Alcune cose sono cambiate nella nostra quotidianità, o stanno cambiando.
Niente di sensazionale, ma son pur sempre cambiamenti che ridefiniscono tempi, ritmi, e abitudini.
E mi danno la misura del tempo che trascorre, e di loro che crescono, della vita che evolve.
La prima cosa è che, anche se qui l'ho scritto solo en passant, arrivò la tanto attesa telefonata dall'Ufficio Servizi Educativi, ad annunciarmi che si era liberato un posto per Rania in un nido.
Le parole esatte furono: "telefono per darle una bella notizia" e prima ancora che esordisse con questa frase l'impiegata, io sapevo già perché chiamasse, e quindi la sua frase a effetto avrebbe anche potuto risparmiarsela per altre occasioni, ché a dire il vero io un po' quella telefonata me l'aspettavo prima o poi, e nemmeno con troppa ansia o impazienza, perché non sentivo urgente l'esigenza di liberarmi di mia figlia quel tot di ore necessarie a sbrigare faccende ordinarie e straordinarie.
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giovedì 13 novembre 2014
mercoledì 5 giugno 2013
Incontri ravvicinati del V tipo*.
* Incontri bilaterali posti in essere tramite iniziative umane coscienti, volontarie ed attive, o tramite la comunicazione cooperativa con intelligenze extraterrestri.
La prima volta che ebbi modo di entrare in contatto con loro fu quando Mimi si approssimava a iniziare il suo primo anno di nido.
Allora ne isolai alcuni esemplari la cui osservazione ritenni di enorme interesse scientifico e antropologico, ma data la difficoltà di interazione che provavo nei loro riguardi, non riuscii a tirarne fuori un campionario strutturato, né a cogliere i nessi relazionali che correvano tra i diversi esemplari, il come e il perché si riunissero e si disunissero in gruppi più o meno omogenei di individui, il come il dove e il quando riuscissero a intessere relazioni più intense del semplice buon giorno e arrivederci dal quale io non mi schiodavo, e per finire non riuscivo nemmeno a giungere a una conclusione sull'opportunità o meno di approfondire in questo senso la mia conoscenza-dimestichezza col loro mondo.
E' andata avanti così per un annetto.
Io li guardavo a distanza, ritenendoli degli strani esseri che, pur vivendo la loro esistenza in parallelo alla mia, in qualche modo lo facessero per altre vie, degli esseri con i quali ogni forma di comunicazione "superiore" o intesa emotiva era destinata a rimanere interdetta.
Intrattenevo qualche sporadica conversazione che piano piano mi lasciò intravedere spiragli insperati di intesa, e, forse, di normalità.
E' che forse ero partita troppo prevenuta.
Forse non ero ancora entrata abbastanza nel ruolo e tra di loro mi sentivo più un'intrusa, un'infiltrata, una clandestina, che un membro effettivo del gruppo.
Io NON ero per davvero un genitore.
Ero un quasi-genitore che ancora non si dava ragione di esserlo, e mi chiedevo ancora se fosse il caso di autodefinirmi così.
Ero una che aveva una figlia piccola, ecco.
E per forza di cose era costretta a frequentare, pur se di striscio e alla chetichella, luoghi in cui si trovavano dei GENITORI.
Conoscevo però per nome tutti i loro figli, tutti i 23 compagnucci di Mimi della classe "medi" più qualcuno dei piccoli e quasi tutti i grandi. Li salutavo chiamandoli per nome e proseguivamo spesso discorsi lasciati a metà nella confusione del "arriva-svesti-cambia-metti e togli le scarpe-saluta-vai via" come per esempio: "Oh, Pietro, ma oggi dove l'hai lasciato il dinosauro?" "Matilde come sei elegante oggi!" e ne ricevevo a volte occhiate storte da "I genitori", altre volte espressioni sorprese o sorrisi inaspettati. Se per caso li incontravo per strada, loro, i bambini, mi riconoscevano e mi salutavano anche: "Ciao, mamma di Yasmin!", ma in quanto agli altri, "I genitori", non avrei saputo dire il nome di uno solo. Né mi era mai venuto in mente di chiederlo. Mi sembrava quasi un tabù. I genitori non devono avere un nome: basta che siano la mamma o il babbo di Federica/Emma/Lorenzo. Che importa? Cioè: che mi frega?
Poi la svolta, inattesa.
L'estate, e con l'arrivo di lei, l'arrivo anche di una nuova consapevolezza: l'arrivo di una nuova vita. Dentro di me.
La città deserta e un agosto che ce l'ha messa tutta per stenderci a tappeto, tutti quanti, agonizzanti, implorando pietà pietà!
Lei era una de "I genitori", aveva una bimba in classe con la mia e un'altra di pochi mesi.
Frequentavamo il giardino pubblico, per sopravvivere alla calura, nel tardo pomeriggio.
Ci incrociavamo, ci salutavamo, ci sorridevamo. La guardavo con la coda nell'occhio, lei alzava lo sguardo, risorridevo e distoglievo il mio. Avrei voluto, non osavo però.
Lei mi sembrava sulle sue. Forse anche io lo sono sempre sembrata.
Mi era simpatica però, a pelle, e ne cercavo la vicinanza. Mi sembrava di pedinarla, ma per un certo periodo, dovunque andassi, capitava di incontrarla.
Alla fine, conversando del più e dell'immancabile meno, le confido il mio "segreto". Lo sai che... anche io starei aspettando la seconda...
E dovevo avere una pessima cera, ero stanca e avevo le nausee. Avevo caldo, stavo male.
Mimi intanto raccoglieva fiori nelle aiuole. Lei la vedo piacevolmente sorpresa e lusingata della mia confidenza. E' scattato qualcosa, sì.
Poi l'inverno. Io col pancione crescente, lei in maternità. Il primo caffè insieme, ed ero titubante come un'adolescente a un primo appuntamento. Sarò inopportuna? Sarò una piattola? Avrà accettato per cortesia?
Un periodo per me un po' difficile, di scelte, cambiamenti: le mie confidenze, le mie paure, le mie disperate ricerche di casa (la starò ammorbando? Le sembrerò idiota?).
Invece suoi consigli, la sua partecipazione, la sua comprensione.
Una domenica di dicembre accogliamo l'invito ad andare a uno spettacolo di burattini a teatro, in centro,con le bimbe, e poi: perché non venite a cena da noi? Abitiamo qua dietro.
Ecco, era fatta. Due coppie con figli coetanei, a chiaccherare piacevolmente.
Ed eccoci a scambiarci ricette per il pane, salse piccanti, vestitini da neonato e sdraiette per il bagno, marsupi e sformati abiti pre-maman, a mandarci messaggini per incontrarci ai giardini con le bimbe, messaggini sulla riuscita del pane, ed ecco i nostri uomini contattarsi e mettersi d'accordo per andare a pesca insieme, ed eccomi inclusa nella lista di quelli che andranno alla festa di compleanno.
Era tutto vero?
Avevamo davvero fatto amicizia con dei "genitori"?
Eravamo dunque pure noi assurti al rango di "genitori"?
Scoprii pian piano che quegli alieni che a lungo avevo guardato col telescopio da distanze siderali, non erano poi così inaccessibili.
Scoprii che a guardar meglio e avvicinandosi un tantino, ve n'erano di esemplari la cui compagnia trovavo addirittura piacevole, talvolta preferibile a quella dei miei "vecchi" amici senza prole, perché loro finalmente "capivano".
Scoprii anche che avevano dei nomi propri, oltre al titolo di Mamma-di o Papà-di.
Scoprii che potevo parlare con loro per lunghe mezz'ore fuori dal nido, dopo aver scaricato la pupa, senza che ciò comportasse un dovere sociale, ma per puro piacere.
Scoprii che molti erano simpatici (sì, persino lei: l'avresti mai detto?).
Scoprii che non era vero, come mi ero figurata, che le loro vite fossero troppo dissimili dalle mie per poterci intendere.
Per esempio scoprii che anche buona parte di loro viveva in affitto, che avevano lavori precari, o non ne avevano, che molti possedevano una casa sì, ma che era un bilocale di 40 mq e che pur portando a casa due stipendi non si trovavano in questa condizione di benessere da me supposta tale da render loro incomprensibile una mia difficoltà economica per esempio nel dare i soldi per la gita di fine anno.
Scoprii che potevo parlare tranquillamente di questo senza dovermi sentire una mosca bianca, o, peggio, essere compianta come una pezzente.
Scoprii anche che loro pure avevano i loro dubbi, i loro complessi genitoriali, che anche molti di loro, forse, avevano difficoltà a riconoscersi in un gruppo che dal loro punto di vista vedevano come compatto ed estraneo.
Scoprii che proprio nessuno stava lì a giudicarmi quando la mattina arrivavo trafelata sgommando in bici sotto la pioggia o il vento battenti con lei intirizzita sul suo seggiolino, e faticavo a convincere una pupa recalcitrante e urlante dei suoi terrible two a lasciarsi infilare le scarpine del nido.
Scoprii che lì in mezzo, a mia insaputa, godevo di grande simpatia, e finanche di un certo credito.
Pure se mi pulivo gli occhiali con lo stesso fazzoletto con cui avevo appena pulito il naso a mia figlia, e distribuivo biscotti di straforo senza chiedere il permesso, e a volte mi è capitato pure di soffiare il naso a qualche figlio altrui.
E che era divertente gareggiare ogni mattina con i soliti noti per evitarsi il podio dell'ultimo arrivato del giorno.
Scoprii che qualcuno, come poi mi confessò, mi aveva guardato con ammirazione in più di un'occasione ("Ma come fai ad essere sempre così tranquilla?" Chi, io?).
E mi scoprii a dare informazioni e dritte su questo o quel prodotto, sul portare i bimbi al Museo di Storia Naturale o all'acquario, su complicate trafile burocratiche di cui avevo imparato i trucchi, sulle complesse procedure di iscrizione alla scuola dell'infanzia.
Insomma scoprii che in fondo, non ero mica male come "genitore"!
E mi sono sorpresa a dire: "Dai, speriamo che ce li mettono nella stessa sezione alla materna!"
Quando non l'avresti mai detto.
Oddio... ci ho messo ben due anni, ma alla fine ce l'ho fatta.
Proprio ora che tutto sta per finire...
E mo' mi tocca ricominciare da capo!
E a proposito di genitori... questo mio post cadeva a fagiolo per il tema del mese proposto da GenitoriCrescono per il Blogstorming.
E così, visto che oramai ci ho preso gusto:
La prima volta che ebbi modo di entrare in contatto con loro fu quando Mimi si approssimava a iniziare il suo primo anno di nido.
Allora ne isolai alcuni esemplari la cui osservazione ritenni di enorme interesse scientifico e antropologico, ma data la difficoltà di interazione che provavo nei loro riguardi, non riuscii a tirarne fuori un campionario strutturato, né a cogliere i nessi relazionali che correvano tra i diversi esemplari, il come e il perché si riunissero e si disunissero in gruppi più o meno omogenei di individui, il come il dove e il quando riuscissero a intessere relazioni più intense del semplice buon giorno e arrivederci dal quale io non mi schiodavo, e per finire non riuscivo nemmeno a giungere a una conclusione sull'opportunità o meno di approfondire in questo senso la mia conoscenza-dimestichezza col loro mondo.
E' andata avanti così per un annetto.
Io li guardavo a distanza, ritenendoli degli strani esseri che, pur vivendo la loro esistenza in parallelo alla mia, in qualche modo lo facessero per altre vie, degli esseri con i quali ogni forma di comunicazione "superiore" o intesa emotiva era destinata a rimanere interdetta.
Intrattenevo qualche sporadica conversazione che piano piano mi lasciò intravedere spiragli insperati di intesa, e, forse, di normalità.
E' che forse ero partita troppo prevenuta.
Forse non ero ancora entrata abbastanza nel ruolo e tra di loro mi sentivo più un'intrusa, un'infiltrata, una clandestina, che un membro effettivo del gruppo.
Io NON ero per davvero un genitore.
Ero un quasi-genitore che ancora non si dava ragione di esserlo, e mi chiedevo ancora se fosse il caso di autodefinirmi così.
Ero una che aveva una figlia piccola, ecco.
E per forza di cose era costretta a frequentare, pur se di striscio e alla chetichella, luoghi in cui si trovavano dei GENITORI.
Conoscevo però per nome tutti i loro figli, tutti i 23 compagnucci di Mimi della classe "medi" più qualcuno dei piccoli e quasi tutti i grandi. Li salutavo chiamandoli per nome e proseguivamo spesso discorsi lasciati a metà nella confusione del "arriva-svesti-cambia-metti e togli le scarpe-saluta-vai via" come per esempio: "Oh, Pietro, ma oggi dove l'hai lasciato il dinosauro?" "Matilde come sei elegante oggi!" e ne ricevevo a volte occhiate storte da "I genitori", altre volte espressioni sorprese o sorrisi inaspettati. Se per caso li incontravo per strada, loro, i bambini, mi riconoscevano e mi salutavano anche: "Ciao, mamma di Yasmin!", ma in quanto agli altri, "I genitori", non avrei saputo dire il nome di uno solo. Né mi era mai venuto in mente di chiederlo. Mi sembrava quasi un tabù. I genitori non devono avere un nome: basta che siano la mamma o il babbo di Federica/Emma/Lorenzo. Che importa? Cioè: che mi frega?
Poi la svolta, inattesa.
L'estate, e con l'arrivo di lei, l'arrivo anche di una nuova consapevolezza: l'arrivo di una nuova vita. Dentro di me.
La città deserta e un agosto che ce l'ha messa tutta per stenderci a tappeto, tutti quanti, agonizzanti, implorando pietà pietà!
Lei era una de "I genitori", aveva una bimba in classe con la mia e un'altra di pochi mesi.
Frequentavamo il giardino pubblico, per sopravvivere alla calura, nel tardo pomeriggio.
Ci incrociavamo, ci salutavamo, ci sorridevamo. La guardavo con la coda nell'occhio, lei alzava lo sguardo, risorridevo e distoglievo il mio. Avrei voluto, non osavo però.
Lei mi sembrava sulle sue. Forse anche io lo sono sempre sembrata.
Mi era simpatica però, a pelle, e ne cercavo la vicinanza. Mi sembrava di pedinarla, ma per un certo periodo, dovunque andassi, capitava di incontrarla.
Alla fine, conversando del più e dell'immancabile meno, le confido il mio "segreto". Lo sai che... anche io starei aspettando la seconda...
E dovevo avere una pessima cera, ero stanca e avevo le nausee. Avevo caldo, stavo male.
Mimi intanto raccoglieva fiori nelle aiuole. Lei la vedo piacevolmente sorpresa e lusingata della mia confidenza. E' scattato qualcosa, sì.
Poi l'inverno. Io col pancione crescente, lei in maternità. Il primo caffè insieme, ed ero titubante come un'adolescente a un primo appuntamento. Sarò inopportuna? Sarò una piattola? Avrà accettato per cortesia?
Un periodo per me un po' difficile, di scelte, cambiamenti: le mie confidenze, le mie paure, le mie disperate ricerche di casa (la starò ammorbando? Le sembrerò idiota?).
Invece suoi consigli, la sua partecipazione, la sua comprensione.
Una domenica di dicembre accogliamo l'invito ad andare a uno spettacolo di burattini a teatro, in centro,con le bimbe, e poi: perché non venite a cena da noi? Abitiamo qua dietro.
Ecco, era fatta. Due coppie con figli coetanei, a chiaccherare piacevolmente.
