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venerdì 27 febbraio 2015

Raccontare Modì: un bambino di nome Dedo.

Al Palazzo Blu di Pisa si è conclusa da qualche settimana la mostra Amedeo Modigliani et ses amis, di cui vi ho parlato qui.
Ho rimuginato a lungo sull'opportunità o meno di tornare alla mostra in compagnia di Mimi, poi gli impegni familiari ed extrafamiliari, i malanni e le incompatibilità di orari, oltre alla concomitante presenza di Rania e la mia indomita irresolutezza hanno fatto il resto, e più niente ne è stato.
Ah, madre pigra e inconcludente! Se tua figlia languirà nelle lande dell'ignoranza artistica ne avrai la tua buona fetta di responsabilità.
Il fatto è che mi sono a lungo interrogata, come dicevo più su, sull'opportunità o meno di portare la mia figlia maggiore, di età 4 anni e mezzo, alla mostra di Modigliani a Palazzo blu perché a mio parere e a mio personale sentire quelle opere erano particolarmente forti e impegnative da un punto di vista emotivo e anche concettuale.
Io ne sono uscita piuttosto scossa, e immancabilmente, come spesso facciamo, trasferendo su Mimi le mie emozioni, mi sono chiesta se e quanto lei avrebbe colto di quel dramma, di quella tormentosa ricerca e di quella forza scardinante, deformante ed autodistruttiva che ho avuto come l'impressione emanasse dalle opere, una sorta di violenta affermazione estetica.

Sì però, però... Forse se avessi saputo presentarglielo in maniera comprensibile, in maniera commestibile e digeribile, eliminando il dramma e lasciando il bello.
Sarei stata capace di farlo?
Fu così che un bel giorno mi sono recata alla libreria Blubook, una splendida e fornitissima libreria indipendente nata come book shop del Palazzo Blu e poi evolutasi in qualcosa di autonomo e splendido, e ho preso questo:





Titolo: Amedeo Modigliani. C'era una volta Dedo... There once was a boy called Dedo...

Autore: Daniela Sbrana

Editore: LibriVolanti, edizioni ISTOS

Età: dai 4-5 anni

Voto: 9






martedì 11 novembre 2014

Modì et moi.


Al riparo.
Sotto il rumore di torrenti di pioggia scrosciante.
E' sempre rassicurante e piacevole sentire fuori la furia degli elementi quando sai di avere un tetto sopra la testa. Un tetto che per ora non dà segni di cedimento.
In stato di grazia ancora per la mattinata trascorsa: sono stata da Modì, e sono ancora piuttosto scossa.

La mostra, per chi volesse, è al solito Palazzo Blu (il solito perché già ne ho parlato qui, qui e qui. Non sono una grande frequentatrice di eventi culturali, ma ecco, quando mi schiaffano in faccia certi autori a due passi da casa, cerco di alzare un po' il culo dalla mia quotidianità e di andarmeli a vedere) almeno fino al 15 febbraio. Affrettatevi gente, che non sembra ma poi arriva in un attimo.

martedì 21 gennaio 2014

Tre mondi.


M. C. Escher, Tre mondi, 1955

Specchio d'acqua, superficie, riflesso.
Ma l'acqua è anche volume, contenitore. L'acqua è anche fluidità, elemento mobile per eccellenza, fluttuante.
Fluttuano al suo interno creature guizzanti. Fluttuano le foglie morte sulla sua superficie. Fluttuano le immagini riflesse, restituendoci visioni ora nitide ora incerte, dissolvenze concentriche, tremolanti, ad ogni guizzo affiorante dalle profondità, ad ogni nuova foglia che atterra, volteggiando, sulla sua superficie.

martedì 14 gennaio 2014

M'Artedì. Alberto Savinio.


Alberto Savinio, Monumento marino ai miei genitori, 1950.

La settimana scorsa ho accolto il suggerimento di Polar Bear, e così eccomi qua con Alberto Savinio.
Apprezzo la scelta perché tra tutti gli artisti metafisici trovo sia il più ironico e dissacrante.

Ho trovato questo dipinto tardo: un ritratto dei suoi genitori, un ritratto che, fedele agli intenti della corrente metafisica, ha valore più simbolico che non affettivo o commemorativo.
Mi colpisce perché qui mancano gli elementi giocosi presenti in quasi tutte le opere dell'artista, che tende sempre a smorzare l'austerità e a buttare sul ridicolo molti temi classici della tradizione.
Invece qui mi sembra di avvertire come una tensione sotterranea, di coinvolgimento emotivo e di sacro, come tutto ciò che pertiene alla nostra infanzia, ancestrale, intoccabile, percorso da sottili conflitti inespressi.
Eppure, anche, la caricatura, il bozzetto, il grottesco.

martedì 7 gennaio 2014

M'Artedì? Quasi dimenticavo!


Ray Caesar, Tea with me and he, 2013.

Allora, dov'eravamo rimasti?
Ah, già.
Ho saltato un appuntamento. Perdonatemi, del resto dubito che molti di voi che ancora mi leggete se ne saranno accorti. Ho tradito la rubrica prima ancora di cominciare. Il fatto è che ho avuto problemi a rintracciare le opere dell'artista segnalatomi da The Polite Polar Bear.
Che non sono ferratissima sugli artisti contemporanei l'avrete intuito.
Ecco il motivo che mi spinge oggi a riprendere in mano questa rubrica con un artista attualissimo, conosciuto dietro segnalazione di una mia cugina erudita, che sarebbe questo Ray Caesar, autore dell'opera di cui sopra.

martedì 24 dicembre 2013

M' Artedì. Seconda puntata.

Marc Rothko, Subway (1930 ca.)

Benvenuti alla seconda puntata della fantastica rubrica del martedì, M' Artedì, appunto.
Questa settimana ringrazio che ci (ah ah ah!) ha proposto Marc Rothko, artista finora da me praticamente ignorato.

martedì 17 dicembre 2013

M' Artedì. (Nuova rubrica!)

