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giovedì 8 ottobre 2015

Il criceto nella ruota.


A periodi ho la sensazione di star vivendo un eterno dejà-vu.
Della mia vita ho capito che ciclicamente ritorna su se stessa, si ripropongono le situazioni e le sequenze di eventi, e ciò che in questo mi risulta fastidioso è il fatto di non riuscire a sottrarmi a questo infinito ciclo, come se le mie scelte non dipendessero realmente da me, come se fossi soggetta ad un eterno fatalismo e come se in realtà niente cambi ne possa cambiare, malgrado il mazzo che uno si può fare.
Quello che di me ho a questo punto capito, è che a questo stesso ciclo sono soggetti i miei umori, e che a un periodo di grande positività, ottimismo, onnipotenza, ne seguirà prima o poi un altro di sconforto nero, di totale demotivazione verso la vita e che a nulla serve ricordarmi i grandi e piccoli traguardi raggiunti, le grandi fortune che ho e la mia gratitudine verso i doni della vita, in primis le mie figlie e bla bla bla.

lunedì 21 settembre 2015

Béc tu scùl.


Più di un mese che non scrivo e cosa è successo in mezzo?
In mezzo vita di ogni giorno.
Settembre è ritornato e ha portato con sé un autunno impeccabile, dei più classici e convenzionali che ci si possa aspettare: pioggia, raffreddori e foglie secche. Puntuale come non mai, in tempo per il rientro a scuola.
L'aria più fresca, la mattina, quando esco in bicicletta con le bimbe, mi fa rabbrividire i piedi nelle infradito, che mi ostino a non voler dismettere, forse perché l'alternativa nel mio ampio arsenale di calzature sono gli scarponcini di pelle imbottiti...

domenica 5 ottobre 2014

Tendenzialmente nuvoloso, con locali schiarite.

O alle offerte imperdibili da Mondo Convenienza.

E poi è arrivata la pioggia.

Pioggia a secchiate a lavar via l'ultimo ricordo di un'estate che non ha mai ingranato del tutto.
A lavar via strascichi di stagioni finite, indugi di infradito e zeppe, ti dà uno scroscione e ti rimette in riga.
Mette per te un punto.
Magari domani tornerà il sole e la strada sarà di nuovo tutta asciutta, si potrà andare ai giardini e sulle altalene, dovrò tornare a negoziare con mia figlia l'opportunità di andare a scuola col vestitino sbracciato, a bretelline, e la gestione dei pomeriggi tra passeggiate al parchetto e cartoni animati in casa.

giovedì 25 settembre 2014

Giardino d'estate.


Il bello di questa casa è la luce.
Questa è la casa in cui abitiamo in affitto, da quando ormai dieci anni fa la trovai per caso, dopo un mese di ricerche e altre 32 visionate, e ci venimmo a stare, io e il beduino.
Allora non feci caso a questa cosa della luminosità, eppure avrei dovuto.
Ho abitato per un anno in un piano terra, devastato dall'umidità, assalito dalla muffa; gli armadi ne erano pieni, i vestiti messi una volta andavano di corsa lavati, mai riappesi alla gruccia, o te li ritrovavi maculati di verde e nero indelebilmente; i panni stesi poi impiegavano giorni ad asciugare. Avevamo uno stretto cortiletto su cui non batteva mai il sole, chiuso tra le mura di casa e la recinzione che ci separava dall'appartamento vicino; lì l'umido ristagnava e il bucato rimaneva perennemente bagnaticcio. In quella casa arrivava un unico raggio di sole al giorno, in inverno; filtrava da un piccolo lucernario a mezzaluna sopra l'uscio di casa, poco dopo l'ora di pranzo, e batteva preciso sullo schermo del televisore, proprio quando mi sedevo in poltrona a guardare Dowson Creek. Poi era la penombra, sempre e comunque.

lunedì 16 dicembre 2013

Autunno radioso.

E' quello che si continua ad infilare a tradimento facendo breccia nella sfilza di giornate grigio-uniforme britannica, monocorde e sottoumorali.
E' l'autunno dorato. L'autunno luminoso. L'autunno acceso.
Fino all'ultimo giorno.


In questi casi, ecco cosa dovete fare, se le bambine non dormono nel primo pomeriggio come speravate di riuscire a far fare loro.

martedì 3 dicembre 2013

Killing the day-after-man.

L'uomo del giorno dopo è previdente.
E' quello che si anticipa il lavoro, quello del "prima il dovere", quello del "non rimandare a domani".
Costui o costei (poiché usiamo qui il sostantivo "uomo" non come accezione di genere ma di specie: l'individuo homo, rappresentante della specie umana), egli, o ella, dunque, preferisce rinunciare al momentaneo piacere effimero in vista di una più efficiente pianificazione del suo tempo futuro. Perché si sa che c'è sempre un futuro, o almeno si dà per scontato che sia così.

L'uomo del giorno dopo non posticipa mai le pulizie di casa, non aspetta all'ultimo giorno per pagare le bollette, né per compilare la dichiarazione dei redditi, e non si sveglia due giorni prima la data di scadenza di un concorso per presentare la domanda, costringendosi a fare i salti mortali per procurarsi tutta la documentazione necessaria con maratone all'ultimo minuto da un ufficio all'altro.
La burocrazia non lo spaventa.

mercoledì 30 ottobre 2013

Prendi una mattina per caso.

