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martedì 11 febbraio 2014

Manuale d'istruzioni per auto (quasi) d'epoca. Ovvero: la nostra Fiesta non deve finire.

Da quasi due anni possediamo una splendida Ford Fiesta Color verde-acqua marina, colore che a Mimi piace molto, e anche a me, non proprio di seconda mano, stando al libretto di proprietà, quanto piuttosto di sesta, anno di immatricolazione 1994, e per quanto riguarda il prezzo di acquisto, diciamo che l'ultimo proprietario aveva urgenza di svuotarsi la rimessa ove tale gioiello giaceva da alcuni anni pressoché inutilizzato.
Potremmo anche dire che, se non ci ha pagato perché ce la portassimo via, poco ci è mancato. Ad ogni modo possiamo ancora dire che l'autoradio che il Beduino ha avuto premura di installarvi prima ancora di fare il passaggio di proprietà, sopravanza il valore dell'intero veicolo all'infinito, se la matematica non è un'opinione, e se è vero dunque che zero per tutti è sempre zero.

Diciamo ancora una volta che in pratica abbiamo acquistato lo stereo per l'auto, e in seguito, ci siamo procurati un'auto in cui installarla.
Ma bando alle smancerie.

mercoledì 17 aprile 2013

Presentazioni.

Come al solito sono una gran cafona.
Mi capita sempre, eh! Che quando sono in compagni di qualcuno, tipo di un amico, e incontro qualcun altro, tipo un altro amico, e i due non si conoscono, mi fermo magari a parlare mezz'ora, e solo dopo aver chiaccherato amabilmente tra loro, ignorando i reciproci nomi e ruoli, i due alla fine si rassegnano: "Io comunque sono Tizio..." "Piacere, io sono..." Perchè io puntualmente non li presento.
Non lo faccio con cattiveria, né per gelosia, né per altro sentimento malevolo, sia chiaro, ma solo per rincoglionimento.
E cafonaggine aggiungo.
Ci credete?
Beh, chi vuole crederci lo faccia.
Tutto ciò per dire che l'ho fatto anche stavolta: ho saltato le presentazioni, e sono passata subito alla fase successiva, quella dei miei post sfasati in cui elenco a casaccio persone ed eventi dando per scontato che uno li debba conoscere.
Diciamo che l'ho fatto per esigenze di tempo, e mancanza di concentrazione necessaria a scrivere un post decente di presentazione, e mancanza di coordinazione bioritmica delle mie due pargole, che mi hanno reso assai difficile il proposito di dedicarmi seriamente a queste pagine...
Ma la faccio finita, ché se no non concludo nulla neppure ora, e ci provo, a fare una presentazione come si deve, anche se mi sento molto fuori allenamento, e se non dormo sodo una notte di fila da un po', e anche se nel frattempo tendo l'orecchio ai rantoli di lei che provengono dalla carrozzina accostata qui a fianco, quella che fu di Mimi, e che ora circola di nuovo per casa, inchiodandosi contro stipiti di porte e incastrandosi tra il tavolino di legno dove Mimi realizza le sue opere d'arte e il cumulo di scarpe di Hasuna, incarnando i desideri più irrealizzati dei gatti, che puntualmente ci riprovano, a farne il loro giaciglio, ma vengono malamente dissuasi e frustrati in questa loro inconfessata aspirazione.

L'abitante della carrozzina.
Colei che ha fatto saltare tutti gli equilibri umani e relazionali di questa casa, probabilmente spingendoci a migliorarli, e comunque rendendo necessario un ridefinirli.
Colei che ha reso urgente un ennesimo resetting delle nostre vite, e anche un parziale refreshing abitativo, ancora in fieri per la verità, portando ancora una volta sull'orlo del baratro esistenziale la mia autocoscienza, costringendomi a cercarmi in una nuova identità, perché in quella vecchia non riesco più a riconoscermi, e quella che sono ancora non so... e tu che pensavi che ormai il grande salto l'avessi fatto quando sei diventata mamma la prima volta. E invece eccoti qua ancora che stenti a raccogliere tutti i fili, spiazzata dalle tue emozioni, disorientata da una vita che non c'inzerta più con quella vecchia, con i ritmi che avevi preso, con i tempi e le cose che facevi per riempirli, con i tuoi propositi a breve e a lunga scadenza.
Tergiversi, intanto, e ancora non hai iniziato a parlare di lei, ma solo di te, e ancora una volta sei scivolata dalla prima alla seconda persona, nel riferirti a te stessa, indizio evidente del tuo attuale smarrimento d'identità...

La prima volta che l'hai vista hai pensato: "Ammazza, che capoccia! E ci credo che mi so' fatta un mazzo tanto per farla passare da lì sotto!" Più o meno, ma la prima frase l'ho proprio pensata para para: "Ammazza che capoccia!"
La prima cosa che ho visto è stata la sua capoccia, bella tonda e liscia di capelli neri, ben spartiti a ciocchette sulla fronte, paonazza per lo sforzo o forse per la contrarietà di esser stata così brutalmente sfrattata dalla sua conca di comfort e oblio, bruscamente espulsa in un mondo fatto di stimoli per lo più fastidiosi, e mani che ti prendono, e luci che ti abbagliano, e voci che ti confondono...
Poi me la sono presa con calma e ho provato a conoscerla meglio.
Ho scoperto che non era semplicemente un doppione di sua sorella, l'incarnazione inquietante di un mio deja-vù esperienzale, un temporaneo lapsus della memoria.
Lei era una persona nuova, con sue attitudini e peculiarità caratteriali già parzialmente definite, evidenti all'occhio di una mamma, sia pure la più rinco, quale io mi ritengo, almeno quanto evidenti sono le differenze che ho riscontrato nella sua fisionomia, che a un primo sguardo mi richiama tanto quella di Mimi neonata.
Le orecchie tonde anzicchè a punta, da elfetto, come le aveva Mimi, le ciglia sottili e quasi invisibili, le guance e la pappagorgia da bambolotto pacioccone, contro la precisione miniaturistica dei lineamenti fini di Mimi, che sembravano dipinti dal pennello sottile di un artigiano sul volto impeccabile di una bambolina di porcellana...