Paul Signac, Man reading (1894).
L'idea è nata da un giochino che circola su FaceBook. Niente di troppo intellettuale insomma, tranquilli.
Il giochino recita così:
Questo è un gioco per mantenere viva l'arte. Clicca "mi piace" e io ti assegnerò un artista. Non importa se non conosci le sue opere, cerca su internet, scegli quella che ti piace di più e pubblicala su FB.
Il giochino mi ha preso la mano ed ho come al solito scassato le palle a molti miei contatti a oltranza. Perchè sono una che non conosce i limiti, né il famoso detto del gioco che è bello quando dura poco. Per me se è bello tanto vale portarlo allo sfinimento.

mercoledì 30 gennaio 2013

Mimi e il Signor Kandinsky: resoconto di un incontro.


Me lo chiedeva già da un po', da quando mi aveva sorpresa ad armeggiare su internet svegliandosi di soprassalto un pomeriggio dal suo sonnellino diurno, e io mi affrettavo ad occultare il pc prima che partisse la raffica di richieste video-musicali (il tormentone del momento: "Mamma, peffavo'e, io voglio vede'e Giumbolo! Mamma, mi metti Giumbolo che ttò moendo di caldo?" il nesso causa-effetto ancora mi sfugge).

- Mamma, chi è quel tigno'e?
- E' un pittore; si chiama Signor Kandinsky... Ti va di vedere i suoi dipinti?
- Tì, mamma: mi va! (Tono da : "Certo che mi va! che domande!")


Le faccio scorrere alcune immagini e poi le chiedo:
- Ti va se un giorno ti porto alla mostra del Signor Kandinsky?
- Tì, mamma: ci voglio andacci alla mottra del Tignò Kandisky.

Poi la pioggia.
- Mamma, andiamo alla mottra del Tignò Kandisky?
- Oggi piove, Mimi. Oggi è tardi, Mimi. Oggi devo fare la spesa, Mimi. Oggi c'è scuola, Mimi.
Madre sciagurata.

Poi: l'ennesima domenica da sola, il beduino impegnato con i suoi impellenti traffici beduini (leciti), la tristezza montante, l'esasperazione della segregazione a due prolungata, che mette a dura prova le convivenze più testate, le intrusioni sempre meno tollerate dell'altra inquilina... e allora?
Fuga con Mimi: basta! Oggi si va. Pioggia o no, noi andremo a "vede'e la mostra del tignò Kandiski".
Vero è che il ritorno è stato piuttosto traumatico:  correndo per evitare la pioggia incipiente trascinando il passeggino con le ruote bloccate (a stare nella rimessina del sottoscala dev'essersi arrugginito il pedale di blocco), e lei che scappava in mezzo alla strada urlando: "Mamma, integuimi! Guadda come tono veloce!", e "Mimi fermati quando finisce il marciapiede", e "Signora, ma la bambina è sua?", e "Grrrr" tra i denti, e la focaccia che mi si stritola tra il manubrio e la mano e mi casca tutta la cecina (sui pantaloni, ovvio), e allora martellate sulle ruote del passeggino finché non riesco a sbloccarle, e allora poi mi dico "Lo vedi che non facevo male a restarmene tranquilla a casa?"

A posteriori lo posso dire in tutta onestà: sono felice di aver osato, con tanto di panza da ottavo mese gravida e acciacchi e stanchezza e condizioni meteo avverse, e padre latitante.
Sono felice per aver visto l'entusiasmo nei suoi occhi, nei suoi gesti, nelle sue danze davanti ai dipinti, nel suo continuo domandarmi di ricominciare ancora una volta la storia.
E sono felice di aver condiviso con lei questa esperienza, di averle aperto le porte di un mondo ancora in parte ignoto, di aver condiviso insieme una passione, del fatto che lei sia stata in grado di raccogliere l'input, per non parlare ancora di eredità (che mi fa sentir vecchia e con un piede nella fossa).

Ma ora vi racconto della mostra.
Dunque, la mostra in questione veniva ospitata almeno fino al 22 gennaio scorso (ammesso che non ne abbiano prolungato l'allestimento), nei locali dello storico Palazzo Blu, in concomitanza della mostra per adulti, di cui già vi parlai.
Lo scopo era quello di creare un percorso introduttivo all'opera dell'artista per i bambini in visita alla mostra principale, da affiancare con i percorsi e i laboratori didattici previsti per le scolaresche (ed eventualmente per gruppi di privati su prenotazione, ma dai 3 anni in su, come mi hanno confermato alla reception).
In realtà per una bambina come Mimi va benissimo anche la sola visita alla "mostra dei piccoli" che è questa:

Organizzata come una sorta di narrazione per tappe del percorso artistico di Kandinsky e della sua idea di arte, la sua lettura procede proprio come si sfogliano le pagine di un libro, ogni quadro accompagnato da un due righe di racconto, che io le leggevo ad alta voce, perché nella grande sala dov'erano esposte le 21 tavole della mostra, c'eravamo solo noi.
Le opere esposte, di medio-grande formato, sono le tavole originali delle illustrazioni del libro omonimo, realizzate a tecnica mista (collage di vari materiali diversamente assemblati, acquarello, stampa) dal poliedrico illustratore per bambini Daan Remmerts De Vries.

Mimi era raggiante, la sua gioia e il suo entusiasmo rinfrancanti e contagiosi. Andava e veniva dall'uno all'altro dipinto, tornava verso di me che ero seduta (direi stravaccata, esausta) sul divanetto al centro della sala, e accompagnavo con le didascalie vocali il suo peregrinare per tappe, come una gioiosa via dell'arte.
L'arrivo di alcuni visitatori adulti non mi ha indotto a metterle un freno, perché quella era la sua mostra, e loro erano gli intrusi. Del resto le sue escandescenze non erano gratuite, ma dettate dall'emozione della partecipazione a quell'evento: il dispiegarsi dell'arte davanti ai suoi occhi, quella festa di colori, la storia di quel signore tanto originale, che tanto sembrava ancora un poco bambino, nel suo modo un poco obliquo di guardare al mondo e alle cose, nella sua maniera incurante di rappresentare poi quel mondo e quelle cose sulle sue tele.
La storia era abbastanza semplice perché anche una bambina della sua età potesse comprenderla, anche se forse in alcuni passaggi un pochino oscura, come possono apparire oscuri per un bambino i dilemmi esistenziali di noi adulti, i problemi legati all'incomprensione del mondo, all'insoddisfazione personale, alla necessità drammatica di ancorarsi ad una propria ragione d'esistere, ad una ricerca che a tratti si perde e ti fa perdere di vista gli intenti iniziali.
Il cavallino azzurro che a un certo punto salta fuori da una delle tele dipinte dal signor K. rappresenta l'estro artistico, che accompagna lo stesso signor K. in tutti i momenti della sua vita, dai più prosastici ed ordinari, a quelli più creativi, ed a questa presenza, invisibile a tutti se non  a lui ("Mamma, anche io lo vedo, il cavallino del tignò Kandisky") egli deve la straordinarietà della sua arte, anche se non sempre questo gli rende la vita facile, perché le persone intorno non sempre lo capiscono...

