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lunedì 29 aprile 2013

Saluti dall'isola che non c'è.


Sulla banchina del binario 13, in attesa della partenza del diretto per Roma-Termini, sembrava che Peter fosse indifferente e distratto. Continuava a ripetere che sarebbe voluto andare andare a raccogliere i fiori, e intanto si rigirava il lecca-lecca alla fragola tra la mano appiccicaticcia e le labbra, interrompendo di continuo i discorsi delle due "fatine grandi" con altri che non c'azzeccavano 'na mazza nel contesto, ma che evidentemente seguivano un suo percorso mentale mai interrotto, di coccodrilli e isole e fatine...
Eppure gli era stato pur detto che l'amica fatina Rosetta stava per ripartire, dopo quella visita fine settimanale, un soggiorno di quattro giorni che si era ridotto ad una prolungata reclusione in casa imposta dal tempo avverso e dalle inconsolabili coliche neonatali della "piccola fatina". Erano stati giorni di giochi casalinghi, librini, cucina, lunghe telefonate e visite di cortesia ("toc-toc chi è? Sono io, mi api?" "Ponto fatina vuoi venire a cada mia?"), con la partecipazione eccezionale della "Principessa Panzìnola" (mi spiace, Panzumen, sei stato ufficialmente investito di identità femminile), e ora Rosetta stava per salire su quel treno.
Niente.
Poi il treno si è mosso. Gli ultimi saluti distratti dal finestrino (che non ne ha voluto sapere di aprirsi) e poi ci avviamo come se niente fosse verso la scalinata del sottopassaggio della stazione.
E' stato allora che mi sono accorta che Peter piangeva, sommessamente, labbro tremulo e grossi lacrimoni che gli rigavano il viso.
- Amore, sei triste?
- Tì. Tono tiste pecché...
E la voce le muore in gola.
- Tono triste pecché... la tua amica fatina è andata via!

E allora, mio Peter, cosa dirti?
Lì per lì mi è venuto spontaneo tentare di distrarti, da quella tua tristezza:
- Guarda guarda, sono spuntati dei papaveri, laggiù, lungo quei binari!
- Allora adesso che si fa, andiamo a raccogliere i fiori? Torniamo dalla fatina piccola?
Ma poi ho capito che era giusto lasciarti vivere quel tuo dolore di bambina, o mio Peter Pan, che contrariamente a quello della fiaba, cresci ogni giorno, e scopri in te emozioni nuove, che magari fanno male, anche, ma è un dolore importante, quello che dà la nostalgia.
Il dolore di veder andare via qualcuno che amiamo, di capire che tutti i momenti belli, hanno SEMPRE una fine, non necessariamente PER sempre, e non necessariamente per lasciare il posto a momenti meno belli, ma comunque sì: tutto passa, e le persone spesso vanno via, anche se poi magari tornano anche, per carità, ma quel dolore lì lo conosco bene quando arriva, è irrazionale e viscerale. Il dolore del distacco.

Ti ho anche spiegato che le persone che amiamo ci sono sempre, anche quando sono lontane, e l'importante è sapere questo: che sempre ci saranno, per noi, e che il solo pensare a questo loro esserci può bastare a renderci felici, malgrado la lontananza, malgrado il dolore di vederli ogni volta ripartire.
Non so se hai capito, ma continuavi a dire: "Io voglio che la tua amica fatina torna da me!"
E un pochino mi faceva male, questa tua tristezza sorda alla ragione, un pochino mi rendeva felice, perché ti faccio il dono delle mie amicizie più care, perché le persone a cui tengo di più al mondo sono poche, poche davvero, ma importanti, fondamentali per me, fondamentale sapere che esistano, e mi fa felice sapere che ora esistano anche per te, che inizino a popolare il tuo giovanissimo universo affettivo.