Per esempio dopo aver lasciato la grande a scuola.
Che ne dici se ce ne andassimo a spasso, io e te?
La piccola fatina rise e dimenò il capo, farfugliò qualcosa come a dire sì.
Lei nel passeggino, veicolo pensato al solo scopo di passeggiare, io tappeti di foglie secche sotto i piedi, e marciapiedi (strutture pensate al solo scopo di marciare a piedi).
Passeggiamo dunque.
Ottobre alle ultime battute ci concede una giornata inaspettatamente luminosa e dorata, una di quelle giornate classicamente autunnali, di quell'autunno che disegnavi a scuola, nei cartelloni appesi alle pareti dell'aula, con tutte le foglie colorate appiccicate. Qualcosa del genere.
In sostanza è stato bello.
Io, lei, e l'autunno, così, senza motivi particolari.
Perché non capita quasi mai che dedichi del tempo esclusivo a lei, a me e a lei.

venerdì 20 settembre 2013

Morte dell'estate.

L'estate muore in un autunno bizzarro.
In un autunno dolcissimo, avrei detto qualche tempo fa, prima dell'arrivo di queste piogge melancuniose.
Ora ci regala giornata piene di una luce dorata che investe chiome ancora frondose dei grandi platani che svettano sopra i tetti della città, nell'orizzonte della nostra terrazza.
Tanta poesia in questa morte d'estate, come in tutti i canti del cigno.
Ma comunque ne abbiamo avuto abbastanza, dell'estate dico.

Proprio non capisco quei tizi che ancora se ne stanno in spiaggia a prendere il sole di settembre che ci mostrano insistentemente al telegiornale.
Basta, è ora di voltare pagina.
Qui più prosasticamente parlando, siamo tutte in spirito di nuovo inizio.

mercoledì 14 novembre 2012

Oggi abbiamo scioperato.

Care maestre, non ci siamo lasciate intimidire dal vostro legittimo scioperare: abbiamo scioperato anche noi.
Sciopero dei pensieri tristi, sciopero delle logoranti giornate casalinghe, sciopero della stagione grigia e fredda che si appropinqua, accorciando sempre più le nostre giornate, costringendo le nostre menti in un giro di melanconia e inquietudine.
Ce ne siamo andate là dove nacquero fiori dai cannoni, a vedere i prati e gli alberi tingersi di colori caldi e accesi, a tuffarci nell'oro e nei fruscii di una mattina luminosissima, marezzata di bagliori crepitanti sotto i nostri passi.




Il parco giochi pullulava di bimbi abbandonati da maestre scioperanti molto arrabbiate con il loro lavoro, di mamme e nonne molto incacchiate con le maestre, di baby-sitter grate per l'extra ma annoiate e molto intente a spiluccare nei loro cellulari.
Dopo una breve dose di salta-salta, abbiamo preso la strada secondaria dei nostri vagabondaggi in sordina, lontane dagli schiamazzi dei piccoli studenti della nursery school of english, in perfetta divisa blu notte e distintivo (le loro maestre no che non scioperano, ecco quanto vale la pena di pagare una retta di mille e rotti euro mensili!) e ci siamo immerse nell'autunno .


Mimi raccoglieva foglie grandi e piccoli e me le portava: "Tieni, mamma, ti ho p'eso un mazzetto di poglie piccole!"
E io annegavo ansie e malinconie nella macchina fotografica, e per un po' mi è riuscito proprio bene.



Tanto da concedermi persino il lusso di un autoscatto...
La stagione che passa, un altro anno che se ne va, l'animo già nostalgico di quanto abbiamo ora, perchè sai che non puoi congelare l'attimo.


Quest'anno sono successe tante cose dentro e fuori di me, come tutti gli anni del resto.
Si è aperto con un viaggio difficile ed è andato avanti con scelte e cambiamenti altrettanto difficili, tra dubbi e rinunce più o meno volontarie e consapevoli, desideri irrealizzati che si sono lasciati sfiorare per un soffio di tempo, e poi si sono allontanati, irreversibilmente, e ora ancora incompiuta la necessità di trovare un assetto stabile, per me, per lei, per noi come famiglia.


La guardo giocare e divertirsi con poco e mi chiedo se saprò restituirle mai tutta la gioia e la bellezza che sa elargirmi. Mi chiedo se saprò renderla felice come vorrei, se le mie scelte non la danneggeranno, se mai potrò amare altrettanto un altro essere, per il quale in questo momento mi sembra solo di provare una certa stizza, per l'essere venuto a scombinarci le carte in tavola quando mi sembrava ormai di avere raggiunto la pienezza e la pace dei sentimenti.


Una città che amo e che non mi stancherei mai di rimirare, in tutti i suoi cantucci, nei pezzi di vita che sciamano intorno a me, nelle splendide giornate che inopinatamente a volte ci regala, nel suo essere sempre a portata di piede, di mano, d'occhio, nella quale ho a lungo immaginato di poter nidificare.


L'incanto dell'autunno, del calore che ancora ti sorprende, a tradimento, quando ormai l'estate appena trascorsa inizia a sembrarti esser stata solo un miraggio, nel susseguirsi delle ultime giornate uggiose.


Vederla esplorare sicura i suoi spazi, quelli in cui è cresciuta, sapersi ormai allontanare da me senza timore di perdermi, perché ormai ha capito che anche se la lascio, torno da lei.
Senza di lei non posso stare. Mai mai.


Andiamo a caccia di gatti, schivi, guardinghi gatti del giardino, come quando lei aveva un anno e imparava a muovere i primi passi, inseguendo felini fuggiaschi al grido di "Ga!"


E poi rientriamo a fatica nel quotidiano della nostra città, avviandoci per quelle strade a noi note che ci conducono verso casa.

martedì 16 ottobre 2012

Smaramba di pensieri (tra le righe: sindrome del nido).


