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sabato 10 marzo 2012

Le mie prime dieci righe.


Un po' smarrita tra memorie e cronache quotidiane, continuo a ondeggiare, tentennante tra le mie bozze inconcluse, e siccome vorrei spendere bene questo tempo in cui lei, finalmente, dorme, dopo avermi fracassato le pal... frantumato i co... un tantinello tediato nel corso di due lunghissimi giorni di degenza casalinga di convalescenza da non si sa bene che, ne approfitto per partecipare a questo giveaway, conosciuto grazie a Stima e al Viaggio Emotivo.

Partecipo al giveaway di Primediecirighe:
Era meglio se i miei restavano a New York dove si erano conosciuti e sposati e dove sono nato io. Invece se ne tornarono in Irlanda che io avevo quattro anni, mio fratello Malachy tre, i gemelli Oliver e Eugene appena uno e mia sorella Margaret era già morta e sepolta.
Ripensando alla mia infanzia, mi chiedo come sono riuscito a sopravvivere, Naturalmente è stata un'infanzia infelice, sennò non ci sarebbe gusto. Ma un'infanzia infelice irlandese è peggio di un'infanzia infelice qualunque, e un'infanzia infelice irlandese e cattolica è peggio ancora.
Frank McCourt, Le ceneri di Angela, Gli Adelphi, 2007

venerdì 6 gennaio 2012

Cara Suster ti scrivo.

Cara Suster,
ti scrivo così mi distraggo un po'.
E magari distraggo un po' anche te.
Sai, ripensavo a quel tuo post sui capodanni passati, sulla necessità di sdrammatizzare.
Solo che poi te ne sei uscita con quell'altro, quello che ambiziosamente hai intitolato "Il grande passo" e che nelle tue migliori intenzioni avrebbe sancito una tua finalmente decisa presa di posizione sull'annosa questione "viaggio in Libia oppure no". E invece, ecco che dopo aver espressamente chiesto ai tuoi lettori di incoraggiarti e rassicurarti, ti sei quasi spaventata della quantità di risposte positive date a cuor leggero e dall'entusiasmo altrui per la tua prossima partenza, e in men che non si dica hai fatto dietro front. Forse che nel chiedere agli altri appoggio ti aspettavi magari che arrivassero inviti alla prudenza?
Guarda, non si fa così. Non ti sei rivelata molto coerente, tanto per cominciare, e nemmeno attendibile. Ci hai perso in credibilità.
Quindi ora, da lettrice quale sono, rivendico i miei diritti a un'informazione chiara,e  ti chiedo pertanto di evitare in futuro di affiggere manifesti che preannuncino eventi sensazionali della tua vita privata, per poi ritrattare subito dopo. Mi sorge il dubbio che sia una strategia di scooping... (neologismo?)
Ma non voglio insinuare che ci fossero sotto tali bieche intenzioni da parte tua. Ti concederò il beneficio del dubbio.
Credo solamente che dovresti reagire un tantino meno emotivamente e più razionalmente ai fatti che ti accadono, e abituarti a prender risoluzioni chiare e motivate, senza tentennare all'infinito, pentendoti di continuo dell'ultima presa.
Ponitelo come obiettivo per il nuovo anno, magari, che è tanto di moda porsi degli obiettivi in questi casi.

Comunque ti scrivevo in primo luogo perché mi era venuta voglia di partecipare al tuo minicontest con un mio ricordo di capodanno.
Così, magari ti aiuto a sdrammatizzare anche la tua attuale situazione.

Ti ricordi il capodanno del 2000?
Ah, quante aspettative!
Quello fu senz'altro uno dei più tragici passati insieme (c'eri anche tu, ricordi?).
Se dovessimo annotare su un grafico la relazione esistente tra aspettative ed esiti tragici, noteremmo che questi ultimi sono in misura direttamente ed esponenzialmente proporzionali alle prime.
Ma comunque: avevamo deciso di andare al mega concerto dell'ultimo dell'anno, se posso rinfrescarti la memoria. Quello che si teneva sempre in piazza del Popolo e che vedeva quell'anno, come principale attrazione della serata la performance di Ligabue, che, vabbé, sempre meglio di Lunapop.
Si andò in tre, tre amiche, e prevedevamo, dopo la mezzanotte e i debiti festeggiamenti in piazza, di ritirarci per concludere in bellezza la serata, in un locale lì su via Nazionale o giù di lì, quello triste, che esponeva fuori l'armatura... Ti ricordi come si chiamava? Io no. Chissà poi se esiste ancora.
Ti ricordi poi come andò?
Grande, colossale massacro. Bottiglie che volavano, petardi che esplodevano da qualche parte tra la folla suscitando brevi ma intense ondate di panico, che generavano moti alterni della marea umana in varie direzioni, per opporsi alle quali, occorreva non abbassare mai la guardia, tenere i muscoli ben tesi, e le gambe ben piazzate in terra, le mani strettamente ancorate a quelle delle amiche, per non perderci nel mare di gente.
Che poi, va be' che a capodanno i cellulari non prendono mai, soprattutto in mezzo a  tutta quella concentrazione di anime e di rimbalzi satellitari, ma tu all'epoca nemmeno ne possedevi ancora uno. Cioè: io.
Ricordi la paura che una botta ben assestata al fondo della tua bottiglia di birra potesse farti saltar d'un colpo gli incisivi mentre ti abbeveravi alla sordida e tiepidiccia fonte di ambrato nettare, in quella selva di braccia e gomiti esultanti?
Ricordi la puzza di spumante esploso prima del dovuto e birra rappresi addosso ai tuoi abiti fumanti di condensa umana che ti appestavano già ben prima della mezzanotte e quella degli aliti alcoolici dei tuoi compagni di festeggiamento (emeriti sconosciuti) a distanze che raramente avresti potuto sperimentare più così ravvicinate?