Stavo spiegando a Mimi cosa avesse di insolito per i suoi contemporanei l'arte del signor K., che dipingeva le cose non come apparivano, ma come lui le sentiva, a seconda degli stati d'animo che queste suscitavano in lui, e stavo spendendo un sacco di parole per cercare di centrare meglio il succo della questione, quando mi sono accorta che in realtà a Mimi doveva sembrare assolutamente naturale il modo in cui il signor K. dipingeva, visto che anche lei disegna così.
E mi sono tornati in mente alcuni dei suoi (di Mimi) più celebri lavori: "La balena con le ali", "Il bambino blu che vola nel cielo blu", "Il bimbo verde che guarda gli aerei", "Una famiglia di mostri buoni che si nascondono nel buio". Certo, a vederli senza conoscere il soggetto, fatichereste a individuare che si tratta di tematiche così complesse e articolate, anzi: fatichereste a trovarvi un qualche motivo figurativo a caso.
Ma che importa?
Se a lei in quel preciso momento del suo processo creativo tracciare quelle linee curve e dritte suggeriva in sequenza quella e non altre serie di associazioni ed immagini che rispondevano a quel preciso concetto?
Certo, stavo sprecando il mio tempo e le mie energie a spiegare a Mimi che il signor K. dipingeva un prato viola, perché a lui andava di farlo viola. Per lei non poteva essere più naturale, e infatti non ha fatto una piega: nessuna domanda di quel genere lì.
Quando le ho chiesto: "Ti piacciono i dipinti che faceva il signor K.?", mi ha risposto: "Tì, tono tutti colo'ati!"

Abbiamo fatto un salto al book shop di Palazzo Blu e abbiamo comprato questo, a ricordo della nostra mattinata artistica:


Come spiegare l'arte contemporanea ai bambini? Ma i bambini non hanno bisogno di farsela spiegare!

Se lo prendete on line sul sito della casa editrice, lo trovate a un buon prezzo!
E' fatto bene, ma preferivo le didascalie della mostra, più discorsive, più esplicative. In ogni caso bellissime le tavole, vale la pena, solo per quelle.

mercoledì 16 gennaio 2013

Benritrovato signor Kandinsky.

Ci eravamo incontrati una prima volta su altri suoli, in terra iberica, e svariati anni ed ere biografiche fa. Ere biografiche intese come della sottoscritta, ché il signor Kandinsky all'epoca l'era già bello che defunto.
Rimasi fulminata dalla rivelazione, allora.
Ammetto che malgrado il mio stato di studente in Scienze dei Beni Culturali impegnata nel popolare progetto-studio Erasmus, gli anni di preparazione liceale in Storia dell'arte e i numerosi esami universitari già accumulati alle mie spalle, il fascino dell'astrattismo continuava a sfuggirmi, o forse semplicemente a non toccarmi minimamente. Ero inchiodata all'iconicità visiva.
Del resto è una cosa abbastanza comune, anche tra i laureandi e i laureati in Storia dell'arte che in seguito ebbi modo di conoscere.
Qui in Italia l'arte contemporanea non ce la insegnano come si dovrebbe.

Magari, oltre alle teorie astruse che trovi su alcuni manuali e sui saggi universitari su questo o quell'artista, corrente o avanguardia che ci condannano a digerire, sarebbe il caso che ci insegnassero a capirla, penetrarla, capirne gli intenti, le movenze, gli obiettivi profondi, calarci nello spirito di chi le diede vita e nel suo strenuo impegno nella ricerca, la tensione verso l'espressione e l'inesprimibile, e l'arte che fa da ponte tra le due cose. Sempre che sia una cosa che si possa insegnare a fare.
Ma no: si finisce per inaridire tutto nel "concetto", nella banale affermazione che "l'arte contemporanea è più concettuale che operativa". Mah. Che vorrà dire.

Ma torniamo a noi: a me e al signor Kandinsky, che all'epoca conoscevo bene o male solo attraverso i volumi di studio e le riproduzioni stampate delle sua opere formato libro di testo.
Avevo anche imparato cosa volesse dire "astrattismo": sì, va be', bla bla bla, liberare la forma, sganciarsi dalla figuratività, arte emozionale.
Ma ecco cosa accade, poi: ti ritrovi i un luogo, una galleria, all'interno di un "percorso", ti ritrovi a ripercorrere letteralmente i passi di quell'uomo, di quell'artista, alla ricerca della "sua" forma d'arte, in culo a tutte le convenzioni, alla spocchia dei critici sapientoni (immaginiamoci un Vittorio Sgarbi dei tempi) e degli abituali frequentatori dei saloni dell'arte europea; ti si parano davanti i dipinti, nella risucchiante vitalità delle loro proporzioni reali, della matericità dei loro colori sulla tela, ingoiata dagli spazi e delle dimensioni create da quelle linee intersecantesi, da quelle macchie di buio, da quelle esplosioni di luce, come zone di esistenza reale, e allora capisci che tutto quello che avevi messo da parte fino a quel momento nella tua personale scatola del sapere, non vale gran che, di fronte all'evidenza dell'esperienza visiva, che l'arte è lì, e non sui libri.
Così conobbi il signor Kandinsky, poiché durante la mia permanenza in Spagna ebbi modo di visitare un paio di mostre dei suoi dipinti, davvero ricche e ben allestite, e l'entusiasmo della mia gioventù da viaggiatrice in terra straniera corredò il tutto, di quell'incontro rimasero emozionanti ricordi, molto nitidi, oltre a un paio di poster e diverse stampe acquistati al book-store delle mostre.