Cielo in grande movimento.
Sole. Caldo. Pioggia. Acquazzone. Vento. Freschetto. Piumone. Afa. Zanzare. Boh.
Mi sveglia poco prima dell'alba un violento scroscione. Il mio pensiero va alle magliettine stese della pupa, in terrazza: pazienza. Poi alla bicicletta, esposta alle intemperie perché gli operai che lavorano all'appartamento del piano terra non vogliono che la lasci più sotto la tettoia; dicono che li intralcia nei lavori. Mah.
Mi alzo a fatica e così come sono (in pigiama, eh. Niente gocce di Chanel per me!) infilo il poncho impermeabile, le ciabatte e scendo a spostare la bicicletta, rischiando di ammazzarmi sulle scale bagnate, ché si scivola. E' praticamente buio e mette un po' di depressione. Non si capisce bene se il sole è già sorto o meno.
Raramente riesco ad anticipare le due sveglie feline sonore e tattili.
Un pensiero: lasciar dormire la pupa, che russa nel lettone col padre, mezza raffreddata e distrutta dalle scarpinate del giorno prima* e uscire per sbrigare alcune faccende che devo, che non avrei voglia, che preferirei rimandare, ma che devo.

(*In programma prossimo post sulle nostre gite domenicali, se ci riesco)

La maternità ha migliorato in me molti aspetti in cui ero prima assai carente.
Puntualità, rapidità di azione, organizzazione.
Chi mi conosce sorriderà di certo, pensando che non lo sono affatto nemmeno ora. Ma ora posso imputare gran parte dei miei insuccessi in questi campi alla di lei presenza, che ce la mette tutta per creare elementi di disturbo, per quanto è in suo potere.
Senza la pupa sono pronta in mezz'ora, lavata, vestita e colazionata, esco di casa con un'ora di anticipo rispetto al consueto, quando porto lei al nido, e sono di ritorno, a faccende sbrigate, all'ora in cui normalmente riesco ad uscire di casa.
Mi piace la città scintillante di pioggia, il cielo minaccioso che incombe sopra i Lungarni plumbeo, pesante, i colori più vividi dopo la lavata notturna, il sole che filtra di quando in quando creando spettacolari contrasti di luce.

E' un periodo strano. Come il cielo di questo ottobre fin troppo canonicamente autunnale mi oscuro e mi rassereno, altrettanto subitaneamente, mi abbatto per ostacoli tutto sommato ordinari, mi faccio coraggio e mi butto nell'ignoto con una discreta incoscienza, rinsavisco e muoio di strizza, crollo di stanchezza alle nove di sera, resuscito alle due di notte e non riesco a prendere sonno assediata da millanta dubbi e pensieri, ansie solo parzialmente razionali e problemi che in fondo a pensarci sono del tutto affrontabili, con la dovuta calma, mi riprometto metodo e efficienza diurni e poi mi perdo in tergiversazioni del tipo dovrei fare 'sta cosa ma siccome la sola idea di farla mi mette su un bel po' di ansia, magari prima faccio quest'altra, ritrovo a tratti la calma atarassica e mi sembra tutto perfettamente sotto controllo, mi mostro affabile, disponibile al confronto, diplomatica, fin troppo comprensiva e accomodante a tratti, esplodo di collere verso ignoti o verso noti in differita, rimugino risposte pronte non date in tempo, e quindi non pronte, ma tardive, in quanto tali inutili.
Chè non è la stessa cosa mandare un messaggino postumo dicendo, tipo: a proposito di quel che mi ha detto tre ore fa, ho pensato che la cosa più giusta sarebbe stata risponderle così:..."
Ormai è andata. Mi incazzo anche per l'immagine che proietto di me, affabile  e sprovveduta, docile alle manipolazioni, poi alzo la cresta e magari pecco un po' in presunzione e saccenza.
Non è così che vorrei, o che dovrei affrontare queste battaglie. Vorrei mostrarmi più calma, consapevole, riflessiva e cauta sì, ma non indecisa e titubante, determinata ma non in preda alla fretta e all'ansia.
Chè a me sembra proprio una battaglia questa estenuante ricerca di casa.
Una battaglia a tratti senza speranza.
A tratti mi sento così stanca, ma così stanca.
E getterei la spugna, sì. Chi me lo fa fare. Chi ce lo fa fare.
Ah, che senso di leggerezza, di libertà, al sol pensiero di non dover più combattere tutti quei duelli verbali, la diffidenza, il tastare il terreno, le mosse false, gli azzardi, le stoccate, la ricerca di un compromesso.... AH! Cazzo! L'ho detto! Ho detto quella parola! Compromesso!
Parola che da sola basta a mandarmi in fibrillazione.
Quasi quanto "mutuo", "notaio", "accatastamento", "visura catastale"... Aaaaah! Ma che è sta roba? Voglio morì!
Ricerco le mie onde Theta. Yuhù? Onde theta? Ci siete?

Hasuna una sera mi ha detto: allora, visto che tu non vuoi proprio venire in Libia potremmo vendere la macelleria e andare in qualche Paese tropicale, prenderci una casetta, aprire una piccola attività e vivere lì, senza tutti questi casini che ci sono in Italia.
L'ho guardato non capendo se stesse scherzando oppure no.
Era serio.

La verità è che a me piace vivere in questo porco Paese.
Non sono di quei topi che scappano quando la nave affonda, sono se mai di quei topi, se ve ne sono, che si rintanano in attesa che passi la tempesta, pronta a colare a picco con lei, con la nave in cui sono nata, che conosco, che amo, in cui mi sento al sicuro, a torto o a ragione, in cui ho progettato di navigare mari più limpidi, e chissà che non si riesca ad arrivare al porto sani e salvi, invece, non è mica detto che debba finire in un naufragio.
Io sono speranzosa. Ma allo stesso tempo tremo.
Oltretutto fa freddino e non trovo un pantalone che mi stia. Mi tocca andare in giro con variopinte gonne di cotone come una hippie fuori stagione.
Oh, accidenti alla panza accidenti!