Per farla breve, ci siamo disperse. E' successo tutto allo scoccar del nuovo millennio. Gran casino. Impossibile arrestare o anche solo opporsi alle travolgenti correnti umane contrarie e inarrestabili.
Quando, dopo un'oretta, la situazione cominciò a diradarsi, e tu eri riuscita a portarti ai margini della piazza, dove un'umanità sofferente e in lacrime si faceva soccorrere dai volontari della Croce Rossa e ambulanze varie, hai preso atto, con scorno, che non vi eravate date una punta in caso di smarrimento, e dopo aver atteso in vano per un'altra oretta le due amiche disperse aguzzando la vista nel marasma fumante e barcollante, hai preso una delle poche risoluzioni sensate della tua vita: ti sei diretta al pub dove avevate programmato di concludere insieme la serata, credendo che anche le altre due avessero formulato un simile, ragionevole, pensiero.
Ricordi quanto tempo hai impiegato a percorrere quel relativamente breve tragitto?
Ricordi quante ore hai poi atteso fuori dal pub al freddo dopo aver inutilmente chiesto più e più volte alla cameriera se aveva ricevuto notizie delle tue sciagurate compagne di ventura?
E che poi sul far del mattino ti sei rassegnata a fermare i passanti per strada implorando che ti prestassero il cellulare per fare una chiamata e come disperatamente poi cercassi di contattare tua sorella Gunchina perché venisse a raccattarti?
Fortuna che, alla fine, sei riuscita a rintracciarla. Non era il millennium bug, era solo un piccolo ingorgo di linee.

Insomma, ecco. Questo è stato il mio ricordo tragicomico.
Da cui l'ammonimento: mantieni i contatti, mantieni la lucidità, non vergognarti mai a chiedere aiuto, anche implorando, se è il caso.
Mi fai partecipare o lo consideriamo un semplice fuori concorso?

Spero che la tua dissociazione psichica si risolva presto in una felice riunificazione delle parti.
Quindi, non costringermi a scriverti più.
Imbuco questa mia o va bene se te la pubblico qui?
Tanto chi vuoi che la legga...

martedì 3 gennaio 2012

Chi ben comincia.

Allora, ricominciamo.
Il mio post di benvenuto a questo nuovo anno è stato piuttosto... come definirlo? Autistico?
Sì, be', un po'. Vi ho raccontato il mio scoppiettante primo dell'anno, ma mi son dimenticata di augurare a tutti voi che passate di qua, tutto il bene che ordinariamente si augura ad ogni nuovo inizio.
E' solo che gli auguri oramai arrivano in tante e tanta salse che non si sa più cosa dire per non allinearsi e sembrare scontati e banali, e poi: bla bla bla, felicità, forza, coraggio, affrontare le novità di ogni nuovo giorno... Non che non ve le auguri di tutto cuore, ma quello che davvero vi auguro è di ridere a crepapelle, di ridere tanto, di riuscire sempre a trovare l'aspetto leggero della vita, e di riuscire a minimizzare, a non prendervi troppo sul serio, qualsiasi sfiga vi possa mai intercorrere, che tanto, si sa, gli auguri servono a poco, eventi storti si presenteranno all'appello, mischiati a quelli felici, e l'unica è non soffocarsi nei grugniti e versare bile, sommergersi nell'astio, consumarsi nel livore, rodersi di stizza, logorarsi di rancore e languire nell'autocommiserazione.
A questo proposito ho avuto un'idea che definire geniale sarebbe quanto meno riduttivo.
Ripensavo all'altra sera, la sera del 31, che guardavamo quella parvenza di fuochi dalla finestra, io e Gunchina, mia sorella, e riandavamo con la mente ad anni passati.

- Gunchì, ti ricordi (ah ah ah!) quel capodanno che (Ahahahahaha) siamo andate (Wahahahahaha!) a quella festa...
- Ah, sì! Che tristezza! Ahahahahahaha!

E via così, tra una risata  e l'altra, a rivangare quella storia, che finché son viva, rimarrà forse uno degli episodi più esilaranti relativi ai miei capodanni.
Ma se aspettiamo ai tempi di esposizione di noi due, che, intanto, tra una frase e l'altra, non riusciamo a soffocare le risate, non si finisce più.
Ve la racconto io, come andò.
Si era, mi pare, nell'entrante 2001... ma potrei sbagliare.
Siccome, come al solito, l'ansia e l'oppressione del "dover far qualcosa" per l'ultimo dell'anno aveva iniziato a tormentarmi da settimane, assumendo la forma dei soliti sondaggi che sul far di dicembre iniziano a pioverti addosso da più e più parti, avevo infine deciso di accodarmi a mia sorella, e a una di lei amica (ma pure amica comune), che per non sputtanare qui chiamerò Alessia...
Alessia dunque, ci aveva propugnato la possibilità di imbucarci in una fantastica festa di amici suoi simpaticissimi che trovavasi un pochino fuori Roma, ma dove non riuscirei a dirvelo, ora... credo verso Albano, ma nemmeno allora mi pare che la location ci fosse troppo chiara, visto il tribolare che ci costò arrivare fin lì, nel buio pesto di una notte con pochi lumi, su di una strada provinciale a due corsie decisamente sprovvista di illuminazione.
E così ci imbarchiamo, in macchina in cinque: io, Gunchina, l'allora suo ragazzo, Alessia, e l'allora mia amica assidua M., amicizia poi naufragata.
Poiché trovare questa casa persa nella campagna romana fu un percorso lungo e accidentato, e credevamo già che avremmo trascorso la mezzanotte in quell'abitacolo, spersi in qualche dove nell'agro romano, la solerte Alessia manteneva un costante e incessante contatto telefonico con la sua amica, nell'intento disperato di guidarci fino a lei.
- Barbara, allora, siamo all'altezza di...
- Barbara, ma dove dobbiamo andare? No, quello l'abbiamo già superato da un pezzo! Ah, dobbiamo tornare indietro?
- Barbara ci siamo quasi, aspettaci all'ingresso del giardino.
- Barbara, ecco, ti vedo!
Questa Barbara trovavasi nel ruolo di fidanzata di vecchia data dell'amico organizzatore della festa, nonché amica essa stessa (un'amicizia che comprendeva l'intera coppia) della nostra navigatrice Alessia.
- Barbara, ragà, è proprio simpatica, ora vedrete... Barbara, ciaoooo!
Dice lei scendendo dall'auto e sbracciandosi per farsi vedere.
Quando infine, parcheggiati e scesi, ci infiliamo in casa, si svolge la seguente scena:
- Barbara! Come stai? Quanto tempo! Finalmente ci si rivede! Ma... ti sei tagliata i capelli?
- Ehm, no: ho cercato di dirtelo... io non sono la Barbara che hai conosciuto tu. Sono un'altra Barbara...
- Ma.. tu sei la ragazza di... (scusate, il nome di lui proprio non ricordo) Sei Barbara, no?
- Mi chiamo Barbara, ma sono UN'ALTRA Barbara...
- Ma scusa, Barbara, non ti ricordi di me? Ci siamo conosciute a...