Ci siamo rivisti ora, che lui è venuto a trovarmi nella mia città di vita, portando nella mia realtà un campione di quella che fu la sua, di vita, o almeno della parte della sua vita che rivolse al mondo, e al tempo dopo di lui, la sua arte. E io. Che non sono più la smaniosa studente fuori sede proiettata verso il proprio futuro, ma la mamma panzona, tutta concentrata sul proprio presente, che ogni tanto si adagia in qualche reminiscenza di passato prossimo.
Potevo perdermelo?
Beh, sarei anche stata capace, vista la mia rapidità di azione (la mostra rimarrà aperta ancora fino ai primi giorni di febbraio), se solo non avessi ricevuto in dono per il mio compleanno (oramai trascorso da diversi mesi), due biglietti per la mostra di Palazzo Blu:

Wassily Kandinsky. Dalla Russia all'Europa.

E' sempre lì che allestiscono annualmente, da qualche anno, percorsi espositivi sui principali protagonisti dell'arte del '900.
Dovevo riscattarmi, ché l'anno scorso il mio viaggio in Libia mi costò la perdita di Picasso, e la mia ultima velleità di mondanità culturale risaliva a quella mostra di Mirò a cui mi recai con una Mimi di pochi mesi appena, come raccontai qui.

E così si va, io e la Master, come sempre.
La pupa no che stavolta non me la sono portata, un po' per timore che non si tramutasse in strazio per entrambe, e un po' per così detto sano egoismo, ché quello volevo fosse a tutti gli effetti un momento "mio".


Che dire? E' stato un po' come ritrovare una vecchia conoscenza, in un certo senso. Ed ebbi l'impressione che il pellegrinare dell'artista, dalla capitale russa alle steppe siberiane, alle accademie di Monaco e ai salons di Parigi, non si sia arrestato con la sua morte, ma prosegua, inarrestabile, moltiplicandosi, e spandendo suggestioni ancora per noi indefinibili tra i suoi visitatori, comparse occasionali o vecchi affezionati frequentatori...

E lui comunque ha continuato a stupirmi.
Sì perché io questo aspetto fiabesco, folklorico e onirico assieme della sua produzione non me lo ricordavo affatto, ed è stato un po' come ricollocare tutti i tasselli al loro posto, ché uno si chiede a volte: ma questo qui com'è che è uscito a farsene dipinti astratti? Così, dal nulla, tanto per rompere con la tradizione della sua epoca?

E invece manco per sogno: la tradizione è nella sua arte, e la sua arte si colloca volutamente nel solco della tradizione della sua terra, rievoca le sue leggende, scava nella sua memoria popolare, recupera i suoi motivi iconici, e li trasporta in un presente dell'arte che ha cambiato destinatari e movente, che smania per rinnovarsi nelle sue forme e nei suoi mezzi di espressione, ma non può, non vuole sganciarsi dalle sue radici.

Mi sono innamorata di queste pitture su vetro che hanno l'autenticità e la suggestione di un racconto orale, udito per bocca di una vecchia contadina seduta davanti al samovar della sua umile izba, che tanto affascinò il pittore quando vi entrò, la prima volta.
Amo la grazia sospesa dell'Amazzone sui monti, l'atmosfera magica della Nuvola dorata, di quel paese arroccato che sembra voler scivolare giù dal pendio ripido della montagna, azzurra, stagliata nella luce, contro un cielo livido.


E poi mi son chiesta da dove venisse la forza di quella Macchia nera, che sembra attirare verso di sé lo sguardo di chi osserva, e ingoiare tutto l'allegro caos di colori e visioni circostanti nel buio di un sonno privo di luce. O è forse il contrario? Non è forse la realtà tangibile che l'artista aveva intenzione di racchiudere in quella voragine pulsante al centro del quadro, contro l'infinito immaginifico potenziale della mente umana?


E sempre più mi convinco che solo osservando, guardando, si può davvero "capire" quale sia l'intento, quale il messaggio dell'arte.
Solo così riesco a comprendere lo sforzo dell'artista per tradurre nel linguaggio pittorico le sensazioni che un brano musicale riesce a veicolare e a far erompere nell'animo umano senza l'ausilio di alcun contenuto narrativo. Tonalità cromatiche come quelle acustiche, pause di vuoto come silenzi, come in questa Composizione in bianco.
Come quando vi esaltate per una canzone di cui non capite le parole (magari in inglese, toh!) e quando finalmente riuscite a procurarvi il testo e a tradurlo, rimanete un po' delusi, e un tantino contrariati per la sua pochezza e per l'impoverimento delle suggestioni che quelle note prive di senso riuscivano a suscitare in voi prima.


Così il signor Kandinsky poneva al primo posto della sua personale scala di importanza di un'opera l'improvvisazione, che più dell'impressione (pensiamo ad un dipinto impressionista), e più ancora della composizione (pensiamo a un Raffaello) riesce a veicolare verso il destinatario il messaggio dell'autore, le suggestioni che egli aspira ad esprimere, al di là di qualsiasi indicazione soggettuale.

Ecco perché questo dipinto si chiama semplicemente Due ovali, ma a me suggerisce un senso di cosmico, di completezza, di inizio e di conclusione ancestrali, di unità tra gli elementi, il mondo sensibile, la realtà intangibile, le pulsioni sotterranee: tutto vortica insieme nell'azzurrità di un universo instabile e poliedrico, informe e poliforme come lo sono le suggestioni, i pensieri, i sogni, tanto lontano da quel mondo geometrico e analitico, scomponibile in visuali contrapposte dell'astrattismo cubista...

Ecco come vorrei spiegare questa arte a Mimi, senza pretendere di salire in cattedra, che non mi riesce perché so di avere immense lacune in merito, perché so di lasciarmi andare a sproloqui emozionali, più che basati sullo studio approfondito delle teorie pittoriche.
In fondo era ciò che faceva dire allora ai critici del movimento Der Blaue Reiter che questi artisti "deliravano con il pennello" più di quanto non facessero già nei loro scritti teorici.

E' che l'arte può servire anche a far delirare, non solo a far pensare.