Ed eccoci a scambiarci ricette per il pane, salse piccanti, vestitini da neonato e sdraiette per il bagno, marsupi e sformati abiti pre-maman, a mandarci messaggini per incontrarci ai giardini con le bimbe, messaggini sulla riuscita del pane, ed ecco i nostri uomini contattarsi e mettersi d'accordo per andare a pesca insieme, ed eccomi inclusa nella lista di quelli che andranno alla festa di compleanno.
Era tutto vero?
Avevamo davvero fatto amicizia con dei "genitori"?
Eravamo dunque pure noi assurti al rango di "genitori"?
Scoprii pian piano che quegli alieni che a lungo avevo guardato col telescopio da distanze siderali, non erano poi così inaccessibili.
Scoprii che a guardar meglio e avvicinandosi un tantino, ve n'erano di esemplari la cui compagnia trovavo addirittura piacevole, talvolta preferibile a quella dei miei "vecchi" amici senza prole, perché loro finalmente "capivano".
Scoprii anche che avevano dei nomi propri, oltre al titolo di Mamma-di o Papà-di.
Scoprii che potevo parlare con loro per lunghe mezz'ore fuori dal nido, dopo aver scaricato la pupa, senza che ciò comportasse un dovere sociale, ma per puro piacere.
Scoprii che molti erano simpatici (sì, persino lei: l'avresti mai detto?).
Scoprii che non era vero, come mi ero figurata, che le loro vite fossero troppo dissimili dalle mie per poterci intendere.
Per esempio scoprii che anche buona parte di loro viveva in affitto, che avevano lavori precari, o non ne avevano, che molti possedevano una casa sì, ma che era un bilocale di 40 mq e che pur portando a casa due stipendi non si trovavano in questa condizione di benessere da me supposta tale da render loro incomprensibile una mia difficoltà economica per esempio nel dare i soldi per la gita di fine anno.
Scoprii che potevo parlare tranquillamente di questo senza dovermi sentire una mosca bianca, o, peggio, essere compianta come una pezzente.
Scoprii anche che loro pure avevano i loro dubbi, i loro complessi genitoriali, che anche molti di loro, forse, avevano difficoltà a riconoscersi in un gruppo che dal loro punto di vista vedevano come compatto ed estraneo.
Scoprii che proprio nessuno stava lì a giudicarmi quando la mattina arrivavo trafelata sgommando in bici sotto la pioggia o il vento battenti con lei intirizzita sul suo seggiolino, e faticavo a convincere una pupa recalcitrante e urlante dei suoi terrible two a lasciarsi infilare le scarpine del nido.
Scoprii che lì in mezzo, a mia insaputa, godevo di grande simpatia, e finanche di un certo credito.
Pure se mi pulivo gli occhiali con lo stesso fazzoletto con cui avevo appena pulito il naso a mia figlia, e distribuivo biscotti di straforo senza chiedere il permesso, e a volte mi è capitato pure di soffiare il naso a qualche figlio altrui.
E che era divertente gareggiare ogni mattina con i soliti noti per evitarsi il podio dell'ultimo arrivato del giorno.
Scoprii che qualcuno, come poi mi confessò, mi aveva guardato con ammirazione in più di un'occasione ("Ma come fai ad essere sempre così tranquilla?" Chi, io?).
E mi scoprii a dare informazioni e dritte su questo o quel prodotto, sul portare i bimbi al Museo di Storia Naturale o all'acquario, su complicate trafile burocratiche di cui avevo imparato i trucchi, sulle complesse procedure di iscrizione alla scuola dell'infanzia.
Insomma scoprii che in fondo, non ero mica male come "genitore"!
E mi sono sorpresa a dire: "Dai, speriamo che ce li mettono nella stessa sezione alla materna!"
Quando non l'avresti mai detto.
Oddio... ci ho messo ben due anni, ma alla fine ce l'ho fatta.
Proprio ora che tutto sta per finire...
E mo' mi tocca ricominciare da capo!
E a proposito di genitori... questo mio post cadeva a fagiolo per il tema del mese proposto da GenitoriCrescono per il Blogstorming.
E così, visto che oramai ci ho preso gusto:
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martedì 22 gennaio 2013
Elogio dello svacco.
Avere la possibilità di gestirmi il tempo in libertà e svacco fino alle 4 è una sensazione talmente insolita che a tratti ha dell'inquietante.
Del tipo: e ora che faccio? Ma non mi lascio fregare.
Sono abbastanza distrutta fisicamente e anche la prospettiva dello svacco non mi fa proprio schifo, anche se poi mi sono messa a svuotare i pensili della cucina... mah! La solita sindrome del nido.
E a proposito di nido: oggi glorioso rientro di Mimi, a scuola, con tanto di certificato medico alla mano, anche se è stata via solo per uno stupido raffreddore.
Appena entriamo troviamo dei tizi che con lunghe aste facevano misurazioni sul soffitto e annotavano parametri su un foglio, molto concentrati. Delle maestre nemmeno l'ombra.
Ci dicono: infiltrazioni d'acqua dal tetto e dai muri, e, ci dicono, a noi genitori, di aspettare che forse fanno evacuare la scuola, per rischio di crollo della struttura.
Ottimo direi.
Dopo mezz'ora ci mandano via tranquillizzandoci che le aule a rischio crollo non verranno utilizzate (tipo la stanza dove normalmente dormono i bimbi il refettorio e la palestra -termine prosaico per "sala di psicomotricità"-).
No, dico io, che sarà mai, anche se dovesse crollare il dormitorio, che vuoi che sia: basta spostare i bimbi e metterli insieme ai lattanti, no? E poi il geometra ha firmato che è tutto a posto, ti pare che si prende una responsabilità del genere se non fosse così?
Sarà ma una vaga inquietudine mi è rimasta.
Vedremo. Mimi viva o Mimi spiaccicata? Chissà.
Intanto consegno il certificato alla bidella:
"Guardi, non so... è questo?"
Frugo tra i foglietti spiegazzati nella mia agenda 2012.
Mi guarda come fossi scema (e in effetti...):
"Questa a me sembra un'impegnativa per una visita oculistica."
"Ah! Oh! Ha ragione ecco, allora dev'essere questo. Scusi sa... son o un po'... faccia lei." (Suggerimento: rincoglionita?)
Mi viene da chiedermi: Ma con Mimi ero così stanca?
Che implica riferimento alla mia prima gravidanza e sottintenderebbe risposta negativa.
No perché ultimamente, tra la panza che mi tira ovunque, le costole doloranti, Noemma che freme e si agita nottetempo, sono proprio ridotta a uno stadio semi-larvale. Roba che ho rinunciato a uscire di casa per tre giorni di fila, approfittando della grave indisposizione della pupa: lei accusava tremendissimo raffreddore con raccapriccianti fuoriuscite di muco verde, predisposizione alla lagna reiterata e insistente, recalcitranza mattutina ostinata a (nell'ordine): svegliarsi, alzarsi dal letto (malgrado le ripetute evocazioni di un'appetitosa colazione), farsi vestire, pettinare, infilare le scarpe, infilare giacca, uscire di casa, e che lo dico a fare, andare al nido.
Sono debole, lei mi frega come e quando vuole.
- Mamma dove andiamo oggi?
- E secondo te dove andiamo?
- Andiamo a 'Oma da nonna?
- No, Mimi, andiamo a scuola.
- No mamma, io non boglio anda'e a ccuola: voglio tta'e a casa con te!
Parte la serie di valide argomentazioni materne secondo cui a scuola ci si diverte molto più di quanto non si possa fare a casa in compagnia di una mamma comatosa, su quanto sia noioso passare intere giornate di pioggia chiusi in casa e via dicendo.
Lei non si lascia intortare:
- No, mamma, io non mi annoio MAI a cada. Mi annoiavo a ccuola, ie'i: piangevo! Pecchééé... volevo te!
Ditemi un po' voi come può una rimanere insensibile a tanto strazio.
Comunque dopo un blando tentativo di mandarla a scuola col muco verde, avvertendo che la sarei andata a prendere prima del sonnellino, tanto per mettermi la coscienza a posto, i recuperi traumatici di lei con gli occhi iniettati di sangue, i distruttivi addormentamenti pomeridiani ostacolati da gatti e improvvisi explois energetici di lei, mi son convinta che la meglio era tenerla a casa finché non le passava 'sto raffreddore, che almeno mi evitavo possibili bacchettate da maestre e genitori circa la circolazione di germi, e mi potevo adagiare entro il solco di orari più mollaccioni.
Il risultato è stato un disastroso spataccamento casalingo di entrambe, lei in pigiama fino a orari vergognosi, io spalmata sul materasso a ogni ora, a massaggiarmi la pancia dolorante.
Domanda: ma com'è che portarla al nido a me più che farmi riposare mi stressa?
Alzarmi al mattino passi, è svegliare e preparare lei che mi distrugge, inseguirla sotto al tavolo di cucina con un calzino mezzo infilato al piede e l'altro in bocca, tentare di districarle capelli impastati al miele e muesli, infilarle la maglietta mentre lei "disegna con la cannuccia" tenuta tra i denti in una sorta di drip-art lattea casalinga.
Lei la mattina ci ha i suoi rituali del risveglio: dai 15 ai 20 minuti a giocare nel letto infilando a turno i vari suoi pupazzi sotto le coperte e invitandomi ad assistere allo stupefacente spettacolo della vita:
- Mamma, guadda che panzone che ho io, con dentro Amleto! Tocca, mamma, il mio panzone! Vedi? Amleto deve anco'a nacce'e! Guadda, mamma, è nato Amleto!
- Mimi, vieni a fare colazione?
- No, mamma, c'ho i'ppanzone io! (Torna al punto 1).
Per riuscire a fare tutto in orario dovrei iniziare a svegliarla un'ora prima.
Da cui: per non soccombre quando, tra pochi mesi, ci sarà Noemma, urge organizzazione. Se con una vado in tilt, non oso pensare con due.
Ecco il quesito: ma come fanno gli altri genitori a portare i figli al nido in orario e poi ad essere a lavoro loro pure in orario?
E sì che non lavoro, non ho cani da portare a fare i bisogni al mattino, non devo guidare per 40 minuti in mezzo al traffico della Capitale, per dire: abito a 15 minuti di strada a piedi dal nido, volendo.
Eppure io di norma arrivo sul filo del rasoio dell'orario di entrata (e sì che il nido è aperto già dalle 7.30), la infilo nel pertugio del portone che si va chiudendo come Indiana Jones nel tempio maledetto, dopo aver derapato con la bicicletta sotto la pioggia scrosciate.
Ma anche quando riesco a portarla a un'ora decente (senza strafare, diciamo per le 9: orario rispettabilissimo) anticipando un po' sulle tabelle di marcia, non capisco come, sono sempre l'ultima genitrice a uscire dalla scuola, anche se non mi fermo mai a parlare con le maestre, non chiedo mai cosa c'è per pranzo, non chiacchero con le altre mamme, non (inserire varie ed eventuali attività di normale interazione sociale scolastica).
E' che siamo tarati: la puntualità, ne sono convinta, è un'eredità genetica. O ci nasci o te la scordi.
Guarda me, no: guarda Hasuna, e poi guarda Mimi. Condannata ad arrivare in ritardo a vita.
Ieri per esempio, pronte per il grande rientro dopo la "pausa raffreddore-svacco", mi ritrovo a infilarle le scarpe alle 9 suonate, mentre lei finisce di ingurgitare il suo latte e miele, cannuccia, drip-art; capelli non c'è tempo, pipì, nemmeno (la farà a scuola).
- Mamma facciamo il puzzle dei porcellini?
- No, Mimi, è tardi.
- Mamma, io voglio fa'e i puzzle dei porcellini!
- dai Mimi che è tardi!
- Mamma, io no ci voglio anda'e a ccuola... (Mh, questa mi suona nuova...)
Arriviamo davanti al portone che sento rintoccare le nove e mezza: chiuso.
Ce ne torniamo moge moge (io), trionfanti (lei) sotto una pioggerella beffarda e incipiente.
Avrei potuto suonare, implorare pietà. Ma suvvia, un minimo di dignità, rispetto, senso del pudore...
Quinto giorno di assenza, contando il dannato week end di mezzo: vuol dire un'ora di anticamera dal pediatra per il famoso certificato medico. Lui ne approfitta per visitarla e mi chiede se sto bene.
Io o Mimi? No, Mimi sta una favola, dice. Dice che io, se mai, non sembro proprio in formissima, dice che sono bianca e un po' gialla. Gli dico che sono incinta. Mi dice con leggero sarcasmo che l'aveva vagamente sospettato... Mi dice che dovrei riposarmi. Ah, ecco!
Ecco: ora mi sento ufficialmente autorizzata allo svacco. Me l'ha prescritto il pediatra di mia figlia.
Cioè, peggio di così è difficile: il frigo, porello, in uno stato da far pietà, reclama generi alimentari di prima necessità; i capelli saranno dieci giorni che non riesco ad andare oltre al proposito (onestissimo, per carità) di lavarmeli, la casa sembra un accampamento, perché chissà come mai quando si sparge la voce che aspetti un bambino un sacco di gente che deve svuotarsi la cantina pensa bene che forse ti potrà servire una paccata di Sapientino Scuola senza batterie e il gioco dell'oca di Ben Ten...
Mi arrampico su per le scale con le buste della spesa in una mano, nell'altra mano la mano di lei, che rompe perché vuol essere presa in braccio perché "tono ttanca di sali'e le scale" (Eh! immagina io!), e intanto penso: ah, ma domani vedrai se non ti ci porto, al nido!
Ecco perché non mi sento poi tanto in colpa per aver ceduto con tanta facilità alle rassicurazioni circa il pericolo di crollo del soffitto dell'asilo nido dove va mia figlia.
Abbiate pietà.
Mi si indurisce la panza la sera: dura come pietra. Non potete capire il fastidio.
Mai avute con Mimi contrazioni pre-termine, e la cosa mi preoccupa un poco. Non vorrei affrettare la venuta al mondo di Noemma, ecco.
Non sono pronta: non ce la potrei fare. Non ancora.
Ancora un po' di svacco, per piacere!
Pietà pietà!
giovedì 6 dicembre 2012
In questi giorni.
Allora la malattia fa il suo decorso, ormai battendo in ritirata, si spera.
Noi siamo chiuse in casa, anche quando esce fuori una giornata tersa e luminosa come quella di oggi, che ti vien proprio voglia di uscire e di sentirti sulla pelle e dentro le narici quel freddo pizzicorino ma salubre che ti sa di pulito e di aria di montagna, con un retrogusto di focolare che arriva da non si capisce bene dove.
E sì che dicembre si risolve in una lunga e snervante attesa del Natale. Dicembre non è altro che una propaggine fastidiosa del Natale, ecco il motivo principale per cui io non lo sopporto.
Come tutte le attese è snervante, e non sai se sperare che l'agonia passi presto o augurarti che ti lasci almeno il tempo per portare a termine tutto quello che ti proponevi di fare.
Sì, anche quando decidi di dire no a tutte le fastidiose incombenze satelliti del periodo, annunciando che non vuoi e che non farai regali a nessuno quest'anno (ad eccezione dei bambini, si intende), anche quando credi di esserti impermeabilizzata al bombardamento consumista dagli scaffali dei supermercati e dalle vetrine dei negozi, anche quando non esci dopo il tramonto pur di non essere sopraffatta dalla miriade di lucine decorative di strade e vetrine.
Si può essere più Grinch di così?
