sabato 12 gennaio 2013

Se partire è un po' morire, tornare... che agonia!

Ritorno. Pare di tornare alle cose di sempre con una mente nuova, più fresca, più scattante, con una nuova energia.
Ti pare di tornare con un bagaglio di esperienze e consapevolezza, calma interiore e lucidità d'azione infinitamente più grandi di quando non sei partita, anche se sei stata via appena dieci giorni e hai ciondolato per casa di tua madre, quella stessa casa in cui hai vissuto dieci anni della tua vita da adolescente, diffondendo fazzoletti moccolosi e batteri e reggendoti la panza espansa almeno fino al raggiungimento della prima poltrona disponibile prima di sprofondarci senza soluzione di continuità per successive svariate unità di tempo.
In fondo ti sei ritemprata, hai preso le giuste distanze dai pensieri di sempre, recuperato le forze, ricevuto incoraggiamenti e incentivi: sei pronta.

Ritorno. Sistemi le ultime incombenze lasciate in sospeso, ti premuri di saldare i vari buffi lasciati in giro, di venire a capo dei grovigli burocratici messi da parte prima della partenza.
Riavvii la pupa al nido, stavolta senza indugiare, senza tentennamenti inutili su orari e riflessioni sulla stanchezza settimanale di lei: l'andazzo tenuto durante le feste sarebbe insostenibile per te, ora. Meglio adeguarci ai ritmi biologici imposti dal nido, malgrado siano così poco coincidenti con quelli nostri, ma probabilmente più salutari, e poi in fondo, che sia un problema delle maestre metterla a letto all'una e mezza, quando a me tira fuori le richieste più fantasiose all'ora della nanna e si finisce di addormentarla dopo due ore dall'inizio della routine addormentatoria non prima delle 4 di pomeriggio.

Ritorni e come sempre ritrovi l'albero da smontare, ultimo vessillo resistente al fagocitamento inesorabile del tempo che macina via festività e ricorrenze, residuo di quella fittizia opulenza festiva di cui ogni anno rinnoviamo l'ostentazione nelle nostre case, per sentirci un pochino più caldo il cuore quando ci pare di non essere proprio soddisfatti della nostra vita, come se a Natale dovessimo arrivarci sempre nello stato d'animo più propenso, più pieno, più grato e appagato che ci sia. E lui sta lì a ricordarti tutto questo, l'albero, addobbato di palline di plastica da supermercato e fili luccicanti di nylon, e lucine luminose discrete come patacche d'oro su qualche petto villoso. Subdolamente, implicitamente, sta lì a rimembranza della fine, e tu non sai cosa daresti una volta per poter tornare a casa dalle feste di Natale e non trovartelo lì, tutto sbilenco come lo avevi lasciato, da disfare, e un pochino ti chiedi anche perché in fondo l'idea di disfarlo ti metta quel po' di tristezza che ti impedisce puntualmente di por fine alle sue e alle tue sofferenze.
L'anno scorso me lo trovai ancora lì addirittura a marzo, di ritorno dalla nostra permanenza invernale in terra libica: un imperdonabile anacronismo, un intollerabile affronto al calendario, cui feci in fretta a porre rimedio. No, cioè: a marzo. Vi rendete conto?