O mio Peter Pan sognante, mi fa male vederti scoprire che la vita spesso ti dà dei dolori, che non è sempre come nelle tue fiabe, tutti felici e contenti, e a volte sento il peso di questa mia scelta, di stare lontana, sia pure a portata di poche ore di treno, da un intero contesto di affetti, da un tessuto familiare che sento mancarti, man mano che diventi più grande, e mi chiedo se, crescendo ancora, tu non finisca a ritrovarti come me, a sentirti sempre mancante di un pezzetto, mai del tutto a casa, perché partendo ti lasci alle spalle sempre qualcuno che ami, sempre qualcosa che ti appartiene.
Eppure sento che questa è anche una tua ricchezza, una nostra risorsa: quella di potersi sentire a casa in più posti, quella di sapere che c'è un altrove dove qualcuno o più di qualcuno ci riserva un posto nel suo cuore, nella sua vita, nella sua memoria; quella di potersi un giorno sempre ritrovare, e poter gioire di questo.
E, sì, poter godere anche di quella tristezza passeggera, del lasciarsi, del partire lasciando qualcuno a salutarci dalla banchina, o del vedere qualcuno allontanarsi sul binario, di potersi telefonare e dirsi: "Quando vieni a trovarmi?" come quando giochi a invitarmi a casa tua ("Toc-toc, chi è, posso entrare?").

E poi arriverà anche il tempo di scoprire che alcune persone che amiamo potranno anche non esserci più, e sarà assai più difficile da accettare, assai più faticoso e doloroso riuscire a dare un senso anche a quel "non esserci", che è un non esserci senza ritorno. Ma anche allora, o mio Peter, arriverai a trovare un senso, un valore in quello che c'è stato, in quello che rimane in te di loro, in un ricordo, in un sorriso che ti sale alle labbra ripensando a un momento di vita insieme, nella gratitudine di poterli avere avuti presenti nella tua vita, per un po', e nel fartelo bastare per il tempo che rimane.
Un giorno, non ora, mio Peter. Ché questo non è ancora tempo per la malinconia, e questo post non vuole diventare certo malinconico, malgrado queste giornate uggiose di fine aprile.
Per ora mi piace vederti vivere il SEMPRE della tua infanzia che tu dai per scontato debba durare per sempre.
Tua fatina.

mercoledì 23 maggio 2012

La vita è un viaggio o i viaggi aiutano a vivere? (Marzulliamoci)


Sono una sempre a metà.
Sto in un posto ma so che potrei stare anche altrimenti. Mi tengo un'alternativa.
Sentirsi a casa in due posti diversi è un po' come non sentirsi a casa mai del tutto. Avere sempre un altrove.
Il mio viaggio è sempre un po' fuga e un po' ritorno, in qualunque direzione viaggi il mio treno, da nord a sud a nord della linea litoranea tirrenica.

Partire mi piace e non mi piace. Ne ho bisogno e ne ho orrore.
Del viaggio non mi piace: il mio nervosismo del pre-partenza, l'ansia immotivata, che non riesci a tenere a bada, il dover programmare, il dover rispettare i tempi.
Il fatto che finisco sempre per prendermela con le persone che ho intorno, la fretta inconcludente, la sensazione di dimenticare sempre qualcosa. L'accorgermi sempre troppo tardi di cosa ho dimenticato.
Non mi piace quando perdo il treno. Non mi piace la malinconia di quando lasci qualcuno caro anche se sai che lo rivedrai a breve, quando ti dici che avresti pure potuto salutarlo un po' più affettuosamente, invece di essere occupata ad essere impaziente e ansiosa, e nervosa.
Non mi piace dover partire col cibo appresso. Non mi piace dovermi incaricare di commissioni altrui, oberarmi di pacchi di dolci e bistecche crude sanguinolente da portare a spasso per l'Italia, come se fossimo in tempi di carestia, come se fossimo profughi rifugiati.
Non mi piace congedarmi con una frase aspra e insofferente, arrabbiarmi per una bistecca in più, un sorriso riparatore tardivo e forzato sempre insufficiente a farmi partire serena.
Non mi piace la sensazione di lasciar qualcosa in sospeso, a metà, di perdere il filo.

Del viaggio mi piace: mi piace partire leggera, riuscire a ridurre all'essenziale, scremare, alleggerirsi anche l'anima per via di togliere.
Non mi piace accorgermi di quanta fatica mi costi riuscire a staccarmi da alcuni oggetti, anche per pochi giorni. Il portatile, la reflex, appendici come zavorre che mi incatenano alla mia nicchia di esistenza.
Mi piace riuscire a fare a meno.

