
- Allora queste altre le buttiamo, Hasuna?
Lui borbotta, remissivo:
- No, lasciale: possono sembre servire se abbiamo osbiti a cena...

Mi viene spontaneo a questo punto chiedermi: qual'è la prima cosa che comprerei, se dovessi a un tratto diventare ricca? Forse un cuscino nuovo; il mio è piatto piatto e sembra quasi non ci sia, e ogni volta che gli cambio la federa inorridisco a vedere gli aloni giallo-marroncini espandersi sulla sua trama come fuochi d'artificio in cielo.
E' molto rassicurante pensare che non servirà aspettare che la ricchezza piova su di me per prendermi le mie rivincite dalla vita, e che in fondo è possibile fare a meno anche di ciò che rimane a portata economica del nostro sguarnito portafoglio, che se un giorno ci venisse tolto anche quel poco che abbiamo, non sarebbe certo la fine del mondo.

lunedì 13 giugno 2011

30 anni fa...


Un angolo di cielo può essere rotondo?

Questa frase leggo sulla confezione dei biscotti della colazione mentre, con mente vaga, mi appresto a sorseggiare il mio caffè mattutino, e immediatamente i miei impulsi cerebrali instaurano un collegamento neuronale con questa canzone.

Una canzone che ad ascoltarla bene ti stringe il cuore.
Ho provato una volta a canticchiarla alla pupa, ma arrivata a un certo punto mi moriva la voce in gola. Questo retaggio mi ha lasciato la tempesta ormonale della gravidanza: che io, notoriamente facile alla commozione quanto un ciocco di legno massello, ora presento una curiosa empatia patologica per certi brani musicali.

Volevo ricordarlo, oggi, Alfredino, il bimbo nel pozzo, oggi che son passati 30 anni dalla sua morte in quel buco profondissimo, da cui nessuno è riuscito più ad estrarlo.
Un vicenda che, chissà come, è riuscita a segnare profondamente tutti gli animi, a scuotere in profondità la coscienza nazionale.
E non perché sia facile fare leva sulla naturale inclinazione alla commozione che può suscitare in noi la tragica storia di un bimbo di appena sei anni, destinato a finire in modo tanto assurdo, quanto per la modalità in cui all'epoca i media si occuparono della vicenda. Con quanta partecipazione, oh con quanta dedizione!
Curioso il fatto che proprio in quei giorni il nostro Paese si trovasse impelagato in uno dei suoi più clamorosi scandali nazionali. Curioso che l'agonia di questo bimbo venisse trasmessa in diretta a reti unificate, non lasciando spazio ad altre notizie. Dopo tutto era estate, e in estate si sa che i telegiornali annaspano per trovare scoop degni di interesse. Curioso oppure vergognoso?
Chissà. Credo che la storia di Alfredino sia satura di polemiche, ché non è il caso che ne riapra io, oggi, a distanza di trent'anni da quel tragico evento.
Ma non posso che constatare quanto poco sia cambiata, in trent'anni, la consuetudine di fare delle giovani vittime del fato crudele, o dell'insensata ferocia umana, anche le vittime sacrificali di un audience che si nutre vorace del sangue delle giovani vite spezzate, di un tipo di giornalismo che ci indugia su, ricamando e scavando nella melma dell'insondabile depravazione umana, assecondando la morbosa curiosità di un pubblico avido di scenari macabri, pur ufficialmente condannandolo.

Penso anche a quella vicenda come a un emblema dei nostri limiti.
Limiti che non crediamo più di avere, agevolati come siamo in tutte le faccende ordinarie della nostra vita quotidiana dai progressi continui e inarrestabile di una tecnologia al servizio del nostro comfort (o solo del nostro potere d'acquisto?).
Eppure in tre giorni, nessuno riuscì a tirare fuori Alfredino vivo dal fondo di quel pozzo.