Lei spalanca strani occhi grigi e senza ciglia e ti scruta seria, ché sembra ti interroghi, o forse solo che cerchi di capire il senso del tuo stare là, e del suo stare qua, o forse solo che ti dica: "Eccomi, conosciamoci. Tu sei mamma, giusto? Io sono quella della pancia, quella per la quale hai già perso tante notti insonni, che ti ammaccava le costole, che ti costringeva lo stomaco trasformando in bruciori e reflusso ogni tuo pasto, e finanche il tuo più esiguo spuntino. Sono quella che sentivi gli ultimi tempi traslocare da un lato all'altro del tuo utero con grandi stravolgimenti di addome. Sono quella. Mi riconosci? Io ti riconosco."
Perché quando lei ti guarda ti senti riconosciuta, e quasi sgamata.
E rimani a chiederti cosa mai starà pensando dietro quella fronte aggrottata, quando poi alla fine socchiude gli occhi e la vedi che medita, medita, talvolta appoggiando la mano al mento, ché lei, signori, è una gran pensatrice, oltremodo riflessiva, una filosofa, forse, chissà. Medita e gesticola, che pare stia provando tra sé un'orazione, atteggiando il volto a una serie ininterrotta di espressioni mimiche di rara intensità.

Lei per lo più è tranquilla, e raramente si lascia andare a scenate isteriche o ad immotivati explois vocali. Non sbraita, pigola. Protesta al limite, se è contrariata da qualcosa, soprattutto se le sue rimostranze vengono a lungo ignorate.
Per esempio detesta stare nuda. Ma è paziente, e aspetta di venir spogliata, cambiata e lavata all'occorrenza. Collabora perché ha capito che è un fastidio a breve termine. Perde la pazienza solo se la cosa si prolunga più del dovuto.
Si gestisce abbastanza in autonomia in fatto di mangiare e dormire. Ha imparato presto e bene  l'utilizzo e il funzionamento della tetta, è paziente e si impegna a fondo quando non si ritiene soddisfatta del rancio, senza inutili proteste e rimostranze, allora, si concentra e ci dà giù di suzione con una costanza e un'energia ammirevoli.
Dura cosa la lotta per la vita: procurarsi il cibo è un lavoro che sfianca, e non parliamo della digestione... e dell'evacuazione! Eppure lei dimostra anche qui un non comune stoicismo nell'affrontare le rognose coliche neonatali. Un po' di lamenti, qualche ué-ué, ma poi la vedi al pezzo, concentrata, determinata, focalizzata sul problema, aggrotta le sopracciglia e... parte lo scorreggione. E poi relax.

Non ha preferenze in fatto di musica, ma non le piace il silenzio. Per ora dimostra di apprezzare molto melodie soffuse, flauti irlandesi, arpe new age e tollera fin troppo le strida e gli schiamazzi della sorella maggiore, che non ha alcun riguardo per i suoi stati di sonno o di veglia. A quanto pare ama la compagnia, e non disdegna le occasioni di vita sociale.

Pare proprio non abbia difetti... se solo dormisse un poco di più la notte!

Signori e signore, ecco a voi: Rania.



martedì 25 settembre 2012

Indovina chi arriva a casa?


Credo sia giunto il momento di parlarvi di Lia.
Non è il caso di procrastinare oltre: il momento è vicino. Lo annuncia da quasi un mese, minaccia di trasferirsi da giorni e continua a caricare su e giù dalle scale di casa pacchi di vestiti, coperte o pentolame, a seconda della necessità. Prima le porta qui, poi si accorge che le serve qualcosa e se la viene a riprendere. Ma con tutto ciò ancora non si è decisa a compiere il grande passo.
E un po' ne sono anche sollevata, per carità.
Ma facciamo un passo indietro: chi accidenti è mo', 'sta Lia?
Avevo detto che al posto di Master, nella camera accanto sarebbe arrivata un'altra inquilina.
Beh, non era un modo per annunciare facendo la vaga l'arrivo del nuovo pargolo (che poi ancora non sappiamo se sia una pargola o un pargolo), è che non avevo il coraggio di pronunciare il temuto sostantivo trilittere, un po' come fanno i personaggi di Harry Potter con Tu-sai-chi. Ecco, una specie. Un esorcismo, se vogliamo.
Tenete bene a mente l'immagine che ho scelto per illustrare simpaticamente questo post di sì ardua realizzazione.

Lia è al momento l'inquilina del piano terra del nostro palazzo.
Per ragioni logistiche il p.d.c. (padrone di casa) ha ben pensato, data una sua necessità di liberare quell'appartamento, di traslarla qui da noi, visto che il soggetto in questione risulta da alcuni anni alquanto moroso nei suoi riguardi.
Dunque. Chi ha il culo la fortuna di conoscermi personalmente ed è venuto almeno una volta in vita sua ospite anche solo per pochi minuti nella mia attuale dimora, sicuramente si sarà imbattuto in LIA, salvo eccezionalissimo caso di assenza del personaggio dal proprio consueto punto di osservazione, ovvero la finestra del pian terreno di fronte alla quale tutti i giorni almeno due volte al giorno sono costretta a passare ogni volta che esco o faccio ritorno alla mia abitazione.
Chi non si è imbattuto i LIA almeno una volta? Eppure: chi realmente può dire di averla vista, chi potrebbe descriverne la fisionomia, non dico con dovizia di particolari, ma anche solo approssimativamente, dire per esempio come ha i capelli?
Ve lo dico io: quasi nessuno in questo universo.

Come è possibile?

Di Lia si conosce solo la voce; una voce che non manca di interpellarti ogni qual volta ti venga la malaugurata idea di cacciare il naso fuori casa, anche solo per andarti a raccattare un paio di mutande che ti sono cadute dal filo del bucato mentre le stavi stendendo o ritirando.
Per dirla tutta, Lia è una gran scassaballe (vedi immagine), che non ha chiarissima l'idea del limite che intercorre tra i fatti propriamente suoi, e quelli del resto dell'umanità.
Ma per quanto riguarda l'immagine, in effetti potremmo dire che Lia la occulti bene, al di là della zanzariera della finestra perennemente aperta, perché, notte o giorno che sia, l'unica fonte di illuminazione che emana dall'interno della casa è quella proveniente dallo schermo televisivo perennemente acceso. Quindi, poiché il colore della pelle della nostra tende più alla tenebra che alla luce, potremmo dire che la sua sagoma si mimetizza bene in quella semioscurità, un po' come quella barzelletta razzista vecchia di secoli del nero che si morde le dita mentre mangia cioccolata di notte, o come cavolo era, boh.
Insomma, chiunque si sia avventurato in casa mia da che abito qui non può sicuramente affermare con decisione che Lia sia qualcosa di più dalla mera essenza vocale, poiché di lei non si riesce a scorgere mai molto più che una mano, che si allunga sotto la zanzariera di quando in quando per salutare la pupa che passa o per riscuotere pedaggi di varia natura (leggi: mi lasceresti una sigaretta/presteresti 10 euro/mica hai un po' di zucchero/caffè/un uovo/un biglietto dell'autobus e chi più ne ha ne metta).