Mi piacciono le stazioni, tutte, ma soprattutto quelle che sanno ancora un po' di passato, non ancora stravolte da megaschermi pubblicitari a ogni binario e boutiques in franchising, fast-food come se piovesse, sempre affollatissimi e librerie mega-store. Non mi piace la Stazione Termini. Mi piace la stazione di Pisa Centrale.
Non mi piacciono gli aeroporti, perché sono troppo grandi e mi perdo sempre.
Mi piace, delle stazioni del treno,  l'idea che sono sempre ferme e che tutti ci passano per andare via o arrivare, e i treni partono e arrivano, e sono come porte per altri mondi, per altre dimensioni: sono la potenzialità dell'altrove. E ogni giorni ci passano un sacco di persone, e il giorno dopo chissà dove saranno andate a finire. Anche negli aeroporti, è chiaro, ma in treno le senti più vicine, e magari addentano un panino sulla panchina accanto a te sulla banchina. E poi i treni hanno percorsi già definiti, sempre quelli, e non possono andare dove gli pare, seguono i binari della ferrovia ed è bello sapere che quel percorso è stato già tracciato, apposta per te, da qualcun altro, e qualcuno l'ha fissato al suolo con l'acciaio ed è sempre quello, non puoi sbagliare, a meno che non sali sul treno sbagliato.
Mi piace il treno, come mezzo di trasporto "pubblico", ancora, malgrado le tariffe sempre più care, il mezzo di trasporto del popolo.
Mi piace quando viaggio con gruppi di studenti pendolari, mi piace sentirli parlare delle cose di tutti i giorni, la scuola, il compito in classe, i professori, i programmi per il week end, mentre aspettano di scendere ognuno alla propria stazione, alla spicciolata, e che sembrano tanto arroganti e sicuri di sé, ma che poi si imbarazzano se solo gli rivolgi la parola.
Mi piace pensare che per loro quella tratta ferroviaria fa parte del quotidiano e farà sempre parte della loro Storia, della loro memoria, del loro bagaglio di ricordi, come per me la linea urbana del 341, strapieno di teen-ager vocianti intorno alle due del pomeriggio, costipati tra zaini e le porte a soffietto, che sembravano sempre chiuderci in mezzo qualcuno, ma poi, chissà come, c'entravamo sempre tutti.

Mi piace viaggiare in treno e mi piace la mia tratta. Mi piace perché ormai la conosco e la considero mia: la conosco, mi appartiene. E so quando la vista del mare mi si sta per aprire davanti, azzurrissima, subito dopo quella galleria, lasciata Livorno, e quando potrò ammirare dall'alto le baie di Cala Furia, col grande arco del viadotto stradale a sovrastarla, e Cala del Leone, nascosta, e il castello sul promontorio del Sonnino.
Mi piace perché costeggia campi e uliveti, e colline a sinistra e campagne e covoni di fieno e distese di gialle rape e rossi papaveri e lavanda color lavanda, e a maggio è tutto molto poetico.

Mi piace il treno Diretto, che costa meno di tutti e non devi prenotare, e ferma a tutte le stazioni e ci mette una vita e mezza, e non c'è l'aria condizionata a bloccarti la cervicale e gli scompartimenti sono aperti e puoi vedere la gente intorno a te, e puoi muoverti e alzarti senza doverti disincastrare dal tuo loculo di un metro quadro, e ci sono i venditori abusivi di orologi taroccati e altro, con le loro bustone azzurre stipate nei portapacchi che a volte mi sa che non hanno il biglietto, e rimangono in piedi sul corridoio, guardando a ogni fermata se sale il controllore.
Mi piace anche se dura quattro ore, ma mi piace solo se non è a ridosso di qualche festività, perché allora il treno è pieno e si sta tutti pigiati tra enormi valigie impilate a torre sui sedili e puzza di sudore.

Non mi piace l'Eurostar perché costa troppo e poi devi prenotare e ti mettono sempre pigiato in uno scompartimento completo quando il resto del vagone è vuoto, e tutti hanno le cuffie nelle orecchie e il pc davanti e sembrano molto impegnati e molto abituati al viaggio, tanto che non guardano più nemmeno dal finestrino.
A me piace guardare dal finestrino.

