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giovedì 16 aprile 2015

C'è vita sulla terrazza.


Mi sveglio con la testa piena di sabbia.
Risultato di un pomeriggio con le bimbe in spiaggia.
Sabbia tra i capelli, sabbia sul cuscino, sabbia nei pensieri.
Testa pesante, occhi pesti, mattine luminose di primavera, pressione bassa, bambine lamentose, noiose, ostruzioniste.
Primavera si riaffaccia sempre faticosa, per quanto bella.
In primavera la mia casa si amplia, le pareti si fanno permeabili, il dentro lascia entrare un po' di fuori e il fuori ci accoglie tiepido e confortevole come un pezzo di dentro.
Tra qualche mese la mia terrazza sarà impraticabile per buona parte della giornata; le sue piastrelle esposte a meridione diventeranno incandescenti sotto gli implacabili dardi del sole estivo che la batteranno per svariate ore al giorno.
Ma ora è il momento più propizio che mai.

giovedì 25 settembre 2014

Giardino d'estate.


Il bello di questa casa è la luce.
Questa è la casa in cui abitiamo in affitto, da quando ormai dieci anni fa la trovai per caso, dopo un mese di ricerche e altre 32 visionate, e ci venimmo a stare, io e il beduino.
Allora non feci caso a questa cosa della luminosità, eppure avrei dovuto.
Ho abitato per un anno in un piano terra, devastato dall'umidità, assalito dalla muffa; gli armadi ne erano pieni, i vestiti messi una volta andavano di corsa lavati, mai riappesi alla gruccia, o te li ritrovavi maculati di verde e nero indelebilmente; i panni stesi poi impiegavano giorni ad asciugare. Avevamo uno stretto cortiletto su cui non batteva mai il sole, chiuso tra le mura di casa e la recinzione che ci separava dall'appartamento vicino; lì l'umido ristagnava e il bucato rimaneva perennemente bagnaticcio. In quella casa arrivava un unico raggio di sole al giorno, in inverno; filtrava da un piccolo lucernario a mezzaluna sopra l'uscio di casa, poco dopo l'ora di pranzo, e batteva preciso sullo schermo del televisore, proprio quando mi sedevo in poltrona a guardare Dowson Creek. Poi era la penombra, sempre e comunque.

giovedì 20 febbraio 2014

...E mentre lei dorme, noi... (suggerimenti utilissimi per svernare in casa con due bimbe)

Mi sento sempre un po' in soggezione a fare la parte di quella che dispensa suggerimenti sul web.
Comunque lo faccio, senza esagerare, ma mi capita, talvolta, di farlo. E volete proprio sapere il perché?
Perché a volte, anzi, più che a volte, cose che potrebbero suonare scontate non lo sono affatto. A volte le soluzioni più semplici per risolverti un pomeriggio o una mattina in casa, con una bambina piccola che ti dorme ancora quelle due volte al giorno, e una grande che qualcosa, poraccia, dovrà pur fare, le soluzioni più semplici, dico, sono quelle che si rivelano più azzeccate, e indolori, e che alla fine ti lasciano soddisfatta e convintissima di aver svolto un perfetto lavoro pedagogico, e lasciano lei soddisfatta e convintissima di aver svolto un perfetto lavoro di precisione e abilità. Sono quelle furbate che alla fine non ti costano niente, e lasciano tutti più felici, accrescendo a dismisura i livelli di autostima individuale all'interno del nucleo familiare.

Un pochino ci vuole che qualcuno ti dia la pista, ché se no capace che da sola non ci arriverai mai, se non hai mai letto la Montessori e nessun altro manuale ad hoc, e però vanti una discreta dimestichezza con un certo numero di blog scritti da persone come te, che ti dimostrano come a volte sprechiamo tante energie a fare e a combattere con loro che ci "impediscono" di fare, quando basterebbe, tanto semplicemente "lasciarli fare", offrire loro il beneficio del cimento, e tamponare il tamponabile, che al limite si risolve con una passata di straccio e via.
Detto questo, ecco due utilissimi suggerimenti su come intrattenere la figlia grande quando la piccola dorme, e tu, magari, nel frattempo ti attrezzi la cena, o il pranzo, o ti guardi tutti i contenuti speciali in inglese de La bella addormentata senza che lei ti assilli con cose tipo "Mamma, lo vedi che non si capisce cosa dicono, spegni! Mamma, è noioso questo Waldisne."

domenica 5 gennaio 2014

Il bello delle feste (sì, sul serio).

Gennaio da che ne ho memoria è il mese che più mi sta sulle palle.
Infinito, lunghissimo, girgio e triste, freddo e noioso. Il lunedì dell'anno solare in pratica.
L'unica cosa di bello che ha, se proprio vogliamo giocare a fare gli ottimisti, è che una volta che ci sei arrivato non può fare a meno di passare, e poi tornerà solo tra altri 11 mesi.
Magra consolazione, visto che subito dopo ti attende febbraio, che forse è altrettanto tedioso, ma almeno ha la decenza di durare solo 28 giorni, 29 se proprio ti dice sfiga, ma comunque ti risparmia pur sempre quei 3-4 giorni di uggia che possono fare un po' la differenza, ed ecco: ti svegli ed ecco sei a marzo, e mentalmente lo associ già a uccellini che cinguettano e prati fioriti, e al profumo di mimosa che ti stordisce a ondate.
Ma torniamo a noi.

venerdì 20 settembre 2013

Morte dell'estate.

L'estate muore in un autunno bizzarro.
In un autunno dolcissimo, avrei detto qualche tempo fa, prima dell'arrivo di queste piogge melancuniose.
Ora ci regala giornata piene di una luce dorata che investe chiome ancora frondose dei grandi platani che svettano sopra i tetti della città, nell'orizzonte della nostra terrazza.
Tanta poesia in questa morte d'estate, come in tutti i canti del cigno.
Ma comunque ne abbiamo avuto abbastanza, dell'estate dico.

Proprio non capisco quei tizi che ancora se ne stanno in spiaggia a prendere il sole di settembre che ci mostrano insistentemente al telegiornale.
Basta, è ora di voltare pagina.
Qui più prosasticamente parlando, siamo tutte in spirito di nuovo inizio.

venerdì 30 agosto 2013

Come di domenica mattina.

Ogni tanto la perfezione pare affacciarsi alle tue giornate.
Niente di eclatante, nessuno squillo di tromba, nessun avvenimento epocale.
Solo la quotidianità, in un giorno normale che ti sembra d'esser di domenica mattina.
Una di quelle domeniche mattina della tua infanzia, quando il giorno è ancora nuovo e silenzioso, e per strada ti affacci e non vedi nessuno, o solo un cane o una vecchina o due, e il megafono dell'ombrellaio in lontananza.
Ora che l'estate preannuncia il suo canto del cigno e la mente si rischiara, i pensieri si rinfrescano, il cielo è sgombro, la luce è ancora quella dell'estate, ma si sta bene in casa e i vestiti non si attaccano alla pelle, e si sta bene fuori casa e puoi uscire a qualsiasi ora senza paura di far prendere un' insolazione alle bambine.

lunedì 27 maggio 2013

Il nostro didò parte seconda.

Allora siccome fuori tira sempre vento e la primavera volge un po' all'inverno, siccome a noi piace investire sempre nel nostro tempo di qualità e siccome che la piccola fatina si è gentilmente concessa una lunga pausa di sonno, decido di accontentare la richiesta che Mimi mi rinnova da giorni, di rifarle il didò, perché, così mi dice, doveva fare il gelato.

Ritengo quindi doveroso aggiornare queste pagine circa la riuscita del nostro secondo ufficiale cimento nell'impresa ( vi ricordo il primo esperimento).

Dunque stavolta decido di provare con il colorante in polvere portatomi dal beduino (pare che nella cucina araba lo si usi molto per "colorire" i piatti... mah! Comunque in negozio da lui va alla grande!)




Quindi con Mimi misceliamo farina, sale, cremor tartaro, e aggiungiamo una di queste bustine.
Due bustine: non si vede alcun pigmento, forse una era troppo poco per tutta questa farina... tre bustine, quattro... Mimi, tieni: aiutami anche tu. Svuota questa bustina. Anche questa.

Insomma: per farla breve ci mettiamo una cifra non ben identificata di queste bustine in polvere, e il colore... ancora niente.


Decido per il sì e per il no di infilarci dentro anche un po' di aroma all'acqua di rose (questi arabi aromatizzano persino l'acqua che bevono): male non farà di certo.

Ma ecco... miracolo! A contatto con un qualsivoglia liquido il colore esce fuori!

Un bel giallo che più giallo non si può (Azz', stai a vedere che di bustina ne bastava alla fine pure una...)

In pratica giallo-evidenziatore...


- Mimi, non mangiare il didò liquido. Mimi, non mangiare il didò liquido. Mimi, non mangiare il didò liquido, ché fa schifo. Mimi non... e vabbé, e allora mangialo!



- Buono?
- No, mamma: è un pochino cchifodo.
- Ah, ecco.