Insomma, lei non si dava proprio per vinta.
Trasciniamo via Alessia in completo stato confusionale.
Certo che la coincidenza è stata pazzesca. Che il tipo, lì, dico, abbia avuto una di seguito all'altra due ragazze di nome Barbara, e che soprattutto non si fosse premurato di avvertire del cambio della guardia.
Questo dunque il nostro ingresso trionfale.

La situazione degenerò presto e si capì subito che era critica.
Riassumibile così: noi rinchiusi in una casa sperduta non si sa bene dove nel buio di una campagna altrimenti deserta, ospiti per equivoco di gente che nessuno conosceva, in compagnia di un'altra ventina di persone che ricordo essere tutti sulla quarantina (ma potrebbe anche darsi che la mia giovane età me li facesse vedere più vecchi di quanto in realtà non fossero), tutti affossati su una sedia o una poltrona, con qualcosa in mano da bere o mangiare, un generale clima di affettata allegria, dimessa tristezza, mutismi e silenzi imbarazzanti, nell'attesa di intavolare un maxi torneo di giochi da tavola a squadre. Impossibile scappar via prima della mezzanotte: ci siamo adeguati alla generale festosità regnante intorno a noi, abbiamo giocato a mimi e Trivial, scambiandoci occhiate eloquenti e disperate, abbiamo sorseggiato un fragolino frizzante da nausea, abbiamo atteso lo scoccar dell'ora x per uscircene in giardino a sparare quattro fuochi e buttar lì una scusa per svignarcela.
Mentre Alessia continuava a farfugliare tra sé: "Barbara? Ma come? Abbiamo parlato al telefono per ore... Io pensavo... ero sicura... Barbara..."
Non fu facile per lei riprendersi.

Ecco, io oggi, a distanza di più di 10 anni, posso dirmi felice di quella serata, perché se non l'avessi passata in quella maniera assurda, ora non avrei quell'esilarante ricordo da condividere, ridacchiando, anzi, sganasciandoci, con mia sorella Gunchina.
In effetti i ricordi migliori da rievocare in compagnia, non sono quelli delle serate perfette, delle vacanze perfette e riuscitissime, organizzate in maniera impeccabile e prive di imprevisti e situazioni paradossali, ma proprio quelli a metà tra il tragico e il comico, anche se inizialmente pare prevalga il tragico, per poi sciogliersi nella memoria nel comico puro.

Allora vi chiedo: sdrammatizziamo 'sta cosa della serata fantastica, della festa riuscita a meraviglia.
Volevo proporvi una specie di outing: avete voglia di raccontarmi il più tragicomico dei vostri capodanni?
Dai, che lo so che ce l'avete anche voi, la storiella nel cassetto.
Secondo me sono le migliori, quelle che lasciano il segno, peccato che, come il vino buono, richiedano tempo per poter essere apprezzate.
E siccome questa cosa dei giveaway secondo me dà anche un poco di assuefazione, facciamo così: lasciate un commento a questo post, o, se vi pare, scrivetene pure uno voi sull'argomento "Chi ben comincia".
Il racconto che riterrò più meritevole verrà da me premiato con un premio adeguato, che però non chiedetemi ora di rivelare, perché non lo so.

Un brindisi a chi ben comincia!
Ma anche a chi comincia male, e recupera poi.

Cin cin!





lunedì 26 dicembre 2011

Qui finisce l'avventura. Ovvero: la vincitrice del giveaway.

La farò breve.

Questo era il vergognoso concorso:


Queste siete voi:


Questa le fasi della laboriosa e solenne estrazione:







Questa la vincitrice. Evviva!
Perciò, cara Sfolli, contattami al più presto e fammi avere il tuo indirizzo fisico, così potrò provvedere a farti recapitare il premio desiderato.

La scelta del metodo per la proclamazione del vincitore è stata lunga e sofferta.
Confesso di non aver resistito alla curiosità di andare a vedere questo famigerato Random.org, ma...
A parte che non ho capito un gran che del suo funzionamento, non mi ha lasciato nemmeno troppo soddisfatta. Asettico, cervellotico, privo di affettività e di suspense.
Quindi, malgrado mio fratello Ergino mi abbia pazientemente seguito nell'arduo compito di visualizzare la schermata della lista sul blog, ho preferito optare per il solito metodo casereccio, materico e cartaceo, al cui allestimento ho allegramente coinvolto l'intero entourage familiare.
Quindi ringrazio:
  • mio fratello Ergino perché, oltra ad avermi svelato gli arcani di Random.org, ha fornito l'attrezzatura fotografica per effettuare la dovuta documentazione del momento;
  • mio fratello Cicci per aver aiutato a tagliuzzare e arrotolare i cannolicchi per l'estrazione;
  • Hasuna idem;
  • Nenne per aver intrattenuto e contenuto la pupa nell'intento di finalizzare l'estrazione, e per aver altresì partecipato emotivamente e commentato in tempo reale e con trepidazione il fatale momento ("Questa la conosco, è la tua amica, no? Questa chi è? Ah, Ha vinto Sfolli, bene, sono contenta, brava!" Perché mia mamma, ragazze, vi conosce. Sappiate che il suo occhio vigile vi osserva: attente a voi!);
  • la pupa per il suo indispensabile apporto.
Troppo forte la tentazione di non fare una prova con il Random, e però mi sono incasinata e non so che ho combinato.
Ho randomizzato la lista una decina di volte senza venirne a capo e alla fine sono riuscita a capire come generare il numero del vincitore. Era una prova, e quindi non sarei nemmeno tenuta a comunicare questo mio primo pedestre tentativo: potrei tacere.
Ma per fugare di fronte a me stessa medesima il sospetto di mistificazione e disonestà, ho deciso, dopo un lungo e impegnativo consulto con me stessa, che la persona in questione sarà da me considerata assegnataria del secondo premio, in concordanza con quello prescelto dalla prima classificata e con la disponibilità della mia fornirtrice ufficiale.
E insomma, la seconda classificata è:
Giuppy!