E mi piace viaggiare con la pupa, che è una piccola donna e si vergogna quando qualcuno le rivolge la parola, ma poi sfila a passeggio su e giù per il vagone a distribuire sorrisi e occhiate sornione e a raccogliere complimenti e esclamazioni ammirate.
E guarda i ragazzi grandi giocare a carte e a sasso forbice carta e imita i loro gesti divertita.
E indica le persone che passano accanto, per il corridoio descrivendo il modo in cui sono vestiti e se portano il cappello o la borsa,e se sì di che colore.
E si vuole sedere da sola sul sedile e poi esclama "Che bello tta'e tul t'eno!" E mi ascolta mentre le dico che ora ci fermeremo in tante città fino ad arrivare a Roma, dove vive Nonna, e Nonna ci verrà a prendere, con la sua macchina azzurra, e lei continua a chiedere: "E poi?". Ed è già proiettata nel suo futuro prossimo e si scorda che siamo appena partite, e alla prima fermata pensa che sia già tutto finito e dice: "Anco'a teno!"
E poi mi piace che il viaggio sia per lei una realtà naturale e tangibile, mi piace che sappia già viaggiare, così piccola com'è, e che mangi senza scomporsi la sua pasta fredda dalla vaschetta del gelato Carte d'Or e che poi si addormenti alla solita ora, e se ne stia lì, sbragata sulle poltrone scomode e la testa tutta storta, una lama di sole che filtra da sotto la tenda blu tirata a infastidirle la guancia, e il respiro regolare, coperto dal rumore conciliante delle ruote sui binari.
TU-TUM TU-TUM
Mi piace il rumore delle rotaie.

Mi piace portarmi un libro da leggere e sapere che per una volta so esattamente di potermi dedicare alla sua lettura senza altri impegni più importanti da sbrigare prima. Mi piace portarmi sempre un libro sul treno, anche se poi non lo leggo quasi mai.
Il tempo sul treno è un tempo sospeso che non ti senti in dovere di riempire in maniera "produttiva" per sentirti a posto con la coscienza e pensare di averlo "impiegato". Ma solo di farlo passare, senza che tu possa o debba fare nulla perché passi, perché si arrivi prima.

martedì 11 gennaio 2011

Ancora Suster e i treni. (Non sempre la tariffa più cara è quella che corrisponde al servizio migliore)

Scommetto che non vedete l'ora di sapere com'è andato il viaggio di ritorno... non è vero?

Ah, davvero non vi interessa?

Beh, come non detto: un resoconto rapido rapido ve lo farò comunque, ma tranquilli, non voglio certo ripetermi e diventare noiosa, quindi eviterò di dilungarmi sulla fase dei bagagli, che quando credi di aver finito, e sei appena riuscita a chiudere la valigia senza far saltare la cerniera montandoci sopra di peso, ti volti, ed ecco lì dimenticata l'ennesima pila di vestitini pupeschi nuovi nuovi, regali natalizi di varia origine e provenienza, che devo assolutamente riuscire a infilare in qualche tasca laterale (pensavo che sarei partita con molta meno roba che all'andata, ma evidentemente sbagliavo di grosso).

Sorvolerò anche sulla fase del carico dei miei ingombranti beni sul treno, visto che, cambiando i protagonisti e la stazione di partenza, la scena non è stata poi tanto diversa da qualla svoltasi all'andata.
Solo, se vogliamo, anche un po' peggio, pure senza la busta di 10 Kg di carne del babbo macellaio.

Com'è stato questo possibile? Direte voi. Lo è stato perchè ho speso 12 euro in più per prenotarmi un viaggio sul treno Eurostar Freccia Bianca, che rispetto all'Inter City dell'andata ci mette mezz'ora in meno, solo che in seconda classe ti fa viaggiare tutti stipati come bestiame diretto al macello.