E poi la cottura.
Attenzione: a vederlo così parrebbe che non è venuto un beneamato ciufolo. NO?
E invece: mai disperare. Sì invece impastare.
Impastare è la chiave di tutto.
Impastare all'acqua di rose.
Impastare all'evidenziatore giallo, anche se vi diventano le dita fluorescenti...



E alla fine, si potranno ben inaugurare i timbrini regalo dell'amica Rosetta...


- Mamma, guadda: ho fatto me!
- Mh. E io chi sono?
- Tu sei la ttrega Grimilde.
- Ah. Beh, grazie.
(E pensare che ho immolato la mia domenica a farti il didò...)


L'unica pecca: abbiamo messo il colorante nell'impasto di base. Quindi ci siamo ritrovate con tipo un chilo di didò giallo-fosforescente.
Però: aggiungendo in post-produzione il caro vecchio colorante liquido rosso abbiamo ottenuto un bellissimo arancione brillante.
Aggiungendo il caro vecchio azzullo abbiamo ottenuto un bellissimo verdino-pisello-brillante che la mia reflex mezza sbroccata si è rifiutata di fotografare. Pazienza: credetemi sulla parola.
Impossibile invece ottenere qualsivoglia rosso o verdi più scuri di quel verdino-pisello lì, immagino a causa delle proporzioni spropositate di colorante giallo per cous-cous utilizzato.

Devo dire che questa esagerazione di colorante ha dato risultati di una brillantezza che non avrei mai potuto sperare con i soli colori liquidi usati la volta scorsa, che ci avevano limitato a una gamma di colori molto acquarellati, sbiaditi.
Pollice in su dunque al colorante beduino.

Poi, per chi volesse al volo imitarci senza stare a cercare due ore nel web e confrontare ricette più o meno simili ma pur sempre dissimili, ecco a voi la nostra, pratica e veloce (ricordo che il cremor tartaro io l'ho ordinato in farmacia, non avendolo reperito in nessuno dei 119 supermercati in cui l'ho cercato -scherzo: erano solo 2!-)

RICETTA (semplificata e corretta):

  • 2 tazze di farina
  • 1 tazza di sale fino
  • 2 tazze di acqua calda (non bollente!)
  • cremor tartaro: 20g.
  • 1 cucchiaio di olio di semi (o altro olio)
  • colorante alimentare in polvere (noi abbiamo messo tipo 6-7 bustine, ma suppongo che ne basterebbero anche molte meno)
  • aroma di acqua di rose (mah! suppongo vada bene qualsiasi altro aroma a piacimento)

Ora sorge spontanea una domanda: ma 'sto cremor tarataro, nell'economia del didò, a che accidenti serve? Quale sarà la sua funzione? Mistero.
(Se ci fosse qualche chimico in ascolto che volesse illuminarmi...)

martedì 21 maggio 2013

Lavori in corso: la cameretta.


Quando andavo ai corsi pre-parto, una delle cose che contribuiva non poco ad abbassare il mio livello di benessere emotivo pre-gravidico e a gettarmi talvolta nel vortice più nero dei miei pensieri, era il "confronto" con le altre madri-in-fieri sull'argomento "cameretta".
Quando ero incinta di Mimi la cosa mi sembrava avesse il sapore di una ingiustificabile ingiustizia a cui mia figlia sarebbe stata esposta ancor prima di venire al mondo.
Tutti avevano una cameretta, parlavano di come l'avevano arredata, e dove l'hai comprato il fasciatoio, e di che colore l'hai messa la carta da parati, e cazzi e mazzi, erano tutte pugnalate al cuore. Al cuore di una futura neo-mamma che già prima di cominciare si sentiva inadempiente nei confronti di sua figlia, che per il momento di camerette non se ne sarebbe fatta un gran che, parcheggiata in utero fino a data da destinarsi.
Niente. Mia figlia non aveva una cameretta.

Pensai di adattare a "cameretta" il piccolo stanzino che già da tempo utilizzavamo come camera degli ospiti: in fondo lo spazio di un letto ci stava, e a volercela infilare ci stava pure la cassettiera Malm, ricevuta in dono in vista della nuova nascita...
Non se ne fece mai nulla: lo stanzino rimase tale, e Mimi continuò a dormire in camera con noi fino a... fino a ora!

Poi con la seconda, pensi che le cose siano cambiate, ormai hai una nuova consapevolezza di quel che serve e quel che no, hai una visione "essenziale" di ciò che davvero conta, e non ci ricascherai...
E invece no. Lo spettro "cameretta" si riaffaccia alla tua mente tormentata.
Triboli per sette mesi e mezzo cercando soluzioni infattibili.
Ti ritiri da tutte le discussioni sul tema che si svolgono sul Forum per future madri che bazzichi (ora lo posso dire: sì, ho bazzicato un forum per future mamme!) dove tutte pubblicano foto di camerette rosa e blu con stickers alle pareti e peluches sugli scaffali...
Ti chiedi anche come farete a entrare in quattro in una stanza, e sogni un luogo ove poter riunire in un'unica libreria i librini di Mimi, attualmente sparpagliati per casa su ogni ripiano utile (man mano che diventavano sempre di più hanno colonizzato i comodini del corridoio e della cucina), dove riporre ordinatamente i suoi giochi e dove, magari un giorno, mettere a dormire le bambine facendole sloggiare dalla nostra intimità coniugale...

Poi finalmente ti riesce il salto di qualità. Un po' faticoso a dire il vero: comporta il raddoppio del canone di affitto mensile che pagavate finora, datosi che si tratta di prendere possesso dell'altra camera, quella finora occupata dall'altra inquilina (eh, sì: alla fine ce l'hai fatta!), ma, ragazzi, vuoi mettere l'ebbrezza di darti finalmente e follemente all'allestimento della CAMERA DELLE BIMBE?

E così ho iniziato.
L'inizio a dire il vero è stato un po' faticoso, non solo a causa delle elefantiache proporzioni della mia pancia da ottavo mese, ma perché si trattava di svuotare, imbiancare e risistemare una camera che da almeno sei anni non aveva ricevuto interventi del genere, e io ero in pratica sola con la mia panza, data anche l'irreperibilità del beduino che in quei giorni lavorava full time da procuratore-interprete di certi libici determinati ad investire in Italia... cose sue.
Comunque riuscii a ingaggiare con un mezzo sotterfugio gli operai albanesi che lavoravano per il mio padrone di casa all'appartamento del piano terra. Lui, il padrone di casa, dopo avermi assicurato che mi avrebbe assistito nei lavori, aveva avuto l'alzata d'ingegno di partire per Dubai, e inoltre mi avvertì solo il giorno stesso, ché per caso lo chiamai per sapere "quando" pensava di iniziarli, questi lavori. "No, sai, sto partendo per Dubai. Facciamo al mio ritorno, tra un mesetto?" Al che mi incazzai un poco, perché io tra un mesetto sarei stata prossima alla sala parto, e speravo, per quella data, di avere già concluso con la mia tanto agognata "cameretta"...
Quindi gli strappai il consenso a farmi disporre dei "suoi" operai in sua assenza. I quali operai non si dimostrarono proprio entusiasti di vedersi commissionare dalla sottoscritta l'onere di altri lavori (evidentemente assai poco e tardi retribuiti), ma insistendo e insistendo e con molta fatica ancora hanno infine mosso il culo.

La dipartita del mobilio vetusto, coscenziosamente e letteralmente defenestrato dai nostri solerti operai, portò alla luce una mega macchia di umidità e muffa dietro l'armadio, e ci volle quasi un mese prima che si decidessero a rifare l'intonaco, dopo aver individuato e, almeno così affermano, sanato, la falla nella guaina del tetto.
Ma comunque alla fine ne siamo pur venuti a capo, e io ho dato alloggio ai millemila vestitini da neonata che in quei mesi avevo raccolto da amici/conoscenti, stipato, e da ultimo lavato-stirato-inscatolato in ordine di taglia e stagione. Un lavoro al limite del maniacale, soprattutto perché non avevo un guardaroba dove infilarli.
Nel frattempo ho passato spugnature di candeggina sulla muffa (mi dicono che funziona come l'ammoniaca... mah!) e abbiamo reimbiancato la camera.
E poi? Poi sono stata vittima di un'influenza killer che ha arrestato i lavori in corso per una buona quindicina di giorni.
Poi ho iniziato a girovagare per grandi magazzini e mercatini dell'usato in cerca del mobilio più adatto all'occorrenza, da me individuato in un armadio a ponte con letti due di cui uno estraibile, unica soluzione utile alla conformazione oblunga della camera.
Presa dall'ansia della nascita imminente, a due settimane della DPP (data presunta del parto per i non addetti ai lavori, data poi confermata pienamente da Rania) mi faccio recapitare a casa la gemella di MALM, trovata su e-bay a prezzo scontato (ma con la spedizione arrivo a pagarla qualcosina di più che non da IKEA. Pazienza: il servizio a domicilio li vale tutti, considerato il fatto che l'IKEA più vicina a casa io ce l'ho a Firenze).
A questo punto la monto con grande tribolazione, a causa della mia panza in stadio molto avanzato che mi rende estremamente faticoso lavorare carponi.
Ma ne esco vittoriosa.