Mi felicito, ragazze.
Ora fatevi avanti.
Aspetto vostre notizie.
E a tutte le altre un sincero augurio di buone feste e di un sereno inizio anno, alla faccia della crisi, dell' ICI, e dei rincari.
Ma sì! Che ce frega!
Happy new year!

P.S.
Suster ringrazia personalmente la sorte: anche io sono una vincitrice!

lunedì 19 dicembre 2011

Di abeti e tradizioni, inverno e luci...

E dai, prima o poi il post sul Natale ci vuole!

Non è che io voglia proprio fare quella che detesta il Natale così, tanto per essere anticonformista, l'Ebenezer Scrooge di turno, o per dispregio a chi invece si esalta per le lucine in strada e per gli stuoli di pupazzi Babbo Natale in tuta rossa a misura d'uomo intenti a scassinare finestre e a scalare balconi con una mano modello free climber che ti vedi penzolare sinistramente dalle facciate di palazzi di tutto rispetto, quasi a suggerire ad eventuali topi d'appartamento la via più accessibile ai loro loschi intenti...
Non è così.
Il Natale in sé, per la verità non mi dispiacerebbe poi tanto per partito preso, se non si portasse dietro tutta una serie di situazioni, fonte per la sottoscritta di inesauribile ansia.

I supermercati mettono in atto vere e proprie rivoluzioni esistenziali e andare a fare la spesa in un normale, poniamo, giovedì di fine novembre significa immergersi in apnea in un fiume di carrelli impazziti e traboccanti di articoli abbastanza superflui, incanalati tra scaffalature luccicose di colori e nastrini argentati, alberelli sintetici dei più svariati modelli, la collezione di vassoi in stile afro, babbi natale sempre e comunque e un reparto giocattoli che si è allargato a macchia d'olio a invadere parte del reparto fai-da-te e ferramenta, che fa sfoggio degli ultimi orrori televisivi scodellati dall'industria ludica contemporanea.
Va be', mi fermo qui. Inutile fare l'ennesima polemica al consumismo natalizio, perché, per la verità, ci sono dentro fino al collo, per quanto mi dibatta ogni anno per disinvischiarmene, e anche infischiarmene, ma non si può, no. E' quel ricatto che ci autopropiniamo ogni anno: e come faccio a non fare regali? Che è bello dare quando sai che riceverai, e in fondo in fondo, anche se lo sappiamo che non è tutto lì, è un modo per dimostrare l'affetto che ci lega alle persone che amiamo, e anche per sentirci parte di una tradizione più grande, di un tutto gioioso e festante, alla faccia della crisi, alla faccia delle manovre finanziarie e del lavoro che non c'è, e se pure sai ch'è solo una tradizione commerciale, questa dei doni, importata da un occidente prospero e remoto, come un certo Babbo Natale, caro vecchietto della nostra infanzia, pure è l'unica forma di tradizione che ancora possiamo vantare di possedere, a cui ancora possiamo aggrapparci, in un mondo senza storie attorno al camino e senza veglia natalizia per le strade del paese innevate, i bimbi con un cero in mano, i berretti di lana, il nasino arrossato all'in su. Tutte scene di un immaginario che non mi è mai appartenuto e che però continuiamo inesorabilmente ad associare al Natale.
E' un po' clasutrofobico e un po' rassicurante.

E poi dicembre, per la verità, non lo amo, come mese: così buio. Il mese più buio dell'anno, ed io sono una creatura fotosintetica; il mio umore funziona ad energia fotovoltaica, e aspetto forse solo l'arrivo dell'antica festività del Sol Invictus, per veder finalmente ricominciare il ciclo della luce diurna, allungarsi le sue giornate, posticipare le ore serali, spegnersi l'illuminazione artificiale, per romantica che possa essere.

Ma nel frattempo tiro su anche io, nella mia diroccata casetta, il mio piccolo abete da quattro soldi, e partecipo ancora, per l'ennesima volta, all'entusiasmo collettivo, all'attesa trepidante per le solite, note, rassicuranti situazioni.
Per fortuna che ultimamente ho preso la preoccupante abitudine di rileggermi spesso e volentieri i vecchi post di un anno fa, perchè così mi risparmio di rievocare per l'ennesima volta la storia di questo mio povero alberello striminzito (l'avrei fatto, eh, ma mi accorsi di averlo già fatto un anno fa! Il mio pensiero, si vede, percorre vie già battute sotto lo stimolo delle ricorrenze a lui note).

E allora mi metto di buzzo buono, che tanto di tempo ne ho in abbondanza, con la pupa a casa da una settimana che non so più che farle fare per intrattenerla, tiriamo fuori palle di polistirolo impolverate, gancetti, lucine, la nostra bella base di cemento e infine lui, e insieme, come un anno fa, ma senza marsupio, abbiam regalato qualche luce in più ai nostri cupi pomeriggi casalinghi, di cielo oscurato da fitta nuvolaglia gravida di piogge.