E così io e pupetta ci siamo incastonate nel nostro minuscolo spazio vitale dal quale saremmo emerse solo 2 ore e 25 minuti dopo. Perchè dal nostro ingresso in vettura fino a tutti i successivi 145 minuti non ci saremmo più potute muovere. La disposizione era questa: la borsa dei pannolini di fianco a me sul sedile, lo zaino sotto le mie gambe, che non vi dico che comodità, valigia e ruote del passeggino ficcate a forza nel capientissimo porta bagagli sovrastante (e qui per fortiuna c'era il Ciccio ad aiutarmi se no mi usciva l'ernia), ovetto strategicamente infilato nello spazio tra il mio sedile e quello retrostante, pupa adagiata sulle mie ginocchia, che poi coll'andar del tempo è diventato: pupa spalmata sulla mia pancia con sopra la coperta di pile di Winny the Pooh e una temperatura interna della sottostante mamma stimata intorno ai 45 gradi.

Quindi: alle 18.00, dopo 10 interminabili minuti impiegati solo per prendere posto e augurarmi che il sedile di fianco al mio rimanesse vacante per potermi in parte disimpegnare (speranza presto disillusa), finalmente il treno lascia la stazione di Roma Termini.
Pupa relativamente tranquilla, che gioca amenamente col suo topo musicale e dimostra un interesse assai spiccato per le viti del tavolino pieghevole antistante, proiettando improvvisamente e inaspettatamente la capoccia contro lo spigolo del suddetto con grande patema d'animo mio.

Alle 18.25 -Oddio, mancano ancora 2 ore di viaggio!- penso tirando fuori dalla tasca dei pantaloni il mio cellulare per controllare l'ora, manovra che richiede da parte mia una buona dose di contorsionismo.
Pupa alquanto incacchiata. Si è stufata e lo dimostra come meglio può. Intanto io mi raccomando a San Gerardo Maiella patrono delle mamme, a san Cristoforo protettore dei viaggiatori e visto che ci sono anche al famoso Morfeo, dispensatore di sonno, perchè renda pesante la palpebra alla mia vispa frugoletta e la faccia cadere in uno stato letargico di almeno un'ora.
Mentre io estraggo dalla borsa del cambio, che occupa un buon terzo del mio sedile, ogni sorta di divertenti intrattenimenti per pupe, quali palle, orsi e sonagli vari, lei li schifa sistematicamente, punta i piedi, si rovescia all'indietro e tenta un'incursione nel sedile accanto al mio. Riesco infine a conquistarne l'attenzione sfoderando l'oggetto da lei più agognato, quanto evitato da me causa pericolo soffocamento da cleenex appallottolati in gola: un pacchetto di fazzoletti dream che lei si caccia subito in bocca.

Alle19.00, a furia di centrifugarla sulle mie ginocchia, mi era venuto un crampo al polpaccio e lei finalmente ronfava sulla mia pancia, ciondolando la testa sulla sinistra e sbavandomi anche un po' la maglia.
Intanto sento le mie gambe liquefarsi sotto il pile di Winny the Pooh, e i miei vestiti appiccicaticci di sudore mio e di lei aderire fastidiosamente alla mia pelle.
E qui me la sono cavata per un'altra oretta, prima che si svegliasse, malgrado gli scossoni e i fischi occasionali del treno, tanto era stanca dalla giornata trascorsa tra eventi familiari, passeggiate con nonna per permettere a me di combattere in pace con i miei bagagli e partenze che hanno interferito con le sue abituali ore di nanna.
Durante quest'ora inizio a maturare il pensiero di quanto sarà ardua la discesa, con tutto il mio carico, senza il valido aiuto di mia madre e mio fratello,  e con la consapevolezza che il treno poi avrebbe continuato per Genova, e che quindi urgeva un piano. 


Alle 20.00, minuto più minuto meno, lei si sveglia emettendo tutta una serie di graziosi mugolii, e io guadagno un'altra decina di minuti proponendole subito subito il biberon: idea geniale portarmelo appresso già pronto!