Nota: un giorno non lontano, chissà, riuscirò pure a scrivere per intero i nomi delle bimbe su ciascuna cassettiera, non disperate! Mi mancano solo nove lettere, in fondo... (per fortuna abbiamo scelto nomi abbastanza brevi).

Infine, a poco più di una settimana dalla data X, individuo al mercatino dell'usato a Livorno l'armadio in questione (grazie, o mio amico Cileno scarrozzatore di donne gravide e un tantino sclerate!), a un prezzo ragionevole incluso trasporto e montaggio. C'è poco tempo, e prendo quel che c'è, per quanto avrei ben potuto andare avanti ancora per mesi a girarmi tutti i magazzini e i capannoni della provincia e non solo in cerca dell'armadio "azzullo" voluto da Mimi.

L'armadio è arrivato con un anticipo di un buon 4 giorni sull'arrivo di Rania, quando io già temevo di dovermi ritrovare a dovermi gestire un travaglio durante la fase di montaggio dello stesso (ricordate?).


E' stata in pratica una corsa contro il tempo.
Ma ne è valsa la pena.
Ora Mimi ha un "negozio dei puzzle" tutto suo, un ripiano per i suoi innumerevoli zainetti, e io una marea di spazio in cui confinare gli accessori delle bimbe.




Per il resto, che dire...
La "camera delle bimbe" è ancora molto di là dal divenire la camera che era nei miei sogni.

Diciamo che è molto approssimativa...



E dovrei sistemare i cassetti dell'armadio (ci sarà pure un motivo per cui l'ho pagato il prezzo che l'ho pagato, no?) e farmi fare i ripiani e comprare le aste, che tanto se speri di trovarle incluse nel prezzo, sei una povera illusa...


E anche la mia agognata libreria, per il momento, dovrà aspettare, ché i soldi mica li cachiamo noi!


Diciamo che ho un progetto in mente: farmela da sola.
Ne ho cercate in giro, ma nessuna mi soddisfaceva in quanto a misure: per lo più rischiavano di essere inutilmente ingombranti senza riuscire nemmeno a contenere tutti i libri di Mimi (sempre in aumento peraltro...)
Ma in quanto alla sua realizzazione, possiamo dire che ancora "ci stiamo lavorando".

Niente: mi piaceva riassumere qui la storia della nostra sofferta cameretta.
Così almeno chissaquando vedrete anche voi i progressi che farà...
La speranza è l'ultima a morire!

giovedì 21 febbraio 2013

La prima casa. (Ovvero: è giusto pagare l'IMU? No, va be', scherzo!)


Stavo pensando (ogni tanto mi capita ancora) a che ricordo rimarrà a Mimi di questa casa in cui si è trovata a vivere sin dal giorno della sua nascita, questa casa che si è ritrovata come sua.
Come se fosse scontato, senza sapere come né perchè, senza chiedersi cos'è che ci ha portato qui, senza pensare che potrebbe esser stata un'altra casa, magari, la sua prima casa.
Lei l'ha semplicemente acquisita come realtà di fatto: a chi appartiene questa casa? A noi, che ci viviamo, ovvio. Lei questa casa la sente come sua, come LA sua. Come è giusto che sia.
Mi fa tenerezza quando a volte usciamo da scuola in compagnia di qualche amichetta e lei si fa avanti, tutta caruccia e propone: "Maua/Emma/Pedeica, vuoi venile a cada mia? Che ti faccio vedele la mia cada?"
Naturalmente nessun'amichetta è mai "venuta a casa sua", e in questo gioca anche la mia inossidabile resistenza a schiudere al mondo "regolare" i misteri inconfessabili della mia situazione abitativa. Magari prima o poi, chissà, supererò questa mia tara, questo mio senso di inadeguatezza, ma per ora la nostra casa per me continua a rimanere quella dimora provvisoria e arrangiata che era sin dal primo giorno in cui ci ho messo piede (appena possiamo ne cerchiamo una migliore).

Per lei no.
Natale dalla nonna: non c'è stato giorno che non mi abbia ricordato che quella non era casa sua, che lei voleva dormire a casa sua, nel suo letto, non passava giorno che non mi chiedesse: quand'è che torniamo a casa nostra? E non che dalla nonna sia stata male, anzi! Ma la festa che fece il giorno in cui siamo rientrate poi alla base ha avuto del commovente, con lei che girava di stanza in stanza ripetendo: "Che bello che siamo tonnati a cada! Che bello mangiale a cada! Che bello fare la cacca a cada nostla!"
Insomma, per lei la Casa con la maiuscola, la sede dei suoi primi ricordi, dei suoi legami emotivi, delle sue sicurezze di bimba, è questa, questa scalcinata, amataodiata dimora provvisoria, dove ci sentiamo precari ormai da quasi otto anni.

Perché, si sa, la prima casa è sempre la più bella che tu abbia mai avuto.
Per voi non è così?
Ah, per me sì.

La mia prima casa era proprio bella, la più bella che io abbia mai visto, la più bella senza dubbio in cui io abbia mai vissuto, e la migliore in cui io potessi mai aver vissuto. E se non ci credete ora vi dò un sacco di motivo per convincervi di ciò.

La mia prima casa, quella all'ottavo piano, era la più bella di tutte le case esistenti, perché era al piano più alto, e da lassù potevi vedere lontaniiiiissimo affacciandoti alla finestra di camera nostra, e potevi anche fare la gara di sputi sulla serranda del signor Naclerio, del piano di sotto, e potevi guardare le macchine in strada che sembravano le nostre Micro-Machines e scommettere sul colore della prossima che avrebbe girato la curva, e contare i Maggiolini che passavano, e gridare qualcosa ai passanti e poi nasconderti e non farti vedere quando quelli alzavano la testa guardandosi intorno spaesati.
Poi era bella perché da casa nostra si arrivava facilmente su in terrazza, nella grande terrazza condominiale, e avevamo un sacco di spazio per pattinare, e siccome eravamo coraggiosi e non avevamo paura di cadere andavamo a pattinare al di là del parapetto, almeno finché qualcuno dai palazzi vicini non ci urlava di tornare dentro, e allora, seccatissimi, dovevamo smettere.

Era bellissima, casa nostra, ma la cosa più bella era la nostra camera, tutta arroccata di scale di legno, e scaffali in cui infilarsi e a cui appendersi, e cassetti e scrivanie a scomparsa, e letti apribili, e un enorme armadio dove infilarsi quando si giocava a Strega di mezzanotte (c'era da essere orgogliosi di quella camera, quando qualcuno veniva a trovarti), e tutti i nostri giochi e giocattoli, generazioni e generazioni di giocattoli ereditati o sempre esistiti, e inventare storie e percorsi e villaggi, far incontrare i Lego con i Play-Mobyl, schierare gli Exogini contro gli Happy-Potami, far salpare i Puffi a bordo dello skate-bord... e i piumoni rossi invernali lasciavano posto ai copriletti a motivi peruviani sui nostri tre materassi in fila, alla parete, nella mezza stagione, e il sole che ci arrivava di pomeriggio a tingere tutto di colori caldi, e la carta da parati in gommapiuma tutta grattata dalle unghie dei gatti...

Ma poi anche il resto della casa era bellissimo, anche se la nostra camera era di gran lunga il pezzo forte della casa.
Per esempio c'era un lungo, lungo corridoio per farci le scivolate coi calzini.
E poi c'era un grande salone, grondante tralci di filodendro dalle pareti e dal soffitto, con un lungo lungo divano murato, con grandi cuscini arancioni, che si prestavano alla grande a diventare capanne su uno o due piani, dove accamparsi e improvvisare rifugi di fortuna. C'erano le due poltrone di legno a dondolo per andarci a cavallo, ma dovevi stare attento a non infilare le dita in mezzo alla molla, o te le schiacciava. E il pianoforte a muro col suo bravo sgabello girevole.

C'era il tavolino basso di mattonelle, ribaltabile, nel senso che se per distrazione ti appoggiavi troppo ad una delle due estremità, ti si ribaltava l'intero piano, perché poggiava semplicemente su due trespoli di ferro battuto, e quando si ribaltava venivano giù tutte le mattonelle, e allora toccava fare un laborioso lavoro di restauro-lampo, tipo tessere di un puzzle astratto, e rimetterle al loro posto. Che poi a volte lo facevi anche apposta,a  rovesciarlo, per poterti cimentare nel puzzle delle mattonelle. Però era un disastro quando la sera ci portavamo i piatti della minestra per poter cenare in pace davanti alla tv, mentre mio padre friggeva i Sofficini. Allora bisognava stare attenti, al tavolino ribaltabile, o rischiavi di buttarti tutto il brodo sulle gambe, ed era caldo!
E poi cuscini, cuscini, cuscini per sdraiarsi a terra, e il tappeto sardo peloso con la grande chiazza marrone di quella volta che col Piccolo Chimico prese fuoco...