Fin qui andrebbe pure bene, se la nostra prode non fosse anche una dannata impicciona e pettegola (vedi foto sopra).
Non una petulante vecchina del Maine, ma una placida matrona etiope intabarrata in ampie vesti colorate, spesso alle prese con hennè e treccine, molto spesso con elaborate preparazioni di pietanze esotiche, ma lei sostiene di non mangiare che un'insalata al giorno, e che però ingrassa lo stesso per via delle preoccupazioni (va be', trovatemi una persona sovrappeso che affermi di esserlo per colpa di quel che mangia e non per disfunzioni tiroidee o per metabolismo lento).

Lia è per riassumere in breve, colei che non manca mai nella vita di qualsiasi madre alle prese col suo adorato frugoletto: colei che su tutto sente l'impellente urgenza e il dovere morale di dire la sua, per quanto discutibile essa sia.
Ne abbiamo tutte una: c'è chi ha la suocera, chi l'amica impicciona, chi la vicina di pianerottolo, l'amica di famiglia, la donna delle pulizie... io ho LIA.

Lia è quella che il giorno in cui, io sofferente con un'ottava di tette, un ingorgo mammario da paiura, e una pupa neonata indiavolata e affamata, ha avuto il coraggio di dirmi:
- Ma perchè piange questa bambina?
- Eh... ha fame! (Io reprimendo gli istinti omicidi).
- Ma cosa dici! Lo sai: i Bambini piccoli NON HANNO MAI FAME!
- ... (E che le devo dire secondo voi?)

Lia è quella che quando la pupa stava mettendo i primi dentini (e per inciso, non ci faceva dormire) mi ha edotto sul motivo per cui la piccolina producesse tanta bava:
- Hai visto? Sbava.
- Sì, lo so: sono i denti.
- No, non lo sai. Non sono i denti: è che non le devi dare il ciuccio!
- ... (Ah!)

Lia è:
- Ciao, principessa! Fammi vedere le manine. Guarda qui che unghie sporche che hai! Ma non te le pulisce le mani mamma?
- ... (Ora la uccido)

Lia è:
- State uscendo?
- Ehm... sì.
- Ma dove la porti con questo freddo/questo caldo/ questo vento/questo sole/così tardi/così presto, o,(se non ha niente di meglio da obiettare) sempre in giro? Una bambina piccola deve stare a casa.

Oppure Lia è:
- Ssssh! Mimi, fai piano o ci scopre!
- State uscendo?
- (Uff!) Sììììì...
- Fammi vedere come ti ha vestito mamma? Ma quella giacca non è troppo pesante/troppo leggera/da maschio/troppo grande/troppo piccola? Oppure: Perchè non le hai messo le scarpe chiuse/i sandali/i calzini/o perchè glie l'hai messi/la sciarpa (magari a maggio)/il parasole?

O ancora:
- Mimi, stavolta facciamo piano che svegliamo LIA se no...
- State uscendooo???
- (Ma vaff...) Sì! Sì! Sì!
- Dove andate?
- (Ma che te frega?) A fare un giro...
- Andate al supermercato?
- No! (Mentre scappo).
- Puoi prendermi (articolo a caso), poi ti dò i soldi?

Insomma, voi, illusi, non credete di passarle inosservati. Non si scappa. Punto.
Pensate che Lia non dorme. NON DORME!
Cioè: è peggio di Cerbero, il guardiano degli inferi con cento occhi: lei ne ha solo due, ma NON LI CHIUDE MAI!
Tipo che se una volta per caso ci capita di rientrare verso mezzanotte da una cena con amici, lei...
- Siete tornati? Dove eravate con la bambina A QUEST'ORA?

No, ma non scherzo, lei dorme sì e no due ore a notte, e se non ci credete chiedetelo a lei:
-No, io non dormo mai: massimo massimo due ore, non sono mai stanca. E' per questo che guardo tanta televisione. L'altra notte non riuscivo a dormire e allora sono andata a fare un giro alla stazione alle 4 di notte. Oppure: sono andata a cercare lavoro alle 5 di mattina...

Sì, perchè poi Lia è perennemente in cerca di lavoro.
Non che non ci provi, poveretta, e su questo, devo dire, è abbastanza sfigata, e giusto per la solidarietà che intercorre a volte tra sfigati ancora mi sforzo di tollerare le sue frequenti ingerenze nei cazzi miei (Ieri non hai ritirato la posta! Chi è quel ragazzo che vi è venuto a trovare domenica? Ho visto che hai ricevuto un pacco...)
Dunque, Lia, visto che tanto la notte non dorme mai, lavora come badante, in genere.
Solo che l'ultima vecchietta con cui ha lavorato una volta l'ha chiusa nel cesso e si è rifiutata di aprirle la porta per sei ore... dai, non ridete! Lo so, anche a me fa ridere un sacco questo racconto, ogni volta che me lo ripete (Bwahahahahahaha! Scusate, mi è scappato!). Ma è anche un po' tragico.
In pratica la povera anziana era convinta che Lia la volesse uccidere, e così l'ha chiusa nel bagno, mentre da fuori la insultava pesantemente e minacciava di chiamare la polizia.
Alla fine la povera sventurata ha avuto un'alzata d'ingegno, forse dettata dalla disperazione. Le ha detto: è vero, voglio ucciderti, ho qui un coltello per tagliarti la gola. Forza, chiama la polizia!
La polizia è arrivata e Lia è stata liberata, ma... congedata (il mondo è ingiusto con le classi subalterne), con tante scuse da parte dei figli della vecchia paranoica, ma intanto senza lavoro.