Alle 20.15 siamo a Livorno, e io riesco a coinvolgere nell'operazione di scarico dei bagagli i due studenti un po' secchioni seduti di fronte a noi, che per tutto il viaggio mi hanno ammorbato ripetendosi vicendevolmente e incessantemente  lezioni di storia romana e filosofia del diritto. Ora, giustamente, mi risarciranno così.
Scherzo: sono stati carinissimi, e io proprio ingrata. Se non mi avessero aiutato loro, probabilmente ora starei tornando con la pupa da Genova Brignole, dopo aver passato una notte in stazione.
Invece no: mi hanno disincastrato il mio quintale di valigia e le ruote dell'ovetto dal portapacchi per gnomi, mi hanno trasportato buona parte del carico fino alle porte e infine giù sulla banchina, dove mi sono finalmente ricongiunta con Hasuna e la mia amica Bri, che ci cercavano dalla parte opposta del treno, giacchè io avevo detto loro che eravamo nell'ultimo vagone, e invece si vede che nel frattempo senza che io me ne accorgessi il treno si era girato, ed ecco: eravamo diventati il primo vagone.
Quando si dice: gli ultimi saranno i primi...


E quindi, cari amici vicini e lontani, io e pupa siamo arrivate sane e salde, visto che nel frattempo ci eravamo praticamente saldate l'una con l'altra, nel processo di liquefazione svoltosi sotto la coperta di Winny Pooh.
E, magia delle magie, ci attendeva una cena pronta, una casa linda, due gatti quasi snelli (subito ho acciaccato la coda al povero Zorro che mi veniva tra i piedi), un'assortimento di cioccolatini artigianali (grazie Bri), una piacevole serata., una pupa che il giorno dopo avrebbe dormito a oltranza, per recuperare gli strapazzi di una giornata passata tra cerimonie e ferrovia.


Buoni propositi per il nuovo anno: imparare a viaggiare leggera.

Una città piovosa ci accoglie rovesciando su di noi acqua a secchiate.


La pupa è sulla buona strada per diventare una bimba da battaglia e io sono uscita incolume da un'altra delle mie mirabolanti imprese.

Da Suster è tutto. Passo e chiudo.

giovedì 23 dicembre 2010

Pronti, partenza...

Ma come, di già si riparte?
Azz', mi pare di essere tornata l'altro ieri! Signora mia come vola il tempo! (e che cacchio, stavolta l'ho detto!)
Diciamo che fare le valigie (che oltre tutto mi stanno pure sulle palle perchè non saprei dire se si scrive con la "i" oppure no) è una di quelle cose che riescono a farmi venire l'ansia già da 4 giorni prima, e che la cosa s'è acuita da quando devo fare le valigie mentre mi destreggio con lei che: si è giustamente rotta le scatole di stare sotto la sua palestrina, che è bellissima sì, ma dopo aver ruotato a 360° intorno all'asse passante per il suo ombelico, l'ha rimirata ormai da tutte le possibili angolazioni e pretende un cambio di visuale; si è stancata di stare dentro la sua sdraietta con vibrazione e musica, la fantastica "baby-papasan" ricevuta in eredità da due cugine di secondo grado passate ormai ai tricicli, ed è anche normale che non ne possa più nonostante il terapeutico massaggio vibrante sia sicuramente rilassantissimo, dato che quando la levo di là le continuano a vibrare a fasi alterne varie membra del corpo; non ne può più stare nell'ovetto a guardare gli animali della sua giostrina che le ondeggiano davanti alla faccia e il naso dell'elefante ormai gronda saliva che pare abbia preso un colossale raffreddore.
Quindi capirete che fare le temutissime valigie (che poi in realtà è una sola, che così almeno lo so che valigia si scrive con la "i", altrimenti poi si pronuncia "valiga") in queste condizioni per me che già normalmente ci sclero, è veramente un'impresa più che ardua.
Infatti ci ho messo l'intera giornata. E che ci avrai mai messo dentro? Niente di eccezionale. Un paio di cambi per me e l'intero guardaroba suo, che tanto se continua a sbavare con questi ritmi le tutine se ne vanno a tre al giorno, e poi lei ora va verso i 6 mesi e già si passa alla taglia successiva, quindi porta via tutto che poi si passa alla cugina. E il latte in polvere che non lo porto? Ma se non lo portiamo poi magari va a male che qui c'è scritto di consumarlo preferibilmente entro 4 settimane dall'apertura... Acc: ecco perchè l'altra volta la pupa mi ha vomitato l'anima con il latte della coop, quello che avevamo aperto a luglio! E va be' portiamolo, anche se è un barattolone megagalattico che da solo occupa un volume equivalente a quello del mio intero bagaglio vestiario. E i pannolini? E le salviettine? E qualche giochino, che poi in treno come si fa se si rompe e io non so come intrattenerla. Ah: e non dimenticare i ciucci se no è un casino. E i biberon mi raccomando, quelli li prendo domattina che ci devo fare la pappa prima di uscire. Allora lo metto qui accanto al mega barattolo del latte in polvere così non mi scordo. E poi ci sono le gocce fluidificanti nasali la vitamina D la crema di mais e tapioca... sai che ti dico? Quella la lasciamo qui, tanto poi la compriamo a Roma, e anche i pannolini che non so dove metterli e chissenefrega anche la cremina per il culo e le salviette. Via la reflex: troppo ingombrante. Per immortalare il primo Natale in famiglia basterà la compatta della nonna. Dove ho messo il caricabatterie per il cellulare? E le chiavi di casa? Accidenti devo prendere una valigia più grande. Cavolo mi sto sicuramente scordando qualcosa di vitale importanza lo sento. Ah, ecco: un libro per il viaggio. Lo leggerò sicuramente immagino, con lei sulle ginocchia che mi si catapulta dal sedile.
Insomma, malgrado tutto, la prima fase è andata.