E poi c'era anche la sala del tavolo lungo, che era davvero lungo, e ci potevi stare sdraiata per intero, sulle sue piastrelle azzurre fiorite, e ancora avanzava spazio. Arsenali di fogli da disegno e scatole di Stabilo, ben schierati per la battaglia, bicchieri d'acqua colorata pieni di pennelli, tempere e acquarelli e fogli di giornale che subito finivano inzuppati: quante mappe del tesoro furono realizzate su quel tavolo, quante pergamene, quante "guerre di Saddam" furono documentate con minuzia certosina, tra gli omini verdi e quelli blu e quelli gialli (il guerrafondaio in realtà era solo mio fratello Ergino, ma la stesura di quel progetto colossale ben presto appassionò anche me).

E poi la grande terrazza traboccante di piante, che pareva un giardino pensile di Babilonia, ed era il nostro pezzetto di "fuori" privato, dove noi un giorno piantammo in vaso i nostri dieci pinoli, chiedendo impazienti quando sarebbero diventati alberi, e rimanendo delusi alla risposta: almeno una ventina d'anni. E invece ora sono davvero alberi, anche se ne sono rimasti forse tre o quattro, e non ci si crede che furono piantati per gioco da due bambini su una terrazza all'ottavo piano, tanti anni fa...

Anche la nostra cucina era bellissima, comunque, per quanto piccola, perché a frugare bene tra le credenze saltava sempre fuori qualcosa da spiluccare, e se non trovavi niente potevi sempre improvvisarti qualche frittella di banana: la ricetta era top secret, ma comunque la cambiassi veniva sempre fuori qualcosa di abbastanza commestibile da meritare gli onori dello stomaco.

Ah! E poi c'era la camera dei miei genitori, dove potevi saltare sul lettone grande e fare i campionati di Wrestling e lotta (due discipline molto diverse, non vi sbagliate), ma sempre stando attenti a non far piangere nessuno, che se no poi arrivava mia sorella dalla camera accanto e ci maziava un po' tutti, ché lei era sempre alle prese con le sue lingue astruse, il greco e il latino, e ripeteva tutto il giorno ton-ton-ton, toin-toin-toin allo sfinimento, e chi lo sa che vuol dire?

Insomma: vi ho convinto?
La mia prima casa era senz'altro la casa più bella che io avessi mai visto.
Chissà allora perché poi dovemmo cambiarla. Crescendo mi è parso di capire che sia stato per questioni di eredità, proprietà catastale, cose da grandi, comunque.

Ci tornai solo una volta e rimasi sconcertata dal trovare tutto stranamente più piccolo di come lo ricordassi, un po' vuoto e "impoverito".
Le case hanno questo guaio: che se le abbandoni si rattristano, e perdono smalto.
Potessi riavere quella mia prima casa così come la ricordo! Nessun IMU potrebbe mai farmi desistere dal desiderio di riaverla, quella mia prima casa!

(Foto di repertorio)

lunedì 4 febbraio 2013

Cattivissima me. Cattivissima ed esaurita.


Allora, facciamo il punto della situazione.
Gennaio è finito, mi pare, già da qualche giorno, se non sbaglio.
Ora: che si fa?
La domanda sorge spontanea: mi pigli per il culo o cosa?
No, perché io mi ci son messa d'impegno: fatti andare giù liscia una cosa che proprio ti s'incaglia in mezzo al gozzo. Sì, insomma: In tutto ciò che tocca far, il lato bello puoi trovar... a averne la fantasia.
E non posso nemmeno dire che non sia del tutto colpa mia, che non me la sia andata, in parte, a cercare.
E non posso nemmeno dire che l'esperienza non mi abbia insegnato qualcosa negli anni addietro, nei bei nostri anni cazzoni e spensierati (per quanto non meno arraffazzonati di quanto non siamo ora): in anni di studentato in convivenza ho imparato a dividere i miei spazi e i miei tempi con la gente più disparata, ho imparato a conciliare gli attriti, a temperare le intemperanze, a scendere a compromessi, a lasciar correre le inezie, a condividere tutto e più di tutto. Mi son ritrovata a ospitare gente mai vista né conosciuta, a mettere casa mia a disposizione di tutti e pure degli amici degli amici di tutti, ho rinunciato alla mia privacy, al mio riposo, alla mia cucina, i miei orari, ai momenti in cui avrei preferito cento volte il sonno alla compagnia forzata di una decina di ospiti, tornando da lavoro alle due di notte distrutta, sai, non è che alla fine hai tantissima voglia di folleggiare fino all'alba, considerando pure che il giorno dopo ti toccherà pulire montagne di piatti e pentole accumulate nel lavello, buttare sacchi di spazzatura stracolmi e passare lo straccio su pavimenti appiccicosi.

Però posso dire che tutto ciò ha avuto un senso: perché ho imparato a mettere limiti. Ho, abbiamo, goduto della compagnia altrui finché ne abbiamo avvertito la necessità, della vita in comunione, di azzerare per un certo periodo i confini convenzionali della proprietà di diritto, di distinguere tra il mio e il tuo, il mio e il tuo tempo, il mio e il tuo lavoro, il mio e il tuo spazio, i miei e i tuoi averi, in virtù del bello che ti portava la condivisione incondizionata.
Ma i conti non tornano mai. Arrivano sempre le frustrazioni, le delusioni, i rinfacciamenti, l'assoluta mancanza di comprensione e gratitudine che ti fanno fare più di un passo indietro, e mettere paletti.
Se prima dicevo cose tipo: "Non chiedermelo neanche!" "Fai come se fosse casa tua!" "Ma scherzi?  resta pure tutto il tempo che desideri!" "Se hai bisogno di qualcosa non farti problemi a prenderlo!"
Ora ho imparato a dire cose tipo: " Se hai bisogno di qualcosa, chiedi pure"; "Per quanto tempo avresti bisogno di essere ospitato?"; "Magari vedi se trovi prima un'altra soluzione"; "Vedrò se posso aiutarti, ma preferirei di no".
E, credetemi, ci vuole una bella faccia da culo, eppure me la son fatta. Ho dovuto. I primi tempi è stata dura, ma alla fine capiscono, e non te lo chiedono più.
Del resto ha una bella faccia da culo anche chi, dopo tre mesi o un anno che mi fa la muffa in casa (gratis, ci tengo a specificarlo), ha avuto il coraggio di dirmi: "Ma mi avevi detto che potevo restare finché ne avessi avuto bisogno", o anche: "Io credo che voi siate falsi, perché vi siete stancati di me ma non avete il coraggio di dirmelo" (Ma se l'hai capito, allora...), o ancora: "In questa casa c'è sempre casino, se uno vuole concentrarsi come fa?" (Si cerca una casa e se la paga?).

Ma sto divagando.
Questo per dire che la generosità idiota non paga. Mai.
La disponibilità a zerbino è altamente controproducente, e ho smesso di praticarla da anni.
Finché per un bizzarro inciucio del destino (e varie nostre peripezie immobiliari) non ci siamo trovati punto e a capo.
Lei è arrivata dicendo che aveva trovato lavoro, e avrebbe pagato la sua parte di affitto.
Lui voleva liberarsi la casa sotto, e ce l'ha praticamente appioppata.
Noi programmavamo imminenti trasferimenti, ottimisti e fiduciosi nelle nostre capacità d'acquisto sul mercato immobiliare.
A noi non faceva schifo dividere l'affitto finché non avessimo sloggiato, viste le spese che poi il trasloco ci avrebbe comportato.
Noi eravamo abituati alla convivenza estrema, avremmo tollerato per qualche mese ancora.