Da allora continua ad annunciare imminenti impieghi, puntualmente disattesi:
- Mi presti cinque euro per comprare qualcosa da mangiare? Lunedì inizio a lavorare con un vecchietto, stavolta speriamo che va tutto bene... è un lavoro buono... sei giorni su sette... tutto in regola...
Insomma, poi la rivedo di martedì:
- Ma allora? Quel vecchietto?
- Eh! E' morto poverino!
Ma no! Che sfiga!

All'inizio pensavo la sfigata fosse lei, ma poi, al terzo vecchietto fatto fuori nel giro di pochi mesi (Lia, ma non avevi iniziato con quella maestra anziana e suo fratello paralitico? Ah, sì: il fratello è morto e lei è andata in ospizio), ho iniziato a maturare una maggior consapevolezza: non è che magari, fosse fosse, grattatina, è lei che porta un attimino rogna? (Vedi, ti prego, foto su).

A questo punto una domanda sorge spontanea: siete consapevoli, vero, di chi vi state mettendo in casa?

-sigh-

lunedì 3 settembre 2012

Chi viene e chi va.


Una stanza semivuota, fino a qualche giorno fa ingombra quasi completamente di pacchi e scatoloni. Ora un materasso spoglio su cui sedersi e guardare la parete nuda.
E' sempre un pochino più triste per chi rimane che per chi va via.
Ricordo i miei traslochi: un po' di malinconia nel momento di imballare gli ultimi scatoli, di staccare le ultime foto, di effettuare gli ultimi viaggi. Poi ti ritrovi in un altrove da render tuo, da personalizzare, ti appropri degli spazi, apri scatole e ritrovi oggetti noti, a cui urge trovare una collocazione nuova. Allora la sensazione predominante è di grande eccitazione e di una vaga euforia.
Non così per chi resta a fissare una parete vuota, che ancora ostenta i segni di un passaggio umano che tu ben conosci, un'impronta familiare che presto svanirà, impietosamente lavata via dall'inesorabile pennello bianco.
Intanto fuori sul terrazzo iniziano ad ammucchiarsi altri pacchi, altre cianfrusaglie, altra vita, e tu ti fai forza e cerchi l'energia per accogliere un'altra compagnia, per condividere i tuoi spazi, i tuoi tempi, sopprimi la stanchezza, l'intolleranza, il desiderio di autonomia e di legittima, esclusiva sovranità all'interno degli spazi domestici, e fai posto, ancora una volta, nella tua vita.
Non si può dire che mi manchi lo spirito di adattabilità.
Ciao Master.

sabato 14 maggio 2011

Amichetta

Avete presente quelle amicizie che si trascinano per una vita, che quando tutto cambia intorno a voi, loro sembrano immutabili?
Avete presente quando vi rincontrate dopo due, cinque, dieci mesi e vi sembra di esservi salutate l'altro ieri?
Avete presente quando una vostra telefonata ha mantenuto lo stesso invariato tono di tragica demenzialità di quando avevate dodici anni e vi chiedete come ciò possa essere possibile?
Avete presente quando, a pensarci bene, vi accorgete di quanto tempo è passato e vi chiedete quando ciò sia successo, e perché nessuno vi abbia avvertito?

Se avete risposto "sì" ad almeno uno di questi quesiti, complimenti! Allora potete capire.

Queste siamo noi due.

Amichetta vive a Roma, io a Pisa.
Lei ha un fratello maggiore, io tre fratelli e una sorella.
Lei nella sua vita ha avuto (nell'ordine): un pesce rosso, due criceti, e un cane; io miriadi di gatti (più varie ed eventuali bestie di passaggio).
Lei è uno spirito pratico; io no.
Lei una pilota provetta; io una pippa al volante e pericolo costante.
Lei, malgrado non lo ammetta, conosce alla perfezione tutte le strade di Roma e dintorni; io mi perdo pure per andare dal droghiere (ma senza drogarmi).
Lei ha avuto tanti fidanzati; io solo uno, e ci ho fatto pure una figlia.
Lei fa innamorare gli uomini; io sono simpatica (a volte).
Lei ha fatto il liceo classico; io pure, ma lei ha cambiato scuola in primo, e io no.
Lei ha studiato biologia; io... storia dell'arte! (E ti lamenti pure perché non trovi lavoro? Ma sei scema?)
Lei è sempre in forma e dice di essere grassa; io sono sempre stata piuttosto rotonda e ora che ho perso qualche chilo mi sento una strafiga.
Lei fa un sacco di cose creative e manuali; io ho i ferri per fare la maglia ma non ho mai imparato a usarli.
Lei mi riempie sempre di regali e attenzioni; io... va be' lasciamo stare.
Lei a scuola insultava i professori; io pure, però di nascosto.
Lei giocava a calcio con i maschi; io sono sempre stata una schiappa in qualsiasi sport.
Lei è intraprendente e prende decisioni tempestive; io tentenno e non mi risolvo mai.
Lei si chiama Amichetta, e pure io.
E poi le ho insegnato a dire in arabo "L'orso è sopra l'albero" e "Mio nonno ha tante mogli", e con questo siamo pari, direi.

Noi ci siamo mollate e riprese sempre, nel corso della nostra vita.
Noi quando siamo insieme retrocediamo a uno stadio pre-puberale.
Noi siamo molto diverse, ma poi in fondo in fondo mica tanto

A dodici anni (nel cortile di casa mia):
- Amichetta, guarda: la gatta ha partorito sotto la scala nel giardino dei vicini. Puoi scavalcare, tanto ancora non ci sono venuti ad abitare. Li hai visti?
- Ecco, ci sono... Ahi! Mi ha punto un'ape!

(per il saggio di fine anno)
- Allora tutti i tenori da questo lato, i contralti di qua.
- No, noi dobbiamo stare vicine, perchè io capisco quando devo attaccare quando sento Amichetta che fa Pa-Pa-Paa-Pa-Ra-Paa.
- Se ci mette lontane sbagliamo. (Ah! L'Adagio di Albinoni! Nostro cavallo di battaglia!)

A diciannove anni:
- Amichetta, che fai, ci vieni a lavorare con me in libreria? Mi ha detto Alvaro di chiamare un'amica.
- Ok.
(Non mi perdonerò mai di averti trascinato in quel luogo di negrieri! Ricordo la pizza mangiata a turno nel seminterrato e la canzone di Alex Britti a oltranza nello stereo! Queste sono torture degne di Guantanamo! Però prima o poi dobbiamo fare una crociera su una nave tutta gialla, me lo prometti?)