Mi chiedo perché questa cosa non sia stata spiegata ai due gruppi di bimbetti di, forse 5-6 anni che abbiamo incrociato durante la nostra visita.
Sono rimasta molto colpita dall'aver trovato alla mostra gruppi di scolaresche così in erba, e siccome ero anche molto curiosa di vedere come le insegnanti presentassero loro l'opera del signor Kandinsky, mi sono fatta i fatti loro.
Ecco cosa ne ho tratto: le maestre continuamente intimavano ai bambini il silenzio, ché se no disturbavano gli altri visitatori. Manco si trattasse di questi appassionati intellettuali d'arte (gli altri visitatori intendo): per lo più se ne stavano tutti sbracati chi qua chi là sui divanetti, intenti ad ascoltare nei loro citofoni-audioguide.
Io per la verità sono rimasta assai più infastidita dalle ripetute ramanzine rancide delle maestre che dal chiacchiericcio eccitato dei bimbi, e così ho buttato lì un "Fanno più casino le maestre dei bambini", rivolto alla mia amica, che però mirava ad essere sentito dalla diretta interessata, che aveva appena sgridato la classe con una frase tipo: "Ma ché, non vi portano in giro i vostri genitori? Pare che non sapete come ci si comporta in pubblico. Qui non siete mica a casa vostra!"

E' vero: io non so cosa significhi tenere a bada una scolaresca di una ventina di bimbi così piccoli senza incorrere nelle lamentele dei presenti, ma sono ben memore di mortificazioni verbali analoghe ricevute a mia volta nel corso delle gite scolastiche della mia infanzia; a ben vedere queste ramanzine hanno più lo scopo di mostrare ad eventuali presenti come le accompagnatrici si profondano per il rispetto della disciplina dei loro assistiti, che di indirizzare davvero i piccoli visitatori all'attenzione e all'osservazione.
Ma allora, mi chiedo: perché non riservare alcune mattinate della mostra esclusivamente alle visite scolastiche? Potrebbe essere una parziale soluzione del dilemma.

Che poi non dev'essere semplice per un bambino così piccolo visitare una mostra come quella, capire il perché di quei dipinti senza senso apparente.
Ma se decidi di portarli, se lo fai, devi sforzarti di più.
Non puoi limitarti a dire, di fronte a ogni nuovo dipinto: "Allora, bambini, qui cosa ci vedete?"
Primo: se all'inizio può essere un buon approccio all'assenza di appigli figurativi, alla lunga il gioco diventa monotono e ripetitivo, e stanca (persino me, figuriamoci loro).
Secondo: non è affatto questo il senso di quei dipinti, cazzarola!
Vuoi spiegar loro che un quadro può anche voler rappresentare solo emozioni, sogni, sensazioni, e non per forza oggetti?
Perché credi che non possano capirlo?

Non è che io ce l'abbia con le maestre come categoria, per partito preso, ma mi incazzo quando mancano di rispetto ai bambini, quando li umiliano in pubblico.
Io credo che i bambini abbiano possibilità di accesso all'arte assai più facilmente di noi: sono più intuitivi, più liberi da preconcetti e nozioni acquisite. Basterebbe saper loro spiegare non ciò che hanno davanti, ma in che modo, con che spirito ciò che hanno davanti va guardato.
Ecco: ci tenevo a dirlo.

Nelle sedi del Palazzo Blu è ospitata in concomitanza della mostra a pagamento anche un'altra mostra, indirizzata ai più piccoli, appunto: Il signor Kandinsky era un pittore.

Meditavo di portarci Mimi... Chissà.


lunedì 28 novembre 2011

Aspettando Picasso... Pi-nocchio!!

Sul chiudersi di un novembre che ha elargito luce dorata a volontà e giornate terse, una mattinata che si apriva uggiosa mi ha spinto a cercare il lato luminoso che spesso sfugge, il versante soleggiato, una specie di meridione dello spirito. Che non è sempre facile, ricordarsi di cercare la luce quando la tua esistenza di appare, anche solo per un attimo ingannevole, tinta di grigio. Routine, stasi esistenziale, mancanza di stimoli, niente energie per reagire, le giornate che si susseguono e tu macini ore davanti a uno schermo, aspettando che lei si svegli dal riposino pomeridiano, mentre le occasioni di poter fare mille e mille cose che ti eri proposta sfumano col passare dei minuti.
Come l'idea della mostra di Picasso. Sì sì, ci andiamo, che fretta c'è? Abbiamo tempo fino a febbraio, tanto.

Avevamo pure i biglietti per l'inaugurazione, guarda caso, era il giorno del mio compleanno. Ho dovuto battere in ritirata di fronte alle giuste proteste di una pupa costretta ad attendere i tempi iperdilatati degli ospiti d'onore, delle giacche e cravatte, delle foto al sindaco, delle illustri personalità, dei discorsi degli ideatori, degli omaggi ai finanziatori, e via dicendo. Poi più nulla.
Nel frattempo ci regaliamo un piacevole intermezzo.
Raccattata la mia amica Bidone, così detta non  certo perché sia un cesso, anche conosciuta al mondo del web come la ragazza degli scogli, e non certo perché sia una cozza, prendiamo al volo e acchiappandola per la coda, quest'altra mostra qui:


Che ci sgattaiola sotto il naso, passando e ripassando sul Lungarno, ogni giorno, con la pupa che dal seggiolino mi addita il burattino che fa capolino dai manifesti esposti in facciata.

Un Pinocchio subconscio, inquietante come le sue metafore, di grilli e mantidi che copulano, di viluppi di spire serpentine, divoratore di se stesso, imprigionato nella materia, recisa, di un ciocco di legno, in cammino per la crescita, ma intrappolato dal mondo fittizio di bugie, che si costruisce intorno.
Brandelli di fiaba abitano ora  ruderi di pubbliche affissioni, il rovescio della favola: incubi e visioni del Pinocchio-bambino che non vuole crescere.