Del resto avevo trovato i lati positivi in tutto ciò:
  • lei mi passava i suoi vestiti taglia 50 che non le stavano più (!), perfetti per la mia pancia gravidica (ma immettibili, avrei scoperto dopo, assolutamente orripilanti);
  • Lei a volte intrattiene Mimi mentre io ho da fare, sto cucinando o chessoìo (salvo impellente fiction televisiva che non può permettersi di perdere, allora non manca occasione di farmi capire indirettamente che preferirebbe non avere Mimi tra le scatole. Basta fare orecchio da mercante e fingersi distratti);
  • Lei in fondo sta sempre chiusa in camera sua a guardare la tv, mangia in camera, vive in camera. Chiusa. Pure le serrande: tappata dentro. La qual cosa a me va benissimo. L'effetto ci-sono-ma-non-mi-vedi è pur sempre meglio che averla sempre tra i piedi.
  • Lei mangia una tantum alla giornata, ad orari improbabili, intorno alle 5 del pomeriggio: si spadella il suo mezzo Kg di spaghetti e si porta la padella nel loculo. Sospetto lo faccia perché non ha voglia di mangiare con noi. Non mi pronuncio sull'abitudine di consumare i pasti in camera da letto, che trovo rivoltante, per inciso (fatti suoi), ma apprezzo l'idea di non dover condividere con lei la cucina all'ora dei NOSTRI pasti;
  • I nostri rapporti sono improntati su un generale disinteresse e distacco (cortese, per carità, e finanche simpatico distacco, ma pur sempre tale), la qual cosa mi permette di farmi allegramente i fatti miei, senza dover mantenere in piedi la farsa di improbabili legami affettivi.
E però, cara la mia Lia:
  • se tu hai sempre l'accortezza di chiuderti per bene in camera, credi sia normale entrare nella mia mentre sto facendo i cavoli miei?
  • Perchè quando Mimi sta mangiando senza fare storie, esci proprio per rompere le palle con la tua pedagogia becera ("Mmmm, che buona la pappa, ora me la mangio io!"), così che lei alla fine s'incazza di brutto e parte coi suoi capricci infiniti, m'incazzo io pure e la serata finisce a schifìo? No, perchè lo fai con una puntualità sconcertante! Direi che il messaggio più chiaro non poteva essere: quando mangio lasciami in pace. Ma lo fai apposta? Non le cogli le mie occhiate assassine?
  • Visto che nessuno ti ha chiesto mai, né pretende che tu faccia le pulizie in casa, perché quando ti accorgi che io sto pulendo, ti affacci a chiedermi se per caso non ho bisogno di una mano e rimani lì a ostacolarmi con il tuo ingombrante deretano mentre passo lo straccio? C'è bisogno che ti spieghi che, se vuoi, puoi tranquillamente pulire casa in mia assenza?
  • Perchè, visto che nessuno ti ha mai fatto pesare la cosa, ti ostini a ripetere che tu, tanto in casa, non consumi quasi niente, e fosse per te potrei anche spegnere il riscaldamento che tanto ti metti le bottiglie di acqua bollente dentro al letto e a te basta così? A parte che nessuno te lo chiede, ma credi che il gas che usi per far bollire litri e litri d'acqua per scaldarti il letto, lo eroghi gratuitamente la Caritas?
  • Perché quando mi metto in santa pace al PC ti senti in dovere di venire a fare conversazione e ritieni di poterti mettere a guardare e sindacare su quello che sto facendo? (Poi dici che uno risponde male...)
  • Ma soprattutto: perchè mai pensavi che se non avessi mai toccato l'argomento noi non ci saremmo accorti che tu hai smesso di pagare l'affitto già da tre mesi? Cosa ti faceva credere che, avendo tu detto che a febbraio schiodavi, siamo al 4 febbraio e tu ancora non accenni ad alzare il culo? E se non te lo facevo notare nemmeno avevi incominciato a fare le valigie? Cosa ti spingeva a credere che saresti potuta rimanere qui vita natural durante? Pensavi che avessi avuto problemi a dirtelo apertamente?
No, come vedi. Mi so accollare anche la parte della stronza, se serve, e me ne fotto, oramai.
Certo: che situazione di merda, me ne rendo anche conto.
Ma non venirmi a piangere che vai a stare per strada al freddo: primo, perché hai avuto tutto il tempo per cercare altre soluzioni; secondo, perchè te ne abbiamo trovate anche noi, di soluzioni alternative, e allora le rifiutasti, schifata, dicendo che la signora TizioCaio ti dava casa gratis... (strano che ora non voglia più dartela. Mi chiedo come mai...); terzo, perché se non schiodi ora,  mi sa che non schiodi nemmeno tra un mese.
Curioso che io non riesca più a fidarmi di te: mi dici che a marzo hai trovato lavoro a Roma e vai a stare da una famiglia come governante alla pari. Sicuro che tra un mese mi racconterai che sono tutti crepati in un incendio, o che una Filippina ti ha soffiato il posto, e allora non voglio che siano fatti miei.
Ma poi: che razza di giochetto è questo?
Noi diamo la disdetta della casa, per non costringerti a sloggiare, e il giorno dopo la dai tu pure.
Allora ti maledissi, ché avevo già dato la caparra per un'altra casa.
Poi (lo spiegavo qui) la casa non ce la diedero più, e noi facemmo dietro front: se la casa rimane tutta per noi, allora chi ci costringe a lasciarla?
Tu dovevi sgombrare entro febbraio, ricordi? Febbraio.
Ma qualcosa mi dice che sei un pochino paracula. No?
Che fai: noi rimaniamo, e allora tu pure? Ti sei così affezionata che non vuoi più lasciarci?

Sì, lo so: me l'avevate detto. Me l'avevate detto tutti. Dovevo saperlo.
Del resto: meglio tardi che mai.
E non è bello, no. Non sono contenta di me. Non sarò una persona più felice o più appagata, ora.
Non avete mai dovuto dire a una persona: "Te ne devi andare, non m'importa dove"?
Be', è uno schifo, ve l'assicuro.
Un vero schifo.
Ma fare beneficenza con il cuore pieno di trasporto emotivo, è una cosa. Farla per un pungolo della coscienza, e rimanere incacchiati e astiosi con una persona che finisci per avere sempre sotto gli occhi, e detestarla ogni minuto per ogni scemenza, e a detestare tutte le sue abitudini, perché avevi messo il pane in congelatore e quando lo cerchi non lo trovi più, perché vuoi tirare fuori dagli scatoloni i vestitini taglia 0 mesi e lavarli, e riporli in un luogo pulito, e non puoi farlo perché non sapresti dove; perché da sola occupa una stanza della casa e voi in tre ne occupate un'altra (e la pagate per intero); per il solo fatto che esiste... no. Ti fa capire che non sei in grado, che la tolleranza non è più una tua virtù, che non vuoi, e allora facciamola finita, e che trionfi per una volta il sano egoismo.

sabato 12 gennaio 2013

Se partire è un po' morire, tornare... che agonia!

Ritorno. Pare di tornare alle cose di sempre con una mente nuova, più fresca, più scattante, con una nuova energia.
Ti pare di tornare con un bagaglio di esperienze e consapevolezza, calma interiore e lucidità d'azione infinitamente più grandi di quando non sei partita, anche se sei stata via appena dieci giorni e hai ciondolato per casa di tua madre, quella stessa casa in cui hai vissuto dieci anni della tua vita da adolescente, diffondendo fazzoletti moccolosi e batteri e reggendoti la panza espansa almeno fino al raggiungimento della prima poltrona disponibile prima di sprofondarci senza soluzione di continuità per successive svariate unità di tempo.
In fondo ti sei ritemprata, hai preso le giuste distanze dai pensieri di sempre, recuperato le forze, ricevuto incoraggiamenti e incentivi: sei pronta.

Ritorno. Sistemi le ultime incombenze lasciate in sospeso, ti premuri di saldare i vari buffi lasciati in giro, di venire a capo dei grovigli burocratici messi da parte prima della partenza.
Riavvii la pupa al nido, stavolta senza indugiare, senza tentennamenti inutili su orari e riflessioni sulla stanchezza settimanale di lei: l'andazzo tenuto durante le feste sarebbe insostenibile per te, ora. Meglio adeguarci ai ritmi biologici imposti dal nido, malgrado siano così poco coincidenti con quelli nostri, ma probabilmente più salutari, e poi in fondo, che sia un problema delle maestre metterla a letto all'una e mezza, quando a me tira fuori le richieste più fantasiose all'ora della nanna e si finisce di addormentarla dopo due ore dall'inizio della routine addormentatoria non prima delle 4 di pomeriggio.

Ritorni e come sempre ritrovi l'albero da smontare, ultimo vessillo resistente al fagocitamento inesorabile del tempo che macina via festività e ricorrenze, residuo di quella fittizia opulenza festiva di cui ogni anno rinnoviamo l'ostentazione nelle nostre case, per sentirci un pochino più caldo il cuore quando ci pare di non essere proprio soddisfatti della nostra vita, come se a Natale dovessimo arrivarci sempre nello stato d'animo più propenso, più pieno, più grato e appagato che ci sia. E lui sta lì a ricordarti tutto questo, l'albero, addobbato di palline di plastica da supermercato e fili luccicanti di nylon, e lucine luminose discrete come patacche d'oro su qualche petto villoso. Subdolamente, implicitamente, sta lì a rimembranza della fine, e tu non sai cosa daresti una volta per poter tornare a casa dalle feste di Natale e non trovartelo lì, tutto sbilenco come lo avevi lasciato, da disfare, e un pochino ti chiedi anche perché in fondo l'idea di disfarlo ti metta quel po' di tristezza che ti impedisce puntualmente di por fine alle sue e alle tue sofferenze.
L'anno scorso me lo trovai ancora lì addirittura a marzo, di ritorno dalla nostra permanenza invernale in terra libica: un imperdonabile anacronismo, un intollerabile affronto al calendario, cui feci in fretta a porre rimedio. No, cioè: a marzo. Vi rendete conto?