A ventuno anni:
- Amichetta va be' dai, ogni tanto potresti venire a trovarmi a Pisa.
- Ok.
(dopo dieci minuti)
SMS: Arrivo domani con il diretto delle 16.

- Amichetta ma l'hai più sentita Dani?
- No, non riesco a contattarla. Ma secondo te diceva sul serio quando ci ha invitato a Carloforte quest'estate?
- Ah, be': io ho preso già i biglietti. Partiamo il 20 luglio da Civitavecchia.
- ...

A ventotto anni:
- Dobbiamo dirti una cosa.
- ... (ho visto il terrore nei tuoi occhi. Come te l'abbiamo detto? Non ricordo più)
- Aspettiamo un bambino!
- ... (tipo faccia di chi pensa: "Ma mi pigliate per il culo?")
- Amichetta? Amichetta? Amichetta?
- ...

Poi sei arrivata all'Imperial bar con l'elefante gigante di Ikea... Maledetto elefante! Non si sa mai dove infilarlo!

Ti avevo promesso che ti avrei scritto un post.
In realtà mi rendo conto che ne servirebbero molti e molti per descrivere come si deve la nostra amicizia.
Non mi ci provo neanche.
Tu stasera stai festeggiando il tuo compleanno, cinque mesi prima di me, come sempre, e, per usare le tue parole, l'addio agli "enti", il passaggio agli "enta" e il trapasso verso la vecchiaia. Uh come la fai lunga!
Vorrei riuscire a dirti qui quanto vorrei essere lì con te, nella tua pseudo-cena con pseudo-brace e l'insalata di cus-cus che sembra stucco per muri, in fondo alla strada chiusa dove un tempo giocavamo noi bambini del quartiere, e ci avevano trovato quegli scavi archeologici, e diceva mia cugina che di notte ci andavano le streghe, e ora invece ci sta un bellissimo parco per portarci la pupa.
Ma non ci sono: sono qui a scriverti, in ritardo, gli auguri (ma non è colpa mia: è questo blogger che si è bloccato per due giorni e non ho potuto scrivere niente!).

E' bello sapere che c'è qualcuno con cui non mi devo giustificare, non mi devo spiegare, non mi devo scusare, non devo pensare "Pare brutto se non vado?".
E' importante sapere che c'è qualcuno che non pretende, non si aspetta, non ti giudica, non rimane male, non si offende, non sta a guardare quanto dà e quanto riceve.
Perché in quel caso vinceresti tu.

Cacchio! Mi sto autocommuovendo da me stessa medesima! Se sapessi come si fa ti allegherei al post anche il sottofondo musicale di Amico è di Baldan Bembo! Ti immagini che figata?

Va be', comunque il succo è che, per rubare il termine a un'altra blogger, quest'anno la nostra amicizia compie ben 18 anni (diciotto!), e ciò significa che fa il suo ingresso nella maggiore età.
Cioè: farebbe prima la pupa a raggiungere l'età che avevamo noi quando ci siamo conosciute che noi tornando ipoteticamente indietro nel tempo come Benjamin Button! (Gran film: non c'è che dire. Dieci bobine di morbidezza: altro che rotoloni regina!)
Quindi: dovremmo smetterla di fare le idiote. Niente più "Giochiamo a non t'arrabbiare" e "Ci potevo rimanere secca!" e altre cose simili che solo noi capiamo e che in effetti fanno ridere solo noi (che poi magari ci siamo pure dimenticate il significato originario).
Mo' basta! E' ora di diventare adulte!

Wahahahahahahahahahahahahahahahahahaha!
Scusa: mi sono ricordata la faccia del vecchietto che dormiva al cinema quando siamo andate a vedere Il re Leone!

Auguri amichetta! Resta così.



Daisypath Friendship tickers

venerdì 4 marzo 2011

Regalo di compleanno a costo zero

E invece, eccola qua la primavera! E' arrivata inaspettatamente regalandoci un luminosissimo mattino di sole, frizzante di arietta fresca e un tantino ventoso, ma senza esagerare.
Ora, siccome mi rendo conto che iniziare sempre a scrivere prendendo come pretesto la situazione meteorologica in corso fa molto discorso di circostanza in ascensore, o, in assenza di esso, alla fermata dell'autobus, o, se come me preferite servirvi di locomozione propria, alla fila alla cassa del supermercato, tanto l'occasione per parlare del tempo che fa si trova sempre (non andate mai al supermercato perchè preferite rifornirvi su media-shoping o avete il vostro domestico nepalese che pensa alle vostre domestiche incombenze? C'è sempre Suster che vi aggiorna sull'andamento di temperatura e precipitazioni), dicevo, siccome questi discorsi di circostanza si fanno in genere per riempire attimi di imbarazzante silenzio, o tanto per dar fiato alla bocca, la finirò qui.
Oggi potrei parlarvi dell'emozionantissima esperienza vissuta da me e dalla pupa in questo splendido mattino bla bla bla, ma mi riservo di parlarvene con più calma domani, a cose fatte.
Oggi invece, vi scrivo mentre mastico il mio pranzo, consistente in un fantastico paninozzo, che di cucinare pure per me non ci avevo proprio voglia, dopo aver fatto attaccare per una buona metà la pastina della pupa al fondo della pentola dimenticata sul fuoco mentre raccoglievo i panni in terrazza finalmente asciutti, di grazia!
E quindi paninozzo così strutturato: pane 5 cereali (mìììì, che buono il pane di Ramona!), taleggio e insalata mashwia (trattasi di salsa tunisina a base di verdure, per lo più peperoni, dscisamente piccante). Brava Suster! Poi non lamentarti se: A- sei grassa; B- ti vengono i brufoli pure sulle sopracciglia; C- avverti un leggero bruciore di stomaco. Accidenti! Ma dovrò pur pranzare!
Dunque la pupa emerge dal suo sonnellino mattutino e sgranocchia, o meglio, succhia il suo creker seduta nel suo sproporzionato seggiolone e io scrivo.
Dopo avervi dato utilissimi suggerimenti per fare regali economici  al vostro amore, ho quest'alzata di ingegno e mi cimento in un regalo a costo 0 (non è una "o" maiuscola, è uno zero) per mia sorella Gunkina, che oggi compie ben 36 anni (che questo mi serva da promemoria per ricordarmi che quest'anno arrivo anche io ai fatidici 30. Oibò). Auguri Gunchina!
Beh, l'idea mi è venuta perchè tempo fa, dopo aver pubblicato la storia di come Master sia entrata nel favoloso mondo di Suster, la mia sorella di sangue mi ha scherzosamente rimproverato via e-mail di trascurare i legami genetici a favore di quelli spirituali, ed io le avevo risposto promettendole e ripromettendomi di rimediare presto all'ingiusta ingiuria e all'ingiuriosa ingiustizia, con una dedica sul mio blog alla mia sorella di carne (non ho detto "in carne", ora non essere permalosa, su!), ossia Gunchina.
E così, date le circostanze, e trovandosi lei a molti chilometri di distanza, nell'impossibilità di reperire in tempo e recapitare un regalo tradizionale, dato anche il tempo bastardo che mi ha impedito di uscire negli ultimi giorni, ho pensato bene di utilizzare questo spazio come omaggio a Gunchina.
Che culo, a volte, avere una sorella come me, che ti fa di quei regaloni, che altrimenti uno se li sogna! Scommetto che state tutti invidiando Gunchina.