Mi sconvolse la storia, quando la seppi, all'età di sei anni, anche io come lui, sei anni dopo.
Ero in macchina con mio padre.
- Ma quanto è profondo un pozzo?
Gli chiesi, perché continuavo a pensare al suo divieto, imposto a me e a mio fratello, di giocare sulle assi di legno nel pozzo del "castello", l'edificio storico che ospitava gli uffici e i magazzini della sua cooperativa.
- Ma che, se ci cadi dentro muori?
Chiedevo.
- E' profondo. Il problema non è tanto se muori cadendo, quanto riuscire a tirarti fuori dopo.
Sollevata da quella risposta, ricordo che insistetti. Non mi davo per vinta che una squadra ben attrezzata di uomini dotati di gru e chissà che altri macchinari non potessero eventualmente salvarmi dal fondo di un pozzo.
Fu allora che lui menzionò, e per la prima volta in vita mia conobbi, la storia di Alfredo.
Ne rimasi molto impressionata.
Perché fino ad allora avevo creduto che "i grandi" sarebbero sempre stati in grado di "tirarmi fuori" dalle situazioni difficili o pericolose.

Oggi voglio ricordare Alfredino Rampi con questa canzone, e pensare anche a quanti bambini sono costretti sul fondo di pozzi da cui nessuno li tirerà mai fuori, anche se forse sarebbe possibile farlo, se il nostro mondo funzionasse secondo parametri un po' più logici, e umani.
Sono pozzi fatti di miseria, violenza, fame, malattia, indifferenza, guerra, sfruttamento, solitudine.
Ma come si fa ad aiutarli tutti! Non abbiamo gli strumenti adatti!
Siamo proprio sicuri?
Possibile che ancora continuiamo ad assistere impotenti a milioni di agonie in diretta?
E chissà quali pensieri si aggirano nella testa di tutti quei bambini, di fronte ad una sofferenza di cui certo non sono in grado di spiegarsi la ragione, se una ragione v'è.
Scusatemi, se le mie parole suonano retoriche.

sabato 11 giugno 2011

Innesti.

Il tempo non è stato proprio propizio, questa settimana, per il mio intento di innestare.
Comunque ci abbiamo provato lo stesso.
Fermamente intenzionata a pubblicare questo post ieri sera, "Appena metto a letto la pupa", sono collassata ignominiosamente sul letto dopo un lungo frullamento di bambina sulle ginocchia, che mi è costato un fitto mal di schiena alla zona lombare. "Mi stendo due minuti". Dopo di che è l'oblio.
Quindi, mi scuso per il ritardo, e per il proposito tradito.
Ieri Suster scriveva:
"Ecco i risultati del nostro lavoro (ora lo so che altre blogger artisticamente più dotate presenteranno degli autentici capolavori, ma Suster è Suster, e non si tira indietro)".
Oggi può tranquillamente affermare che, a confronto, ciò che ha visto pubblicato da altre blogger "artisticamente più dotate", farebbe desistere dalla pubblicazione di queste mie orripilanti foto la più determinata delle Suster, soprattutto per il fatto che uno dei soggetti da me trattati è stato eseguito con infinitamente maggiore maestria da una blogger decisamente più dotata di me artisticamente.

Ma non importa: butta fuori, cerca di stasare la casella delle bozze, pubblica tutto e non pensarci più.

Dunque, dicevo, questo è il risultato di tanto tribolare:

1-
Messer Gufo
Sol soletto vola il pipistrello, e la luna fa capolin.
Dentro al bosco, sopra un ramoscello, Messer Gufo canta con ardor:
POOO PO PO PO PO PO PO PO PO POOO
PO PO PO PO PO POOO PO PO PO PO POOO.

2-
Il bel picchio

Solamente qualche metro sotto un bel picchio se lo sta a sentir,
Martellando contro un ramo rotto, batte il tempo facendo così:
TUUUUM TUM TUM TUM TUM TUM TUM TUM TUM TUM
TUM  TUM TUM TUM TUM TUM TUM TUM TUM TUM TUUUM.





3- 


Dallo stagno salta fuori in fretta, diguazzando, un bel ranocchion,
che a sentire quella musichetta, prende fiato e si unisce al cor:
CRAAAA  CRA CRA CRA CRA CRA CRA CRA CRA CRAAA
CRA CRA CRA CRA CRA CRAAA CRA CRA CRA CRA CRAAA
Il bel ranocchiòn
4-
 Ma il concerto aumentò di tono quando un grosso calabròn l'udì
e a sentire tutto quel frastuono arrabbiato volò via così:
ZUUUUM ZUM ZUM ZUM ZUM ZUM ZUM ZUM ZUM ZUM 
ZUM  ZUM ZUM ZUM ZUM ZUM ZUM ZUM ZUM ZUM ZUUUM.