"P'lline!" Dice lei, mangiandosi la vocale iniziale e arrotondando la finale, con inspiegabile accento anglosassone che non riesco a giustificarmi né geneticamente né tanto meno culturalmente.
Ecco sì, dai, pupa, passami una pallina, ché l'attacchiamo... Pupa? Puupaa!
Non ha capito molto bene la funzione e il senso di quel che stavamo facendo, e diciamo che il suo aiuto è stato soprattutto morale, quando infine ho acceso le luci e ha commentato, semplicemente e meravigliosamente: "Wow!" (bambina decisamente anglosassone).





Le pacchianozze lucine multicolor acquistate a suo tempo assieme all'intero set albero-palline- nastri, in effetti quest'anno mi hanno indotto a fare un acquisto ulteriore in via del tutto eccezionale: una confezione di palline di rigorosa plastica assortite per fantasia e dimensione, ma rigorosamente sul rosso, così da renderlo il colore predominante del nostro povero abete.

Rosso perché è Natale, e perché è un colore caldo, che amo, e rosso infine perché una volta, da bambina, coinvolta da mia madre nella temeraria impresa di disegnare a mano i bigliettini di auguri destinati ai vari parenti, io disegnai una stella cometa rossa, e lei mi castrò subito, decisa, così: "Ma no! Che fai? La stella rossa è un simbolo politico, non puoi fare la stella di Natale rossa!"

E io invece la voglio fare, ecco. E ce la metto pure in cima. Tié!


Che il colore riempia la tua vita, pupetta.

Che le stelle brillino per te rosse, verdi e blu, violette e indaco, arancioni e oro, smeraldo e rubino.

Che la convenzione non sia un ostacolo alla tua espressione.

Che la gioia e non lasci mai il passo alla spenta consuetudine.

Che la varietà sia alla base della tua coerenza.

Che il contribuito altrui possa arricchire la tua personalità, ma non condizionarla.

A questo proposito, ancora due parole spenderò sul nostro eccezionale albero di Natale.

Venne un tempo in cui misi mano a un progetto ambizioso e ai limiti della moralità, natalizia o no.

Avete presente la filastrocca di Arlecchino?
Probabilmente no.
Per cui vi dirò com'è che fa. Fa così:
Arlecchino, poverino, non aveva il vestitino:
ogni bimbo gli ha portato un pezzetto colorato
e la mamma gli ha cucito un bellissimo vestito.

Ecco dunque il mio progetto: tutti gli abeti che io avrei incontrato sulla mia strada, avrebbero contribuito, col tacito consenso dei proprietari, a rendere più vario e prezioso il mio.
Non chiedevo loro poi molto: solo una pallina. Una simbolica pallina: un cinque per mille per il mio abete. In questo modo un pezzetto del loro Natale, avrebbe continuato ad animare il mio, e loro non se ne sarebbero neppure accorti.
E così feci. Nei negozi, per strada, nei condomini, negli uffici pubblici in cui mi trovavo a passare: zac! Una pallina per il mio abete. Se conoscevo i proprietari lo chiedevo, se no...
Ora voi dite che si chiama rubare. Eh, e se tutti facessero così, dove andremmo a finire!
Però sarebbe fichissimo, io credo, se lo si facesse per consuetudine, tutti, per tradizione.
Non trovate? Per Natale tutti espongono l'albero e ognuno si sente autorizzato a prendere una pallina da ogni albero che incontra, e tutti in pratica avrebbero un albero in continua evoluzione, arricchito e espoliato da contributi altrui.
E comunque ecco i cimeli di quella psicosi soggettiva, e mai collettivizzata che fu il mio privato comunismo delle palle di Natale, che non durò che un anno:




Questa invece, acquistata con la pupa al mercatino di Calci, da una signora che si svuotava la soffitta aprendo banchetti in strada.

L'ha scelta la pupa, e io glie l'ho acquistata.

Infine un contributo di un'amica: la bomboniera di laurea (rossa, vedi quanti significati associati a un unico colore?) della povera Dani, che io tratto sempre male, e non se lo merita, anche se qualche volta se lo merita pure, ma non sempre.

Allora per farmi perdonare, anche di quella volta che ero incinta e che lei venne a fare l'albero con me, e che iniziò a scassare i cabasisi con "Qui hai messo troppe palle blu"; "No, il filo argentato va messo prima delle luci" e altro simile, al che, io le risposi con "Oh, ma te lo vai a fare a casa tua l'albero, anzicché rompere le palle qui sul mio?" Ecco, anche per quella volta, scusa Dani, che lo so che volevi solo farmi compagnia, e tirarmi su il morale, che ero letargica e vittima delle nausee, ma ero gravida e covavo in me da due mesi il mio segreto, aspettando il giorno del nascente Sol Invictus per comunicarlo a casa, e la cosa mi rendeva un tantino ansiosa e nervosa, e poi l'albero, mo' te lo dico: lo faccio un po' come mi pare a me.
Ma comunque ecco qua:


E per quanti, non credo tanti, avranno avuto la pazienza di leggere fin qui, malgrado l'argomento non fosse proprio dei più interessanti, rivelerò gli arcani intenti del mio scrivere.

Con questo post io prendo i due classici piccioni con una fava:


  • illumino l'oscurità invernale di questa nuova settimana entrante di fine dicembre di fiammelle e paillettes regalandovi un nostro specialissimo momento light;


giovedì 1 dicembre 2011

Giveaway avventizio.

Eccoci qua.
Datosi che oggi comincerebbe anche l'Avvento, la vostra Suster vi offre un'occasione in più per iniziare, trepidanti il vostro conto alla rovescia, ché lo so che tra voi che mi leggerete ci saranno moltissimi fan del Natale, amanti spassionati che non vedono l'ora di issare poderosi abeti sbrilluccicanti di luci e paillettes, che hanno già iniziato il loro giro per regali e che raccolgono in rete ricette succulente per il loro prelibato menù delle feste. Oppure no.
Il Natale dai tempi dei tempi infonde alla qui scrivente una profonda, profondissima malinconia, striata di intolleranza e qua e là punturellata di alti picchi di ansia e timor panico.
Questione di punti di vista e sensibilità personale.
Ma chissenfrega! Quest'anno voglio strafare!
Pungolata da un'amica creativa, mi sono finalmente decisa.
Ecco a voi (ta-dàààààààààààà!):
Il mio Giveaway avventizio!
Yuppiiiiii!