Bando alle ciance, che il tempo è un tiranno che stringe, e si chiama Denaro, soprattutto quando hai rimesso a letto la pupa e lei potrebbe risvegliarsi da un momento all'altro...
Detto fatto: nel Favoloso mondo di Suster, ecco a voi...

Gunchina!!!
Premesso che Suster ha una tendenza patologica ad affibbiare nomi assurdi alla maggior parte delle persone che si trovano ad avere con lei una Frequentazione Assidua e Continuativa (FAC), o un Rapporto Affettivo Significativo (RAS), o infine una Confidenzialità Assodata e Certa (CAC... scusate, non l'ho fatto apposta), o due di queste cose insieme, o addirittura tre, volevo puntualizzare che il nome anagrafico, o di battesimo, della Gunchina in questione, non è effettivamente questo.
Bisogna però anche puntualizzare un'altra cosa: che Gunchina, prima di diventare tale, ossia di assumere il nome Gunchina, era nei riguardi di noi fratelli più piccoli piuttosto str... ehm, dato che dev'essere un regalo di compleanno... piuttosto manesca e sadica, e che solo dopo aver assunto tale più recente nomenclatura è avvenuta la trasformazione interiore di Gunchina che l'ha portata ad essere la sorella maggiore che tutti vorrebbero avere. Ma andiamo per ordine.
1. La fustigatrice. Dei primi tempi della mia infanzia non ricordo gran che. Fortunatamente al degrado e allo sfacelo del tempo è scappata un'importante testimonianza: un'audiocassetta che riporta le nostre performances canore quando Suster aveva la tenera età di 2 anni e mezzo (9 gunchina, NdR.).
Tale registrazione a risentirla ora è un vero spasso, non tanto per la qualità delle nostre esibizioni, in cui mia madre ci incoraggiava a cimentarci, fomentando il nostro egocentrismo, quanto per il contorno di urla, litigi e pianti che condivano il teatrino. I pretesti per scatenare innocenti zuffe erano i più svariati. La più celebre rimane quella che conclude l'interpretazione di Gunchina del brano C'era una casa tanto carina, senza soffitto, senza cucina. Totto in pratica le brucia l'ultima strofa, inserendosi di straforo nella sua esibizione di bravura canora. Seguono pianti di mezz'ora di entrambi (perchè ovviamente era partito qualche pizzico assassino vendicativo) sul sottofondo di una me di 2 anni e mezzo impallata sulla prima frase di Pinocchio, ma dove vai? E via così.
Non lasciatevi ingannare dalla foto, molto amorosa, di me col caschetto biondo in braccio alla mia grande protettiva sorella. La prima Gunchina era il nostro spauracchio dell'infanzia: arrivava lei e finivano i giochi forsennati sul lettone dei genitori. Ci zittiva tutti a colpi ben assestati.
C'è da dire che noi dovevamo essere veramente dei gran rompipalle... ma andiamo avanti.
2. La capo scout. Salto avanti nel tempo di una quindicina d'anni. Gunchina ha una grandiosa carriera da capo scout e io mi accodo nell'organizzazione dei campeggi dei bambini, che fare cartelloni e animare giochi notturni era una cosa in cui mi realizzavo moltissimo. Occuparmi delle incombenze pratiche in un casale dove convivono per una settimana una trentina di bambini sotto i 10 anni... un po' meno. Io e Gunchina a pulire i cessi intasati e i pavimenti dei bagni allagati con i piedi in 5 centimetri di liquame di colore indefinito tra il marroncino e il senape, e lasciamo stare gli odori, e lasciamo stare pure quello che ho visto venire fuori da quei cessi nel tentativo di rimuovere l'ingorgo. Compito ingrato che ci era toccato espletare mentre nel refettorio si svolgevano le premiazioni dei giochi di fine campo. La situazione più ripugnante della mia vita. Grandi momenti, però, quei campi, da cui tornavi sempre coi nervi a fior di pelle e l'eusarimento galoppante.
3. La madrina. Quando, da brava giovane di famiglia cattolica praticante, mi appropinquavo a ricevre il santo sacramento della cresima, la nostra riconciliazione e unione tra sorelle era ormai compiuta al punto che ovviamente scelsi Gunchina quale mia madrina spirituale. Quel giorno avevamo una tabella di marcia serratissima, e io, come sempre organizzata e previdente, ero in crisi perchè dovevo ancora comprarmi un paio di scarpe decenti con cui presentarmi alla cerimonia. Il piano era che lei sarebbe andata a comprarmele quella mattina, mentre io sarei andata a scuola, lei poi sarebbe dovuta passare a prendermi con la macchina al termine delle lezioni, in maniera che io avrei potuto provare le scarpe e andare con lei eventualmente a cambiarle qualora non fossero andate.
Aspettai l'arrivo di Gunchina fin quando non fu sparito dalla mia visuale anche l'ultimo liceale tra quelli che sciamavano attardandosi all'uscita della scuola in quel sabato prefestivo. Aspettai ancora, ma lei non venne. Tornai a casa molto incacchiata perchè ci avevo messo un'eternità, dovendo prendere l'autobus zeppo di ragazzini vocianti delle scuole medie, chiedendomi che fine avesse fatto la mia madrina, munita delle mie scarpe, come la fata Smemorina di Cenerentola. La quale madrina aveva pensato bene, in quell'affannosa mattina, di prendere una curva un po' troppo stretta con la sua sportivissima 500 e di ribaltarsi con macchina e scarpe e tutto, in prossimità del mercato, dove intanto mia madre comprava le verdure, e accorreva di corsa in loco in quanto medico e in quanto madre. E quella fu la fine della gloriosa 500.
Gunchina passò quel pomeriggio al pronto soccorso, mentre io, che sono sempre stata una giovine molto emotiva, lo passai a piangere per buona parte del tempo. Però ci è rimasta una bellissima foto di coppia scattata quella sera al rientro dalla pizzeria in cui lei ostentava un bellissimo enorme cerotto sul naso.
4. La bambinaia. Correva l'anno 2010: Calci, ridente comune a 15 Chilometri da pisa, dove noi trascorremmo il mese di agosto in accogliente e pittoresca casa-mulino presa in affitto per l'occasione da mia madre, per consentire una confortevole e fresca villeggiatura a me puerpera e alla minuscola neonata pupa. Quella casa sarà pure stata pittoresca e avrà pure avuto il merito di essere fresca, ma forse per essere ad agosto, anche un po' troppo. Faceva un freddo che manco a novembre, il sole non ci batteva quasi mai, perchè trovavasi a ridosso di un costone montuoso, esposta a nord, e per finire, trattandosi di un bellissimo ex-mulino, ci passava sotto pure un ruscelletto, davvero molto pittoresco assai, ma che contribuiva alla generale frescura del luogo, pure un po' esagerata. Tanto per rincarare la dose, fu un agosto particolarmente piovoso.
La Suster si ritrovava barricata in casa con una marmocchia di 0 (zero) mesi che a un certo punto della giornata attaccava a piangere a dirotto ed era impssibile farla smettere finchè non si addormentava a notte inoltrata per spossamento. Il sonno notturno era sempre un'incognita, l'allattamento mi risucchiava le forze residue, i miei coraggiosi tentativi di "passegiate con la bimba" si risolvevano in brevi scarpinate verso valle (ci volevano 20 minuti solo per arrivare giù in paese) che terminavano quasi inevitabilmente con la diperazione della pupa, e allora bisognava subitaneamente fare dietro front e risalire l'erta con pupa in collo, spingendo la carrozzina con una mano, arrancando in salita tra i sassi e le buche. Poichè i miei fratelli, che andavano e venivano in conformità ai propri impegni estivi, non erano molto più esperti di me nell'affrontare la furia di quella neonata indemoniata, e mia madre si fermò meno di una settimana, causa altri impegni impellenti nella capitale e altrove, Hasuna giornate in macelleria come sempre, l'arrivo di Gunchina e di Flavio fu per me una manna dal cielo.
Gunchina prese in mano la situazione guidando passo passo quella madre esaurita prima ancora di iniziare nelle complesse e lunghissime procedure di addormentamento che ogni sera bisognava mettere in atto (perchè con me non dorme e con te si? Appena la prendo in braccio io inizia a piangere! Oddio come farò quando voi andrete via?). E Flavio cucinava (in pratica io non facevo niente). Con Gunchina siamo persino riuscite ad andare al mare con la piccola un pomeriggio, niente di che, un'innoqua passeggiata sul lungomare, un'ora in tutto, ma a me sembrava di risorgere a nuova vita.
Senza di lei non so come avrei fatto, e forse sarei morta lì, in quella casa frigorifera di Calci, e mi avrebbero ritrovata mesi e mesi più tardi con la pupa sempre urlante indemoniata che non dormiva mai.
Ecco: ci vorrebbe sempre una Gunchina per ogni madre disperata, per ogni Suster spiazzata, per ogni pupa indemoniata.