Il grosso calabròn

Ma alla vista di quei cuor contenti, tutti presi intenti a zufolar
diè un sospiro, borbottò tra i denti, poi con loro prese a canticchiar:
ZUUUUM ZUM TUM PO PO GRA GRA ZUM ZUM
TUM PO PO GRA GRA ZUM ZUM TUM PO PO GRA GRA ZUM ZUUUM


I personaggi mi sono stati ispirati dal testo di questa canzone. Non cercatela in rete, tanto non si trova.
E' una delle canzoni che cantava mio padre per addormentare mio fratello Ergino.
Ricordo che, nei pomeriggi di estate, mi piaceva mettermi lì con loro sul lettone, ad ascoltarlo cantare finché il pupo non dormiva, e a volte facevo finta di addormentarmi anche io, così lui ci fotografava dormienti: mi piaceva dargli questa soddisfazione.
A volte anche i bambini assecondano un poco i grandi, per amore.

Tornando alla canzone: ne ho cercata a lungo una in cui la pupa potesse, in parte, partecipare coi suoi monosillabi, senza rendermi conto che a pescare nei meandri della memoria ne avevo bell'e pronta una adattissima allo scopo, proprio perfetta. Lei ne va matta, e per quanto riguarda l'effetto soporifero, è assicurato. Quando glie l'ho illustrata poi è davvero impazzita!

Storia degli innesti:
1- Messer gufo è stato il più sofferto. Realizzato interamente con materiale reperito dalla raccolta differenziata casalinga di carta e cartone, pastelli a cera e matite colorate. Alla pupa non piaceva: ne era un poco spaventata, credo a causa degli occhi. Quindi liberarmene è stato un gran sollievo.
Appeso con un cordoncino al ramo di un albero al parco, è rimasto lì con un'espressione triste da gufo spennato, reclinando mestamente il capo gufesco, secondo la piega della confezione regalo sul cui retro è stato concepito e generato; però ripassando in bici il giorno dopo ho potuto constatare con soddisfazione che era ancora lì, malgrado la pioggia notturna.
2- Il picchio ha comportato qualche problema di realizzazione grafica, non avendo ben chiaro in mente la mamma come fosse fatto un picchio. Google ci ha aiutato in questo senso. Il picchio è stato infilato tra i rami bassi di un cipresso in un'aiuola ove scorrazzavano allegri alcuni bambini in bicicletta. Mi piace pensare che siano stati loro a scovarlo, nascosto tra il fogliame, e a portarselo a casa come un trofeo di caccia.
3- Il ranocchiòn, in fuga dal parcometro è stata un'intuizione subitanea, nel giorno dell'enorme mastino (vedi post precedente). Mi faceva sorridere l'idea dell'ignaro automobilista che va, con le palle un tantino girate, a pagare l'obolo della permanenza della sua vettura entro le strisce blu, che, ahimé, sono le uniche esistenti in centro città, che si fruga nelle tasche in cerca di irreperibili spicci, e che, una volta giunto all'odiosa macchinetta, si vede uscire quello sgorbietto irridente dall'erogatore di biglietti. Forse allora sorriderà, l'ignaro automobilista, o più probabilmente borbotterà qualcosa come il grosso calabrone scorbutico, tirerà fuori la ranocchia dal suo abitacolo, e la lascerà svolazzare fino alla superficie del sottostante marciapiede. Pazienza, se sarà andata così per la ranocchia.
4- Il calabròn è stato realizzato con il cartone residuo di alcuni bozzetti malriusciti di picchio. Dotato di una piccola molletta di legno sul retro, è stato facile trovare una folta siepe su cui applicarlo. Mi auguro che riuscirà a strappare più di uno sguardo incuriosito e divertito ai passanti occasionali.

Le foto: come si dice qui, fanno ca' à! me ne scuso, ma provate voi a fotografare a cavalcioni di una bici con una bambina infilata nel manubrio che ondeggia pericolosamente di qua e di là! Già è tanto che siano a fuoco, l'esposizione è quella che è, ma pazienza.

Insomma: Suster e pupa, missione compiuta! A voi la linea.

PS.
Questo il post di riferimento dell'iniziativa, a cui aderisco con un giorno di ritardo. SOB!
Qui altri innesti:
Mammainverde

Pentapata
Lu
Mannalisa
Cuordicarciofo
Emily
Bimboverde

venerdì 3 giugno 2011

(Mi) immortali gli Italiani. The end.