Non volevo parlare qui di questa cosa della casa, ma i post su quanto è bella e simpatica la pupa e sui suoi librini stavano nauseando persino me.
Del resto dico di non essere scaramantica, ma in mancanza d'altro, uno prova tutte le strade.
Dicono si chiami sindrome del nido, e che sia colpa sempre dei soliti ormoni della gravidanza.
Voi ci avete capito qualcosa in questa smaramba?

domenica 30 settembre 2012

Alla ricerca del pupazzo di neve nel bosco in una giornata di metà settembre.

Non è uno di quei giochini in cui bisogna scrivere chi è lui, chi è lei, cosa fanno, dove come e perchè, passando ogni volta il bigliettino al nostro vicino di tavola, e alla fine viene fuori l'inetavitabile frase assurda di inequivocabile sfondo pornografico.
Ora vi svelo l'arcano.
Il pupazzo di neve in questione è identificabile in un essere umanoide di colore blu con la testa a forma di fagiolo le cui capacità verbali sembrano limitate all'emissione di un unico suono, simile a quello che potrebbe produrre un fischietto per bambini, di quelli presenti in certi pupazzi di gomma morbida (tipo: SQECK! poniamo).

Il nome originario del nostro, indagando ho scoperto essere Iggle Piggle, ma noi lo conosciamo sotto le spoglie del suo adattamento arabofono Juju, ideato per la tv di lingua araba che la pupa è solita seguire insieme al padre la sera (unica attività che i due, padre e figlia, svolgono continuativamente insieme, e che quindi mi guardo bene dal censurare, anche perché li fa felici entrambi, e a me consente di svaccarmi sul letto e quivi collassare, oberata dal peso della giornata appena trascorsa, almeno finché Lei non viene a tirarmi fuori dalla mia trance per iniziare i terribili rituali della SUA nanna).
Intanto per la pupa continua ad essere semplicemente: Il-pupazzo-di-neve, e a noi va bene così.

Insomma, questo il cast al completo dello show televisivo da sempre più seguito dalla pupa, almeno dai 10 mesi in poi (mi pare esista anche su qualche rete italiana per bambini, ma non chiedetemi quale essa sia), e questa l'ambientazione delle loro mirabolanti quanto incomprensibili avventure quotidiane, un verdeggiante bosco di altifusti brulicante di inquietanti e grottesche creature:


Nell'ordine, nella versione da noi conosciuta: Nadif, affetto da sindrome OC e sempre indaffaratissimo a tirare a lucido qualche pietra; Juju, the protagonist; i tre Dumia Muthika, stupidi idioti che vivono dentro un grosso "coso" verde con le mutande sempre appese fuori ad asciugare e passano il tempo ad eseguire lunghissime nonché noiosissime performance musicali, perché lì dentro hanno un intero arsenale di strumenti; last but not least Reihana, la pupazza più amata dalla pupa, che suole andarsene in giro trascinandosi dietro il proprio letto, nel quale non manca di infilarsi a fine puntata, come a dire: lo show è finito, buona notte!
Insomma, è questo il fantastico Bosco dei sogni, signori! Come permettere a vostro figlio di perdersi una chicca del genere?
Tutto ciò per spiegare solo come mai la pupa, quando un paio di domeniche fa l'abbiamo portata in questo posto:


sia partita con le associazioni mentali (la somiglianza della location è spaventosa!) ed abbia deciso in maniera inoppugnabile che lei sarebbe andata a cercare il pupazzo di neve.

E visto che questo è un post strambo, di quelli che partono in un modo e finiscono in tutt'altra maniera, colgo l'occasione per dilettarmi in uno dei miei dilettanteschi esperimenti di collage fotografici.
Che iniziano così, con noi che decidiamo di andare a fare un pic-nic-grigliata, chè il tempo era bello e avevamo una coppia di amici in visita, di passaggio mentre andavano da Siviglia alla Romania, di passaggio si fa per dire, diciamo che hanno colto l'occasione di un ritorno da una vacanza per venirci a trovare dopo parecchio tempo che non ci vedevamo, ed è sempre bello, si sa, se solo le nostre organizzazioni non fossero sempre così caotiche, che partiamo carichi di roba semi-inutile e al momento clou ci accorgiamo di non avere l'accendino per fare la brace, e l'olio per condire e soprattutto il pane (cazzo Hasuna, ma te l'ho pure chiesto se dovevo prenderlo da casa, mi hai detto che l'avevate comprato! Ma io bensavo che l'avesse breso Ohlalà... Ma mi hai detto di non lo prenderé, perché sh'erà!...) Va be', sempre difficile capirsi quando si parlano quattro lingue in quattro e nessuno ascolta mai quello che dice l'altro...
Ma comunque è andata bene lo stesso eh!


Col beduino addetto alla griglia, io che scattavo foto, Mimi che assaggiava, le patate infilate sotto la brace ad arrostire, il bosco che faceva da colonna sonora e i franco-ispanici che non si risparmiavano dalle incombenze di cucina, e dalle chiacchere esilaranti in mistilingue, Mimi che chiedeva a tutti come si dice albero, shugiara, arbre, arbol e ripeteva con pronuncia impeccabile, chè sicuramente non ha preso da me la sua propensione per le lingue...



Poi ha deciso che aveva aspettato pure troppo, si è alzata decisa e ha detto: "Mamma, andiamo a cercare il PUPAZZO DI NEVE?" E per quanto pazzesca potesse essere la ricerca, come facevo a dirle di no?
Quindi, mollati gli altri, si va. Nel cuore del bosco (dei sogni!).