Come lo chiamiamo?
Uno, cento, trentacinquemila:

Uno, come un anno di blog. Giusto giusto un piccolo ritardo di tre settimane, come quello che mi permise, a suo tempo, di intuire vagamente la possibilità di essere, per caso, incinta? Sono una tipa perspicace, io.
Cento come i miei lettori, giusto con quella cresta di nove, che, a pensare positivo, forse hanno cliccato sul pulsante "segui" per un tremito nervoso e involontario della mano.
Trentacinquemila come il traguardo di visite che (secondo me il conteggiatore automatico di Blogger conta anche le mie!) si reputa plausibile che il blog riceva entro la conclusione di questo quasi esausto 2011.

Amletico quesito: cosa cavolo regalo al vincitore?
Ecco una domanda che mi stava quasi per far desistere dal mio volenteroso intento. Perché io, come ampiamente e dettagliatamente credo di aver esposto qui, per la verità non so fare un'amata ceppa.
O meglio, so fare tante cose: ho una predisposizione imbarazzante per memorizzare in breve tempo canzoncine e filastrocche sceme; invento giochi con una scatola di cartone; sono capace di scrivere interminabili monologhi senza parlare di niente; ho una fantasia onomastica sterminata per quanto riguarda i nomi per gatti; so andare in bicicletta con le buste della spesa e due casse d'acqua; questo e molto altro ancora, vi stupireste!
Ma nessuna di queste eccellenti capacità può aiutarmi nel difficile compito di  mettere in palio un premio allettante per i miei lettori, e per chi avrà la pazienza di seguirmi nei meandri dei miei ragionamenti.
Per fortuna la mia amica B. sopperisce alle mie mancanze. Lei si diletta tantissimo di fai-da-te, arte del riciclo, paste sintetiche e molto altro, ha un blog... due blog... tre... Boh!
Lei ha una serie di blog in cui illustra le sue creazioni, e gentilmente si è offerta di procurarmi la materia prima per il mio fantastico, stratosferico Giveaway, che altrimenti che senso avrebbe una cosa che, in traduzione sarebbe tipo "Dar via", senza niente da dare via? Un controsenso, certo.
Quindi, diciamolo: io non so fare una ceppa! (Ma possiedo ottimi contatti).

Volete partecipare al mio Giveaway:

"Uno, cento, trentacinquemila (Io non so fare una ceppa!)"?

Ecco come fare:
  • apponete il vostro commento in calce (non è che dovete utilizzare proprio la calce, eh! E' un modo per dire: qua sotto) a questo post;
  • ditemi che partecipate e indicatemi il premio da voi prescelto (un attimo: ora ci arrivo)
  • giacché ci siete, levatemi una curiosità: appartenete alla specie dei creativi multitasking o di chi, come me, non sa fare una ceppa? C'è qualcosa che siete molto fieri di saper fare, fosse anche indovinare ad occhio nudo l'indice di massa corporea di qualcuno?
  • pubblicizzare questo fantastico giveaway, se vi pare (il banner lo trovate in pedice)
  • andate a farvi un giro nel fantastico blog Riciclo creativo e riutilizzo per scegliere i premi ( ci sto arrivando...) e, se vi va, appuntarvi qualche idea regalo;
  • avete tempo entro la mezzanotte del 25 dicembre!
  • l'estrazione del vincitore avverrà con metodo da precisare (in ogni caso dovrete fidarvi ciecamente della mia buona fede, tanto io non ho niente da guadagnarci).
I premi: dunque che cacchio metti in palio?
Non siate impazienti!

In palio queste deliziose creazioni artigianali:


BON BON CD: andate a vedere di che si tratta sulla pagina del blog, che raccoglie e illustra i vari modelli.




SET DA BAGNO: qui la pagina con i modelli e le descrizioni.








Allora avete capito? Potete scegliere uno solo tra questi premi.
Vediamo quante adesioni raccogliamo, e se sarete tanti tanti, ma proprio tanti, potremmo decidere di effettuare una seconda estrazione per assegnare il secondo premio (quello scartato dal vincitore).

Dunque partecipate, partecipate, partecipate!
Che ci fate felici.


(...e lo si vede dal banner! Meno male che ho messo le mani avanti dichiarandolo nel titolo!)

PS.
Giacché si parla di blog e concorsi, colgo l'occasione per ricordare, a chi se lo fosse perso, il fantastico blog contest di Mamma è in pausa caffè:
"A voi che cavolo hanno raccontato?"

lunedì 31 ottobre 2011

Il Piccolo Principe e la volpe.

"In principio tu ti siederai un po' lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' più vicino..."

Ottobre è arrivato agli sgoccioli, e io mi riduco all'ultimo per partecipare all'ultimo blog contest del mese.
Avevo tante idee ma stringi stringi non ne ho combinata mezza. Semplificherò.
Il libro lo conoscono più o meno tutti, è l'arcinota storia dolce e tragica di un piccolo principe spaziale, piovuto sulla terra in cerca di risposte. Per inciso, il primo libro letto dalla sottoscritta, alla tenera età di sette anni.


La storia è semplice, il messaggio è elementare e imperituro: parla ai bambini, che non contemplano l'arzigogolo intellettuale del mondo adulto, ma parla anche a molti adulti, che hanno smarrito la strada della semplicità, persi in una selva di costruzioni e convenzioni.

Come insegnare la vita? Non si può, certe cose vanno vissute.
Pensavo alla complessità di un rapporto, alla lunga strada da fare per costruirne uno.
Qualsiasi rapporto necessita del tempo, attenzione e pazienza.

Costruirsi a poco a poco, un tassello alla volta, infittire una rete di corrispondenze, scambiarsi un sorriso saturo di complicità e allusioni, uno sguardo con un amico che sa, una risata soffocata al ricordo di un passato comune.
Ma pensavo anche alla comprensione reciproca, a una bambina che chiama "Mamma!", alla certezza di essere necessari, di poter corrispondere a quella richiesta, in fondo, solo di sicurezza, di una voce che risponda: "Eccomi, sono qui!"