Bene, eccoci giunti alla conclusione del nostro grande concorso fotografico.
Da oggi decreto ufficialmente lo stop alle telefonate.

Uff! Che fatica! A saperlo prima non mi ci mettevo in questa storia. E per fortuna che per circa un mese e tre settimane non ho ricevuto nessuna adesione, perché invece l'ultima settimana l'ho vissuta in preda alla smania di controllare ogni tre per due posta elettronica, Facebook e blog, nell'attesa ossessiva di nuovi partecipanti.
Suster è così: ha priorità un po' sballate. Così anziché inventariare la congerie di articoli che continua ad accatastarsi in cima al frigorifero si è messa ad importunare amici e conoscenti con sms del tipo:

"Pisa & Love informa: il fantastico concorso fotografico (Mi) immortali gli Italiani  sta per scadere. Se vuoi partecipare anche tu, affrettati!".

Fortunatamente, dicevo, questo delirio è finito.



Suster è un poco dispiaciuta a dire la verità, perché, dopo aver passato la fase "ma cosa mi è venuto in mente", quella "facciamo finta di niente e tutti se ne scorderanno", quella "spaccherò le palle al mondo intero finché qualcuno non si deciderà a partecipare" e quella " in fondo meglio così: mi risparmio la fatica di recuperare e spedire il premio a chicchessìa", ero appena entrata nella fase "chi l'avrebbe mai detto? E' divertente!".
E' anche dispiaciuta per non aver potuto pubblicare una montagna di "fuori concorso" che le si erano materializzati nella sua testolina insana, alcuni mai scattati per mancanza di occasione, altri sfumati per colpa della reflex, che proprio in questi giorni era stata scaricata dal suo caricabatterie e non vi dico che tragedia. Non ha voluto più uscire di casa: era ridotta a uno straccio, completamente scarica. Approfittando della venuta in quel di Pisa di colei che usa firmarsi "Mam" nei commenti, e che identifico con colei che ha dato alla luce anni fa una piccola Suster urlante, sono riuscita, tra le altre cose, a procurare alla reflex abbandonata un nuovo cavaliere. Erano settimane che non la vedevo così piena di energia e voglia di fare, e così ora stiamo pian piano ricominciando il nostro rapporto lavorativo insieme.

Io chiacchiero, ma voi starete aspettando la proclamazione del vincitore.
Vi dico subito che non ve la comunicherò a questa botta, perché attendo il risveglio di colei che presterà per l'occasione la sua innocente manina all'estrazione del fortunato vincitore.
Per ora mi limito a ringraziarvi tutti uno per uno, anche quelli che avrebbero voluto, ma che non sono riusciti a partecipare.

Qualcuno mi ha anche contattato chiedendomi se non potevo prorogare il termine di scadenza del concorso.
Ma, a parte che non posso continuare a scassare i cabasisi all'universo mondo con questa boiata del contest, poi non sarebbe corretto ai fini del regolamento, e nei confronti di voi partecipanti.
Pur tuttavia la cosa mi stava talmente infervorando, che invito chi volesse farlo (qui e ora, e mai più di qui in avanti, lo giuro e stragiuro) a farmi pervenire comunque i vostri eventuali scatti, ed io provvederò comunque a pubblicarli. Entro la fine del 2011, anno dedicato alla commemorazione di questa nostra Repubblica che, come diceva G.G., a farle i complimenti ci vuole fantasia.

Poi magari a fine anno deciderò se mettere in palio o meno un secondo premio, ricordandovi che il premio in palio al momento è questo:


Nel frattempo, essendo oggi venerdì (ricordo, per chi ancora non la conoscesse, la bella iniziativa I venerdì del libro), vi segnalo, tanto per restare in tema, un secondo libretto:


Libretto piacevole e assai poco impegnativo, da leggersi in un paio di pomeriggi, e non di più perché poi inizia a diventare noioso. Francesco Piccolo ha presentato questo libro ai ragazzi del liceo di mio fratello, e al termine della presentazione a quanto pare ne ha regalata una copia autografata ai presenti. ecco come Suster ne è entrata in possesso.
La cosa già di per sé dovrebbe essere spia del fatto che non si tratta poi di grande produzione letteraria, ma insomma: si lascia leggere. Ed è anche abbastanza divertente in alcuni passaggi.