 

E cerchiamo, cerchiamo, e giriamo giriamo, e chiamiamo chiamiamo "Juju! Reihana!" A gran voce, ma nessuno risponde, e l'unico abitante che incontriamo è questo bacarozzo.


Ma lei è felice lo stesso, e ci chiacchera per una mezz'ora buona, lo stesso, chiamandolo nobilitativamente "scarabeo" e cercando di convincerlo a salirle sulla mano.
Poi ha trovato una scopa, e ha iniziato a pulire tronchi, da perfetta padrona di casa.

Solo che a furia di cercare, secondo me qualche indizio che il bosco fosse abitato da qualcuno è saltato fuori, come un'illuminazione, ecco là, la sedia nel folto del bosco!


E allora è partita la nostra maratona di sedute boschive, così:


A volte, come un segno divino, un'apparizione:


Altre volte mi hanno ispirato scatti di sapore un po' retrò, forse per via di quei rustici sedili da raduni elfici, forse per via della coloratissima maglia bislacca della pupa, che mi sa un po' di piccola figlia dei fiori, così scarmigliata e stratificata, d'altronde faceva freddino lassù, e non a caso il nome del luogo, Quattroventi, venti che ci hanno fruttato l'avvio a una serie di malanni catarrosi per i giorni a venire, malgrado la maglia e gli strati.



Ed è andata così, che questa ricerca infruttuosa di personaggi fantastici nel reale ci ha messo sulle orme di segnali di esistenza altrui, tutto sommato altrettanto irreali in un contesto così avulso dal quotidiano, che io alla fine ho potuto dire a lei che i suoi personaggi forse quel giorno erano andati anche loro, come noi, a fare una gita da qualche altra parte, ma eravamo pur riuscite a trovare i posti dove si riunivano per sedersi in circolo e chiaccherare un po', nelle loro lingue incomprensibili, fatte di squittii e trombette, da bravi pupazzi che sono.
E per quanto riguarda le sedie, l'ispirazione credo mi sia venuta da qui, chè le sedie poi, si sa, sono contagiose...

lunedì 5 dicembre 2011

Di tutto un po', alla rinfusa.

La pupa è in catalessi. Questa cosa capita una volta su trecentocinquantamila, e quasi sempre me la sputtano facendo puttanate.
Come oggi. Sarà la pioggia? Mia sorella diceva sempre, quando lei era piccola, che quando piove i bimbi dormono che è un piacere.
Lei dorme dall'una, e inizio a temere una notte di fuoco se il letargo non si interromperà a breve.
Per contro la mia connessione va e viene.
Tante idee da concretizzare, tanti progetti, tanti propositi da portare a termine, fuori e dentro il blog.

Quando potrei non lo faccio e quando vorrei non posso. Quando vorrei e potrei non riesco.
Vorrei per esempio parlare di lei, di come è, di come siamo diventate.
Rifletto sul passato e mi accorgo che divento deprimente, ed è l'ultima cosa che vorrei.
Ma è così: devo elaborare il mio difficile approccio alla maternità, per farlo, eviscerare il bagaglio di ansie e frustrazioni che mi porto dietro come unico ricordo nitido di quei primi faticosi mesi.
Perché poi? Non si può semplicemente andare avanti?
E a che servirebbe allora questo spazio?
Forse che ci devo scrivere solo stronzate, o bandire concorsi per accumulare record di visite?
No di certo.
Vorrei, potrei.
C'è chi lo fa splendidamente, si racconta e si analizza, per capire, tirare le somme.
Io ho diecimila post a metà e non so se finirli o cestinarli.
Ho iniziato cinque libri e di tutti ho letto solo le prime quaranta-ottanta pagine.
Troppo impegnativi i miei classici, e allora sbircio la libreria di Master e mi trovo nell'imbarazzante imbarazzo di dover scegliere tra Baricco e De Carlo, De Carlo e Baricco. Ahimè. Due agonie, per me. Due torture.
Meglio Baricco: almeno è breve l'agonia. No, ma questo ha 300 pagine, altro che breve. Potrò tollerare 300 pagine di stronzate e periodare frammentario, punteggiatura arbitraria personaggi insulsi e assurdi e storie campate in aria? Poi dici perché mi butto su internet e blog.

Tante cose rimaste nell'aria. Parlare ancora della mia città, dei miei viaggi. Ma il cielo è scuro e il tempo uggioso. Sorseggio una tazza di té beduino carico carico, al gelsomino, come il mio bagnoschiuma, regalo ancora non del tutto sfruttato del mio diventar mamma, in onore al nome della mia bambina, un piccolo fiore sbocciato in luglio, solare e prepotente come le estati più torride di quaggiù, e non le si addice il grigio di un dicembre che finalmente ci porta vento e pioggia.
A lei piace quando le canto "Nella pioggia", anche se la sbaglio sempre, e non immagina che l'anno scorso la addormentavo con quella canzone, sempre, a ripetizione nello stereo senza modalità "repeat" perché avevamo perso il telecomando, e allora correvo, ogni due minuti e mezzo, a rimettere indietro la canzone.
Ed è consolante constatare che una volta che parto funziono sempre, malgrado tanti giorni di inattività scrittoria, che non mi sono arrugginita, che basta fare andare il cervello, pure off topic. Si dice così, no? Senza una traccia predefinita, che ogni tanto funziona pure, anche se ho perso l'occasione di appuntarmi i geniali pensieri che mi balenano in testa nel corso della giornata.
E allora mentre aspetto riguardo le foto -un disastro- e le sistemo, le catalogo, penso di farci dei post, e le riunisco in cartelle, e sottocartelle, ma mi annoio, e smanetto con i programmi nuovi che ho scaricato, e che non so usare.
Dimenticavo. Che lei ora sa scendere da sola dal letto, e senza sfracellarsi la faccia. Si gira panza sotto e si lascia scivolare.
Eccola in piedi, con una risatina di soddisfazione mi chiama piano, di là dalla porta chiusa.
"Mamma! Mimi! Mamma! Mimi!" ripete. E cioè: "Mamma! Sono Mimi!" e che ridere mi fa quando crea queste sue prime frasi telegrafiche.
Ancora mi sorprendo a scoprire che formula dei pensieri tutti suoi, delle intenzioni comunicative non imitative, ma autentiche, come quando sgridava il bambolotto, ieri, perché si era messo le sue pantofole. Glie le avevo messe io, al bambolotto, per convincere lei ad infilarsele: "Se non le metti tu le metto al bebè." "No! Mimi!" e ha continuato tutto il pomeriggio a rimproverarlo: "Più! No!" (Non farlo più!")