Primo problema: la riunione maestre-genitori del nido porta sempre con sè due fastidiosissime quanto inevitabili questioni. La prima è la faticosa festa di Natale, in occasione della quale si deve stabilire quale pietanza porterà chi per l'immancabile vergognosa abbuffata che manco fossimo profughi armeni in fuga. Oh Signore, se sei nei Cieli, ascoltami: poni fine alle nostre sofferenze prima di quella data. Visto che alcuni sostengono tu abbia fissato il dì di nostra dipartita da questo universo proprio il 21 corrente mese e anno, fa' almeno che sia prima delle ore 17. Grazie.
L'altra immediata conseguenza di tale riunione (espletata da me diligentemente lo scorso pomeriggio) è la temuta colletta per l'inutile regalo alle maestre. No, cioè, che cazzo (si può dire in tempo di avvento? Tanto a Babbo Natale ho già specificato di non includermi nella sua lista dei buoni). Dicevo: no, cioè, che cazzo, ma è proprio necessario immolare 10 euro a capoccia per stelle di Natale che appassiranno nel giro di un mese e panettoni artigianali che finiranno pigramente sbocconcellati a termine di qualche estenuante pantagruelico cenone? No, non lo è, ma pare brutto.
Questa vexata quaestio (scusate se può sembrar che me la tiri col mio latinorum, almeno non sarà del tutto vano l'aver fatto il liceo classico) del regalo alle maestre, occupa in genere la seconda parte della riunione dei genitori, quella che si svolge al freddo fuori dalla porta del nido, prima di tornare alle rispettive case di appartenenza, e ha una durata di poco inferiore alla prima riunione, quella con le insegnanti, che si svolge all'interno della struttura, ma vi assicuro che non è meno importante di quest'ultima.
- Allora, che si fa? Lo facciamo il regalo alle maestre quest'anno?
- Mah, non saprei... l'anno scorso abbiamo chiesto loro cosa volessero per Natale e ci hanno chiesto di prendere qualcosa per i bimbi del nido.
- Beh, secondo me è normale che rispondano così. Se vogliamo fare un regalo personale è inutile chiedere loro cosa vogliono. Facciamolo e basta (Questa era la Suster, che avrebbe volentieri aggiunto: "Ma si può anche evitare di farlo e festa finita", ma il pudore la fermò).
- O se no prendiamo dei librini per il nido, che Lucia ha detto che quelli che ci sono sono tutti rovinati.
- Mah! A me sembra inutile prendere altra roba per il nido. Mi pare che sono pieni di giochi! (Questa era sempre Suster).
- Sentite, alle altre possiamo anche non fare il regalo, ma ad Antonella BISOGNA farlo, visto che se ne va.
- Potremmo farle un fotobùc di tutti i bimbi. Mio marito fa il fotografo. Bisognerebbe che ogni genitore gli faccia avere una foto di ogni bambino in tempo...
- Ecco, appunto. Non riusciremo mai a raccoglierle tutte in tempo.
- Potremmo prenderle un gioiello; qualcosa di bigiotteria ma bello però. Ho visto che porta volentieri gli orecchini. Ora che non lavorerà più con i bimbi potrà portarli più spesso...
- Ma a me non piace l'idea di fare un regalo solo ad Antonella però... Non è bello, no. O a tutte o a nessuna.
- Potremmo fare a tutte un dono simbolico e ad Antonella aggiungere il fotobùc.
- Ma allora, quanto mettiamo? 5 euro?
- No: l'anno scorso è stata una faticaccia raccogliere tutti i soldi, e alla fine non erano nemmeno la metà dei bambini. Facciamo almeno 10. Una quota per Antonella, e una per il regalo collettivo.
- Ma scusate: io direi di lasciare l'offerta libera, senza stabilire un tetto, perché ci sono famiglie che non possono permetterselo (questa non ero io, eh. Io non mi espongo così).
- E' vero: per noi 10 euro non sono niente, ma ci sono molte famiglie... (di stranieri) per i quali magari è una grossa cifra.
("Non saranno niente per te. Io mi autoincludo nel novero delle famiglie sfigate per le quali è una cifra di tutto rispetto, e ti assicuro che preferirei utilizzarla altrimenti" questa ero io, ma l'ho solo pensato).
- Sì, ma mica sono obbligati ad aderire, eh! Se uno vuole contribuisce, se no no. Ma mettere l'offerta libera è un deterrente secondo me.
("Deterrente, deterrente! Voglio essere detratta da questo onere sociale!")
- Allora come facciamo? Si mette un annuncio in bacheca?
Vi assicuro che ho semplificato all'osso.
E' stata una discussione estenuante.
Insomma: Palestina all'ONU, i tagli alla spesa pubblica, tifone nelle Filippine...
Non c'è storia, ragazzi. La vera questione è questa: il regalo alle maestre.
Eccheppalle. Ho pure dimenticato che altro volevo dire. Sul Natale.
Forse che ho comprato al supermercato un pigiama di pile per Mimi in offerta perché a tema natalizio e ho pensato: ma è normale che la roba di Natale sia già in offerta? O sono io quella con problemi di tempismo?
Forse che, mio malgrado, ho tirato fuori il nostro striminzito albero di plastica.
Aspetto che Mimi si svegli e poi ci diamo alla pazza gioia con palle e lustrini.
Almeno la tengo occupata per una mezza serata.
E' quasi una settimana di casa e iniziano a scarseggiare le idee.
E poi i bambini devono avere il loro Natale.
Ahimè, che sentimentale, che sono diventata!
Una cinica sentimentale. Che orrore!
lunedì 5 novembre 2012
Quel che di lei NON so.
Un bel giorno lei si infila finalmente le scarpine con le farfalle senza troppi psicodrammi, si lascia prendere per mano dalla sua amica Emma e si avvia senza fare una piega verso la sua mattinata in autonomia.
Confesso che all'inizio ho aspettato prima di emettere l'ennesimo grido di vittoria.
Invece era proprio fatta: mi volto verso la maestra Adriana e dico: "A quanto pare, l'inserimento è ultimato". "Già". Fa lei.
Ci son voluti un anno e due mesi di distacchi lacrimosi, ma ecco, il miracolo è avvenuto.
Un grande sollievo, lo confesso.
Ora va a scuola più o meno volentieri, talvolta mi saluta agitando la mano e dicendo: "Mamma, ciao, io vado a ccuola!" prima di scomparire nel corridoio trascinandosi dietro l'elefante a ruote.
Ora si lascia sfilare gli stivaletti neri acquistati al negozio dell'usato seduta tranquilla sulla panchetta bassa dell'area accoglienza del nido, mentre la maestra Lucia si affaccia periodicamente a metterle fretta senza peraltro essere degnata della minima attenzione (Sì, ho capito: lascia almeno che le cambi le scarpe, maestra Lucia! Non dimentichiamo che continuo a ritenerti in parte responsabile del pessimo inserimento di mia figlia, con le tue intrusioni da buldozer...).
Ora scende dalla panchetta a piedi scalzi e si dirige sicura verso il suo armadietto col nome scritto bene, mentre ancora un buon 50 % del personale docente continua a pronunciarlo alla cazzo di cane, ossia, come gli passa per la testa al momento, anche dopo più di un anno. Preleva le pantofoline con le farfalle (grande acquisto, per lusingare la femminilità della mia vanitosa miss che non vede l'ora di indossarle ogni mattina) e con aria solenne inizia il cerimoniale dell'impantofolamento, impiegando tre volte il tempo che impiegano gli altri bambini, visto che mentre io aspetto che abbia finito, ce ne passano puntualmente davanti almeno altri tre, cui i genitori provvedono sbrigativamente a cambiare le scarpine e ad indirizzare nel lungo lungo corridoio di cui sopra.
Ora le dico: "Ok, sei pronta. Vai: corri a cercare Emma!" E lei corre, nel lungo corridoio, lunghissimo se visto coi suoi occhi, e apre porte a caso, finché qualche maestra non esce a indirizzarla nella giusta area dove oggi si fa, che ne so, laboratorio di travestimenti o giochi con la sabbia, o nel motorio, o nella misteriosissima "sala di psico".
Dato che ai genitori è vietato l'ingresso oltre la soglia del lungo lungo corridoio su cui si aprono le porte delle varie sale attività, mi sono sempre chiesta in cosa concretamente queste attività consistano, e sarei davvero curiosa di assistere almeno ad una delle giornate tipo di mia figlia al nido.
E' vero che all'uscita troviamo annotato con cura sotto ai fogli del pranzo l'attività svolta dai nostri pargoli durante la mattinata. Tipo: "Rocco, Daniele e Tommaso laboratorio manuale, gli altri in sala di psico", ma cosa esattamente si faccia in sala di psico continua per me ad essere un gran mistero.
- Cosa hai fatto oggi Mimi?
- Ho dato la mano a Emma...
- Bene. Poi?
- Ho giocato con Emma...
- Mh. Siete andati in cortile?
- Tì, tono andata in battaglia. Ho patto la battaglia, poi Tommy piangeva, io gli ho detto "Pecché piangi Tommy?" Lui ha detto "Pecchè volevo la mia mamma, ccusa". Dopo volevo la lucettola e sono andata a letto.
- Ah. capisco... Interessante. Uhm. Avete... fatto altro?
- Tì. Tiamo andati in zzico.
- Ah! In psico? Figo! E che avete fatto in psico? Avete giocato coi cuscini?
- Tì.
- E poi?
- ...
'Cidenti! Nemmeno lei mi aiuta molto.
C'è qualcosa che di lei inizio a non sapere. E un po' mi fa sorridere. Di una importante tenerezza. Che abbia una vita sua, se pure minuscola, ma sua in cui io non posso entrare: e in fondo potrei anche starmene buona a fare i fatti miei senza stare a indagare troppo su attività e rapporti interni. Dopo tutto quella è la SUA vita sociale, che inizia a non riguardarmi.
Più oscure continuano ad essermi le motivazioni per cui le educatrici non ritengano opportuno approfondire un poco con i genitori il discorso della didattica svolta nelle ore in cui i nostri figli stanno parcheggiati là. Dopotutto se ne fanno ampio vanto al momento della presentazione della struttura, ma poi, al concreto dei fatti, buio totale. Mah.
Pare che a noi madri (e padri) riguardi solo conoscere la quantità precisa delle varie portate ingurgitate dai pargoli durante il pasto. Su questo le annotazioni sono molto minuziose, e a quanto pare a scuola Mimi si ingozza come non mai, ma sarei proprio curiosa di vedere l'entità di quelle mini-porzioni, tali da consentirle di chiedere quotidianamente il bis, quando a casa smozzica appena due forchettate di farfalle al parmigiano e mezza mela diffondendo ovunque panico di materia alimentare.
Però a dirla tutta ciò che davvero mi piacerebbe è vedere come lei si destreggia in quel suo piccolo mondo di rapporti e relazioni elementari, ma non meno delicate e impegnative delle nostre.
Vederla intessere legami, esprimere la propria neonata personalità e le sue preferenze, scrutare le sue affinità elettive, destreggiarsi per risolvere conflitti di territorialità e di interesse, rapportarsi con l'autorità costituita da latri che non sia io, fare tutto ciò senza la sicurezza della mia presenza.
E così scruto quel suo microcosmo restando sulla soglia del lungo lungo corridoio e rivolgendole le solite inutili domande, le stesse che tutte le madri ripetono alla nausea ai propri figli di ritorno da scuola dalla notte dei tempi e fino alla notte dei tempi: "Ti sei divertita?" "Cosa hai fatto?" "Chi c'era?", e lei come da copione glissa per la maggior parte.
Ma ci sono cose che le maestre non immagino che io sappia su di loro e su quello che succede là dentro. Ho i miei informatori, diciamo, e di tutto rispetto pure.
So per esempio che questa settimana le maestre erano tutte malate, e che dovevano stare a letto perché avevano la febbre ed è venuto il dottore.
So che la maestra Lucia dice sempre: "Basta con tutto questo baccano!" E anche: "Non si mangia con le mani!" e altre amenità che ne fanno inoppugnabilmente la regina delle scassaballe, almeno dal mio personalissimo punto di vista.
So che Lorenzo è morditore. Del resto ne ho avuta chiara conferma pratica verso la fine dello scorso anno, quando Mimi tornò a casa con un inequivocabile marchio circolare sul polso, a mo' di orologio, dove si contavano la bellezza di almeno una dozzina di dentini da latte.
So che le maestre attaccano le caccole sulla faccia di Mimi, o almeno così sostiene lei.
So che Mimi va a dormire in un lettino bianco accanto a Gabriele e so che Gabriele piange sempre e Mimi gli dice "Non piangere, Gabriele", o almeno lei è convinta di dirglielo, anche se magari lo pensa e basta, o lo ricostruisce a posteriori.
So che la maestra Romina canta la canzone dell'ape nera e gialla che le piace svolazzar, sulle note dell'intro di Robin Hood e so che Antonella si è vestita da strega, però era una strega buona. E aveva anche la scopa per volare? Sì, aveva anche la scopa ed è volata via. Uhmmmm...
So che Antonella ha fatto il "Cattagnazzo" e che Mimi l'ha aiutata.
So che in giardino c'era una lumaca e Pietro l'ha schiacciata.
So poi un'infinità di cose su Emma, riassumibili fondamentalmente nel fatto che Emma e Mimi sono molto amiche e questa cosa ai miei ignorantissimi occhi è semplicemente sorprendente!
Per esempio: so che Emma e Mimi sono andate con la bichicletta, che era un ticiclo,e che Emma ha detto: "Mimi, vieni con la bichicletta con me" e Mimi ha detto: "Tì, Emma, adetto vengo", e so che hanno corrito velocittimo velocittimo.
So che Emma ha fatto dei disegni bellittimi, tra cui un orso grande e un orso piccolo, e poi tutte le maestre.
So che Emma e Mimi ballano quando la maestra Angela mette la musica.
So che quando alla fine dello scorso anno scolastico mi hanno consegnato il cd con le foto dei bimbi, in tutte quelle in cui compariva Mimi, accanto c'era sempre Emma.
E una volta che ero venuta a recuperare Mimi, le ho sbirciate dalla portafinestra che dà sul cortile della scuola: Mimi a panza in sotto sdraiata su di un basso tavolinetto azzurro si sporgeva dal bordo del tavolo per sorprendere una Emma acquattata sotto che si sganasciava dalle risate, e nello stato confusionale in cui ultimamente mi capita di trovarmi, quasi quasi mi salivano le lacrime agli occhi dalla tenerezza.
Ché quella che ancora saltuariamente chiamo la mia pupa mi sorprende, dimostrandomi di possedere una spiccata capacità relazionale ed elettiva, di essere capace di coltivare già rapporti esclusivi e speciali, di complicità e intesa, anche se fatti solo di risate e giochi elementari, e corse in triciclo e danze scatenate, rapporti che poi trasfigura nel suo fantasmagorico mondo di racconti interminabili e confusi.
Magari non saprò mai tutto tutto di lei, ma il suo mondo, visto e raccontato dai suoi occhi e dalla sua bocca è infinitamente più fiabesco e divertente.
giovedì 13 settembre 2012
Vento di settembre.
E insomma ci sono cascata.
E pensare che ho passato un anno a "non voler cantar vittoria" anche quando le crisi di abbandono al nido sembravano finalmente superate e puntualmente ci ricadevamo.
Poi me ne esco con quel "buon inizio"! Ma quale buon inizio!
Cioè: se ci dobbiamo riferire al nido, non si può dire che sia andato tutto liscio, per il resto, saluto festosa questo settembre che prelude già a un autunno come si deve, ché era proprio ora: via il caldo e l'afa, tra ieri e oggi raffiche di vento furibonde hanno definitivamente spazzato via quel residuo di cappa che faceva impallidire il cielo di un bianco lattiginoso e ora un sole schietto fa capolino di quando in quando tra un inseguirsi di nuvolazze e un azzurro sparato. Ma basta previsioni meteo ('azz! Ci casco sempre!)