E con questo concludo la mia parentesi dedicata alla nostra amata povera Patria.


MusicPlaylist
Music Playlist at MixPod.com

Zitti, zitti, che forse ho scoperto il meccanismo occulto per allegare musica in un post.
Gran giorno davvero, questo.

domenica 29 maggio 2011

Il talento musicale della pupa e della mamma (come incoraggiare tua figlia quando ti accorgi che è una bimba-prodigio)

La pupa è un genio musicale.
Sì lo so che ora voi penserete che si tratta solo del giudizio poco obiettivo di una madre rintronata, ma lasciatemi il tempo di darvi ragione.
Dunque la pupa balla. Balla ogni volta che suona il cellulare a me o al padre (io ho un'allegra suoneria tipo jazz-manouche, ma anche un po' country se vogliamo, Hasuna una terribile tipo house o giù di lì; poco importa, lei ci balla su); balla sul seggiolino della bici, sollevando i gomiti e ondeggiando felice; balla per manifestare felicità ed entusiasmo quando la sera vede comparire il padre di ritorno da lavoro dietro il vetro della porta-finestra della cucina; quando è molto soddisfatta di sè, dopo aver superato un difficile ostacolo posto sul suo cammino gattonante, la pupa improvvisa rituali danze trionfali accompagnandole con ritmici schiocchi della lingua ed enormi sorrisi di vittoria.
La pupa canta, pure. Canta in un leggero falsetto su un'unica nota priva di varianti ogni qual volta il suo orecchio venga solleticato da un ritornello di suo gradimento. Quando al supermercato riconosce in sottofondo, dietro i Plimplòn e i ronzii dei banchi-frigo, provenire da qualche parte una melodia a lei nota, gentilmente offerta ai signori clienti dal signor Carrefour. Quando vuole richiamare l'attenzione di una madre troppo distratta, troppo presa da altri pensieri da dimenticarsi di inserire la colonna sonora durante le abituali galoppate in bici.
La mamma non può che prendere atto della sua inclinazione alla musica e incoraggiarla come può.
La mamma canta.
Il mio vasto repertorio canoro spazia dal Ballo del qua qua (che per un certo periodo è stata in testa alla nostra personale hit parade, va be' che era obsoleta già quando ero piccola io, ma su certe cose non tramonta mai il sole!) al Ballo di San Vito, dalla canzone di Cocco e Drilly a Yellow submarine, da Berta filava a Pinocchio dove vai (cavallo di battaglia della mia infanzia). Lei ascolta tutto molto attentamente: se qualcosa le piace particolarmente partecipa ballonzolando e ansimando a bocca spalancata come un cane in vena di feste, se qualcosa la annoia protesta risoluta, e mamma cambia disco.
Cerco anche in questo caso di coinvolgerla scegliendo delle canzoni il cui testo possa, almeno in parte essere accessibile anche  a lei (il metodo Montessori mi fa un baffo!). E quindi:
- Per MA-MA: Oh mamma mamma mamma sai perché mi batte il corazòn? Peccato che io faccia una gran confusione tra la versione originale (ho visto una muchacha) che non conosco, quella da stadio (ho visto Maradona), e quella pubblicitaria (non so se ne avete memoria: di quelle Morositas). Ma tanto alla pupa interessa solo il "mamma mamma mamma" che in ogni caso resta tale e quale.
-Per BA-BA: Barbara Ann dei Beach Boys (ah, no: era dei Regents in realtà), ma anche qui le conoscenze materne si fermano al ritornello, anzi, alla sola frase "Ba-Ba-Ba-Ba-Barbara Ann".
-Per GA-GA: a parte che questa allocuzione in genere sottintende una precisa richiesta (ovvero 44 gatti), io a volte ci provo con Radio Gaga, peccato che sui testi in inglese io non sia proprio ferratissima
 PA-PA: viva la pappa pappa col popopopopopomodoro.
-Per DA-DA: è stata dura. Ci ho provato con Da-da-um-pa, ma non mi convince gran che. Si accettano suggerimenti (per favore, evitare Trottolino amoroso Dudù dadadà).
- Per TA-TA: mi è venuta in mente solo la mitragliatrice del ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones, ma anche questa fa abbastanza pena.
- Per LA-LA: mi rendo conto che ad andare a pensarci per bene ce ne saranno un'infinità di canzoni che fanno la-la. Personalmente utilizzo o il tormentone dei puffi quando vanno per puf-bacche (generazione degli anni '80, voi capirete a cosa mi riferisco), oppure Uh-lalla Uh-lalla questo è il ballo del moscerino.
- Per Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!: Immigrant Song (Led Zeppelin). Naturalmente, solo l'inizio, anche perché il seguito non lo so. Parto con la canzone quando lei parte con i migliori dei suoi urli, che Biancaneve in Shreck Terzo impallidirebbe a confronto ancor più di quanto già non sia di nome e di fatto.
 