Ora mancava solo l'imbarco e la partenza.
Eh, sì, siamo andate in treno stavolta, mica frottole!
Grazie a Trenitalia e alla mia buona stella siamo arrivate sane e salve, e tutto sommato non è stato poi così traumatico come mi aspettavo, considerato che era il 23 dicembre e che abbiamo imbroccato in pieno l'esodo studentesco da nord verso il sud. Niente partenze intelligenti per noi, grazie.
E continuo a sottovalutrare la pupa, che pensavo mi avrebbe fatto vedere i sorci verdi come si suol dire, e che invece è stata eccezionale, solo un po', verso la fine, ha iniziato a perdere la pazienza, ma a quel punto anche io e non posso darle torto.
Magari la prossima volta niente ovetto, ma marsupio forever. Non avevo cosiderato che la situazione sull'intercity 505 delle ore 11.00 diretto a Roma Termini in partenza dal binario 4, sarebbe stata tanto costipata, e non sto parlando del mio intestino... (non so quanto ciò potrebbe interessare).
E non avevo considerato che il maledetto Intercity ha i vagoni con quei maledetti scompartimenti da sei passeggeri per volta, tutti ovviamente stipati in sei metri cubi di capienza, ognuno con almeno due valigie con la "i" al seguito, un pc sulle ginocchia, l'i-pod nelle orecchie, o impegnatissimi a passare l'evidenziatore sul manuale di chimica o di diritto privato. E io lì tutta scafata che intruppo con le ruote dell'ovetto contro i borsoni abbandonati lungo il corridoio, che dico scusi permesso o "Può spostare lo zaino?" e arranco trascinandomi dietro la borsa porta pannolini stipata all'inverosimile da cui esce una zampa del topo-carillon e pericolosamente sporge il mio portafogli, che mi spoglio uccidendo la tipa seduta nel sedile avanti al mio lanciandogli una manica del cappotto in un occhio, mentre ho appoggiato nel mio posto la pupa dormiente nel suo ovetto tutta imbacuccata con i soliti strati di pile e il piumino imbottito come se facessero -18 gradi, e invece si schiatta, e infatti io già che ci sono mi levo pure il maglione e lo appallottolo nello zaino, con il quale nel frattempo ho spiaccicato il passeggero seduto a fianco alla pupa.
Ok, la salita è andata, anche il carico del bagaglio, che per fortuna c'era Hasuna a portarmi la mega valigia, che manco dovessi andare oltre oceano, e l'immancabile busta con i 5 Kg di carne che mi ha costretto a portarmi dietro anche stavolta malgrado le mie rimostranze e i miei insulti accorati.