Quest'anno però mi sono alleata con Mimi, ho chiesto la sua collaborazione e il suo conforto, anche perchè temevo che, se per caso disgraziatamente tornando un dì da scuola bel bella non l'avesse più trovato, me l'avrebbe rinfacciato almeno fino a Natale prossimo.
E' fatta così, che non tollera che le cose cambino senza la sua supervisione.
"Mamma, pecché l'hai levato? Mamma, rimettilo!"
Con voce rotta dal magone.
"Ma cosa, Mimi, questo?"
Riferivasi al vetusto e polveroso tris di faretti che pendeva ormai da un paio d'anni inerte sopra il nostro letto, inservibile perchè privo di cavo elettrico, ma anche prima non è che risolvesse il problema dell'illuminazione da notte, visto che emetteva una fioca luce male indirizzata, utile solo a creare linee d'ombra che rendevano impossibile la lettura o qualsiasi altra attività notturna (intendo tipo sudoku, niente di hard eh!).
"Mimi ma non funziona, che lo teniamo a fare?"
"Mamma, rimettilo, peffavo'e rimettilo a posto. Pove'ino"
"Dai Mimi, ne compriamo uno più bello..."
E per la verità ci sto pensando davvero, a mettermi a sistemare casa.
Era il mio proposito per dopo il ritorno, anche se per ora non sono andata oltre i progetti e le fantasticherie. A voler fare le cose in grande potrei voler cambiare persino i sanitari del bagno, ma al concreto dei fatti, dovremo individuare precise strategie d'azione, che per ora indirizzerò sullo snellimento della mole di oggettistica domestica tramite l'eliminazione progressiva e graduale di ogni ingombro inutile.
Quindi via l'abete.
Ho coinvolto lei, dicevo, e la cosa è stata indolore. La prima volta che le ho proposto di disfare l'albero mi ha risposto di no, che lo voleva tenere ancora, il suo bell'alberello, così Natale lo vedeva.
"Mimi, ma Natale è passato. Babbo Natale torna tra un anno."
Dopo qualche giorno credo si sia stufata anche lei, e ha acconsentito allo smantellamento.
E così, dopo più di una settimana, le procedure di rimpatrio possono dirsi ultimate.
La mente arriva semrpe con uno scarto rispetto al corpo, mi dice mia madre. Ed è vero.
Non starei qui a scrivere un post sul ritorno. Che noia!

Ma piove di santa ragione, Mimi dorme che manco i miao reiterati di Panzumen ne hanno avuto ragione, fuori è buio e gennaio è un mese interminabile. Io penso a quanto poco tempo mi rimanga per potermi ancora permettere una vita parzialmente votata al cazzeggio e alla stesura illogica delle mie memorie che non interessano a nessuno, prima che la nuova vita tanto attesa e temuta venga fuori dalle mie budella a riempirmi i giorni di sé, e un pochino mi crogiolo in questo ultimo limbo di vita dimessa, di equilibri raggiunti, di concessioni strappate alla routine.
Come una visita a una mostra con un'amica, come la promessa di portare lei "Al mudeo di Maianna" (prima o poi ce la porto eh, promesso!), come la lettura simultanea alternata e inconcludente di svariati libri iniziati in contemporanea, come una sera a cena da amici, gran lusso per noi, anche se si dà il caso che gli amici in questione abitino appena due piani sotto di noi, e che la serata si sia conclusa (per noi) appena alle 11 di sera, orario più che sufficiente a stremare una pupa che ha trascorso un'ora buona a ballare selvaggiamente in circolo aizzata dalla musica di chitarre e tamburelli. Una pupa al top del top, che era una meraviglia e metteva allegria solo a guardarla.
Una pupa con cui ora è diventato piacevole persino intraprendere un viaggio in treno di quattro ore.
Una pupa che si aggira leziosa in rosso per la stazione ferroviaria stringendo il suo pipistrello di peluche, ammirando castelli fatati nei poster pubblicitari affissi alle vetrine, che prende il suo posto in carrozza ed esclama ad ogni fermata, a partire da Roma Trastevere: "Mamma, tiamo a'ivati! Finalmente!" suscitando l'ilarità dell'intero vagone.
Una pupa che mi abbraccia la pancia e mi chiede se mi fa male, mi accarezza e mi consola, mi dice che lei mi protegge e intraprende lunghe conversazioni con l'inquilina di dentro, spiegandole che lei è la sua sorellina grande, che non deve avere paura, che lei la sta aspettando, e quando nasci... Noemma?

Anche i calendari, come l'albero: che rabbia!




Mamma, tono un folletto! 
Non sono brava ad autofotografarmi la pancia: usate un po' d'immaginazione...

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