Pensavo alla necessità di cambiarsi, di adattare se stessi, la propria vita, i propri ritmi, le proprie aspirazioni, di estenderle a coinvolgere un due, un tre, della capacità di appagarsi in maniera diversa, di stare insieme e da soli in maniera diversa, di scoprire nuove opportunità laddove vedevi solo limitazioni, di accorgerti che tante ore di sonno perse non ti pesano più come ti pesavano un anno fa.
Di accorgerti che quanto più hai dato, tanto più ti sei arricchita, che questo dare, lungi dallo svuotarti, ti ha lasciato più di quel che avessi prima.

Ciò nonostante il cammino è ancora lungo, e ancora, giorno dopo giorno, occorre sedersi un poco più vicini, e aspettare, osservare, cogliere i segnali, comprendere e pazientare.
"Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!"
Che cosa vuol dire addomesticare?" " E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami…"

"Che bisogna fare?" domandò il piccolo principe." "Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe.
L'avrei finita anche qui, ma siccome il contest si chiama "Cuore di artista", e siccome io artista certo non sono, ma il cuore di artista forse forse ce l'ho anche, mi son detta: dai, facciamo una cosa artistica, ma col cuore.
Dopotutto non si vede bene che col cuore.
E meno male, perché a vederle con gli occhi le mie creazioni fanno alquanto cagare.

Ma insomma: è stata lunga e travagliata, ma ecco qua.

Questo è il mio banco da lavoro mentre la pupa dorme. Incasinato.
Notare la schermata del portatile.

 Ho cercato on line le immagini originali del principe e della volpe e li ho riprodotti su carta.

 Col vecchio metodo della trasparenza, appoggiando i disegni ribaltati sul vetro della finestra e sovrapponendovi un secondo foglio ho ricalcato due immagini speculari dei due modelli, che ho colorato a cera e incollato su una doppia sagoma di cartone piegato a metà, recuperata da un imballaggio pescato nella nostra raccolta differenziata casalinga di carta e cartone.

Nello spessore del cartone ho infilato e fissato con lo scotch nella parte interna due coltelli di plastica da pic-nic, in modo da ottenere i manici con cui manovrare le due marionette caserecce e arrangiate.

Purtroppo la pupa oggi si è svegliata di pessimo umore ed è stato impossibile riuscire ad intrattenerla mezzo minuto coinvolgendola in una improvvisata messa in scena dell'incontro tra il Piccolo Principe e la volpe.
Non possedendo io grandi doti artistiche, spero che apprezzerete comunque la mia buona volontà nel voler partecipare a questo concorso creativo.
Tutto sommato credo che il carattere infantile dei miei lavori renda onore allo stile dei disegni di Saint-Exupéry, e dato che probabilmente se avessi realizzato queste marionette di carta all'epoca in cui lessi il libro, il risultato non sarebbe stato tanto diverso da questo.
Tutti i grandi son stati bambini una volta...

Cuore d'artista, il Candy Contest di Attimi di Letizia.

venerdì 28 ottobre 2011

Il nostro Ninestrone.


Andiamo a fare una passeggiata? Vieni, pupa, ch'è bel tempo, prima che scurisce.
Andiamo, andiamo; ti porto a vedere un posto bellissimo. Non è lontano, è proprio qui, dietro casa di nonna.
"Bebé?"
No, che non facciamo in tempo ad andare ai giardinetti oggi, è tardi. Ma qui c'è un piccolo pezzo di verde, che non è quasi niente, per chi ci passa davanti più volte al giorno, uscendo di casa o rientrando da lavoro: niente più di un pezzetto di prato con alberi, recintato di straforo dal condominio, strappato al confinante parco naturale.



Vedi, pupa, questi pini altissimi? Li ha piantati Nonno, ed ora sono dei grandi alberi. Ricordo quando li seminammo, quei dieci pinoli, io e lo zio Ergino, chiedendo: "Quanto ci vuole perchè diventino alberi?" E lui ci rispose almeno una decina d'anni. Dieci anni? Che delusione! Così io avrei avuto allora almeno vent'anni, e forse ai pini non avrei più pensato.
Invece ecco qua: di anni ne son passati venti, e io di anni ne ho trenta, i pini sono cresciuti più grandi di me e di te. Qualcuno non c'è più, qualcuno è arrivato invece nel frattempo, loro sono sempre qua.

Guarda, pupa, che belle pigne! Lo senti che odore che hanno di resina e legno? Vedi come sono aperte come fiori? Ci puoi infilare le dita dentro.
"Dita!"
Sì, dita, Mimì.




E poi c'è il melograno, ecco guarda, lassù. E questi frutti in terra, tutti mangiati dai merli, e forse anche da qualche topo o riccio: rimane solo il guscio. Senti com'è rugoso?
Sono belli vero? Prendiamone qualcuno.
CRA CRA!
Cos'è stato? Hai sentito? E' la cornacchia! Sì, proprio lei, che gracchia alla macchia.
L'hai vista? E' volata su quell'albero alto!
"Atto, atto!"
Eccone lì, una, che saltella, la vedi?


Senti, pupa, quanti rumori? Vedi, amore, quante cose diverse, si nascondono qui, quanti odori, quante forme, quante superfici?
Senti com'è ruvida la corteccia degli alberi? Hai visto le formiche che camminano tra le sue fessure?
"Mi!"
E' ruvida, ma è leggera, e se ne stacchi un pezzettino, viene via un bellissimo isolotto frastagliato, roseo al centro, rugoso fuori, liscio sotto; sembra un monile o un ciondolo strano.
Prendiamocene qualche pezzo, qualche pezzo di mondo qui fuori, una rappresentanza simbolica di questo eccezionale microcosmo.