Mi sono anche preparata per quando inizierà a utilizzare altra vocali diverse da A:
- PO-PO: c'è quella fantastica Pooooo-po-po-po-po-poooo-poooo (coro da stadio, anche detta Seven Nation Army dei White Strips).
- PI-PI: la sigla di Pippi Calzelunghe, che a dirla tutta è una delle sue preferite (in top-list).

Poi, boh! Anche qui se vi viene qualcosa in mente, i suggerimenti sono ben accetti. Come vi permettete di dire che la cosa vi sembra abbastanza demenziale? Ne riparleremo quando la pupa sarà più famosa di Brittaney Spears e di Farinelli messi insieme (immaginate che duetto?).

Tutto ciò accadeva fino a poco tempo fa.
Ora direi che ci siamo decisamente evolute.
Sono finalmente riuscita a trovare il testo completo di Nella vecchia fattoria, nella versione del Quartetto cetra. La pupa partecipa entusiasta con i versi che conosce, e ancora più entusiasta se l'esecuzione canora è accompagnata dalla rappresentazione teatrale interpretata dai suoi animali di peluche.

Ecco qua il testo, per la vostra gioia:

Nella vecchia fattoria ia-ia-o
Quante bestie ha zio Tobia ia-ia-o
C'è la capra-capra-ca-ca-capra
Nella vecchia fattoria ia-ia-o.

Attaccato a un carrettino
C’è un quadrupede piccino
L'asinel-nel-nel-nel-nel

Tra le casse e i ferri rotti
Dove i topi son grassotti
C'è un bel gatto-gatto-ga-ga-gatto

Tanto grasso e tanto grosso
Sempre sporco a più non posso
C'è il maiale-iale-ia-ia-iale.

Sopra l'argine di un fosso
Alle prese con un osso
C'è un bel cane-cane-ca-ca-cane

Nella stalla silenziosa
Dopo aver mangiato a iosa
Dorme il bue-bue-bu-bu-bue

Ecco, sono rimasta un poco delusa, per la verità. Mancano all'appello una quantità consistente di animali fondamentali.
E così Suster ha aggiunto alcune strofe, che possono sicuramente interessarvi:

Nel pollaio chioccia e cova
Ha deposto quattro uova
La gallina-ina la-gal-lina.

Sul recinto appollaiato
strilla e canta a perdi fiato
C'è un bel gallo gallo-ga-ga-gallo

Starnazzando allegra e gaia
mentre razzola per l'aia
C'è anche l'oca oca o-o-oca

Trotterella sulla via
O riposa in scuderia
Il cavallo-vallo ca-ca-vallo

nella vecchia fattoria ia iaa ooo.

Va be la chiudo qui, che la sto facendo un po' troppo lunga.
Veramente, mi stupisco che programmi di pubblica informazione come Report o Annozero non si occupino di questioni di importanza fondamentale come queste, anziché innalzare gogne mediatiche!

E comunque:
Momento di estrema ispirazione compositiva (la piccola Beethoven)

giovedì 20 gennaio 2011

La bamba

Un giorno senza volerlo ho scoperto che la pupa si divertiva molto se le cantavo La Bamba.
Ero in corridoio a stendere il bucato e lei sulla sua sdraietta vibrante si era un po' scocciata di guardarmi fare le faccende e si lagnava inarcando la schiena e irrigidendo braccia e gambe in maniera convulsa.
Io cercavo di tenerla occupata e di calmarla parlandole e le dicevo scemenze tipo "Puuupaaa! Pupaaattolaa! Bambolaaa! Bimbaaa! Bambaaa!" Al che sono partita con la canzone, così, senza voler suscitare nessuna particolare reazione.
Lei invece si è gasata un sacco, ha iniziato a ridere a garganella e ad agitare mani e piedi felice.
Ho imparato col tempo a perfezionare la tecnica, constatando che guadagnavo punti se cantavo La Bamba accompagnandola con movimenti non troppo aggraziati del corpo, cosa che del resto è in palese contraddizione con il testo della canzone che recita:

Para bailar La Bamba se necesita una poca de gracia
(che oltre tutto è la sua strofa preferita)

Però la pupa pare non farci troppo caso. Lei si sciala, e io posso continuare a fare quello che sto facendo mentre la tengo impegnata con intermittenti Parabailarlabamba, performances da orso ballerino e grandi gasamenti di lei, costretta suo malgrado nella sdraietta o nell'ovetto mentre la mamma fa altro.

Poi l'altro giorno la stavo cambiando, ero sovrappensiero ed espletavo il mio dovere di mamma senza troppe smancerie, mentre lei faceva i fatti suoi guardandosi i piedi e dicendo cose tipo Sgghhhh Svbrlrlrl sputacchiando mentre tentava senza successo di ingoiarsi un pugno.
A un certo punto mi scappa un inconsapevole "Yo no soy marinero...".
 Lei mi guarda per una frazione di secondo... e giù a ridere.
Oh, si è sganasciata per un quarto d'ora.

sabato 18 dicembre 2010

Tanti auguri pupa! (e io mamma)

La mamma col bambino, di Felicia Giaquinto
Sono una madre poco sollecita.
Almeno per quanto riguarda il postare sul blog i complimesi della mia pupetta.
 A mio discarico posso dire che se non ho tempo di mettermi a scrivere cretinate qui è perchè sto appresso a lei per la maggior parte della mia giornata, mentre nelle restanti 2 o 3 ore al giorno in cui lei dorme, in genere lavo tutine per un buon 80 % del tempo.
 Vita elettrizzante direi...
 Ma comunque: scusa il ritardo pupetta, e Auguri per i tuoi 5 mesi di vita!


E auguri anche a me, mamma da cinque mesi, o forse di più, dato che mamma lo oro già dal momento in cui ho saputo che lo sarei diventata. Concetto un po' arzigogolato, ma se ci pensate bene è così.
L'anno scorso di questi tempi serbavo ancora il mio segreto tra me, Hasuna e due amiche che avevano avuto l'anteprima esclusiva. A Natale avevo deciso che l'avrei annunciato a casa. Il pensiero mi atterriva, le nausee mi annientavano, le energie mi abbandonavano, avrei dormito, se possibile, 16 ore al giorno.

Un infortunio per me provvidenziale capitato alla voluminosa titolare della pizzeria dove lavoravo da quando mi ero presa la tanto agognata laurea in storia dell'arte, mi aveva permesso di riposarmi un po', ma ancora stavo tutt'altro che bene. Fino a quel momento il bambino potenziale che si andava formando nel mio utero manifestava la sua esistenza solo attraverso segnali assolutamente non piacevoli.

Come se non bastasse un'incursione domenicale di me e Hasuna sui monti pisani innevati mi aveva procurato un raffreddore con febbre che avevo tentato di curare, dato il mio stato gravidico incipiente, solo tramite robaccia omeopatica, senza grandi risultati, dato che il viaggio in macchina sull'Aurelia a bordo del nostro Atos scalcagnato e non revisionato, oltretutto nemmeno assicurato (ma non ditelo troppo in giro) si era trasformato in una lentissima agonia per me gravida.

A pensarci ora sorrido, all'idea che la pupa era già lì, in auge, anche se io ancora non sapevo che fosse lei, perchè avremmo fatto la nostra reciproca conoscienza solo sette mesi più tardi.
E forse poi mi commuovevo anche per questo.
A dir la verità pensavo di essermi rincretinita tutt'a un tratto, dato che il viaggio Pisa-Roma, me lo son fatto quasi tutto a piangere, dicendo ad Hasuna che era per il raffreddore, e invece era per le canzoni nello stereo, che va be' commuoversi per De André quando dice:
E te ne vai, Maria, fra l'altra gente
che si raccoglie intorno al tuo passare,
siepe di sguardi che non fanno male
nella stagione di essere madre
ma commuoversi con Caparezza mi sembra davvero eccessivo...