Un burattino di legno che ci saluta, sorridente, al termine del percorso, abbandonato su una poltroncina bassa: quello che rimane è solo il suo involucro esterno; dove sarà, ora, il bambino-Pinocchio?
Ma io sbircio da una finestra sul piccolo cortile interno del palazzo, sbircio e trovo ancora un burattino, aggrappato alla lunga barba ispida di un accigliato Mangiafuoco. Quella sezione della mostra non è accessibile, come mai? C'è forse un burattino-Pinocchio che è riuscito a sfuggire alla necessità di crescere come un bambino vero? Ce l'hanno nascosto, ma io l'ho scorto, qui, dalla finestra.
Che dici, si potranno fare le foto all'interno della mostra? Boh!

Prendiamo atto del tempo e delle occasioni perse, sfogliando i cataloghi e le stampe del bookshop.




E come bambine, ci perdiamo nei mondi dischiusi dall'arte e dalla fiaba.
Creare un'occasione di condivisione, un'esperienza da vivere con un'amica, un dono offerto dalla città, che basterebbe interrogare ogni tanto perché ci elargisca ottime risposte.
Una mail da mia sorella, infine:
Tornare bambini alla fase senso motoria dove il bimbo, come tu ben sai, scopre gli oggetti non per la loro vera utilità (il cucchiaio per un bambino potrebbe essere interessante perché utilizzato per divertire, non perché ci aiuta a mangiare, il sasso raccolto sulla spiaggia è buono perché ha un buon sapore salmastro, è bello perché può essere lanciato ed ha un bel rumore, è utile se si vuole vedere l'effetto che fa quando cade nell'acqua o quando lo si fa scivolare su di essa). Ma come poter tornare bimbi facendosi domande che possono risultar banali, ma che possono sguinzagliare la fantasia anche di chi reputa non  essere fantasioso? La storia del sasso che era triste perché sapeva di sale e avrebbe preferito saper di acqua dolce e allora..."
Ed è così che oggi mi illumino.
Grazie a Stima per questa sua bella rubrica.

domenica 26 giugno 2011

Un dipinto per me, per voi.

Ora sono in fissa con questa cosa di "share one day": l'iniziativa è del blog "Mens sana"; Suster a casa di nonna dopo un po' non ha più molto da fare, e i pomeriggi incandescenti diffidano chiunque dal mettere anche solo la punta dell'alluce fuori casa. La pupa dal canto suo è irascibile e nervosa, sarà il caldo, sarà lo scombussolìo di questi giorni, il lettino in terra, la reazione al vaccino ancora non smaltita, chissà chissà.
Qui nella capitale si suda e non si trasuda, si affoga nel proprio stesso sudore, e allora, ammazziamoci di blog, finché c'è tempo, ora che tanti di voi partono per le vacanze e persino la rete si fa un po' più deserta e silenziosa.

Ci ho pensato a lungo, senza venire a capo di una risoluzione. Infine, ci ho pensato troppo, e il tempo è passato, anche l'occasione.
La proposta era: condividere un dipinto "che ci piace, che ci ispira, che ci colpisce ci ricorda qualcosa".
Io e l'arte abbiamo un rapporto conflittuale: la inseguo sempre, ma lei mi sfugge. Scegliere uno e un solo rappresentante per darle voce in mia vece mi ha messo in crisi.
Ma in fondo avrei potuto scorrere il mio blog, fino in fondo, per avere un suggerimento.
Ecco qui, oggi vorrei condividere con voi:

Artemisia Gentileschi, Susanna e i vecchioni, 1610.

Perché, dite?
Giusto.
Perché in questa Susanna corpulenta che offre allo sguardo dello spettatore la sua florida fisicità e al tempo si schernisce avvitandosi su se stessa con sofferente pudore per la propria nudità mi ci rivedo, mi ci son riconosciuta. Mi fa pure un po' di vergogna mostrarvela così, nuda, perciò, per favore, immaginatela in bikini, se potete.
Perché in un'epoca di perfetto predominio maschile ha il sapore di un grido di rivolta e di sdegno, di una dichiarazione di orgoglio ferito, di intimità violata, di ingiustizia subita, di dignità calpestata, di un torto mai risarcito, di volontà di esprimere il proprio disprezzo per le presuntuose pretese maschili sulla propria persona.
Perché leggo tutto ciò nello scatto nervoso di lei, che volge il viso dall'altra parte, sottraendosi alla vista dei due viscidi guardoni nascondendosi con ambedue le braccia, quasi a volerli, con quel gesto, allontanare, farli sparire dal suo cospetto.
Perché conosco la storia della pittrice, per averla studiata e approfondita, per aver tentato di indagarne le motivazioni profonde, e perché non ho potuto che ammirare un'artista di tal portata, che riuscì ad imporsi in un ambiente allora prettamente al maschile, riuscendo ad ottenere per la sua arte riconoscimenti altissimi.
Perché mi ha conquistato la sua arte, così "maschia" malgrado la forte connotazione femminile, malgrado la scelta dei soggetti quasi sempre muliebri, così cruda, così tragica e grandiosa, così sofferta.
Perché la sua personalità la si rilegge nei suoi personaggi, in queste donne fisiche, concrete, di una sensualità prorompente e piena, tanto lontane dallo stereotipo filiforme della femmina contemporanea, leggera e impalpabile.
Perché ci leggo il dramma della solitudine femminile nella sfida a un mondo che non ne contempla i diritti, i voleri, che non ne rispetta la dignità, che ne calpesta le aspirazioni, che non la considera all'altezza.
E lei invece è giunta fino a noi, intatta, grandissima e forte, di una bellezza indomabile.

Che i produttori di Hollywood la smettano però di ricamarci sopra smielate e inconsistenti storielle d'amore! Per pietà!

Così oggi condivido questo dipinto, in ritardo sui tempi di lancio, come sempre io.
Quindi, anche se l'iniziativa originale è un po' datata, rilancio la proposta: vi va di condividere anche voi un dipinto per voi speciale?

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giovedì 10 febbraio 2011

Con la pupa da Mirò

Malgrado la giornata si preannunci pallida e uggiosa, Suster può oggi dirsi soddisfatta.
E' infatti riuscita finalmente a recarsi, con la pupa e con Master, alla tanto agognata mostra di Mirò, giusto in tempo prima che chiudesse, dato che sabato sarà l'ultimo giorno utile per visitarla.