Più facile così recuperare, almeno in parte, l'energia per fare (e per pensare? Uh, che spot era mai questo? Pane e Nutella mi sa... si può dire? No, non prendo soldi dalla Ferrero. Ah, allora ok).
Insomma, il primo giorno al nido era andato liscio, il secondo invece abbiamo lottato come belve feroci sul pavimento di casa con lei che schiumava rabbia e lacrime, si strappava i capelli in preda a una delle sue migliori crisi isteriche, mi faceva ostruzionismo in tutto, dall'infilarle le mutandine allo strigliarle i capelli (un'unica matassa infeltrita) e si spalmava moccio sulla faccia dandosi anche vigorosi schiaffi da isterica autolesionista.
Mia figlia sa essere una bambina dolcissima. Chi non la conosce bene però non può immaginare gli estremi di manifestazioni di rabbia fino ai quali è capace di spingersi.
Toh, ha perso la pazienza persino il padre, che si è affacciato serafico dalla porta del bagno mezz'ora dopo volendo fare il padre splendido che interviene laddove la mamma non sa più che pesci pescare.
Alla fine acchiappata di peso e caricata in bici ha dovuto calmarsi per forza di cose.
Cedere mi era venuta pure la tentazione, tanto più che le sue scenate mi hanno fatto arrivare in ritardo di un buon venti minuti. Ma cedere non sarebbe stata una mossa furba, e la scenata isterica sarebbe diventata la prassi. Ormai lo so.
Ma non è stato affatto bello, no.
Lo so io come mi si è stretto il cuore a vederla terrorizzata dalle nostre rispettive sfuriate e sola in un angolo, abbandonata come un pupazzo che ripeteva come un disco rotto: "Lasciami in pace Buia, io tto male!" Perchè continuano a colpirmi le sue dimostrazioni di autoconsapevolezza, la facilità con cui è in grado di esprimere e comunicare i propri stati d'animo, lei così piccola.
Ma via, voltiamo pagina.
All'uscita eccola lì, che gioca con il garage del nido ostentando indifferenza per il mio arrivo e salutandomi con un "Mamma! Ciao! Ti appettavo!", che mi fa sempre ridere. Che mi racconta di aver fatto pipì nel vadino due volte e che si precipita alla porta appendendosi al maniglione antipanico della scuola.
Poi è andata meglio.
Stamani mentre ero intenta a pittarmi gli occhi davanti allo specchio del bagno (non fateci l'abitudine, è che ogni tanto sento l'esigenza di vedermi un po' "sistemata") la sento che dice a Zorro: "Un piccione è entrato nella mia cada!" (Sì, va be', ma senti quante ne inventa. Penso io.)
Lei se ne viene e mi fa: "Mamma, vieni a vedere, che bellittimo il piccione che è entrato nella mia cada!"
Insomma, era proprio entrato un piccione in casa, accidenti! (Che fantasia questi bambini!)
Va be', ma potrei continuare a citare aneddoti sulla pupa, su tutto quel che inventa, racconta, esprime, comunica. E' che ancora non me ne capacito. Questo insieme di euforia per tutto ciò che le accade intorno, questo stupirsi di tutto, e di apparente noncuranza per i fatti strani del quotidiano, chè ti viene a dire che è entrato un piccione in casa come ti direbbe che le susine cadono dall'albero, anzi, pure con meno enfasi. "Mamma, ti dico una cosa impottante: le tudine cadono dall'albero!" Che va avanti da due mesi ormai co' sta storia delle susine che cadono. Dev'essere stata una rivelazione per lei. Magari le ha viste cadere dall'albero e ha intuito qualcosa di fondamentale per la comprensione di questo nostro mondo: che quelle susine che abbiamo in casa e che mangiamo sono quelle stesse che lei ha visto nascere e maturare sull'albero sotto casa. O magari ha intuito la legge della gravità, in anticipo sui tempi, almeno per età anagrafica, rispetto a quel geniaccio di Newton!
Chissà chissà.
Lei parla, indaga il mondo, si pone domande e si dà risposte, espone teorie, inventa relazioni, lavora sulle "s" e sulle "r", mi dice "Mamma, non mi chiamo più Yamin, mi chiamo Pincipessssa Yasss-min!", e anche: "I bambini chescono chescono e diventano GRRRAAANDI!" arrotondando quella "a" e arrotolando quella "r" come le pronuncerebbe un francese che dicesse, per l'appunto, la parola "grande".
E io nel frattempo macino ancora l'ennesimo post sul nido, sulle sfuriate isteriche e sulle parole della pupa, come se non ne avessimo già tutti abbastanza, e invece avrei da parlare di tante altre cose, e continuo a rimandare.
Eh, intanto devo presentarvi, a chi fosse curioso, la futura nuova inquilina della casa, cui avevo accennato avrei riservato una presentazione coi fiocchi.
E poi devo parlare anche di un'altra cosa, ma c'è tempo.
Mi godo settembre, le chiacchere della pupa, il rientro, burrascoso o no, al nido, il vento, il mal di testa (eh, quando c'è tanto vento mi viene) e le mie mattinate libere, che continuano a non bastarmi mai per fare tutte le cose che mi ero riproposta e che continuavo a rimandare a settembre, come gli scolari impreparati, tanto più che il nido è ancora aperto a orario ridotto, ed entro mezzogiorno mi tocca preparare il pranzo e andarla a riprendere affamata.
Ma paziento.
Però ho fatto la marmellata di tudine, approfittando del tempaccio di ieri pomeriggio, che ci ha impedito di uscire, e ho fatto una torta, mentre Mimi impastava farina e acqua, e faceva palline con il didò, e poi le infilava di soppiatto nell'impasto della torta (fortuna che me ne sono accorta in tempo), e faceva pure lei una torta con il didò e poi ci metteva le candeline e soffiava prima per se stessa, poi per mamma, cosa che mi ha fatto pensare che, ahimè, tra un po' ci risiamo pure. Ma va bene, quest'anno, mi sento pronta, a incignare come si dice qui, la trentina.
E poi ho preso una collana e un bracciale con il quadrante di un orologio a forma di cuore, per lei, che ama i gioielli e la ritrovo sempre adorna come un abete quando la vado a riprendere dal nido, e ho pensato che a casa non ha niente con cui farsi bella, e così ho anche riesumato due scatoline di cartone che mi ragalarono quando lei nacque, e che misi via infastidita dicendo, ma che cavolo ci dovrei fare? E invece ecco: i suoi primi portagioie. Lei che è così civettuola, a volte, e femminile, e vezzosa. Non io.
I figli, si sa, non fate l'errore di considerarli dei doppi dei genitori.
E pensare che ho passato un anno a "non voler cantar vittoria" anche quando le crisi di abbandono al nido sembravano finalmente superate e puntualmente ci ricadevamo.
Poi me ne esco con quel "buon inizio"! Ma quale buon inizio!
Cioè: se ci dobbiamo riferire al nido, non si può dire che sia andato tutto liscio, per il resto, saluto festosa questo settembre che prelude già a un autunno come si deve, ché era proprio ora: via il caldo e l'afa, tra ieri e oggi raffiche di vento furibonde hanno definitivamente spazzato via quel residuo di cappa che faceva impallidire il cielo di un bianco lattiginoso e ora un sole schietto fa capolino di quando in quando tra un inseguirsi di nuvolazze e un azzurro sparato. Ma basta previsioni meteo ('azz! Ci casco sempre!)
Più facile così recuperare, almeno in parte, l'energia per fare (e per pensare? Uh, che spot era mai questo? Pane e Nutella mi sa... si può dire? No, non prendo soldi dalla Ferrero. Ah, allora ok).
Insomma, il primo giorno al nido era andato liscio, il secondo invece abbiamo lottato come belve feroci sul pavimento di casa con lei che schiumava rabbia e lacrime, si strappava i capelli in preda a una delle sue migliori crisi isteriche, mi faceva ostruzionismo in tutto, dall'infilarle le mutandine allo strigliarle i capelli (un'unica matassa infeltrita) e si spalmava moccio sulla faccia dandosi anche vigorosi schiaffi da isterica autolesionista.
Mia figlia sa essere una bambina dolcissima. Chi non la conosce bene però non può immaginare gli estremi di manifestazioni di rabbia fino ai quali è capace di spingersi.
Toh, ha perso la pazienza persino il padre, che si è affacciato serafico dalla porta del bagno mezz'ora dopo volendo fare il padre splendido che interviene laddove la mamma non sa più che pesci pescare.
Alla fine acchiappata di peso e caricata in bici ha dovuto calmarsi per forza di cose.
Cedere mi era venuta pure la tentazione, tanto più che le sue scenate mi hanno fatto arrivare in ritardo di un buon venti minuti. Ma cedere non sarebbe stata una mossa furba, e la scenata isterica sarebbe diventata la prassi. Ormai lo so.
Ma non è stato affatto bello, no.
Lo so io come mi si è stretto il cuore a vederla terrorizzata dalle nostre rispettive sfuriate e sola in un angolo, abbandonata come un pupazzo che ripeteva come un disco rotto: "Lasciami in pace Buia, io tto male!" Perchè continuano a colpirmi le sue dimostrazioni di autoconsapevolezza, la facilità con cui è in grado di esprimere e comunicare i propri stati d'animo, lei così piccola.
Ma via, voltiamo pagina.
All'uscita eccola lì, che gioca con il garage del nido ostentando indifferenza per il mio arrivo e salutandomi con un "Mamma! Ciao! Ti appettavo!", che mi fa sempre ridere. Che mi racconta di aver fatto pipì nel vadino due volte e che si precipita alla porta appendendosi al maniglione antipanico della scuola.
Poi è andata meglio.
Stamani mentre ero intenta a pittarmi gli occhi davanti allo specchio del bagno (non fateci l'abitudine, è che ogni tanto sento l'esigenza di vedermi un po' "sistemata") la sento che dice a Zorro: "Un piccione è entrato nella mia cada!" (Sì, va be', ma senti quante ne inventa. Penso io.)
Lei se ne viene e mi fa: "Mamma, vieni a vedere, che bellittimo il piccione che è entrato nella mia cada!"
Insomma, era proprio entrato un piccione in casa, accidenti! (Che fantasia questi bambini!)
Va be', ma potrei continuare a citare aneddoti sulla pupa, su tutto quel che inventa, racconta, esprime, comunica. E' che ancora non me ne capacito. Questo insieme di euforia per tutto ciò che le accade intorno, questo stupirsi di tutto, e di apparente noncuranza per i fatti strani del quotidiano, chè ti viene a dire che è entrato un piccione in casa come ti direbbe che le susine cadono dall'albero, anzi, pure con meno enfasi. "Mamma, ti dico una cosa impottante: le tudine cadono dall'albero!" Che va avanti da due mesi ormai co' sta storia delle susine che cadono. Dev'essere stata una rivelazione per lei. Magari le ha viste cadere dall'albero e ha intuito qualcosa di fondamentale per la comprensione di questo nostro mondo: che quelle susine che abbiamo in casa e che mangiamo sono quelle stesse che lei ha visto nascere e maturare sull'albero sotto casa. O magari ha intuito la legge della gravità, in anticipo sui tempi, almeno per età anagrafica, rispetto a quel geniaccio di Newton!
Chissà chissà.
Lei parla, indaga il mondo, si pone domande e si dà risposte, espone teorie, inventa relazioni, lavora sulle "s" e sulle "r", mi dice "Mamma, non mi chiamo più Yamin, mi chiamo Pincipessssa Yasss-min!", e anche: "I bambini chescono chescono e diventano GRRRAAANDI!" arrotondando quella "a" e arrotolando quella "r" come le pronuncerebbe un francese che dicesse, per l'appunto, la parola "grande".
E io nel frattempo macino ancora l'ennesimo post sul nido, sulle sfuriate isteriche e sulle parole della pupa, come se non ne avessimo già tutti abbastanza, e invece avrei da parlare di tante altre cose, e continuo a rimandare.
Eh, intanto devo presentarvi, a chi fosse curioso, la futura nuova inquilina della casa, cui avevo accennato avrei riservato una presentazione coi fiocchi.
E poi devo parlare anche di un'altra cosa, ma c'è tempo.
Mi godo settembre, le chiacchere della pupa, il rientro, burrascoso o no, al nido, il vento, il mal di testa (eh, quando c'è tanto vento mi viene) e le mie mattinate libere, che continuano a non bastarmi mai per fare tutte le cose che mi ero riproposta e che continuavo a rimandare a settembre, come gli scolari impreparati, tanto più che il nido è ancora aperto a orario ridotto, ed entro mezzogiorno mi tocca preparare il pranzo e andarla a riprendere affamata.
Ma paziento.
Però ho fatto la marmellata di tudine, approfittando del tempaccio di ieri pomeriggio, che ci ha impedito di uscire, e ho fatto una torta, mentre Mimi impastava farina e acqua, e faceva palline con il didò, e poi le infilava di soppiatto nell'impasto della torta (fortuna che me ne sono accorta in tempo), e faceva pure lei una torta con il didò e poi ci metteva le candeline e soffiava prima per se stessa, poi per mamma, cosa che mi ha fatto pensare che, ahimè, tra un po' ci risiamo pure. Ma va bene, quest'anno, mi sento pronta, a incignare come si dice qui, la trentina.
E poi ho preso una collana e un bracciale con il quadrante di un orologio a forma di cuore, per lei, che ama i gioielli e la ritrovo sempre adorna come un abete quando la vado a riprendere dal nido, e ho pensato che a casa non ha niente con cui farsi bella, e così ho anche riesumato due scatoline di cartone che mi ragalarono quando lei nacque, e che misi via infastidita dicendo, ma che cavolo ci dovrei fare? E invece ecco: i suoi primi portagioie. Lei che è così civettuola, a volte, e femminile, e vezzosa. Non io.
I figli, si sa, non fate l'errore di considerarli dei doppi dei genitori.
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lunedì 10 settembre 2012
Un buon inizio...
Oh glorioso settembre.
Oggi mi veniva quasi da intonare inni di lode al mese che mi restituisce tutta intera la mia agognata libertà condizionata, come la chiamo io: il nido!
Sì sì: la pupa è fantastica. Sì: ce la siamo cavata bene, questi mesi insieme 24 su 24. Sì: è diventata mooolto più autonoma di quanto non fosse appena qualche mese fa ed è in grado di passare anche ore ad intrattenersi da sé, avvalendosi di un minimo apporto materno, leggendo i suoi librini e infastidendo i gatti, e, sì: stiamo anche riuscendo a lasciarci alle spalle la fase terribilis del capriccio matto che ha messo a durissima prova i miei nervi per alcuni mesi (Terrible two? Puah! Cioè: ah ah ah! Ve l'ho fatta!).
Ma. Tutti questi sì infatti preludevano a un "ma".
Ma: che sommo gaudio, che senso di pura libertà stamattina andarmene leggera per la città sulla mia sgangherata bici, rinfrescata dall'aria settembrina che dopo le ventate infernali agostane ha il sapore di una benedizione celeste, a espletare noiose incombenze burocratiche che da prima dell'estate continuavo a rimandare perchè poco conciliabili con l'attenzione che pur tuttavia mi tocca riservare con un occhio e un orecchio a tutto ciò che, nel frattempo, mentre il commercialista parla, la pupa continua a fare/dire/baciare senza soluzione di continuità e senza modulazione di frequenza. E quindi mi stava dicendo...mamma le tudine cadono dall'albero!... Il reddito familiare... Lo tai mamma che le tudine cadono dall'albero? Eh, mamma? Eh, Pinocchio?... Sì amore, le susine... valore catastale...Tì Pinocchio, mamma, io vado nel Paete dei Balocchi, va bene?... sgrunt.