Quest'anno però mi sono alleata con Mimi, ho chiesto la sua collaborazione e il suo conforto, anche perchè temevo che, se per caso disgraziatamente tornando un dì da scuola bel bella non l'avesse più trovato, me l'avrebbe rinfacciato almeno fino a Natale prossimo.
E' fatta così, che non tollera che le cose cambino senza la sua supervisione.
"Mamma, pecché l'hai levato? Mamma, rimettilo!"
Con voce rotta dal magone.
"Ma cosa, Mimi, questo?"
Riferivasi al vetusto e polveroso tris di faretti che pendeva ormai da un paio d'anni inerte sopra il nostro letto, inservibile perchè privo di cavo elettrico, ma anche prima non è che risolvesse il problema dell'illuminazione da notte, visto che emetteva una fioca luce male indirizzata, utile solo a creare linee d'ombra che rendevano impossibile la lettura o qualsiasi altra attività notturna (intendo tipo sudoku, niente di hard eh!).
"Mimi ma non funziona, che lo teniamo a fare?"
"Mamma, rimettilo, peffavo'e rimettilo a posto. Pove'ino"
"Dai Mimi, ne compriamo uno più bello..."
E per la verità ci sto pensando davvero, a mettermi a sistemare casa.
Era il mio proposito per dopo il ritorno, anche se per ora non sono andata oltre i progetti e le fantasticherie. A voler fare le cose in grande potrei voler cambiare persino i sanitari del bagno, ma al concreto dei fatti, dovremo individuare precise strategie d'azione, che per ora indirizzerò sullo snellimento della mole di oggettistica domestica tramite l'eliminazione progressiva e graduale di ogni ingombro inutile.
Quindi via l'abete.
Ho coinvolto lei, dicevo, e la cosa è stata indolore. La prima volta che le ho proposto di disfare l'albero mi ha risposto di no, che lo voleva tenere ancora, il suo bell'alberello, così Natale lo vedeva.
"Mimi, ma Natale è passato. Babbo Natale torna tra un anno."
Dopo qualche giorno credo si sia stufata anche lei, e ha acconsentito allo smantellamento.
E così, dopo più di una settimana, le procedure di rimpatrio possono dirsi ultimate.
La mente arriva semrpe con uno scarto rispetto al corpo, mi dice mia madre. Ed è vero.
Non starei qui a scrivere un post sul ritorno. Che noia!

Ma piove di santa ragione, Mimi dorme che manco i miao reiterati di Panzumen ne hanno avuto ragione, fuori è buio e gennaio è un mese interminabile. Io penso a quanto poco tempo mi rimanga per potermi ancora permettere una vita parzialmente votata al cazzeggio e alla stesura illogica delle mie memorie che non interessano a nessuno, prima che la nuova vita tanto attesa e temuta venga fuori dalle mie budella a riempirmi i giorni di sé, e un pochino mi crogiolo in questo ultimo limbo di vita dimessa, di equilibri raggiunti, di concessioni strappate alla routine.
Come una visita a una mostra con un'amica, come la promessa di portare lei "Al mudeo di Maianna" (prima o poi ce la porto eh, promesso!), come la lettura simultanea alternata e inconcludente di svariati libri iniziati in contemporanea, come una sera a cena da amici, gran lusso per noi, anche se si dà il caso che gli amici in questione abitino appena due piani sotto di noi, e che la serata si sia conclusa (per noi) appena alle 11 di sera, orario più che sufficiente a stremare una pupa che ha trascorso un'ora buona a ballare selvaggiamente in circolo aizzata dalla musica di chitarre e tamburelli. Una pupa al top del top, che era una meraviglia e metteva allegria solo a guardarla.
Una pupa con cui ora è diventato piacevole persino intraprendere un viaggio in treno di quattro ore.
Una pupa che si aggira leziosa in rosso per la stazione ferroviaria stringendo il suo pipistrello di peluche, ammirando castelli fatati nei poster pubblicitari affissi alle vetrine, che prende il suo posto in carrozza ed esclama ad ogni fermata, a partire da Roma Trastevere: "Mamma, tiamo a'ivati! Finalmente!" suscitando l'ilarità dell'intero vagone.
Una pupa che mi abbraccia la pancia e mi chiede se mi fa male, mi accarezza e mi consola, mi dice che lei mi protegge e intraprende lunghe conversazioni con l'inquilina di dentro, spiegandole che lei è la sua sorellina grande, che non deve avere paura, che lei la sta aspettando, e quando nasci... Noemma?

Anche i calendari, come l'albero: che rabbia!




Mamma, tono un folletto! 
Non sono brava ad autofotografarmi la pancia: usate un po' d'immaginazione...

sabato 22 dicembre 2012

Pisa & Love anno zero.


No, non c'entra niente Santoro, se mai.
La citazione si riferiva, se mai, al film di Rossellini, ma, oh, ecco qua: l'ho rovinata.
Se mai voleva essere l'ennesima, stupida, scontata frecciatina alla presunta fine del mondo che abbiamo appena scampato, almeno fino all'avvento della prossima, e alla prossima "chiusura di un ciclo", come dicono ora i media, senza che si capisca peraltro di che ciclo si stia parlando. Ciclo mestruale? Ciclo a motore? Ciclo di lavaggio?
Ah! La lavatrice! Ma sì: sarà quello!

Dunque, ricominciamo: da oggi (o forse da ieri) ha inizio una nuova era, e sarà un'era in cui nessuno più dovrà trasportare chilogrammi di indumenti da lavare in giro per le strade della città dentro grandi buste della spesa marca COOP, che, si sa, sono i più resistenti.
Nessuno dovrà più smadonnare per l'assenza di monetaglia sufficiente ad avviare la lavatrice, e dinnanzi alla cascata di spiccioli di resto alla banconota da venti inserita nella macchina che programma i cicli di lavaggio.
Nessuno dovrà più caricarsi indietro buste di indumenti umidi da stendere in terrazza, sempre che il tempo regga, ed aver così consumato in quest'andirivieni un'intera mattinata libera.
Nessuno, no. Almeno non da questa parte dello schermo, non a questa tastiera, nessuno che segga su questa seggiola da cucina, ora, in questo momento. Nessuno con una panza pericolosamente in via espansivo-propulsiva, che da un giorno all'altro ti ritrovi con i maglioni più corti di 5 cm sopra l'ombelico, proprio ora che le temperature sono in calo, e gli abiti premaman non ancora in offerta, sempre che lo siano dopo le feste.
Dunque le novità di questa nuova era, ragazzi, ci sono, e promettono davvero una svolta nelle nostre vite.

Avrei potuto scrivere ancora e ancora di sfighe varie e giornate storte. Per esempio, parlarvi del fatto che avevamo trovato finalmente una casa (in affitto, sì), al primo piano di un condominio con giardino, perché i gatti potessero uscire e non mandarci in tilt le fibre nervose con una frequenza ininterrotta di Miao ottantacinque volte al giorno; una casa con due camere da letto, un "disimpegno" (mah!), una specie di salotto, un cucinotto (non arredato) e un balconcino, con un garage per tenere il di più, con una dispensa piena di scaffali; una casa che aveva un canone di affitto mediamente moderato ma un condominio mediamente esoso, che ci avrebbe costretto ad alzare le nostre spese mensili di un buon cento euro, ma che pareva promettere di essere almeno calda e confortevole, e in cui iniziavo a convincermi che avrei potuto trovare uno spazio per ogni cosa, che avrei potuto razzolare con le bimbe su soffici tappeti, baloccandoci con enormi peluche disposti con pessimo gusto per l'arredo nei vari angoli della "camera delle bambine", e sprofondare la sera su accoglienti divani davanti ad un insulso programma televisivo, lusso che non mi concedo ormai da anni, se non da ospite in case non mie.
Tutto questo è assolutamente vano che io ve lo esponga ora qui, visto che... ma era solo per farvi calare nel mio stato d'animo, pronto al cambiamento imminente, sì, al mazzo tanto cui mi sarei sottoposta nel mese di gennaio, al ritorno delle ferie, dopo, e solo dopo una pausa natalizia da mia madre, durante la quale non ammettevo rompimenti d'animo; pronta anche alle difficoltà eventuali di una vita in altrove, dopo otto anni passati a mettere radici in un posto. Oddio, non è che ci saremmo spostati di chissà quanto: diciamo che andavamo a circa 800 metri da qui, ma sarebbero stati 800 metri messi tra il nostro ora e il nostro passato, definitivi e inesorabili.
Fatto sta che avevamo anche dato un cospicuo anticipo in denaro all'agenzia, per stare più tranquilli, e nell'attesa della firma del contratto diamo anche la disdetta definitiva al nostro attuale padrone di casa.
C'è bisogno che io dica che ci hanno tirato il pacco? No, vero? L'avevate già capito due paragrafi fa?
Beh, sono convinta che in fondo sia stato meglio così, anche se mi è costato stare alle calcagna della tipa dell'agenzia per un giorno intero perché mi restituisse l'anticipo pecuniario che aveva preteso sull'unghia, anche se ha significato l'ennesimo giorno di pianti dirotti al telefono con svariate persone ad ascoltarmi dall'altro lato, e Mimi che mi diceva: "Mamma, non piange'e, ci tono io con te! Mamma, guadda: ti metto un ce'ottino, codì tei felice, va bene? Mamma, io ti salvo, non piange'e". Da cui potete immaginare quanto l'intensità del pianto si acrescesse.
Ma va bene, dicevo. Va bene perchè l'ho vista forte, per nulla costernata dalla debolezza materna, e l'ho sentita davvero come una presenza di conforto, che in quel momento "mi salvava".
Va bene anche se il giorno dopo non ha mancato di rinfacciarmelo: "Mamma, ti 'icoddi che piangevi in bagno? Eh, mamma? Non ti piange in bagno, mamma! Io ti contolavo! Ti dicevo: Non piange'e, mamma! In bagno non ti piange."
In effetti il bagno non è un bel posto per piangere.