Dunque questa mostra trovasi al Palazzo Blu, palazzo storico pisano che sorge sul Lungarno, distinguendosi con il celestino del suo intonaco tra gli ocra e i gialli e i cotto e i beige dei palazzi circostanti, cosa che destò un po' in tutti un certo stupore, quando, a restauri ultimati un paio di anni or sono, le impalcature vennero smontate e l'appariscente veste turchese, revival di tempi (che si speravano ormai definitivamente) andati si rivelò agli occhi di tutti proprio come un bel cazzotto in uno dei due (occhi intendo).

Ma comunque non son qui per fare critica al restauro architettonico della città, anche perchè non ho le credenziali e l'autorità per farlo, solo una volta azzardai un commento leggermente ironico in presenza di una fiera e degna indigena (una fioraia che nel realizzare un bouquet di fiori per una festa di laurea a cui dovevo recarmi si era rifiutata di assecondare le mie richieste di girasoli e aveva imposto a tutti i costi le sue rose e fresie), e costei, lasciando trasparire un leggero disprezzo per la mia ignoranza storica, mi disse: "Non è che l'anno fatto blu così, il palazzo all'inizio era blu, poi durante il fascismo l'avevano ridipinto, e quindi ora l'hanno riportato al colore originale."
In realtà la storia non è proprio così, ma vallo a dire alla signora delle fresie (che non è la sorella sfigata di quella delle camelie), che segue la scuola di pensiero per cui ricondurre tutti gli obbrobbri urbanistici al periodo fascista, anche quando non è così, giustifica qualsiasi altro discutibile intervento successivo.

Comunque se volete conoscere la storia del palazzo, potete documentarvi al link che vi ho dato più in alto. Io ora ve ne parlo solo in virtù del fatto che, dopo il restauro di cui vi dicevo, una parte di esso è stata adibita a spazio espositivo, all'interno del quale vengono allestite da due anni a questa parte, mostre temporanee di un certo interesse, se non altro perchè trattasi di una delle pochissime iniziative culturali presenti in città.
Ecco perchè Suster e Master ci tenevano molto ad esserci, ma finora, causa beghe di natura pupesca, non avevano fatto che rimandare la cosa.
Finchè un bel mattino di febbraio, non dissero BASTA! Basta a questa vita di pigrizie sonnolente in casa e passeggiate senza scopo nè meta a trascinar passeggini e incollarsi marsupi, per prati che la pupa ancora non calpesta coi suoi piedini, giardini che ancora non possono vederla correre e giocare su scivoli e altalene. E soprattutto: basta rimandare, pensando che tanto sarà un disastro, lei piangerà tutto il tempo e noi ci rimetteremo solo il prezzo del biglietto, dopo una maratona senza senso per le sale della mostra a scorrere le opere come i fotogrammi di un film in dvd che mandi avanti in 16x.
Oggi si va alla mostra. Sarà quel che sarà.

E così Suster si fa il suo bel piano d'azione: pupa a letto alle ore 14, sveglia alle 15, mezz'ora per prepararsi e soprattutto per prepararla, biberon di latte in borsa, passeggino e via. Arrivo davanti al palazzo alle ore 16, incontro con la Master e biberon pupa, poi inizio visita, e come va va.

Con mia grande e stupita soddisfazione riesco a tenere alla perfezione la tabella di marcia che mi ero imposta.
Con mi stupito e grande sollievo, la pupa non attacca il piagnisteo appena infilato il primo piede nel percorso espositivo, anzi, si direbbe quasi eccitata e divertita dalla novità della cosa e forse, chissà, anche dai dipinti?
Con mia colpevole costernazione mi accorgo solo a metà visita di aver saltato un punto fondamentale del mio programma d'azione: quello che dice "biberon pupa ore 16". Quindi la pupa è a digiuno: complimenti alla mamma per aver dimenticato un particolare che nessuna mamma dovrebbe essere in grado di dimenticare.
Comunque questo piccolo intoppo non riesce a rovinare una giornata partita bene, perchè lei è stranamente di ottimo umore. Così, dopo una sosta in caffetteria a sfamare gli appetiti della più giovane estimatrice dell'artista catalano, possiamo finire la nostra visita in tutta tranquillità.

E ce la siamo proprio goduta: a fare le sceme con la pupa che se la rideva, gli slaloom e le corse col passeggino, le nostre improbabili interpretazioni di ogni opera, le due signore quasi centenarie che si scioglievano in apprezzamenti sulla bellezza della pupa paragonabile anzi preferibile a un Mirò.
Insomma, ci voleva un pochino, atteggiarsi a fare le intellettuali che portano i figli alle mostre sin dalla tenera età di 0 anni.

E poi Mirò. E' stato fantastico!
E' vero: durante la mia breve permanenza a Madrid e in giro per la Spagna, quand'ero giovine e un po' più libera di ora di girovagare, avevo visto già qualcosa di lui: lì come ti giri ti giri, trovi qualcosa che vale la pena visitare, che siano mostre, musei, collezioni, esposizioni, e tutto all'infima portata  di una studente erasmus perennemente senza una lira in tasca, vale a dire, se non gratis, praticamente siamo lì. Ma vuoi mettere quale piacere dallo strapparsi un pomeriggio alla routine quotidiana fatta di pappe e giochi con la palestrina, filastrocche idiote e giri in passeggino negli unici tre posti della città in cui ha un senso portare a spasso un bambino che ancora non cammina?
Va bene, vi ho scassato le palle a sufficienza con questa storia, ma era solo per farvi capire quale lo stato d'animo di una reclusa nel corpo e, un po', nello spirito, di una mamma abituata a non far la mamma. Perchè quel che mi manca in questa mia vita con pupa non è tanto quello che facevo prima, le uscite, le notti brave, le albe in giro, le sbronze, gli amici, il casino, che già da un po' me n'ero stancata anche prima che arrivasse lei.
Sono piuttosto i momenti da gestirmi in libertà con me stessa, il vuoto mentale, il non dover pianificarmi la giornata solo per riuscire a sopravvivere, per svolgere gli ordinari gesti di normale amministrazione quotidiana.