Così. Così sarebbe andata. Ma oggi ha riaperto il nido, signori, udite udite, e ho dovuto svegliare la pupa a scossoni alle 8:30, perché non dava segni di rinvenimento di sé, e vestirla incavolata, mentre mi diceva Mamma-bai-bia, in piedi sulla sedia mentre ingurgitava biscotti e si rifiutava di farsi districare gli intricatissimi capelli, con forcine incastonate a triplo nodo ed elastici incorporati nella matassa del crine.
Poi va be', per fortuna oggi non era giorno ordinario, ma intelligentemente era stato pensato come un primo giorno di flessibilità, in cui i genitori "se volevano", potevano fermarsi con i bimbi, oppure andare via per un po', e io ho optato per la seconda, giusto il tempo per permettere a lei di riambientarsi, ché malgrado gli interminabili "Quando riapre il nido?" di questa estate, oggi se n'è uscita con un "Mamma, non ci voglio andare al nido" ettepareva.
Però è stata brava.
Certo, si è rifugiata nell'incavo inguinale delle mie cosce ogni qual volta veniva avvicinata/interpellata da una qualche maestra/mamma/bidella; scappava via terrorizzata quando un compagnuccio un pochino più turbolento le si rivolgeva con quell'arroganza tipica dell'età con argomenti del tipo: "E' mio il triciclo!", ma ben presto ha iniziato ad effettuare giri sempre più ampi intorno all'individuo-mamma, che nel frattempo intratteneva (meraviglia delle meraviglie) una luuuunga conversazione con... un babbo (!!!), e inversamente a quanto fa uno squalo che, dicono, cinge d'assedio la preda, alla fine mi ha consentito la fuga in sordina.
Insomma: piuttosto contenta di noi. Di me che finalmente non mi guardo intorno spaurita (tipo così) come se fossi al cospetto di strane varietà antropologiche che non ho la minima idea della lingua che parlino o, boh, come trascorrano la loro esistenza.
Di lei che, malgrado faccia emergere un carattere piuttosto riservato e intimista piuttosto che socievole ed estroverso, riflessivo piuttosto che chiassoso e turbolento, ha saputo gestire a meraviglia la propria autonomia in assenza dell'appiglio genitoriale, dato che al mio ritorno l'ho trovata nell'atrio che sedeva composta e concentrata con un libro sulle ginocchia, leggendo ad alta voce e interpretando ad ampi gesti quanto "leggeva" nelle figure.
E va be', magari mi farebbe piacere vederla più a suo agio nella confusione, meno timorosa dell'approccio diretto, più disposta a far valere le proprie ragioni, meno incline alla ritirata strategica, e forse faccio l'errore di rivedere in lei le mie immense difficoltà a integrarmi nel gruppo, malgrado l'intensità dei rapporti che poi riuscivo a intessere con i singoli.
Ma so anche che crescerà ancora, e chissà quanti altri lati di sé esplorerà e tirerà fuori. So che lei non è me, e che la sua storia non è la mia, che lei non è destinata a ripercorrere i miei tragitti, anche perchè gode dell'apporto e del supporto non solo miei, ma anche della sua parte genitoriale maschile, che per fortuna nostra possiede un carattere drasticamente, antipodicamente orientato, proiettato verso le relazioni sociali, l'istrionismo, l'espressione esasperata di sè nel branco.
E quindi, se Dio vuole, tanto per dire, Mimi non si farà carico dei miei handicap comunicativi e relazionali, ma sarà un po' quel che vorrà essere.
Ecco le mie riflessioni di oggi, primo giorno di asilo, primo di libertà condizionata per me.
Giorno in cui ho effettuato anche finalmente (e a pochi giorni dal termine concesso) l'iscrizione al servizio refezione.
Tanto per inciso: se l'anno scorso ce la siamo sfangata dal pagare la retta mensile, quest'anno, chissà come, ci tocca un bel salasso di tot euro, che ci industrieremo di tirar fuori.
Va be', che ci vorrà. Si fanno un po' di sacrifici, che volete che vi dica?
Basterà tagliare sulle cene fuori: niente più ristorante per noi. Basta libere uscite serali. Niente più slow-food, macrobiotico, cucina vegana. Niente più baby sitter strapagate. Basta vacanze in alberghi di lusso e suite con vista mare. Un taglio pure ai week-end last minute in giro per l'Europa, e basta shopping selvaggio. Dovremo smettere di comprare vestiti di marca (basta Prada e Louis Vuitton, ora al massimo dispensario Caritas), e di cambiare guardaroba a ogni stagione. Pazienza se la mia immagine ne risentirà. Con grande fatica dovrò rinunciare anche al parrucchiere e all'estetista (accidenti: i miei punti neri!), e alle sedute di solarium. Ora che ci penso potremmo anche evitare di pagarci la colf per le faccende domestiche, e magari un bel gruzzoletto a fine mese verrà fuori.
Ok ora basta scrivere minchiate.
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domenica 2 ottobre 2011
Prego, inserire pupa. Operazione in corso.
Come fosse una Mastercard... o forse dovrei dire Sustercard?
Wahahahahahaha! Mi sto scompisciando da sola! Che madre simpatica ed esilarante che sono! Certo, mia figlia è una bambina molto fortunata.
Pensa che palle se si ritrovava con una tipo la madre di Clarissa... o la madre di Anna Giulia...
Suster, ma di che minchia stai parlando?
E va bè, visto che insistete vi farò il resoconto dettagliato di questa prima settimana di inserimento al nido.
Contenti? Ok, fate sempre in tempo a chiudere la finestra: basta cliccare sulla X in alto accanto alla scheda "Blogger: Pisa&Love...". Però magari fate finta di aver letto tutto, mettete un commento tipo "Brava Suster" "Evviva la pupa!" ed io capirò. E non vi biasimerò! Promesso.
Per le altre (o altri, ma è poco probabile) coraggiose, ecco a voi:
Ecco, è andata così:
Lunedì.
Perplessità. Non appena varchiamo la soglia del luogo in questione, la maestra addetta alla pupa, che poi è anche la direttrice, come avevo intuito dal piglio organizzativo che la contraddistingue nel mucchio (Suster ha già individuato alcuni tipi riconoscibili: "la sciantosa", "la sciattona", "la sorriso-smagliante", "la zuccherosa", "la sbrigativa". Lista in progress), costei dicevo, si appropria immediatamente della pupa in questione, e mette in atto l'ormai arcinota tecnica del bombardamento di informazioni. La pupa viene subissata di "Guarda questo!", di "Andiamo a vedere" e di "Che bello!".
Tanta fatica per insegnare a tua figlia la meravigliosa arte della concentrazione ed ecco qui: ora mi toccherà portarmi via una pupa iperstimolata.
La mamma viene instradata in una stanzina apposita per mamme in via di inserimento pupi, dove si intratterrà per un tempo difficilmente stimabile sfogliando alternativamente un libro di Pennac trovato in una piccola libreria accanto a un piccolo divano, evidentemente destinati alle mamme in visita, e una serie di libretti cartonati per bimbi di età variabile trovati in una grande libreria evidentemente destinata ai bimbi, di cui si annota titoli e collane per poi eventualmente acquistarne in un secondo tempo.
Sempre perplessa per l'approccio della maestra, che mi è sembrata frettolosa, seccata, distratta attendo e tendo orecchio. Non mi sembra di sentirla piangere, e infatti quando poi arriva non piange. Ma piange dopo, quando viene portata di nuovo via e le vien detto che "mamma aspetta qui, la veniamo a trovare dopo".
Formulo una teoria sulla soggettività degli stimoli uditivi: il pianto dei bambini altrui risulta semplicemente fastidioso, altamente fastidioso, da infanticidio; quello della mia struggente (c'è però da dire che il suo pianto è assai meno sguaiato e più melodioso di quello degli altri bimbi. Lo riconosco per le modulazioni armoniche che dai toni più basse va in crescendo verso le note più acute).
Martedì.
Suster fa un incontro molto istruttivo. Primo esemplare di mamma: la mamma ansiosa.
Mentre la pupa continua le sue visite intermittenti alla stanzina delle mamme, ove presentasi sempre in lacrime lacrimose e pianto accorato, la mamma viene distolta dalla sua lettura di Pennac dall'arrivo di una mamma che definire ansiosa è riduttivo. La mamma, rispondente al nome di Mamma-di-Clarissa, sostiene di conoscerci già perché a quanto pare abbiamo partorito nella stessa corsia di ospedale a distanza di due giorni l'una dall'altra. Io fingo di ricordare, ma tanto ben presto scoprirò che il mio ruolo di interlocutrice con la mamma di Clarissa consisterà più o meno nell'annuire ogni tanto nelle pause del suo interminabile resoconto dei 14 mesi di vita di sua figlia, corredati da grandi patemi d'animo materni e interessanti inserti di gestione domestica. Quando poi Suster si accorgerà che Mamma di Clarissa sta piangendo non saprà se sia il caso di chiederle il perché, preoccupata di quale e quanta possa essere la risposta, ma tanto la domanda verrà considerata da lei come sottointesa e, sponte sua, l'addolorata madre racconterà alla Suster di come, appena giunte al nido, la bambina si sia letteralmente gettata tra le braccia della maestra (povera pargola oppressa dalle cure genitoriali!) senza rivolgere a lei più neanche un briciolo di attenzione, e questo l'ha fatta sentire tutt'a un tratto inutile (buaaaaa!), messa da parte (snif snif) e superflua (sigh sob).
E così, consolata Mamma di Clarissa, ("Ma no, devi essere contenta. Significa che lei è serena e sicura del fatto che tu non l'abbandonerai mai, sei una presenza stabile" e altre frasi standard) la nostra si accingerà a recuperare la pupa, che oggi sembra un pochino più acclimatata, o per lo meno così dice la maestra, che oggi mi appare pure un pochino meno scocciata e frettolosa, tanto da scambiare pure un paio di botta e risposta con la Suster stessa.
Mi viene in mente che non deve essere facile barcamenarsi tra madri ansiose come l'esemplare che ho davanti e i loro figli in lacrime, senza soccombere, e mi concedo una maggior clemenza nei confronti di queste maestre e del loro approccio aggressivo. Prevenire è meglio che curare. NOn lasciar spazio all'insorgere di lacrime è più facile che tamponarle poi, una volta alzata la diga.
Mercoledì.
Incontro con il secondo esemplare di mamma: la mamma moderna, anche detta la mamma "maschia".
Questa mamma, anche nota come Mamma di Anna Giulia, è forse un pochino meno temibile della Mamma di Clarissa. Non ti sfinisce con le sue paturnie, ma ti coinvolge rendenti tuo malgrado complice e alleata nel suo bislacco modo di vivere la maternità.
Questa mamma conosce e utilizza un nutrito campionario di frasi standard da conversazione, che snocciola e illustra come verità rivelate, e pensieri assai originali e innovativi: "Una volta la gente era più povera ma viveva meglio", "Un'estate così calda non si era mai vista", passando per "Con questa crisi non si arriva più a fine mese" e per finire con "Noi donne abbiamo una sensibilità che i maschi non hanno". Probabilmente ci sarà stato anche un "La mamma è sempre la mamma", ma non ne sono sicurissima, poichè anche qui la mia concentrazione funzionava a intermittenza.
Questa mamma ostenta una grande forza di carattere, una certa insofferenza verso il suo ruolo di madre, una impellente volontà di esternare la propria essenza di giovane dentro, frustrata dall'inattesa condizione di maternità (e malgrado i suoi quasi 40 anni dichiarati).
Nella situazione attuale, soddisfazione per essersi finalmente liberata del fardello della maternità full time, anche se sua figlia ha il doppio degli anni della mia e intanto già ne porta in grembo una seconda, gravidanza che afferma di non aver cercato e voluto e di aver accolto con cinque mesi di pianti accorati al pensiero che "ne arrivava un'altra". Costernata da tali e spiazzanti confidenze non credo di aver partecipato alla conversazione con asserzioni più strutturate di "Mh" e "Sìì?".
Malgrado a me non sembra di averla incoraggiata nella convinzione che condividessi la maggior parte delle cose che diceva, dava per scontato che invece fosse così e alla fine ho trovato più comodo non tentare di correggerla o interromperla, nè nella rievocazione delle notti di bisboccia in discoteca, amaramente rimpiante e vagheggiate, nè sul salvifico ruolo delle nonne a cui la bambina viene spesso e vlentieri sbolognata con gran sollievo materno, e nemmeno quando ha preso ad insistere sul tema "ai nostri tempi" che non si è capito bene quali dovessero essere dato che tra me e lei mi sembrava evidente che ci passassero una buona decina d'anni. Del resto mi sembrava anche evidente che non condividessimo, io e questo esemplare di mamma, nè provenienza anagrafica, né formazione, retroterra culturale o storia familiare. Ma va be'.
Fortunatamente oggi mi viene concessa una mezz'ora d'aria, e felice e spensierata, scongiurando di incontrare per strada Mamma di Clarissa, che intanto quel giorno era stata mandata via prima di me, mi chiudo dietro alle spalle i pianti intermittenti della pupa durante le visite alla stanzina delle mamme, i discorsi della mamma moderna e intravedo il mio primo spiraglio di libertà, che utilizzerò oculatamente dividendomi tra un po' di shopping pupesco e una sessione ultrarapida di lettura su una panchina in piazza guardacaso "Martiri della libertà", sessione che mi consente di spantanarmi finalmente dall'empasse di pagina 13 del mio romanzo, sulla quale puntualmente ogni sera cede la mia concentrazione e la mia vigilanza.
Al mio ritorno, recupero una pupa veramente provata, stanca e sconsolata, con due occhi rossi e gonfi di pianto da far recedere dai ogni buoni propositi la madre più determinata di questo mondo.
Giovedì.
Essere arrivate con un piccolo anticipo rispetto ai giorni seguenti ha permesso secondo me alla pupa di prendere confidenza con l'ambiente in mia compagnia , mentre aspettavamo la Tata Lucia (così, guarda caso, si chiama la nostra maestra organizzatrice) che ancora non era giunta. Non saprei dire perchè alle educatrici questa cosa non va: la mamma non può giocare nel nido con la bambina. Riscontro eccessiva rigidità di talune posizioni, asempre per carità a mio umile parere.
Buono anche il fatto di arrivare all'orario di ingresso degli altri bimbi, e non in perfetta clausura e segretissima missione come i giorni precedenti.
La pupa parte in quarta dietro ai bimbi che vanno a giocare in cortile, ma quando si accorge che io non le tengo dietro, ma mi ritiro nello stanzino delle mamme in punizione, fa dietro front esibendo il volto della disperazione e dell'abbandono, modulando un perfetto lamento a salire su note medio alte. Questo è forse il giorno più sofferto per il distacco, lei però sarà serena al ritorno, poi.
Io invece mi sono sparata una sessione di mamme di Clarissa e Anna Giulia riunite in consiglio a discutere su parto e affini e a sparare a zero su questo o quel medico, mentre io risulto assai poco preparata sui nomi dei dottori che hanno seguito il mio, di parto, e persino sguarnita di ostetrica personale, oso affermare che tanto un medico vale l'altro e che non mi sono trovata male con i dottori dell'ospedale, pur non essendomi trascinata dietro la ginecologa privata. Ragion per cui vengo ritenuta per oggi un'interlocutrice poco valida e non più interpellata.