Voglio fare una composizione. Una composizione di sensi. Una composizione d'autunno. Con quello che troviamo, senza selezionare, senza gerarchie. Cos'hai trovato tu?
"Tatti."
Sassi? Bellissimi. Sono duri, e freddi, e spigolosi, e grandi e piccoli.
Ne prendiamo qualcuno. Lei se li passa sulla guancia, perché le ho detto che son ruvidi, e vuole verificare, come facevo io quest'estate con i ciottoli, dividendo i lisci e i ruvidi.
Una testimonianza importante, i sassi.
E questo cos'è? Senti, pupetta, che odore buono che fa?
Hai sentito che profumo? Questo è rosmarino; le sue foglie sono profumate e sottili, flessibili e morbide: mettiamo anche lui, nel calderone dei sensi.
E, sì, anche il mandarino cinese: nessuno se ne accorgerà se ne manca uno.
No, Mimi, non è buono da mangiare...
"Blea!"
E va be', che ci mancava solo il gusto, nella nostra macedonia sensoriale. Com'era, amaro?
Però il suo odore è buono: pungente, intenso, fragrante e fresco.
Mettiamo anche lui, nel nostro calderone, che ci dà colore, e un pizzico di esotico, e sapore.



Abbiamo fatto un bel raccolto, vero Mimì?
Tiriamo fuori gli ingredienti: qui c'è una ghianda, che ci ha dato nonna; mettiamo le lisce castagne dell'ippocastano, brune e brillanti, che danno calore e rotondità, mettono allegria, e mettiamo gli ipporicci, dalle spine gentili.
"Ahi ahi!"
Tu dici che pungono? Ma no, sono tenere queste spine, non fanno male.
Sembrano i raggi di un sole grezzo, disegnato da un bambino.
Vediamo un poco, adesso, dove mettiamo tutto?



In questo grande cesto di nonna, ecco qua; c'è posto per tutti.
Le pigne, l'alloro, le foglie e le cortecce, il liscio il rugoso il glabro e il peloso, il giallo il verde e il marron, i profumi e gli aromi, le spine e le bucce, il contenuto e il contenitore, la sfera e il cono; ci mettiamo anche la tua lumaca, in rappresentanza del mondo animale, anche se in realtà è solo il guscio vuoto di una chiocciola, e non so dov'è finita in mezzo a questa ressa di carrube e ippocastagne.
Io dico che è ancora troppo vuoto. Domani lo finiamo.
Però ora manca qualcosa...





La luce!
(E la luce fu).


(E fu sera e fu mattina).


Oggi andiamo di qua, esploriamo ancora, vediamo che si trova, per la nostra sinfonia sensoriale.
Aghi di pino, una grande foglia secca di nespolo.
La pupa la prende e la liscia: è vellutata, con tante venature radiali, e scricchia tutta quando lei la fa in tanti pezzettini. Tanto il nespolo ce l'avevamo già.




Guarda lì: ci sono dei tronchetti. Andiamoli a vedere più da vicino.
Cos'è qui? Senti pupa, com'è strana questa pellicola gialla che è nata sul tronco?
Cos'hai trovato? Un'altra melagrana?


Bastoni accatastati, foglie secche, che frusciano sotto i piedi, aghi che pungono le mani, resina che le impiastriccia e le appiccica. La bimba apre e chiude la mano, sente "cic-ciac".



Sembra un libro per bambini. Un libretto educativo, di quelli cartonati, che ti insegna: alto, basso, secco, grasso, largo, stretto, chiuso, aperto.
Ma qui non ci sono parole da leggere e disegni da interpretare. Solo i segnali di una realtà multiforme, che a me sfugge, a lei no.
Io guardo le cose come mi è stato insegnato, secondo un ordine logico e gerarchico.
Lei guarda negli interstizi tra il selciato e trova cose interessantissime, che io non avevo visto,che io non avrei notato, che io non so collocare nelle mie categorie.


Esplora, scruta, individua, vaglia, saggia...



Trae le sue conclusioni: non adatto alla degustazione.
Ma può far parte del nostro esperimento sensoriale.
Come una cascata di sottili steli verdi attraverso cui passare.
Come soffici pennacchi piumati che danzano nel vento.





Ondeggiano e oscillano, si piegano, cambiano forma, si aprono, sembrano avere un movimento proprio, deliberato e volontario. Lo prendiamo?




E tu, cos'hai trovato?

Rose! Rose di legno! Bellissime, amore! E' la natura che imita se stessa!
E' un omaggio floreale di un albero artigiano alla sua amata?
Fiori che sanno di resina e non di polline.



Facciamo la musica trascinando i bastoni sulle grate di metallo, e battendoli sulle inferriate, e poi andiamo, laddove un lungo corridoio ci invita al cammino, a vederci vicino e poi lontano.


A capir che ciò che è dentro non è fuori, che non tutto ciò che vediamo può essere raggiunto, malgrado i nostri sforzi.



A raccogliere ancora profumi, da aggiungere al nostro minestrone virtuale, la giornata di oggi, il nostro libro-mondo.


Ciò che ci si offre e ciò che ci si sottrae...


E che aggiungiamo ancora alla nostra composizione sensoriale, alla nostra sinfonia simbolica, di odori sapori forme e colori, suoni e percezioni.


Il nostro minestrone improvvisato, fatto con quello che ci è capitato di trovare, come quando apri il frigo e cucini con quel che c'è.
La ricetta non è mia: la cuoca è lei. Lei che coglie meglio di me l'eccezionalità di ogni ingrediente.
Io vado spesso troppo di fretta, sono distratta, sbadata, e ho uno sguardo superficiale, mi perdo le note più sublimi della sinfonia. Lei assapora e apprezza ogni dettaglio, ogni sfumatura di suono.
Io annoto solo, e mi limito a prestarle le parole per trovare un ordine in questo tutto multiforme e sinestetico, a trascrivere i suoi gioiosi accostamenti, a decifrare il tumulto sensoriale delle sue scoperte.
E anche così non riesco a scrivere una ricetta più precisa e dettagliata di questa, approssimativa e aleatoria, del come viè viè.
E però vi assicuro che viene sempre bene, anche se mai uguale a se stesso, il nostro minestrone.
Anzi: il nostro Ninestrone!