Insomma, sì, alla fine ce l'avevamo fatta, anche se sembravamo due profughe, io con la bandana in testa e gli occhiali sbilenchi e appannati, la pupa con una vistosa macchia di vomito sul giacchetto, i capelli da Rastaman vibration yeah positive (sì: la pupa ha una serie di dreadlock naturali sulla nuca), e dopo aver preso il biberon, con il latte che le usciva dal naso a causa del singhiozzo.
Siamo state sfrattate nel corridoio dai nostri bagagli che occupavano tutto lo spazio disponibile all'interno del cubo di 1 mq a noi spettante, e, datosi che nello scompartimento accanto c'erano diversi posti liberi, abbiamo fatto anche 'u tentativ' di trasferirci di là, ma già a Livorno è salita un'altra valangata di profughi stracarichi di altrettante valigie delle più svariate forme e dimensioni, ma per lo più mastodontiche, e così ce ne siamo tornate mogie mogie nel corridoio.
Che non è poi tanto male. Se non fosse per gli scassapalle che ogni 2 minuti e mezzo devono passare per andare al cesso, oltre a quelli che, va be', devono scendere, che vuoi farci poveretti? Ma poi ci sono anche quelli che vanno a fumare davanti alle porte quando il treno si ferma e quelli che devono parlare al telefono e vogliono farsi sentire da tutto il treno, e quindi lo percorrono in tutta la sua lughezza mentre  strillano "Sì guarda, il treno è pienissimo, c'è gente pure nei corridoi! Sì arriviamo stasera ti chiamo appena arrivo!". E poi c'è il tizio di Chef Express col carrellino delle cibarie, e poi ci sono quelli che inseguono il tizio con il carrellino perchè quando è passato erano al cesso o a fumare o a parlare al cellulare. E poi ci sono infine quelli che fanno su e giù tutto il tempo solo perchè gli va.
E io intanto sto lì seduta sul sedile pieghevole del corridoio, con la pupa sulle ginocchia che miracolosamente si è riuscita ad addormentare, anche se ha la testa tutta storta e mi sta sbavando tutta la maglietta, e guarda, mi sto perfino leggendo due righe di Memorie di Adriano, tanto perchè non sia stato vano l'averlo portato, oltre che per far vedere agli altri passeggeri che mamma acculturata sono, nonostante tutto. Sono lì, e ogni due minuti e mezzo devo ruotare di 90 gradi per far passare uno di questi rompicoglioni e poi tornare in posizione, perchè se no mi si spezza la schiena, che il sedile  pieghevole non ha ovviamente schienale e per appoggiarmi devo volgere le spalle al finestrino, anche se in questo modo le mie ginocchia andranno sicuramente entro pochi minuti ad ostacolare il passaggio di un altro folle inseguitore del carrellino di Chef Express. E poi ci ho uno spiffero d'aria dritto dritto dietro l'orecchio, ma non importa.


Tutto sommato ce l'abbiamo fatta.
E siamo sopravvissute anche alla ressa della discesa, dopo l'arrivo a Roma Termini, che si sa che la gente in questi casi impazzisce, anche se il treno poi non prosegue e si ferma qua, non c'è pericolo che rimangano a bordo e che si ritrovino a Cassino. Ma loro devono scendere assolutamente il prima possibile e per far questo ti tagliano la strada, ti spintonano, ti azzoppano a colpi di trolley sul calcagno, ti scavalcano come ti chini a raccattare il ciuccio della pupa che intanto hai imbragato nel marsupio, mentre ti accingi a fare il primo viaggio per scendere i due pezzi dell'ovetto smontabile.
Mentre risalivo a prendere la rimanenza del mio bagaglio, mi sono offerta solerte di aiutare una tipa a scaricare la valigia dal vagone, e quella manca poco mi azzannava alla gola. Scusi signora, non glie la tocco più la sua valigia, se la tenga ben stretta va!
Comunque siamo arrivate. E puntuali.
E non ci siamo perse nessun pezzo, che già è tanto.
Per la realizzazione di questo post volevo ringraziare tanto le ferrovie dello Stato che ci stanno seguendo... ops! Trenitalia.
E i signori passeggeri naturalmente.
Ah! E Chef Exprss che ci porta gli snack a bordo a prezzi proibitivi.
Continuate così ragazzi. (Rastaman vibration, yeah! Positive!)
(immagine gentilmente concessa da Trenitalia.it)