Con mia grande soddisfazione finiscono a parlare tra loro (non credo che una ascolti l'altra, perchè non riesco a immaginare una conversazione sensata tra questi due esemplari) e mi dedico alla lettura di un libro intitolato "Le domande dei vostri bambini" o qualcosa del genere, mediamente interessante, ma facilmente scorribile se si salta la maggior parte del testo (Pennac il giorno prima mi ha autorizzato a farlo) e si leggono solo le frasi evidenziate in neretto, perchè in fondo, su un argomento così c'era proprio bisogno di scrivere un libro?
Oggi ho diritto a un'intera ora d'aria, che mi brucio a parlare al telefono con un'amica che è mamma pure lei e che aveva voglia di chiaccherare di pupi stamani. Ecco come mi ingoia a poco a poco questo universo di madri loquaci. Fortuna che almeno sono sicura di non incontrare in giro la Mamma di Clarissa, la quale mi ha confidato che lei il tempo di attesa per andare a riprendere la pupa lo impiega a fare una preghierina presso la Madonna di Pompei, che è quella dove lei è stata battezzata e bla bla bla. Non c'è pericolo dunque di incrociarci.
La mia pupa ha giocato in cortile coi bimbi che l'hanno spinta giù per la discesa su una macchinina. Si è ribaltata e invece di piangere ha riso come una pazza. Questo me l'ha raccontato la maestra. Lei mi ha raccontato qualcosa, ma con molti meno particolari. Mi ha detto "bebé" e poi "brrrr" e anche "Mmmmmm", ma non sono riuscita a capire dov'è che deve aver visto una mucca...
Venerdì.
La pupa a stare in mezzo ai bimbi moccicosi si è beccata di nuovo il raffreddore e stanotte si è svegliata ottocento volte rantolante e piangente, facendomi passare una notte horribilis. Telefono al nido per dire che non la porterò e la maestra sembra ben contenta e mi dice ci vediamo lunedì.
La pupa.
La prima settimana di inserimento si è dunque conclusa.
Pupa molto stanca, sfinita, ha dormito a oltranza per i due giorni successivi, raffreddore permettendo e in fin dei conti non mi pare che abbia preso male la nuova esperienza.
Sì va be', i pianti sono dovuti al fatto che la mamma non è lì con lei, e credo che sia difficile per lei spiegarsi il perché di questa immotivabile assenza, ma in sé andare al nido le piace.
Quando la mattina ci prepariamo e le dico che andiamo dai bimbi, scalpita ed esclama entusiasta: "Bebé!". Poi montiamo in bicicletta, pedaliamo adagio fino alla scuola, lei annota strada facendo sempre gli stessi riferimenti, l'albero, il giardino, l'arco... Abbiamo tutto un rituale, ancora, di canzoni: ci fermiamo e lasciamo la bici appoggiata al muro, accanto c'è la finestra di uno scantinato. Quella è "la cantina di un palazzone dove i gattini senza padrone organizzano una riunione...".
Noto in lei dei piccoli cambiamenti di comportamento, credo in parte dovuti alla nuova esperienza.
Malgrado sporadici attacchi di ansia da abbandono, anche in mezzo al giardino pubblico, quando all'improvviso arresta la sua corsa per chissà dove e si volta allarmata invocando il nome di colei che l'ha messa al mondo, mi sembra anche molto serena, e un po' più a suo agio in mezzo alla mischia di bambini. Il sonno, quello sì, è un problema, perchè il fatto di saltare il suo sonnellino mattutino la prova molto, e non l'aiuta certo a ben disporsi nei confronti del nuovo.
Mi intenerisce poi la gioia e l'entusiasmo con cui ritrova e saluta, al nostro ritorno a casa, gli oggetti noti e i giochi di tutti i giorni; persino i due gatti scocciatori ricevono grandi festeggiamenti a suon di "Ga" e "Nain!"
Il nido?
Vediamo un po', ecco cosa ho annotato in proposito:
La maestra: malgrado le attenuanti del caso la Tata Lucia continua a non convincermi troppo. Nel poco temp in cui l'ho vista in azione con la pupa ho notato che non parla realmente con lei. Monologa meglio, senza attendersi una risposta, e passa troppo rapidamente ad altro. Ho notato che non si accorge spesso e volentieri che lei sta, a suo modo, rispondendo a una sua domanda, o che richiama la sua attenzione su qualcosa (un gattino disegnato sul libro che la maestra le ha appena mostrato? "Nain! Nain!") e che a volte fraintende pure le intenzioni di lei (le dice "Ma" mostrando orgogliosa la sua mano, e quella risponde, catastroficamente "Sì, mamma è qui, ora noi la salutiamo e andiamo di là") Insomma: ma li ascolti i bimbi? Li osservi? O sono io madre a esagerare su questo punto?
La stanzina. Sarà per la compagnia non proprio entusiasmante, sarà perchè mi sembrava savvero di essere messa in punizione, io questa stanzina l'ho odiata, e la sto odiando.
Ma qual'è la sua funzione? Pedagogica? Pratica? Le maestre sostengono che questa stanza ha la funzione di un filtro col mondo esterno: un limite che al bambino è permesso valicare ma alla madre no, quello del nido, lo spazio dei bimbi. Rassicurante pensare che la mamma comunque rimane lì, non se ne va, ma se vogliono giocare con gli altri bimbi devono lasciarla lì e entrare soli. Può darsi, ma questo non riduce i pianti e le scene patetiche in cui la maestra è costretta a trascinare via un pupo recalcitrante e disperato. Ma va be'. La stanza è anche provvista di una gran quantità di giochi, finanche di una gran vasca con la sabbia, palette e formine, che però vengono utilizzate pochissimo, o quasi per niente, e solo allo scopo di distrarre momentaneamente i bimbi dalla presenza materna, prima di trascinarli via nel modo suddetto. La pupa ha subito assammarato tutto il pavimento e il gioco con la sabbia è stato repentinamente interrotto dalla Tata Lucia con grande disappunto di lei (e mio).
Le mamme. Oh santo cielo, direbbe mia madre. Non fatemi commentare. Quale mente perversa potrebbe concepire due personalità altrettanto disturbate di questi due esemplari da me coscienziosamente osservati e studiati per pura passione antropologica? ecco uno di quei curiosi casi in cui la realtà supera di gran lunga la finzione narrativa.
I bimbi. Con mio grande sollievo constato che a questa età nessun bambino ha ancora avuto il tempo di essere "guastato" da una prolungata e continuativa convivenza con il più squilibrato degli adulti, o almeno, ancora non ne dà mostra. Infatti i bimbi sono deliziosi. Non penso si possa parlare, a questo punto dello sviluppo della loro piccola personalità, di bimbi particolarmente prepotenti, prevaricanti, o smorfiosi. Non lo so, ma non mi è parso.
Il cortile. Devo assolutamente trovare il modo di rimediare allo stato di elevato decadimento dei murales di polli dipinti sul muro di cinta. Non si può vedere in quello stato! (possibile che nessuno ne venga esteticamente urtato?)
Gli armadietti. Posso con piacere constatare che il nome sulla targhetta dell'armadietto è stato scritto correttamente, anche se non ho capito che fine hanno fatto i cambi della pupa che avevo lasciato lì. La sacca per fortuna non è esposta alla vista dei visitatori, ma trovasi appesa nella sala interna, alla mercè del solo ludibrio privato delle nove maestre. Meno male.
Rituali. Mi piace l'importanza che qui si attribuisce ai rituali dei bimbi: il cambio delle scarpine all'ingresso, la distribuzione della frutta prima dell'attività... I rituali sono rassicuranti e aiutano i bimbi a riconoscere una routine che fanno propria, perché sanno già come comportarsi e cosa avverrà dopo. Peccato solo che i bimbi nuovi non vi vengano ammessi subito, decisione di cui mi sfugge in verità la motivazione, perché, sempre a mio umile, ignorante e profano parere, mi sembra un modo invece molto familiare di introdurli nel mondo e nelle abitudini degli altri bimbi. Perché escluderli? Perché impedirgli di riconoscersi in gesti usuali e allo stesso tempo aggreganti, che li farebbero sentire e vedersi parte di una comunità?
Nel complesso credo di aver come al solito idealizzato un po' troppo il senso di questa parola "inserimento", attribuendole forse più struttura e poteri di quanto in effetti non abbia. Chissà cosa mi credevo.
Niente di più di un banale procedimento meccanico:
"Inserire pupa prego. Operazione terminata: prego, estrarre pupa. Arrivederci e grazie."
Wahahahahahaha! Mi sto scompisciando da sola! Che madre simpatica ed esilarante che sono! Certo, mia figlia è una bambina molto fortunata.
Pensa che palle se si ritrovava con una tipo la madre di Clarissa... o la madre di Anna Giulia...
Suster, ma di che minchia stai parlando?
E va bè, visto che insistete vi farò il resoconto dettagliato di questa prima settimana di inserimento al nido.
Contenti? Ok, fate sempre in tempo a chiudere la finestra: basta cliccare sulla X in alto accanto alla scheda "Blogger: Pisa&Love...". Però magari fate finta di aver letto tutto, mettete un commento tipo "Brava Suster" "Evviva la pupa!" ed io capirò. E non vi biasimerò! Promesso.
Per le altre (o altri, ma è poco probabile) coraggiose, ecco a voi:
Le sempre più tragicomiche avventure di Suster (e pupa) al nido!
Ecco, è andata così:
Lunedì.
Perplessità. Non appena varchiamo la soglia del luogo in questione, la maestra addetta alla pupa, che poi è anche la direttrice, come avevo intuito dal piglio organizzativo che la contraddistingue nel mucchio (Suster ha già individuato alcuni tipi riconoscibili: "la sciantosa", "la sciattona", "la sorriso-smagliante", "la zuccherosa", "la sbrigativa". Lista in progress), costei dicevo, si appropria immediatamente della pupa in questione, e mette in atto l'ormai arcinota tecnica del bombardamento di informazioni. La pupa viene subissata di "Guarda questo!", di "Andiamo a vedere" e di "Che bello!".
Tanta fatica per insegnare a tua figlia la meravigliosa arte della concentrazione ed ecco qui: ora mi toccherà portarmi via una pupa iperstimolata.
La mamma viene instradata in una stanzina apposita per mamme in via di inserimento pupi, dove si intratterrà per un tempo difficilmente stimabile sfogliando alternativamente un libro di Pennac trovato in una piccola libreria accanto a un piccolo divano, evidentemente destinati alle mamme in visita, e una serie di libretti cartonati per bimbi di età variabile trovati in una grande libreria evidentemente destinata ai bimbi, di cui si annota titoli e collane per poi eventualmente acquistarne in un secondo tempo.
Sempre perplessa per l'approccio della maestra, che mi è sembrata frettolosa, seccata, distratta attendo e tendo orecchio. Non mi sembra di sentirla piangere, e infatti quando poi arriva non piange. Ma piange dopo, quando viene portata di nuovo via e le vien detto che "mamma aspetta qui, la veniamo a trovare dopo".
Formulo una teoria sulla soggettività degli stimoli uditivi: il pianto dei bambini altrui risulta semplicemente fastidioso, altamente fastidioso, da infanticidio; quello della mia struggente (c'è però da dire che il suo pianto è assai meno sguaiato e più melodioso di quello degli altri bimbi. Lo riconosco per le modulazioni armoniche che dai toni più basse va in crescendo verso le note più acute).
Martedì.
Suster fa un incontro molto istruttivo. Primo esemplare di mamma: la mamma ansiosa.
Mentre la pupa continua le sue visite intermittenti alla stanzina delle mamme, ove presentasi sempre in lacrime lacrimose e pianto accorato, la mamma viene distolta dalla sua lettura di Pennac dall'arrivo di una mamma che definire ansiosa è riduttivo. La mamma, rispondente al nome di Mamma-di-Clarissa, sostiene di conoscerci già perché a quanto pare abbiamo partorito nella stessa corsia di ospedale a distanza di due giorni l'una dall'altra. Io fingo di ricordare, ma tanto ben presto scoprirò che il mio ruolo di interlocutrice con la mamma di Clarissa consisterà più o meno nell'annuire ogni tanto nelle pause del suo interminabile resoconto dei 14 mesi di vita di sua figlia, corredati da grandi patemi d'animo materni e interessanti inserti di gestione domestica. Quando poi Suster si accorgerà che Mamma di Clarissa sta piangendo non saprà se sia il caso di chiederle il perché, preoccupata di quale e quanta possa essere la risposta, ma tanto la domanda verrà considerata da lei come sottointesa e, sponte sua, l'addolorata madre racconterà alla Suster di come, appena giunte al nido, la bambina si sia letteralmente gettata tra le braccia della maestra (povera pargola oppressa dalle cure genitoriali!) senza rivolgere a lei più neanche un briciolo di attenzione, e questo l'ha fatta sentire tutt'a un tratto inutile (buaaaaa!), messa da parte (snif snif) e superflua (sigh sob).
E così, consolata Mamma di Clarissa, ("Ma no, devi essere contenta. Significa che lei è serena e sicura del fatto che tu non l'abbandonerai mai, sei una presenza stabile" e altre frasi standard) la nostra si accingerà a recuperare la pupa, che oggi sembra un pochino più acclimatata, o per lo meno così dice la maestra, che oggi mi appare pure un pochino meno scocciata e frettolosa, tanto da scambiare pure un paio di botta e risposta con la Suster stessa.
Mi viene in mente che non deve essere facile barcamenarsi tra madri ansiose come l'esemplare che ho davanti e i loro figli in lacrime, senza soccombere, e mi concedo una maggior clemenza nei confronti di queste maestre e del loro approccio aggressivo. Prevenire è meglio che curare. NOn lasciar spazio all'insorgere di lacrime è più facile che tamponarle poi, una volta alzata la diga.
Mercoledì.
Incontro con il secondo esemplare di mamma: la mamma moderna, anche detta la mamma "maschia".
Questa mamma, anche nota come Mamma di Anna Giulia, è forse un pochino meno temibile della Mamma di Clarissa. Non ti sfinisce con le sue paturnie, ma ti coinvolge rendenti tuo malgrado complice e alleata nel suo bislacco modo di vivere la maternità.
Questa mamma conosce e utilizza un nutrito campionario di frasi standard da conversazione, che snocciola e illustra come verità rivelate, e pensieri assai originali e innovativi: "Una volta la gente era più povera ma viveva meglio", "Un'estate così calda non si era mai vista", passando per "Con questa crisi non si arriva più a fine mese" e per finire con "Noi donne abbiamo una sensibilità che i maschi non hanno". Probabilmente ci sarà stato anche un "La mamma è sempre la mamma", ma non ne sono sicurissima, poichè anche qui la mia concentrazione funzionava a intermittenza.
Questa mamma ostenta una grande forza di carattere, una certa insofferenza verso il suo ruolo di madre, una impellente volontà di esternare la propria essenza di giovane dentro, frustrata dall'inattesa condizione di maternità (e malgrado i suoi quasi 40 anni dichiarati).
Nella situazione attuale, soddisfazione per essersi finalmente liberata del fardello della maternità full time, anche se sua figlia ha il doppio degli anni della mia e intanto già ne porta in grembo una seconda, gravidanza che afferma di non aver cercato e voluto e di aver accolto con cinque mesi di pianti accorati al pensiero che "ne arrivava un'altra". Costernata da tali e spiazzanti confidenze non credo di aver partecipato alla conversazione con asserzioni più strutturate di "Mh" e "Sìì?".