La casa, l'inverno imminente, i gatti dentro e fuori la rubrica. La casa sempre affaccendatissima nel suo impegnativo compito di autodistruggersi, finché non ci crollerà addosso.
Ma un giorno ve lo racconto per bene, chissà se poi vi interessa, sapere che la lavatrice non lava più, non centrifuga più, e che io porto il bucato in lavanderia tutti i lunedì, dopo il nido. Sapere che la serranda in camera è crollata e che ora dobbiamo avvolgere la cinghia ai pomelli della mia cassettiera, così che posso attingere al mio vestiario solo a serrande chiuse e quel che cojo cojo. Sapere che la lampadina si è pure fulminata e malgrado i miei immani sforzi non sono riuscita a smontare la plafoniera per cambiarla, e così viviamo a luce di abat jour dalle cinque di pomeriggio in poi.
Va be', io in caso lo dico, così magari qualcuno si impietosisce e viene a darmi una mano, che io non ci sto dietro a tutto, e mi chiedo com'è che il tempo non mi basta mai per fare nulla anche quando non faccio niente.

Ecco, ti pare che appena mi metto a fare qualcosa di costruttivo lei non si sveglia? Che ci ha il radar, lei, per queste cose.
Pazienza. Vorrà dire: vi mostro i miei favolosi collage, frutto di un pomeriggio di non-connessione, in attesa che la mia bella si ridestasse dal suo sonno tanto fuori dall'ordinario.





martedì 8 novembre 2011

Roba da gatti: angeli e demoni [ovvero: salutami Mario. c.s.c. (ci siamo capiti)]

Novembre e le sue piogge interminabili, le notizie di alluvioni, i cielo grigi, la casa fredda...
Tutto ciò ci predispone alla coccola, alla ricerca di casa e di calore.
La pupa ha il suo personale angelo custode:


Ma dietro la finestra il Male è in agguato:


PS.
Nel caso il sottotitolo non vi fosse chiaro, leggete qui.

Roba da gatti, la rubrica del martedì.

Ah! PPS.
Mi scuso per aver saltato la roba da gatti martedì scorso, ma facciamo che Roba da gatti non va in onda quando il calendario segna festa, che se no finisce che diventa uno stress, e a dirvela tutta, sto iniziando a rompermi un po' le palle... ma non mi sembra lo stesso il mio blog senza.
Dovrei trovare un modo per poter disertare ogni tanto senza tradire le aspettative dei lettori affezionati, e permettere a chi volesse di postare anche in mia assenza (suggerimenti?).

Per ora vi segnalo due robe da gatti di martedì scorso, e invito come al solito chi volesse a lasciare il suo contributo qui di seguito.
La curatrice della rubrica (Suster).

Roba da gatti di:


venerdì 4 novembre 2011

Andamento lento.

Assaporo i ritmi pausati della mia vita provinciale dopo una settimana da infarto passata ad esaurirmi per le strade della Capitale, nonché mia città natale, ma insomma, ci sarà pure un motivo per cui undici anni fa me ne sono scappat ho sentito il desiderio di ampliare i miei orizzonti e tentare la sorte altrove.

Oh, poveri, poveri, davvero infelici cittadini della caotica, rumorosa, alluvionata metropoli, martoriata da black block e centri commerciali dalle mostruosi proporzioni, imbottigliati nel traffico, aggrappati ai vostri volanti rabbiosi ad inveire contro l'umanità tutta, condannati ad impiegare un tempo base di tre quarti d'ora solo per spostarvi da un quartiere a quello limitrofo, a girare come trenini Lima alla ricerca infruttuosa di un buco dove lasciare l'auto, e infine rassegnati all'evidenza di doverla mollare proprio lì, in terza fila a ridosso dell'incrocio, per un terzo col muso sulle strisce pedonali e per un quarto di culo sul passo carrabile.


Sì, dico a voi: non me ne vogliate. Io non son fatta per tutto ciò: impazzisco, entro in fibrillazione assai prima di trovarmici, solo all'idea dell'eventualità di trovarmici, sento montarmi l'ansia in gola dallo stomaco al pensiero di sbagliare uscita sulla tangenziale e ritrovarmi in chissà quale dedalo di straduzze residenziali periferiche, a tornare sempre sui miei passi, e per la paura di perdermi, mi perderò, per l'ansia di sbagliare manovra, la sbaglierò, per il timore di fare tardi, impiegherò un'ora in più a ripetere più e più volte sempre lo stesso percorso, mentre da destra e da manca mi strombazzano i cortesi automobilisti che, qualsiasi boiata facciano, perché qui vige l'anarchia stradale più totale, sbraiteranno le loro ragioni e i tuoi torti dalla fessura del finestrino appositamente abbassato per poterti schiacciare sotto il peso della loro arroganza.
E vedrai che le probabilità di generare un impatto sia pur lieve ma rognoso tra la tua vettura e quella di un pischello incazzoso che sosterrà di essere assicuratore e figlio di carrozziere sono assai più alte di quanto l'umana ragionevolezza possa consentire.