Sappiate che in una città universitaria è altamente improbabile per una famiglia trovare un appartamento in affitto ad un prezzo abbordabile.
Vi preferiranno sempre gli studenti. Perché ce ne ficcano dentro quanti glie ne pare e non si sentono in dovere di rendere decente lo stato abitativo della casa. Perché li buttano fuori quando gli pare, e perché si suppone che abbiano alle spalle una famiglia d'origine abbastanza facoltosa da consentir loro di andare a studiare "fuori sede" come si dice.
E quindi basta: ci rinuncio, è una battaglia persa in partenza. Non immaginate quante me ne hanno solate da sotto il naso.
Io resto qui.
E poi ho anche assicurato l'auto. Capite? Ho assicurato l'auto! Questo è davvero il segno che una nuova era ha avuto inizio.
E ora, nulla è più impossibile per me. Potrei partire domani per la scalata all'Everest, e come minimo stramazzerei dopo due metri, ma almeno avrò conseguito il guinnes come unica donna ad aver tentato la scalata all'Everest al settimo mese di gravidanza. (Forse).
Invece andremo semplicemente a Roma, da mia madre, e poi Hasuna tornerà indietro, lasciandoci lì, perché non può assentarsi dal negozio, ché ha paura che vengano a fargli controlli e multe, ché già ci abbiamo in cima al frigo una discreta collezione di insoluti da saldare, tra cui svariate multe per le ragioni più disparate (mancata esposizione di cartello con orari di apertura e chiusura, cartone vuoto lasciato fuori dalla porta del negozio dopo l'orario di raccolta dei rifiuti, il titolare era venuto a lavoro in pigiama... no scherzo, questa non è proprio vera, ma quasi), e ogni volta che ne arriva un'altra, trattasi sempre di un importo con almeno tre cifre non decimali.
Basta!
Avevo detto: basta.
Ieri abbiamo ricevuto in dono una lavatrice, e d'ora in poi non ho più diritto di lamentarmi per nulla.
Cambierò, sarò una persona migliore. Lo devo in primo luogo al mio bucato, e in secondo luogo all'esistenza di tante persone che, malgrado i miei assenteismi sociali degli ultimi mes anni, malgrado i miei stati d'animo assai poco piacevoli , malgrado i fiumi di lamentele che riverso in queste pagine virtuali, ancora mi vogliono bene, e talvolta mi leggono, in silenzio, discreti, senza commentare, ma prendono mentalmente nota del fatto che in questo momento possedere una lavatrice mi solleverebbe invero da parecchi fastidi.
Beh, ho solo una cosa da dire a queste persone: anche il nostro frigorifero, a pensarci bene, necessiterebbe un pensionamento. Ce la fate per la Befana?

Yuhùùù? C'è nessuno?

martedì 11 dicembre 2012

Una settimana piena.

Evviva evviva! E udite udite.
Lo so che al mondo può anche non interessare gran che, ma oggi si celebra la riconquistata libertà di gestione dei tempi e degli spazi.
E fatemela godere finché ce n'è, che tra qualche mese piangerò di nostalgia ripensando a quando potevo permettermi tanto.
La porta di camera chiusa e io a scrivere cose futili sul mio blog. Nessuno che mi interrompe con frasi tipo: "Mamma, ma 'ccuda, io voglio vede'e Pimpaelasuapaperina!" (tono da povera bimba incompresa e frustrata nei desideri, come se non l'avesse mai visto, quel dannato video. Al punto che io stessa ho imparato a memoria le battute e gli spezzoni musicali. Grave.)
Insomma, questa cosa del posto letto al nido è fantastica perché mi permette di godere gli spazi di casa.
In genere quando metto a letto lei finisco confinata nello spazio angusto della nostra cucina sbilenca, appollaiata su una sedia, che non è comodo, a fare cose che farei volentieri sbracata su un letto, o magari su un ipotetico divano, in un ipotetico salotto. Lusso per pochi, finora soltanto il vago miraggio di una terra promessa che per qualche tempo si è lasciata intravedere, per poi allontanarsi...
Sì, sto parlando di nuovo di una casa. Della casa, di cui forse un giorno parlerò per benino a mo' di autoterapia, quando sentirò di aver del tutto metabolizzato il lutto della perdita. Sto pensando (ancora) a "quella" casa, a cui abbiamo rinunciato.
Ma insomma, l'importante è avere un tetto sopra la testa no? No?
E quello ancora non c'è crollato addosso, no.
Per ora.
Ma mi dimentico fin troppo facilmente come è duro calle lo scendere e salir per queste scale (che Mimi ha battezzato "Panzulle", non chiedetemi perché) quando è inverno e sai che in casa troverai solo il momentaneo sollievo di chi viene da fuori, prima che il freddo ti penetri nuovamente nelle ossa e tu sarai costretta ad accendere il forno per salvarti dall'ibernazione casalinga.
Un altro inverno qui non lo faccio, ripeto sempre ad ogni nuovo inverno. Ma guarda: siamo già a otto inverni, e salvo qualche bronchite saltuaria, siamo ancora vivi.
Sopravvissuti anche a questa lunga malattia di Mimi, che oggi, dicevo, certificato medico di ammissione alla mano, è rientrata, con mio grande sollievo e sua insperata impazienza, al nido "dagli amici", e per l'occasione si è voluta mettere un vestitino rosa con fiori e merletti che non sapevo nemmeno di avere (parte degli stock rimediati da mia madre ai vari mercatini dell'usato che metto da parte perchè sempre immancabilmente fuori taglia, e poi dimentico) e andava rimirandosi felice come solo una bambina di due anni sa essere e ripetendo convinta: "Mamma, guadda: sono popio una pincipetta! Sono popio la Pincipetta 'Ccopa!" Sì perchè ora il suo alter-ego principesco ha un nome: e il suo nome è Principessa Scopa... Mah! I doppi sensi non sono ammessi, prego.

E comunque era ora. Abbiamo esaurito fantasia, energia, e buona volontà.
Abbiamo giocato col didò, dipinto un quadro, fatto le collane, preparato la cena (lei ha tagliuzzato un fungo nel tempo in cui io ne ho affettata una confezione), fatto la pizza, fatto l'albero di Natale, indossato le collane di mamma, letto più volte l'intera nostra biblioteca casalinga, fatto una torta, dipinto le farfalline di pasta, fatto il pane, colorato ancora, travasato secchiate di nocciole, fatto il bagno agli animali e guardato Olivia Paperina allo sfinimento.
Nel frattempo è passata una settimana più o meno infruttuosa, tra febbri, antibiotico, conseguenti diarree, fiumi di cacca, ritorno al pannolino, piumoni da lavare, pioggia torrentizia che mi ha impedito fulminei blitz alla lavanderia, crisi di nervi legate all'assenza di lavatrice in casa, notti praticamente all'addiaccio, ricerche spasmodiche di coperte volatilizzatesi nel nulla, telefonate ad amiche ex-coinquiline per chiedere se, fosse mai, per caso non avesse preso con sé sbadatamente una nostra coperta di lana pesante non più pervenuta, risposte che, no no, io non ce l'ho, avete guardato bene nello sgabuzzino?, gite al mercato ad accattare di corsa un piumone, notti ancora tutti e tre nel lettone per evitare di disperdere il nostro prezioso calore corporeo più due felini scalda-piedi, telefonate continue ad agenzie e visite pomeridiane sotto la stessa pioggia torrentizia che "mi tieni la pupa per favore una mezz'ora c'ho da andare a vedere una casa", altre corse in farmacia a (ri)comprare l'Enterogermina. Cose così.

E' che dicembre finisce sempre troppo in fretta, e uno si fa troppe illusioni di poteri riuscire a fare troppe cose.
Ti frega, sì, anche perché ci sta sempre di mezzo almeno una settimana di malanni, guarda un po', tutti gli anni è lo stesso.
Per esempio mi sarebbe piaciuto portare Mimi alla biblioteca dei piccoli di Lucca, e per l'occasione fare un giro per la città.
Poi vorrei trovare casa, magari, che io non demordo.
Poi avrei tante cose da scrivere sul blog, che mi vengono in mente sempre mentre sono in bicicletta e le trovo cose molto degne di nota e attenzione, se non è una ripetizione usare entrambi i termini, peccato che poi mi manca il tempo e la presenza mentale per dar loro una forma compiuta e scritta e lineare, e così prendo nota e loro si accumulano.
Poi vorrei portare a stampare le foto del 2011, che ho messo sulla pennina da circa un anno, aspettando di avere i soldi (ah ah!) per portarle dal fotografo.
Poi vorrei finire l'album dei primi due anni di vita di Mimi (e guardate, questa settimana ho finalmente finito di riempire quello della nostra vacanza estiva dell'anno scorso! Wow!)
Poi volevo realizzare un (tardivissimo) calendario dell'avvento (tanto lei non è che si formalizza se lo faccio iniziare a scoppio ritardato), perché lei continua a dirmi: "Che bello il nostro albero mamma! Natale sarà felice quando viene!" intendendo, credo, Babbo Natale, e mi piacerebbe dare un'idea del tempo che occorrerà aspettare prima che "Natale" venga a farci visita. Non l'ho fatto prima perché... stupidamente pensavo non fosse in grado di apprezzare al pieno il senso dell'attesa, ma mi sbagliavo, e ora rimedierò. Lo faccio eh, promesso (ormai domani).
E a proposito di calendari, avrei un conto in sospeso con un'amica blogger che aspetta da circa un annetto... lo faccio, giuro! (sob!)
Poi programmavamo di andare una domenica all'acquario di Livorno, visto l'entusiasmo da lei dimostrato per gli acquari. Rimandato, per ora, che ci abbiamo un po' di spese in sospeso, e non è ora per i surplus.