Malgrado a me non sembra di averla incoraggiata nella convinzione che condividessi la maggior parte delle cose che diceva, dava per scontato che invece fosse così e alla fine ho trovato più comodo non tentare di correggerla o interromperla, nè nella rievocazione delle notti di bisboccia in discoteca, amaramente rimpiante e vagheggiate, nè sul salvifico ruolo delle nonne a cui la bambina viene spesso e vlentieri sbolognata con gran sollievo materno, e nemmeno quando ha preso ad insistere sul tema "ai nostri tempi" che non si è capito bene quali dovessero essere dato che tra me e lei mi sembrava evidente che ci passassero una buona decina d'anni. Del resto mi sembrava anche evidente che non condividessimo, io e questo esemplare di mamma, nè provenienza anagrafica, né formazione, retroterra culturale o storia familiare. Ma va be'.
Fortunatamente oggi mi viene concessa una mezz'ora d'aria, e felice e spensierata, scongiurando di incontrare per strada Mamma di Clarissa, che intanto quel giorno era stata mandata via prima di me, mi chiudo dietro alle spalle i pianti intermittenti della pupa durante le visite alla stanzina delle mamme, i discorsi della mamma moderna e intravedo il mio primo spiraglio di libertà, che utilizzerò oculatamente dividendomi tra un po' di shopping pupesco e una sessione ultrarapida di lettura su una panchina in piazza guardacaso "Martiri della libertà", sessione che mi consente di spantanarmi finalmente dall'empasse di pagina 13 del mio romanzo, sulla quale puntualmente ogni sera cede la mia concentrazione e la mia vigilanza.
Al mio ritorno, recupero una pupa veramente provata, stanca e sconsolata, con due occhi rossi e gonfi di pianto da far recedere dai ogni buoni propositi la madre più determinata di questo mondo.
Giovedì.
Essere arrivate con un piccolo anticipo rispetto ai giorni seguenti ha permesso secondo me alla pupa di prendere confidenza con l'ambiente in mia compagnia , mentre aspettavamo la Tata Lucia (così, guarda caso, si chiama la nostra maestra organizzatrice) che ancora non era giunta. Non saprei dire perchè alle educatrici questa cosa non va: la mamma non può giocare nel nido con la bambina. Riscontro eccessiva rigidità di talune posizioni, asempre per carità a mio umile parere.
Buono anche il fatto di arrivare all'orario di ingresso degli altri bimbi, e non in perfetta clausura e segretissima missione come i giorni precedenti.
La pupa parte in quarta dietro ai bimbi che vanno a giocare in cortile, ma quando si accorge che io non le tengo dietro, ma mi ritiro nello stanzino delle mamme in punizione, fa dietro front esibendo il volto della disperazione e dell'abbandono, modulando un perfetto lamento a salire su note medio alte. Questo è forse il giorno più sofferto per il distacco, lei però sarà serena al ritorno, poi.
Io invece mi sono sparata una sessione di mamme di Clarissa e Anna Giulia riunite in consiglio a discutere su parto e affini e a sparare a zero su questo o quel medico, mentre io risulto assai poco preparata sui nomi dei dottori che hanno seguito il mio, di parto, e persino sguarnita di ostetrica personale, oso affermare che tanto un medico vale l'altro e che non mi sono trovata male con i dottori dell'ospedale, pur non essendomi trascinata dietro la ginecologa privata. Ragion per cui vengo ritenuta per oggi un'interlocutrice poco valida e non più interpellata.
Con mia grande soddisfazione finiscono a parlare tra loro (non credo che una ascolti l'altra, perchè non riesco a immaginare una conversazione sensata tra questi due esemplari) e mi dedico alla lettura di un libro intitolato "Le domande dei vostri bambini" o qualcosa del genere, mediamente interessante, ma facilmente scorribile se si salta la maggior parte del testo (Pennac il giorno prima mi ha autorizzato a farlo) e si leggono solo le frasi evidenziate in neretto, perchè in fondo, su un argomento così c'era proprio bisogno di scrivere un libro?
Oggi ho diritto a un'intera ora d'aria, che mi brucio a parlare al telefono con un'amica che è mamma pure lei e che aveva voglia di chiaccherare di pupi stamani. Ecco come mi ingoia a poco a poco questo universo di madri loquaci. Fortuna che almeno sono sicura di non incontrare in giro la Mamma di Clarissa, la quale mi ha confidato che lei il tempo di attesa per andare a riprendere la pupa lo impiega a fare una preghierina presso la Madonna di Pompei, che è quella dove lei è stata battezzata e bla bla bla. Non c'è pericolo dunque di incrociarci.
La mia pupa ha giocato in cortile coi bimbi che l'hanno spinta giù per la discesa su una macchinina. Si è ribaltata e invece di piangere ha riso come una pazza. Questo me l'ha raccontato la maestra. Lei mi ha raccontato qualcosa, ma con molti meno particolari. Mi ha detto "bebé" e poi "brrrr" e anche "Mmmmmm", ma non sono riuscita a capire dov'è che deve aver visto una mucca...
Venerdì.
La pupa a stare in mezzo ai bimbi moccicosi si è beccata di nuovo il raffreddore e stanotte si è svegliata ottocento volte rantolante e piangente, facendomi passare una notte horribilis. Telefono al nido per dire che non la porterò e la maestra sembra ben contenta e mi dice ci vediamo lunedì.
La pupa.
La prima settimana di inserimento si è dunque conclusa.
Pupa molto stanca, sfinita, ha dormito a oltranza per i due giorni successivi, raffreddore permettendo e in fin dei conti non mi pare che abbia preso male la nuova esperienza.
Sì va be', i pianti sono dovuti al fatto che la mamma non è lì con lei, e credo che sia difficile per lei spiegarsi il perché di questa immotivabile assenza, ma in sé andare al nido le piace.
Quando la mattina ci prepariamo e le dico che andiamo dai bimbi, scalpita ed esclama entusiasta: "Bebé!". Poi montiamo in bicicletta, pedaliamo adagio fino alla scuola, lei annota strada facendo sempre gli stessi riferimenti, l'albero, il giardino, l'arco... Abbiamo tutto un rituale, ancora, di canzoni: ci fermiamo e lasciamo la bici appoggiata al muro, accanto c'è la finestra di uno scantinato. Quella è "la cantina di un palazzone dove i gattini senza padrone organizzano una riunione...".
Noto in lei dei piccoli cambiamenti di comportamento, credo in parte dovuti alla nuova esperienza.
Malgrado sporadici attacchi di ansia da abbandono, anche in mezzo al giardino pubblico, quando all'improvviso arresta la sua corsa per chissà dove e si volta allarmata invocando il nome di colei che l'ha messa al mondo, mi sembra anche molto serena, e un po' più a suo agio in mezzo alla mischia di bambini. Il sonno, quello sì, è un problema, perchè il fatto di saltare il suo sonnellino mattutino la prova molto, e non l'aiuta certo a ben disporsi nei confronti del nuovo.
Mi intenerisce poi la gioia e l'entusiasmo con cui ritrova e saluta, al nostro ritorno a casa, gli oggetti noti e i giochi di tutti i giorni; persino i due gatti scocciatori ricevono grandi festeggiamenti a suon di "Ga" e "Nain!"
Il nido?
Vediamo un po', ecco cosa ho annotato in proposito:
La maestra: malgrado le attenuanti del caso la Tata Lucia continua a non convincermi troppo. Nel poco temp in cui l'ho vista in azione con la pupa ho notato che non parla realmente con lei. Monologa meglio, senza attendersi una risposta, e passa troppo rapidamente ad altro. Ho notato che non si accorge spesso e volentieri che lei sta, a suo modo, rispondendo a una sua domanda, o che richiama la sua attenzione su qualcosa (un gattino disegnato sul libro che la maestra le ha appena mostrato? "Nain! Nain!") e che a volte fraintende pure le intenzioni di lei (le dice "Ma" mostrando orgogliosa la sua mano, e quella risponde, catastroficamente "Sì, mamma è qui, ora noi la salutiamo e andiamo di là") Insomma: ma li ascolti i bimbi? Li osservi? O sono io madre a esagerare su questo punto?
La stanzina. Sarà per la compagnia non proprio entusiasmante, sarà perchè mi sembrava savvero di essere messa in punizione, io questa stanzina l'ho odiata, e la sto odiando.
Ma qual'è la sua funzione? Pedagogica? Pratica? Le maestre sostengono che questa stanza ha la funzione di un filtro col mondo esterno: un limite che al bambino è permesso valicare ma alla madre no, quello del nido, lo spazio dei bimbi. Rassicurante pensare che la mamma comunque rimane lì, non se ne va, ma se vogliono giocare con gli altri bimbi devono lasciarla lì e entrare soli. Può darsi, ma questo non riduce i pianti e le scene patetiche in cui la maestra è costretta a trascinare via un pupo recalcitrante e disperato. Ma va be'. La stanza è anche provvista di una gran quantità di giochi, finanche di una gran vasca con la sabbia, palette e formine, che però vengono utilizzate pochissimo, o quasi per niente, e solo allo scopo di distrarre momentaneamente i bimbi dalla presenza materna, prima di trascinarli via nel modo suddetto. La pupa ha subito assammarato tutto il pavimento e il gioco con la sabbia è stato repentinamente interrotto dalla Tata Lucia con grande disappunto di lei (e mio).
Le mamme. Oh santo cielo, direbbe mia madre. Non fatemi commentare. Quale mente perversa potrebbe concepire due personalità altrettanto disturbate di questi due esemplari da me coscienziosamente osservati e studiati per pura passione antropologica? ecco uno di quei curiosi casi in cui la realtà supera di gran lunga la finzione narrativa.
I bimbi. Con mio grande sollievo constato che a questa età nessun bambino ha ancora avuto il tempo di essere "guastato" da una prolungata e continuativa convivenza con il più squilibrato degli adulti, o almeno, ancora non ne dà mostra. Infatti i bimbi sono deliziosi. Non penso si possa parlare, a questo punto dello sviluppo della loro piccola personalità, di bimbi particolarmente prepotenti, prevaricanti, o smorfiosi. Non lo so, ma non mi è parso.
Il cortile. Devo assolutamente trovare il modo di rimediare allo stato di elevato decadimento dei murales di polli dipinti sul muro di cinta. Non si può vedere in quello stato! (possibile che nessuno ne venga esteticamente urtato?)
Gli armadietti. Posso con piacere constatare che il nome sulla targhetta dell'armadietto è stato scritto correttamente, anche se non ho capito che fine hanno fatto i cambi della pupa che avevo lasciato lì. La sacca per fortuna non è esposta alla vista dei visitatori, ma trovasi appesa nella sala interna, alla mercè del solo ludibrio privato delle nove maestre. Meno male.
Rituali. Mi piace l'importanza che qui si attribuisce ai rituali dei bimbi: il cambio delle scarpine all'ingresso, la distribuzione della frutta prima dell'attività... I rituali sono rassicuranti e aiutano i bimbi a riconoscere una routine che fanno propria, perché sanno già come comportarsi e cosa avverrà dopo. Peccato solo che i bimbi nuovi non vi vengano ammessi subito, decisione di cui mi sfugge in verità la motivazione, perché, sempre a mio umile, ignorante e profano parere, mi sembra un modo invece molto familiare di introdurli nel mondo e nelle abitudini degli altri bimbi. Perché escluderli? Perché impedirgli di riconoscersi in gesti usuali e allo stesso tempo aggreganti, che li farebbero sentire e vedersi parte di una comunità?
Nel complesso credo di aver come al solito idealizzato un po' troppo il senso di questa parola "inserimento", attribuendole forse più struttura e poteri di quanto in effetti non abbia. Chissà cosa mi credevo.
Niente di più di un banale procedimento meccanico:
"Inserire pupa prego. Operazione terminata: prego, estrarre pupa. Arrivederci e grazie."
lunedì 26 settembre 2011
Preparativi...
E' tutto pronto. Domani è il giorno X.
Lista degli oggetti da portare al nido:
Che poi in fondo sono stata, per una volta previdente: anzicché uno solo, di zainetti ne ho comprati ben due! (E non sapevo nemmeno che avremmo iniziato quest'anno).
Diciamo pure che sono una di quelle persone che quando vanno al supermercato per comprare solo tre pere e un pacco di pannolini si ritrovano alla cassa a dover usare il bancomat perché hanno dietro solo 40 € in contanti e non le bastano! Al Carrefour a luglio ho visto uno stupendo zaientto a forma di elefante, e l'ho preso.
Poi la scorsa settimana alla COOP ne ho visto un altro. Porca pupazza, però, se non avessi già comprato l'elefante... E va be', tanto costa solo 4 euro... e così ora ci abbiamo il doppione, e a lei l'imbarazzo della scelta. A voi quale piace?
E poi Suster ha avuto un'alzata di ingegno, e ha voluto "osare".
Un bel giorno ha tirato fuori ago e filo, e la stoffa avanzata da quel famoso Natale in cui s'era messa in testa di realizzare a mano i regali per tutti i suoi conoscenti (deliri di onnipotenza) ed ecco cosa ha partorito:
Una fantastica sacca per la biancheria di ricambio per il nido.
Che poi non si dica che non sono una mamma-mani-di-fata! Ci manca poco che mi metto a fare i tortellini con la pasta fatta in casa e a confezionare centrini e merletti all'uncinetto!
In realtà fa molto meno schifo di quanto in foto non sembri. E sono molto soddisfatta della regolarità dei miei punti:
Da impazzirci a capire come cacchio si congiungevano borsa e fodera interna! Senza parlare di "dove caspita lo infilo il laccetto?".
E' che ho fatto gli studi umanistici, e invece per poter avere buone competenze di tagliocucito bisogna essere come minimo geometri!
La foto è menzognera, racconta solo mezze verità.
Ecco la magagna:
Va be', però così era come era oggi pomeriggio. Stasera ho finito il lavoro proprio "ammodino".
Ecco il risultato nell'insieme:
La balena è il nostro animale guida! (almeno per ora, poi crescendo sceglierà quello che più le aggrada). Non fate caso alla scelta del colore: era l'unica stoffa che si prestava alle esigenze del modello (sigh!). E il fantastico ricamo l'ho fatto sfilacciando un tessuto sintetico multicolor che mi è avanzato in grande quantità. Quando sono andata in merceria (oh, la più cara della città, lì devi stare attento a quello che metti sul bancone perché se non chiedi il prezzo prima, rischi di non arrivare a fine mese!) la commessa voleva a tutti i costi convincermi a prendere una stoffa con gli orsetti.
- Ma come? Per la fodera? Ma è dentro: non si vede (un po' come il culo della moffetta).
- Ah, è per dentro?
- Sì, è per dentro, fuori ho già fatto il ricamo io!
Meglio non scendere nei particolari: detta così sembra che chissà che genio dell'ago e filo io sia!
Come vedete ho preso la cosa molto seriamente.
E questa è la pazza che domani dovrebbe fare il suo debutto in società:
Dopo averla rincorsa per mezz'ora in giro per casa (abbiamo fatto il giro del perimetro per tre volte, come Ettore e Achille), sono riuscita a vestirla da giovin signora in autunno.
Ci teneva però ancora a farmi vedere una cosa molto importante. L'ha cercata a lungo, e alla fine...
L'ha trovata!
Lei lo chiama "Be", ma pretende che io lo chiami "l'ombelico del mondo"!
Credo che potrebbe diventare la scoperta del secolo!
Lista degli oggetti da portare al nido:
- ciuccio (solo se il bambino ne fa uso)
- un cambio completo
- zainetto per il cambio con il nome del bambino
- pantofole per il nido
- un pacco di salviette umidificate.