Ma io sono qui, ora, cullata dall'accento altalenante di altre genti, dallo sciabordio di un altro fiume, dallo scorrere di altri ritmi.

Ci coccoliamo al risveglio, porto lei nel lettone per gustarmi ancora qualche manciata di minuti di dormiveglia, mentre lei gioca alla "nanna", afferra il naso del babbo ronfante che tanto continuerà a ronfare fino almeno a quando noi usciremo di casa (non siamo di quelle femmine che vogliono a tutti i costi cambiare gli uomini, noi. Gli vogliamo bene lo stesso!)

Percorriamo le strade della città sulle note delle nostre sigle sceme, tra il fruscio delle foglie secche sotto le ruote della bici. Il sole di novembre ci bacia. Avere il cielo sopra la testa, l'aria sulla faccia, la strada sotto i piedi. Godere dei colori dell'autunno.

Lascio lei al nido, che piange sempre , ma poco. Mi aggiro leggera per il Corso, a piedi. I passanti sono ancora pochi, a quest'ora del mattino. Un anziano suonatore di violino siede su un piccolo sgabello in mezzo alla via. Peccato non ci sia lei a sentirlo suonare.

E' strano girovagare senza la pupa. Constatare che quindici minuti son stati sufficienti ad espletare le mie commissioni. La fila in comune per la consegna del censimento. Buon giorno e arrivederci. Evitare i venditori scassapalle della Mondadori (posso farti una domanda? Ultimo libro letto?) e quelli di Africa Insieme coi loro libri assurdi su ricette improponibili e leggende inquietanti del Senegal, di cui già ho piena casa.

Medito sull'eventualità di utilizzare parte del mio tempo girando negozi e vetrine.
La mattinata è infinita avanti a me. Posso fare un sacco di cose, con calma, con tutta la calma che posso.
Constatare che pure il negozietto ove un tempo accattavo vestitini di mezza stagione a 4 euro, ora esige un cospicuo sacrificio delle mie finanze a suon di ventisette, e pensare che in fondo non mi serve niente di urgente.
Ritrovarmi fuori posto nel bijoux shop che in passato mi vedeva rifornirmi di orecchini pendenti di ogni foggia.
Accorgermi che il luogo in cui in tempi remoti mi maceravo nell'impossibilità economica di attingere contributi per il mio guardaroba sembra esporre articoli più adatti a una squinzia diciassettenne che a una giovine madre sulla trentina.
Chiedermi se sono io che ho cambiato gusti nel frattempo, o il comune senso estetico corrente.
Vagliare l'ipotesi di immolare i miei 7, 90 euro contanti nell'acquisto di un mascara in offerta.
Decidere che non ne vale la pena.
Apprezzare la mia immagine riflessa in vetrina inaspettatamente di mio gusto.
Sorprendermi a fare pensieri da donna e ricacciarli nel fondo dell'insondabile e dell'indicibile.
Constatare che girare scosciata in vestitino di lana fantasia e pantacollant turchesi oggi detti più comunemente leggins fa scomparire a un tratto dal lessico delle commesse il "lei" e la "signora", e ritornare alla ribalta il "ciao, posso aiutarti?"
Smetterla di gingillarmi e capire che tanto non fa per me lo shopping.

Passare a trovare un'amica se mai, chiacchierare di fronte a un caffè e un biscotto, rifiutando caffè e biscotto, ma poi accettando il biscotto.
Cercare per pupa la mantellina impermeabile e gli stivali da pioggia.
Ammettere a me stessa che il tunnel del baby shopping lungi dall'essere indice di incondizionata dedizione materna è solo l'ultimo approdo del narcisistico autocompiacimento consumista, ma chiudere un occhio e, sì, prenderle anche quel fantastico ombrellino con le fragole...

Rendermi conto che non ho con me il telefono, porca zozza! Che mi sia caduto per strada?
Tornare verso casa perdendomi nel contrasto cromatico piombo e oro, muovendo l'occhio tra cielo e terra, quando dovrei tenerli fissi al suolo, a scrutare tra il fogliame se per caso ci fosse il mio cellulare.
Pensare con una certa emozione a un appuntamento inatteso.

E in tutto questo ho ancora un sacco di tempo davanti, gioia delle gioie!
Mi perdo nell'andamento lento dei miei movimenti e nell'indugiare dei miei pensieri, sopraffatta da tutto questo improvviso giallo a cumuli, ne raccolgo un po', per regalarne anche a chi mi segue.

Ah! Ho giocato un Superenalotto. Credo che vincerò: la mia vita potrebbe cambiare tra poco, credo.
Pensavo che duecentomila mi sarebbero bastati, ma fatte alcune considerazioni, il casale rustico che acquisterò per il mio B&B avrà bisogno di ristrutturazioni serie quasi sicuramente. Se proprio devo vincere, meglio stare tranquilli: facciamo cinquecentomila. Non di più che poi mi monto la testa.
E se invece non vinco va bene uguale. In fondo non mi dispiace la mia vita anche così. E sai che palle combattere con calcinacci e traslochi?










giovedì 3 novembre 2011

Tutti insieme affezionatamente...