Queste le tappe fondamentali della mia vita con Gunchina, mia sorella biologica.

Va bene come regalo di compleanno? (Guarda che ci ho messo tutta la giornata a scriverlo!)

mercoledì 2 febbraio 2011

Nel favoloso mondo si Suster: Master.

Mi sono accorta che nel parlare del mio favoloso mondo, ho sempre tralasciato di parlare di uno degli elementi fondanti che lo costituiscono, così vorrei rimediare e renderle omaggio con questo post.

Oggi vi parlo di Master.

Io e Master ci siamo conosciute nell'estate del nostro sbrago totale, quando il massimo delle nostre serate era bivaccare in piazza in compagnia di una buona scorta di bottiglie di Moretti e un manipolo di debosciati dediti alle più svariate attività: suonatori di chitarra e tamburelli, giocolieri, danzatori di pizzica (quelli non mancavano mai, come ti sbagli?), cose così, un po' freak, un po' ma-andate -a-lavorare-piuttosto-che-non-far-dormire-la-gente, un po' ammazziamo il tempo quando si smonta da lavoro e sono le 2 di notte, e a luglio città universitarie come questa si svuotano di un buon 60 % dei loro abitanti, e a chi rimane piglia la depressione, e allora tocca reagire in qualche modo.
Ma torniamo a noi.
Allora non era raro che persone che io non avevo mai visto prima (o magari sì, li avevo visti, ma è risaputo che Suster non ha memoria fotografica, e in più non è fisionomista manco se s'impegna) mi apostrofassero in uno dei seguenti modi:

- Ah, tu sei la sorella di Marinella, vero? Si vede: siete uguali!

oppure:
- Ciao, io conosco tua sorella.
- Davvero?
- Sì, lavora al bar Tal dei tali, è un'amica di Diego.
- Mh, no mia sorella vive a Roma, non lavora in un bar, non conosce Diego.

o anche:
-Ciao! Allora oggi sei di riposo?
- ...
- Oh, scusa ti avevo scambiato per la ragazza del bar... sei sua sorella, vero?

Insomma, cose così.
La cosa iniziava a farsi un po' insistente e iniziava anche a mettere a dura prova i miei nervi già abbastanza provati dalle serate afose al ristorante dove lavoravo a servire g-nocci e spagetti ai turisti tedeschi.
Iniziavo a mettere in dubbio tutto ciò che fino a quel momento avevo creduto di sapere sul mio proprio conto.
Forse che avevo davvero una sorella di cui non avevo saputo niente fino ad allora?
Possibile che altrimenti una delle mie sei sosia sparse per il mondo vivesse a mia insaputa proprio nella mi stessa città?
Avevo fino a quel momento vissuto una vita parallela cambiando identità dal giorno alla notte come Mr. Jeckill o Tyler Durden?