Per esempio ci avrei ancora da pagare la retta del nido di ottobre e l'affitto di casa di dicembre, la bolletta del gas che scadeva oggi, la multa di 700 e passa euro per lo scontrino fiscale smarrito (perchè lui sostiene di averlo fatto, così ci tocca pagare pure le spese per la contestazione rigettata), la seconda rata della spazzatura che scadeva a ottobre, l'assicurazione della macchina che... va be', non è mica colpa nostra.
Sentite questa: l'amico fidato di amici che "guarda è proprio un bravo ragazzo, e poi ha bisogno di ingranare, gli va data fiducia, vi fa un prezzo buono etc etc" è andata a finire che ci ha solato 700 e passa euro (sì, ancora: sarebbe da giocarsela al lotto 'sta cifra) e mai ricevuto il tagliando dell'assicurazione. Dopo svariati mesi ci viene in mente di indagare, ma lui è ormai irreperibile. Vien fuori che ha diverse denunce per truffa, e non ultima quella da parte della compagnia assicurativa per cui lavora... va be', ma allora ditelo, cazzarola! Se non è sfiga questa... come? Dite che è anche idiozia? Magari un po'. Vatti a fidare più degli amici di amici.
E' che il beduino si rifiuta di pagare l'assicurazione più di quanto non abbia pagato l'auto... difficile obiettivo, se si considera che il catorcio ce l'han tirato dietro e a momenti ci pagavano per portarcelo via.
Ma comunque il catorcio richiede una ripassatina dal meccanico, perché al mattino con il freddo si rifiuta di partire.
Non che io prenda la macchina senza assicurazione eh! Mmmmh...
Va be', come non detto.
E poi dovremmo pure andare a Roma per le feste... Pro memoria per me: sistemare la questione "auto" prima della partenza (no! Il treno nooooooo! Vi prego!)
...
Il regalo alle maestre! Oh, cazzo! Quasi dimenticavo!
Dite che va bene anche un "pagherò"?

Femminile singolare

Lei e il boa
albero sbilenco

Mimi concentrata a metter palle
I grappoli di palle assemblati da Mimi



Mamma a me piacciono tolo i chicchi.

Si fa quel che si può...

domenica 2 dicembre 2012

Delirium di dicembre (io odio dicembre!)


Acqua. Secchiate d'acqua. Buio diurno. Cortina di grigio.
L'ideale per lasciarsi a crogiolare nella propria depressiva autocommiserazione, che è una goduria quando ti trovi in perfetta sintonia psicologia con la situazione meteorologica, così non ti senti l'unica nota stonata del contesto. A me almeno girano abbastanza quando le giornate risplendono di luce e cielo limpido, ed io sono convinta di avere delle ottime ragioni esistenziali per deprimermi, mi sento quasi depauperata di un mio sacrosanto diritto.
Infine una domenica stranamente tersa e luminosa, dopo n domeniche di clausura domestica.
Lei ha la febbre. Lei chela febbre da quando è nata l'ha avuta sì e no altre due volte (una per il vaccino, una per i canini che le spuntavano), oggi, così, di punto in bianco, febbre.
E altra notte horribilis, addormentata a fatica una pupa euforica  e inesauribile, mi sveglio con lei nel letto che era diventata improvvisamente un Dolce Forno Harbert, e mi conficcava due piedini incandescenti tra le costole.
E siccome che ultimamente sono parecchio incline alle paranoie notturne, ché mi assalgono sempre i pensieri più gai puntualmente dopo le due di notte, sono rimasta vigile e ansiosa, occhi sgranati nel buio a pensare e ripensare a quali sintomi di incipiente malattia avrei potuto individuare nel corso della giornata precedente, una lunghissima e tediosa giornata casalinga di pioggia, trascorsa tra camera e cucina (perché essenzialmente di due locali si compone la parte di nostra dimora destinata a nostro uso e godimento), a legger libri, travasare nocciole, cucinare pappe a Pinocchio, saltare su materassi, seviziare gatti innocenti (o quasi), parlare col Signor Forchetta.
E sveglio Hasuna ogni tre per due chiedendo se secondo lui non sarà il caso di andare alla guardia medica (e se fosse meningite? Che senso ha la febbre senza altri sintomi? Niente mal di gola, niente raffreddore, niente diarrea, niente di niente), e mamma voglio l'acqua, e mamma mi fa male la pancia, mamma voglio la ttega... cos'è che vuoi? La strega? E piglia la Tachipirina. E dov'è il termometro. E che cazzo 'sti termometri a batteria che non funzionano mai. Domani vai a comprarne uno normale a mercurio. Ma che non li fanno più, il mercurio è tossico, lo sai. Inquina. E invece le batterie no? Ma a che serve un termometro che misura tre volte di fila tre temperature diverse? Zorro levati dalla mia pancia che mi schiacci l'altra creatura. E MIAO MIAO MIAO. Guarda che se ti faccio uscire poi rimani fuori fino a domattina, guai a te se rompi.
Insomma così.

Se fossi superstiziosa, e forse inizio quasi a esserlo, direi che mi sta bene, per essermi gloriata a sproposito della salute coriacea di Mimi, come del resto della mia (e mo' voglio proprio vedere). Ma ora imparo a tacere. Tacere sempre, quando le cose vanno bene, e anche quando vanno non troppo male, ché si fa sempre in tempo a peggiorare.
Come quando mi son messa a dire in giro che forse compravamo casa... (cojona!)
O dicevo quanto fossi felice della mia vita (patetica cojona).
E la gente affermava di invidiarmi... (mah!) Sana invidia, la chiamavano. Le persone non stanno bene, no. Me la sono cercata, sì.

Lei ora dorme. E Hasuna... aveva detto che andava a comprare gli ingredienti per fare la pizza, e non è più pervenuto.
Ed eccomi ancora alle prese con siti di annunci immobiliari di appartamenti in affitto, e telefonate ad agenzie, e visite demoralizzanti, e topaie muffose e umide, con cucinotti infilati nei corridoi, e richieste assurde di anticipi stellari, e preventivi di spese condominiali assolutamente ingiustificabili con il pretesto del riscaldamento incluso (suvvia, e da aprile a novembre come la mettiamo?), e pensare ancora una volta all'eventualità di una resa.

- In fondo questa casa non è poi così male...
- E paghiamo poco...
- Va be', non pochissimo, se consideri che fa schifo.
- Non così schifo, dai.
- Sì, in fondo è una bella casa.
- E ha le terrazze.
- Ormai non te la danno più la casa senza fideiussione bancaria...
- E poi perché regalare i soldi alle agenzie?
- E qui non paghiamo il condominio.
- Ma spendiamo un sacco di gas, e moriamo di freddo, e la pupa si ammala. E poi non c'entriamo più.
- Mandiamo via Lia.
- Dove? In mezzo alla strada?
- Ci facciamo sistemare il riscaldamento.
- E l'autoclave.
- E cambiare il frigorifero, che fa acqua e rovina tutto il cibo.
- E comprare la lavatrice. Ci serve una lavatrice ora che nasce quest'altra...
- E sistemare le finestre.
- Non ce la posso fare senza lavatrice, a lavare montagne di tutine smerdate...
- E chiudere la terrazza.
- Non lo farà mai, Lo sai.
- Ci proviamo.
- Non lo farà mai.
- Smettiamo di pagarlo.
- Ci butta fuori. Abbiamo già mandato la raccomandata per la disdetta. Ci butta fuori.
- Che coglioni che siamo!
- Già...
- ...
- ...
- Se no ti ricordi la prima casa che abbiamo visto, quella al quarto piano senza ascensore? Non era male.
- Ma non c'erano balconi. Come facciamo coi gatti?
- E quella qui vicino 750 euro più condominio? Non era carissima...
- Ma non era arredata.
- E va be', qualcosa ce l'abbiamo. Andiamo al negozio dell'usato.
- Era piccola.
- Non tanto... 65 metri quadri mi pare...
- A questo punto restiamo qui.

Ci incartiamo.
Sempre.
Impantanati.
Drammaticamente fermi.
Mi drogo di Extreme Makeover e sbavo non tanto sulle case strafighe che gli costruiscono, ma pure su quelle che buttano giù perché secondo loro invivibili.
Ma mi stanno sulle palle le scenate isteriche che fanno quando vedono le case nuove. Questi Americani: sempre esagerati. Va be', è show.

E ora chiudo questo post sconclusionato. Insopportabilmente autocommiserativo.
E mi rimetto a leggere, che magari finisco il libro prima che Mimi si svegli, e in quei momenti lì sto bene, quando leggo, sì.

Scusate lo sfogo.