Certo, con la pupa a seguito, magari non ho indugiato su ogni opera come mi sarebbe piaciuto fare, sentendomi, è vero, un tantino sulle spine al pensiero che lei si sarebbe potuta ribellare da un momento all'altro, tirare fuori della sua doppia personalità il lato oscuro, il demone che è dentro la piccola Regan del noto film, e costringerci alla fuga precipitosa con tanto di coda fra le gambe.

Forse mi sarei lasciata prendere di più da quei colori incredibili, fatta inghiottire da quelle opere che lo stesso Mirò definiva fantasmagorie, dalle fantasie fiabesche delle sue Costellazioni...


Persino Suster, generlamente così prosaica e scetticona, potrebbe farsi prendere dalla famosa sindrome di Stendhal: è che qui le si aprono davanti dei veri e propri mondi, e se ti ci soffermi un po' di più, ti ci perdi, la tua mente si smarrisce tra i personaggi curiosi che li popolano e si confonde tra i rossi e i marroni, o tra i blu profondi delle loro luci.

Ti lasci rapire dalle atmosfere surreali, oniriche, così piene di vita e di gioia, dal fascino di universi ignoti e dall'irrazionale che invischia la realtà, con le sue trame invisibili, leggibili solo da pochi eletti: i poeti e i visionari.
Come nelle storie mitiche che ci ricordano le linee immaginarie tracciate su una volta stellata...

Come si coniuga ironia e poesia?
Basta dare un'occhiata ai titoli: mai sentito un titolo altrettanto poetico di "Uomo che fa pipì al chiaro di luna" per un'opera d'arte!

E poi le sgargianti dissonanze delle sue Scampagnate:


Come può il semplice colore suscitare un'emozione?
Come servirsi della visibilità per creare stati d'animo?
Come tutto ciò è possibile?

E guardate i suoi Arcipelaghi selvaggi:


Non sembrano anche a voi immagini al microscopio di mondi infinitamente piccoli?
A me pare di immergermi con questi quadri nel microcosmo della vita cellulare, una vita che è alla base della nostra, del nostro universo, ma che ci è invisibile. Eppure esiste, con la sua miriade di imperscrutabili individualità, minuscole e perfette, in continua e incessante evoluzione.
Chissà come percepisce il proprio mondo un organismo unicellulare.

Ma magari mi sbaglio, perchè è ovvio, che nell'arte ognuno ci vede quello che vuole.
Forse che indotti dal titolo ci volete vedere proprio le riprese satellitari di arcipelaghi reali?
E perchè no?
Il nostro mondo tanto solido e concreto, fatto di rocce e sabbia, alberi e case, ridotto a qualche macchia colorata.
 Non è incredibile che una stessa immagine possa associarsi all'infinitamente piccolo così come all'infinitamente grande?
Tutto dipende dalla lente che si usa: avvicinare ciò che è lontano, racchiudere ciò che non può essere compreso dall'occhio, ampliare ciò che l'occhio non può percepire.

E l'arte può rendere visibile anche ciò che esiste solo nella mente dell'artista.

E chissà cosa ci ha visto la pupa, e cosa ricorderà di questo insolito pomeriggio.
Chissà se l'universo pittorico di Mirò si affaccerà in futuro nei suoi sogni e come influenzeranno la sua giornata al suo risveglio.
Chissà se un giorno, recandosi in un museo o a una mostra sarà colpita da una di queste opere, che sentirà appartenere ad un suo lontanissimo, ancestrale passato...

Troppo vaneggi, Suster. Non divagare: concludi il racconto della giornata di ieri, che già è tardi e c'è la cena da preparare, e tu hai iniziato questo post stamattina.
Ah, già, perchè è di questo che stavamo parlando all'inizio: la giornata di ieri.
Che dire?
Tanto per continuare a tirarcela un poco da intellettuali finto-bohemien, anche un po' radical-chic come si dice ai giorni nostri, concludiamo la nostra passeggiata in noto locale di recente apertura, una caffetteria teteria, ma anche libreria, di cui amici mi avevano a lungo parlato. Uno di quei posti che si capisce già come ci entri che vogliono essere posti un po' alternativi e anche un po' per intellettuali, ma che in fondo sono caffetterie e teterie, e in più, ci hanno messo anche una libreria dentro (ma attenzione, i libri sono in vendita e non da consultazione).
Quindi siamo andate, e dopo tutto il posto è risultato tranquillo e piacevole.


La pupa però a quel punto iniziava ad aver esaurito la sua scorta di santa pazienza, e posso dire che non aveva tutti i torti.

Quindi ci separiamo, io e la Master, lei per andare incontro a una serata di lavoro, io per tornare con la pupa verso casa, che quando arrivo lei dorme nel passeggino, e tentare di estrarla da lì senza svegliarla è ancora un'impresa possibile. Riuscire a entrare in casa con lei che dorme sempre sulla spalla e metterla a dormire nella sua carrozzina, invece, si rivelerà una mera illusione: giunta sulla soglia di casa ho sudato freddo per una buona mancita di minuti, cercandomi in tasca e in borsa chiavi che non sembravano esserci, mentre Zorro si faceva le unghie sul mio polpaccio e si beccava un calcio di tacco da parte mia, e Panzumen come un indemoniato emetteva lunghissimi e esasperanti miagolii di benvenuto, appollaiato sul muretto delle scale.

Fortunatamente le chiavi poi sono saltate fuori, ma lei intanto era ben sveglia, molto ben sveglia, ed è stata iperattiva fino alle 9 di sera, quando finalmente sono riuscita a sedarla a suon di ninna nanne.

Chissà se ha sognato Mirò...

(Suster si scusa, chiede perdono e perdonanza, per avervi annoiato con i suoi vaneggiamenti, e in più Suster non ritiene di potersi permettere di fare la critica d'arte, ma si è fatta prendere dall'entusiasmo dei recenti ricordi, e anche prova un po' di nostalgia per la sua vita da studente, quando ancora poteva illudersi che occuparsi d'arte potesse essere un'occupazione a tempo pieno.
E ancora Suster si scusa per le eventuali sgrammaticature presenti nel testo, ma davvero, davvero, non ha la forza per andarle a ricorreggere. Magari domattina.
E poi in fondo questo è il mio blog e ci scrivo un po' come mi pare.)