Rientrate alla base dopo faticosa parentesi romana, riordino le idee e i pensieri, recupero i ritmi e le abitudini e metto mano ai propositi lasciati a mezz'aria.
Oggi volevo illustrare il mio regalo di compleanno (ancora?) da parte del beduino.
Regalo spontaneo e inaspettato:
- Ciccionismo cosa vuoi che ti regali per il combleanno? Scusa ma non so brobrio che fare e non ho mai tembo per bensarci.
- Ma niente, Hasuna, che mi vuoi regalare. Guarda, vuoi farmi contenta? Perché non ce ne andiamo da qualche parte, io, te e la pupa, che è un bel po' che non ci facciamo un giretto insieme, eh? Mi porti a San Gimignano?

Poi il regalo di compleanno ad uso e consumo strettamente nuclear-familiare, a  causa di improvvisa imbucata quasi a sorpresa di mamma e fratelli augurali, si è trasformato in un'allegra scorribanda cumulativa autunnale per le strade dello splendido comune della Val d'Elsa, che ora vi illustrerò, per vostra gioia e sommo gaudio degli occhi e della mente.

Il nostro viaggio parte da qui: apre le danze una leziosissima pupa in rosso e ciuccio:


Pronti, partenza...



Non so voi, ma ci sono alcuni particolari che a Suster colpiscono l'occhio, in qualsiasi posto lei vada, particolari che non riesce ad esimersi dall'immortalare, perché chissà cosa suggeriscono alla sua psiche contorta, o forse solamente coccolano il suo capriccioso senso estetico.
Non ci vuol molto a capire quali essi siano, a giudicare dai suoi scatti...

Una di queste categorie è senz'altro quella delle porte...



Porta aperta per chi porta, diceva un vecchio detto...

Ma poi ci sono i tetti, i cornicioni, i sottarchi, le trifore, i contrafforti, i costoloni...



... le finestre, gli archi, le aperture su un cielo azzurrissimo!


Le fessure, le strettoie, gli spiragli, i pertugi, gli spazi angusti, il sovrapporsi reiterato di architetture in rapida successione, strette strette, vicine vicine quasi a ripararsi dalle raffiche di vento sferzante, che spazza le strade e i vicoli della città, tutta arrampicata in cima al suo bel poggio, che coglie di sorpresa gli incauti visitatori sguarniti di adeguate palandrane, raminghi per le vie, cercando un posto ove entrare a mangiare, subissati dalla calca umana del turismo domenicale, che non si placa nemmeno in una giornata di ottobre oramai inoltrato.

E allora vagare per le vetrine agghindate a catturare l'occhio bramoso di facoltosi vacanzieri transalpini...





Un allestimento shickosamente rustico dà sfoggio a un arsenale alimentare tutt'altro che islamico, in cui fa bella mostra un sussiegoso cinghialotto imbalsamato che affascina in particolar modo la più piccola del gruppo, che si perde con lo sguardo tra le mille meraviglie di questi antri incantati.





Torri svettanti e racchiuse entro cornici cuspidate, balaustre smerlettate e architravi orlati di pizzi marmorei traforati: con che nobile eleganza la città ci invita  ad ammirare i suoi gloriosi trascorsi, e a percorrerla, rapiti, naso in aria, a cogliere l'accavallarsi degli elementi architettonici.



Quel che rimane oggi è un brulicare contino e incessante di umanità affamata di prodotti tipici e angolini pittoreschi da immortalare, per poter dire: ecco, ci sono stato.
Eppure, come resistere?


Di fronte all'ingresso della gelateria che espone sotto l'insegna l'avviso: "Qui il gelato campione del mondo", una coda di alcuni metri di gente assiepata farebbe passar la voglia al più accaldato viaggiatore agostino in astinenza glicemica, ma mi chiedo come si possa desiderare di ibernarsi labbra e palato con questo vento gelido crudele fustigatore di oggi, e come poi accettare di fare una fila simile solo per accattarsi un gelato che, diciamocelo, sarà pure campione del mondo, ma in cosa mai potrà essere migliore di qualsiasi altro gelato artigianale già assaggiato in vita tua?



Noi di certo non ci fermiamo. Non è tempo di gelati questo. Di fatti la gelateria successiva è deserta, per quanto assai più caratteristica la vetrina.

Una piccola viaggiatrice si aggira per le vie scoscese dell'antico borgo...



Gira che ti rigira, una terrazza al sole dove fermarsi a consumare una fugace pizza tonda e mezza, da dividere in cinque e mezzo.




Gnam gnam...


Attimi di relax. Molto freddo, poca pappa...


Risultato: molta fame residua!


Solo lei pare soddisfatta, e parte col suo show:


Pretendendo applausi entusiastici.

Un attimo voyeuristico di intrusione nella vita altrui: ciabatte stese ad asciugare. Come resistere?



E sulla soglia di casa il riassunto feticista dei suoi abitanti.


Dettagli preziosi, e le nostre sagome in controluce che proseguono il cammino, nell'istante in cui cedo la macchina fotografica.



Un ultimo saluto alle tue torri svettanti, così diverse, così uniche, così gloriose, malgrado gli alberghi di lusso che oggi si sono annidiati nel loro seno; un ultimo sguardo alla campagna senese sotto di noi, dall'alto del belvedere.




Un ultimo omaggio alla bellezza nascosta nei tuoi angolini, nei particolari minuti del tuo quotidiano...



Scoprendo tra le pieghe della tua storia, i segni di una vita attuale, fatta di oggetti di tutti i giorni.



E va bene, mi avete scoperto! Panni stesi: un'altra fissa di Suster.
Sarà che mi stupisco sempre di come rivelino un'intimità tradita agli occhi del primo estraneo di passaggio, tangenziale e fortuito nelle vite di chi invece qui dimora.

Vi lascio con un'immagine enigmatica: e questo cos'è?


Chi indovina vince un paio di mutande immortalate a San Gimignano.