Che poi in fondo sono stata, per una volta previdente: anzicché uno solo, di zainetti ne ho comprati ben due! (E non sapevo nemmeno che avremmo iniziato quest'anno).
Diciamo pure che sono una di quelle persone che quando vanno al supermercato per comprare solo tre pere e un pacco di pannolini si ritrovano alla cassa a dover usare il bancomat perché hanno dietro solo 40 € in contanti e non le bastano! Al Carrefour a luglio ho visto uno stupendo zaientto a forma di elefante, e l'ho preso.
Poi la scorsa settimana alla COOP ne ho visto un altro. Porca pupazza, però, se non avessi già comprato l'elefante... E va be', tanto costa solo 4 euro... e così ora ci abbiamo il doppione, e a lei l'imbarazzo della scelta. A voi quale piace?
E poi Suster ha avuto un'alzata di ingegno, e ha voluto "osare".
Un bel giorno ha tirato fuori ago e filo, e la stoffa avanzata da quel famoso Natale in cui s'era messa in testa di realizzare a mano i regali per tutti i suoi conoscenti (deliri di onnipotenza) ed ecco cosa ha partorito:
Una fantastica sacca per la biancheria di ricambio per il nido.
Che poi non si dica che non sono una mamma-mani-di-fata! Ci manca poco che mi metto a fare i tortellini con la pasta fatta in casa e a confezionare centrini e merletti all'uncinetto!
In realtà fa molto meno schifo di quanto in foto non sembri. E sono molto soddisfatta della regolarità dei miei punti:
Da impazzirci a capire come cacchio si congiungevano borsa e fodera interna! Senza parlare di "dove caspita lo infilo il laccetto?".
E' che ho fatto gli studi umanistici, e invece per poter avere buone competenze di tagliocucito bisogna essere come minimo geometri!
La foto è menzognera, racconta solo mezze verità.
Ecco la magagna:
Va be', però così era come era oggi pomeriggio. Stasera ho finito il lavoro proprio "ammodino".
Ecco il risultato nell'insieme:
La balena è il nostro animale guida! (almeno per ora, poi crescendo sceglierà quello che più le aggrada). Non fate caso alla scelta del colore: era l'unica stoffa che si prestava alle esigenze del modello (sigh!). E il fantastico ricamo l'ho fatto sfilacciando un tessuto sintetico multicolor che mi è avanzato in grande quantità. Quando sono andata in merceria (oh, la più cara della città, lì devi stare attento a quello che metti sul bancone perché se non chiedi il prezzo prima, rischi di non arrivare a fine mese!) la commessa voleva a tutti i costi convincermi a prendere una stoffa con gli orsetti.
- Ma come? Per la fodera? Ma è dentro: non si vede (un po' come il culo della moffetta).
- Ah, è per dentro?
- Sì, è per dentro, fuori ho già fatto il ricamo io!
Meglio non scendere nei particolari: detta così sembra che chissà che genio dell'ago e filo io sia!
Come vedete ho preso la cosa molto seriamente.
E questa è la pazza che domani dovrebbe fare il suo debutto in società:
Dopo averla rincorsa per mezz'ora in giro per casa (abbiamo fatto il giro del perimetro per tre volte, come Ettore e Achille), sono riuscita a vestirla da giovin signora in autunno.
Ci teneva però ancora a farmi vedere una cosa molto importante. L'ha cercata a lungo, e alla fine...
L'ha trovata!
Lei lo chiama "Be", ma pretende che io lo chiami "l'ombelico del mondo"!
Credo che potrebbe diventare la scoperta del secolo!
sabato 24 settembre 2011
Nido sì, nido no.
Vuoi tu, Suster avere questa pupa per tua legittima figlia, per vivere per sempre insieme, sfamarla, ninnarla, sopportarne e contenerne le esplosioni isteriche ed averne cura tanto in cattiva che in buona salute nel santo indissolubile vincolo della maternità per il resto dei tuoi giorni?
Vuoi tu mollarla, sbolognarla, scaricarla e riconquistare una parziale libertà e, lasciando ogni altro scrupolo, attenerti a lei sola (alla libertà), affinché ambedue viviate serene e indipendenti per quel che è consentito ai suoi un anno e qualcosa?
Ho stilato un abbozzo di lista di pro e contro per chiarirmi le idee in merito.
Pro. Mattinata libera per me. Maggior libertà di espletamento delle funzioni materne e no.
Contro. La pupa finora la mattina è abbastanza gestibile, poiché continua a farsi una dormita di circa un'oretta e mezza a metà mattinata. Tutto sommato non credo di guadagnare molto in libertà.
Pro. Possibilità di applicarmi alla ricerca di un eventuale impiego part time e/o di un'eventuale futura abitazione di proprietà.
Contro. Ecco che viene meno la scusa principe per rispondere a chi mi chiede distratto "Allora, cos'è che ti sei messa a fare dopo la laurea?" perché finora ho sempre risposto: "Per adesso faccio la mamma. Poi vedrò" e mi levavo d'impaccio. E si sa che la gente è tignosa: insiste.
Pro. Contatto con altri bimbi esclusivo.
Contro. Rischio contagio malattie infettive stagionali centuplicato.
Pro. La pupa ha anticorpi da battaglia.
Contro. Le maestre me l'hanno fatta tenere a casa pure con un poco di tosse, vedrai che la scusa la trovano. E poi non parliamo dei pidocchi.
Pro. Imparerà a relazionarsi con i suoi coetanei, così la prossima volta che vede la cuginetta non entrerà in crisi come l'ultima volta.
Contro. Sarà alla mercé dei bulli e prenderà un sacco di vizi che ora non ha, alzare le mani, dire le parolacce, frignare ogni volta che sbatte le ciglia...
Pro. Magari imparerà anche cose buone, tipo una maggior autonomia nei suoi giochi, e poi deve costruirsi da sola la sua socialità, senza ingerenze continue della mamma. Prima lo fa più facile sarà.
Contro. Si dice anche che fino al compimento del terzo anno di età non c'è reale esigenza di socialità, anche se non ci credo poi troppo...
Pro. Me la ripiglio verso mezzogiorno e mezza, già nutrita e intrattenuta per mezza giornata e probabilmente stanca morta e la indirizzo con accorta nonchalance verso il suo ormai solo e unico sonnellino pomeridiano.
Contro. La tattica di sfinirla fisicamente perché meglio dorma finora non ha mai funzionato, anzi, si è sempre dimostrata controproducente. E' risaputo che pupa stanca dormirà con fatica e male, svegliandosi di continuo. Sarà un delirio.
Pro. Non sei mica obbligata a mandarcela tutti i giorni: puoi sempre tenertela a casa e farla stare con te se qualche volta la vedi stanca o particolarmente maldisposta. Almeno finché non lavori.
Contro. Certo, posso pure tenerla a casa tutti giorni, ma tanto mi tocca comunque pagare!
Pro. La pupa può ricevere stimoli diversi da quelli che le ho sempre fornito io, farà attività fichissime e divertenti, e forse anche io.
Contro. Spezzo una lancia in favore delle mie attività. Voglio dire: andare a fare la spesa è un'attività fichissima. E non vedo poi cosa ci sia di tanto fico nel giocare con cortecce d'alberi e foglie secche. Possiamo sempre andare a prenderne una vagonata al parchetto sotto casa: vorrei capire dopo cosa ci si fa.
Pro. Ma no, dai: l'ambiente è stimolante, le maestre sono personale preparato apposta per venire incontro ai bisogni e alle esigenze dei più piccoli, conosceranno attività che tu nemmeno ti immagini per aiutarla a sviluppare nella maniera più competa la sua "psicomotricità", e in ogni caso lo vedi anche tu che non ne può più di travasare animali e barattoli da un angolo all'altro della casa e ora è passata a tirare fuori i vestiti dai cassetti: se non le fai fare altro, capace che prima o poi inizierà a smontare le ante delle finestre.
Contro. Forse hai ragione, la sala della distruzione fisica vale da sola tutti i possibili giochi ai giardini. Ribadisco comunque l'alta funzione pedagogica attribuita dal metodo montessoriano all'attività del travaso, che si tratti di animali, di barattoli o di vestiti. E poi non immaginarti chissà che da questa parola "psicomotricità": cosa credi che facciano fare a dei bimbi di un anno, non certo scalare una parete di roccia. Si tratterà di attività estremamente elementari, come quelle che chiunque può secondo logica far fare a un bambino di quell'età.
Pro. Se non era per la nonna a quest'ora lei nemmeno camminava.
Contro. Se vabbè, se tu stai a sentire tutto quello che dice la nonna! Avrebbe cominciato a camminare anche da sola, magari ci metteva qualche giorno in più ma era pronta.
Pro. Va be', cambiamo argomento. Avrà a disposizione un sacco di giochi senza doverli rubare a nessun bambino piagnone al parco, come fa ora, e senza che tu debba aprirti un mutuo per riempirti casa di tricicli e monopattini che dopo una settimana di gloria passeranno di moda e rimarranno sempre in mezzo agli zebedei quando ti alzi di notte sbattendoci il mignolo del piede.
Contro. In effetti la loro scuderia di veicoli è allettante. Che pena però quel loro cortile senza nemmeno un poco di verde, con solo quell'albero rinsecchito nel mezzo e quegli orrendi murales di polli scrostati e sbiaditi di almeno 50 anni fa. Certo che potrebbero pure pensarci a farseli rifare da un bravo artista di strada. E quella la chiamano educazione all'immagine?
Pro.Tra poco farà freddo e magari passeranno giorni e giorni senza poter uscire di casa perchè pioverà. Almeno per mezza giornata le farai cambiare aria e ambiente, e non la terrai 24 ore su 24 entro 50 mq, che poi ti credo che diventate isteriche entrambe.
Contro. Ma quando invece non pioverà la posso sempre portare fuori, invece lì non c'è nemmeno il giardino. E ora che le giornate si accorciano i pomeriggi li potrò sfruttare molto meno, ché più tardi delle 4 non vale neanche più la pena di uscire.
Pro. Non dovrò cucinare tutte le mattine per lei e per me. Io potrei pure tranquillamente ricominciare a pranzare a pane e mortazza...
Contro. Va be', ma che se a mezzogiorno e mezzo la vado a ripigliare, tocca mangiare a me pure alle undici e mezza?
Pro. Non sei mai contenta: almeno fino a quell'ora lì sei libera di andare dove accidenti ti pare senza tener conto degli orari suoi.
Contro. Niente da obiettare in proposito.
Pro. Non dovrò sbizzarrirmi a capire cosa cucinarle per soddisfare al contempo esigenze di dieta sana e cibi appetibili al suo palato fine, perché mangerà al nido, tiè!
Contro. Una bella rogna in meno. Peccato che il padre è fissato con la carne islamica e quindi mi toccherà chiedere per lei il menù vegetariano. Oppure posso tacere col padre, che tanto non lo verrà mai a sapere... Uhm...
Pro. Potresti smetterla di considerare le maestre come un pericolo per la tua autostima di madre e considerarle invece come un ottimo punto di riferimento a cui chiedere consiglio e parere riguardo ai tuoi dubbi amletici (esempio: se proprio si vuole mangiare le piante, non vale la pena che la lasci mangiarsele?)
Contro. Altro che consiglio e parere: qui c'è il rischio che venga estratta a sorte per far parte della commissione genitori del nido. Se non si presenteranno 5 martiri volontari ci hanno già annunciato che i nomi verranno sorteggiati. Argh!
Pro. Va be', ma tanto alla fine lo sai che ce la mandi. A che pro continuare questa messa in scena?
Contro. Che vuoi, io son fatta così: ogni volta che faccio qualcosa ho bisogno di conferme esterne ai miei dubbi, anche solo per potermeli sentire smontare. E' esasperante per chi lo subisce, lo so.
Va be': era iniziata come una cosa seria, invece poi si è trasformata in una dissociazione psicopatologica dell'io narrante. Credo di esser stata contagiata da Montalbano. Lui ne fa di questi monologhi.
Il gran giorno si avvicina e noi siamo materialmente quasi pronte.
Psicologicamente pure.
Io comunque sono per il nodo sì, anche se non sembrerebbe, dopo tutto ciò che scrivo qui. Non prendete troppo sul serio tutti i miei vaneggiamenti.
Hasuna, il padre, è per il nido no, ma per tutto ciò che attiene la pupa e/o i dettagli pratici (e non ideologici) della sua crescita delega in toto i poteri esecutivi nelle mani della genitrice. Non che ciò sia educativamente parlando il massimo, ma personalmente parlando ha anche i suoi vantaggi. E' un nostro equilibrio-squilibrio a cui alla fine mi sono abituata.
Mia sorella, la mia consulente telefonica per l'infanzia, appartiene alla categoria delle temute maestre d'asilo, e si colloca nel partito "nido sì". Sostiene che i bambini che rimangono fino alla materna o anche oltre, in casa in compagnia solo della mamma, o peggio (sempre a suo parere, non aggreditemi), dei nonni, si rimbecilliscano. E' un'integralista del nido, che farci. Però, se possibile, un'integralista moderata: non approva l'abitudine di mollarvi i bimbi molto piccoli e parcheggiarveli tutto il giorno.
Finora quando una madre incontrata ai giardini mi domandava se mia figlia non andasse al nido, mi sentivo quasi in difetto a rispondere di no, e mi mettevo lì a spiegare il perchè e il percome.
Ora, quando una mia amica, con una bimba di alcuni mesi più piccola della mia, mi ha chiesto perché avevo intenzione di mandarvela, la domanda mi è suonata come una dichiarazione di dissenzo, e lì a spiegare quali fossero secondo me i vantaggi di un ambiente stimolante e diverso da quello di casa, della presenza di bimbi etc.
Al ritorno da una visita a una coppia di amici che hanno un bimbo di alcuni mesi più grande della pupa, sapevo che la discussione col padre (cioè con Hasuna) si sarebbe riaperta. Loro sono infatti integralisti nel "nido no", e la loro convinzione a non mandare il figlio fuori casa prima dei tre anni, cioè alla scuola materna, è stata accolta da lui trionfalmente.
- Va be', Hasuna, ma se proprio dobbiamo prendere loro a modello, però...
(e lui impallidisce)
- ...allora sarai d'accordo anche a trasferirti a dormire nello sgabuzzino, perché io dormirò nel lettone con la pupa d'ora in poi, lei si sveglierà dalle 5 alle 10 volte a notte reclamando la tetta, che io le darò perdendo sonno e salute mentale e fisica. La cosa andrà avanti fino al compimento del terzo anno di età, quando finalmente inizierò a svezzarla da me e allora sarà pronta per dormire da sola e per andare a scuola. Forse allora si potrà parlare di riprenderti a dormire nel letto grande.
Niente da obiettare a scelte diverse dalle mie, mi domando solo come si riesca ad accettare una simile trasformazione della propria vita in funzione del proprio figlio, e se davvero questi sacrifici della "normalità" degli spazi e del tempo, sono necessari a loro, e se ne sentano davvero la mancanza una volta privati.
Quando smisi di darle la tetta per esaurimento scorte, temevo un poco il trauma del distacco, eppure non mi sembrò affatto provata dal cambiamento; decise anzi che era giunta l'ora di cambiare la posizione in cui prendeva il latte: non più adagiata sulle mie ginocchia, ma seduta con lo sguardo verso il mondo e le spalle rivolte a me che la nutrivo.
Chissà che anche stavolta non mi volterà semplicemente le spalle e se ne andrà verso il mondo.
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