Però non me ne crucciavo più di tanto e continuavo a vivere la mia solita vita senza stare a cercare troppe risposte.
La risposta mi giunse una sera di quelle, mentre posavo la mia bicicletta scalcagnata sul limitare della piazza dove eravamo soliti trascorrere le nostre nottate stonate, dirigendomi verso il luogo dei nostri ritrovi notturni, e mi vedo venire incontro una pazza coi capelli ricci tutti sparati in aria, che ballava a piedi scalzi sul marmo della gradinata della chiesa di S. Stefano dei Cavalieri, e mi urla: "Sorella!"
Io rimango un po' perplessa, lì per lì, ma poi mi son detta: beh, perchè no?
E così ho incontrato Master.

Poi, tra una bevuta e un'altra, le serate in trenta persone sul terrazzo di casa nostra, le spiaggiate che si decideva di partire alle tre di notte e ci si svegliava a mezzogiorno col sole a picco e tanto mal di testa, non starò a raccontarvi com'è che siamo finite a vivere insieme, anche con Hasuna, ma senza la pupa che ancora aveva da venire, e con due gatti diversi da quelli attuali, che pure loro ancora non era giunto il tempo.
Io Suster, tu Master.
La situazione domestica quel primo anno degenerò, e non c'era modo di porvi un freno: le cene in casa nostra includevano sempre almeno una decina di commensali, le nostre riserve alimentari si esaurivano a velocità esorbitante, la cucina era sempre piena di piatti e pentole da lavare e si andava un giorno sì e l'altro pure al supermercato. Oltre a due o tre ospiti fissi che vivevano da noi in pianta stabile, c'erano sempre almeno una ventina di persone che gravitavano intorno alla nostra abitazione alternandosi senza mai lasciarla vacante, e il luogo ove noi tre abitavamo si trasformava a seconda dei casi in bisca, rifugio per sfollati, taverna full-time, mensa caritas, luna-park, piano-bar, ritrovo dei giovani artisti, convegno di amanti clandestini, circolo ricreativo, cabaret, party-kebab, happy-hour-house e quant'altro.

Le padrone di casa erano molto provate da questo eccesso di affetto e vicinanza dimostrato dai loro amici, che inspiegabilmente si moltiplicavano di giorno in giorno, e le cose non migliorarono quando Suster rimase un mese con il braccio ingessato e Master a letto con le costole incrinate per una caduta da bicicletta (queste due si infortunavano pure in contemporanea).
Con le due padrone di casa fuori uso la situazione divenne presto insostenibile: festini organizzati in casa a loro insaputa, gente che si dava direttamente appuntamento da noi, gente che pernottava bivaccando direttamente sul terrazzo per non perdere la priorità acquisita...
Finchè un bel giorno non siamo esplose e abbiamo cacciato via tutti e ripristinato un minimo di vivibilità.
Questa la parte svalvolata della nostra vita insieme.

Ma Master è stata anche quella che ha aspettato pazientemente tutto il giorno nella hall dell'ospedale mentre io aspettavo la pupa che nascesse, a luglio che col bene che ti voglio facevano 40 gradi e si sudava anche stando fermi  stravaccati su una sedia di ospedale a sventagliarsi con un volantino informativo sull'epidurale, e Master impavida e imperterrita è rimasta lì, fiduciosa, andandonesene solo a notte fatta, spossata, sfinita, e per ironia della sorte un'ora prima che mi portasssero finalmente in sala parto.

Master è anche colei che rende possibile la mia ora d'aria una volta ogni tanto, quando inizio a non poterne davvero più della mia deliziosa prigione chiamata pupa, tenendomi la pargola nel pomeriggio mentre io me ne posso andare in libera uscita ad alleggerire la testa e a ricrear lo spirito intorpidito di tanta routine.

Master è colei a cui ho affettato una caviglia la sera prima che la pupa nascesse, avendo lasciato in corridoio sporgere da un cestino colmo di arnesi da lavoro, la lama della sega da legno che avevo utilizzato per tagliare le mensole destinate alla cameretta, mai realizzata, della bambina.

Master sopprorta le mie sfuriate, i miei sfoghi, i miei esaurimenti, la mia raccolta differenziata, la pipì dei gatti sui suoi piumoni, le sveglie della pupa vociante al mattino presto dopo essere andata a letto alle due di notte causa lavoro, la casa mezza ingombra di sdraiette e seggioloni e altri discretissimi accessori pupeschi, le mie fissazioni ecologiste, come la bacinella piena d'acqua che lascio sistematicamente nella vasca dopo il bagnetto della pupa, per poterla riutillizzare per lavare le tutine e che rimane lì per giorni e giorni a venire.

Ma ora, cara Master, perchè non ti monti troppo la testa, veniamo alle note dolenti, che ognuno di noi ha il suo lato oscuro.
Quello di Master è questo: Master distrugge tutto. Master di secondo nome fa Katrina: due giorni fa giocando con la pupa è atterrata a volo d'angelo sul nostro letto ed è partita una zampa (del letto). Sospetto che l'abbia fatto di proposito per vendicare la caviglia che le ho segato sei mesi fa.

Ora siccome l'arte di arrangiarsi non è estranea a Suster, e siccome che ci avevamo giusto giusto in corridoio una base di cemento per ombrelloni, che avevamo utilizzato per far stare dritto il nostro striminzito albero di Natale e che poi era rimasta là dato che nessuno aveva voglia di spostarla, fate un po' due più due e vedete secondo voi come ho fatto a rimediare una protesi al letto zoppo.
Solo che adesso con la base in cemento montata al posto della zampa originaria, è rimasto un po' traballante, e sono due notti che dormo con una lieve pendenza del materasso che fa sì che praticamente mi ritrovo a testa in giù e mi sveglio più rincoglionita che mai.
Master invece sono due giorni che si macera nei sensi di colpa e che mi ripete: "Midispiacemidispiacemidispiace..." (mi ha persino telefonato per ribadire il concetto).
Io ora la faccio un poco cuocere nel suo brodo (può sempre tornare utile, hi hi!) e intanto la sputtano un pochino qui.
Se no  a cosa servono le sorelle?