Ma forse è come dice De André:
Sai che fra un'ora forse piangerai
poi la tua mano nasconderà un sorriso:
gioia e dolore hanno un confine incerto
nella stagione che illumina il viso.

 E quindi: grazie pupa, che mi hai aperto orizzonti emotivi finora insondati, e mi hai introdotta in una dimensione esistenziale del tutto nuova, a cui ancora un poco stento ad adattarmi, ma che mi appartiene ormai irrevocabilmente...
Ave Maria, adesso che sei donna,
ave alle donne come te, Maria,
Femmine un giorno e poi madri per sempre
nella stagione che stagioni non sente.

(La canzone è Ave Maria, tratto dall'album La buona novella di fabrizio De André)

P.S.
Ho datato il post il 18 alle 23:58, poichè a quell'ora nasceva la pupa, anche se non c'era la neve e faceva caldo, ma insomma: son pur passati 5 mesi!

sabato 4 dicembre 2010

Una musica può fare

...Così recitava il verso di una canzone di Max Gazzé, che come melodia somigliava un po' alla sigla di Goldrake.
Ve la ricordate? Vi rinfresco la memoria:

Una musica può fare... dormire bambini il giorno

Può sembrar banale ma è una gran cosa la musica per far dormire i bambini.

In questi giorni di pioggia perenne alternati a freddo pungente, e a volta conocomitanti le due situazioni, può capitare di non vedere il sole per tanto tempo che a volte ci si scorda pure che il cielo sotto tutto quel grigio è azzurro.

Non sono un'amante della pioggia come certi spiriti romantici, ma trovo che essa possieda una sua poesia, anche se il più delle volte sta sepolta sotto strati e strati di imprecazioni e panni messi ad asciugare in casa che dopo due giorni sono ancora fradici e prendono puzza di muffa, stendini in mezzo al corridoio che ti ostacolano il passaggio quando vai in bagno a lavare il culo alla pupa, gatti che ti camminano addosso con le zampe  bagnate e sporche, finestra del bagno che fa passare l'acqua e  il pavimento si allaga, pupa isterica perchè sono giorni che non la fai uscire di casa e le ore non ti passano mai. Però in fondo questa poesia c'è, e alcune canzoni riescono a esprimerla assai meglio di quanto non riuscirei a fare io con 1000 parole.

Ecco, tutto ciò solo per presentarvi questa canzone di Vinicio, Nella pioggia, un concerto tintinnante di goccioline a tempo di valzer, che da giorni gira e gira nello stereo in modalità repeat, mentre lei dorme... questa canzone concilia i sonni della pupa e sostituisce i mugolii della mamma al momento di addormentarla. E anche se ormai mi sto rincretinendo a furia di risentirla a raffica (prima di ritrovare il telecomendo dello stereo in bagno, dovevo interrompere quello che stavo facendo ogni 3 minuti e mezzo per andare a metterla da capo, onde evitare che la canzone successiva potesse rompere l'incantesimo del sonno sulla pupa), rendo onore e grazie ai suoi servigi, e alla bellezza dei suoi versi, che mi dischiudono alla mente immagini d'una poesia delicatissima, di ombrelli che sbocciano come fiori agli angoli delle strade, di asfalto luccicante e tram solitari.


 Sulla pe...sulla pe...sulla pelle e su noi
cadono perle stasera
le insegne dipingono amanti
dai vetri rigati al vapore

nella pio...nella pio...nella pioggia che c'è
i cani non trovan padroni
e suona l'orchestra a gettoni
e i cinesi non chiudono mai

nascosti nella sera
partono treni a ogni ora
partono ma
non partiamo noi
è un disco d'inchiostro e di cera la strada
e i solchi li suonan le suola

camminando, camminando
cade la pioggia
la pianola, la pianola
spazza la sera
gli ombrelli sbocciano agli angoli

nella pio...nella pio...nella pioggia che c'è
le rose non seguono i guanti
ritornano a mazzi ambulanti
dov'è che dormono i tram

questa pio...questa pio...questa pioggia è per noi
e brilla di ferro e binari
ritaglian le stoffe e le ore
le lancette dei grandi orologi

nascosti nella sera
partono treni a ogni ora
partono ma
non partiamo noi
gli ombrelli sbocciano agli angoli
e appesi voliamo anche noi

gira, gira gira la pioggia
la pianola, la pianola
spazza la sera
piccolo piccolo è il cielo
e grande più grande per noi