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martedì 10 novembre 2015

Oltre il reef


Siamo stati fuori, un paio di week end fa, per l'immaginario ponte dei morti, che ponte non era, poiché l'unico giorno festivo in questione cadeva di domenica, ma sono sottigliezze al giorno d'oggi, soprattutto per chi non ha cartellini da timbrare il lunedì mattina, come la sottoscritta. Sono i vantaggi della disoccupazione. Dunque un week end lungo in gita con zii e cugini (mio fratello e famiglia), graziato dal meteo che ci ha regalato giornate luminose di caldo sole, per quanto ventose, con buona pace dei miei meteoropatismi.
Genova ci ha accolto coi suoi svincoli micidiali e i suoi palazzi proiettati verso il cielo, la sua umanità cordiale, la carta da parati anni '90 della nonna e i terrazzini che danno su cortili vertiginosi, tagliati dai fili da bucato che ne spezzettano in forme irregolari il poligono di cielo soprastante.
La città dal sapore retrò, assediata tra mare e monti, col suo porto futurista e il suo colossale acquario, meta agognata e principe dalla nostra gita, ci ha ospitato per tre giorni e quattro notti.
La città mi ha un po' frastornata, con le sue distanze da città, i suoi marciapiedi stretti tempestati di cacche di cane, i percorsi tortuosi per arrivare a comprare la farinata buona, che ti sembra di tornare continuamente sui tuoi passi e non hai la minima idea di dove sei finita, e magari stai a pochi passi da casa.

lunedì 17 novembre 2014

Il viaggio ti salverà da questa palude dell'anima.

Ci sono giorni, ci sono periodi, che l'umor nero prende il sopravvento, e tu rimani prigioniera dei tuoi pensieri ossessivi, claustrofobici. Ti svegli con loro, ti accompagnano per l'intera giornata.
Non è che tu non veda il bello e il buono nella tua vita, non è che tu non sia grata per ciò che hai e ciò che hai ricevuto, non è che non ti basti.
Non è che vuoi di più. Non è niente di tutto ciò, è l'assenza di prospettive, il sentirti in trappola, l'insoddisfazione di te, il chiederti continuamente: "Potevo fare di più? Ho usato al meglio la mia vita? Il mio tempo finora?" E rifiutare di risponderti, perché la risposta è avvilente.
E' il tarlo subdolo dei potrei, avrei potuto, avrei dovuto, dei rimpianti che riempiono le fosse.
In mezzo, mischiata, c'è la paura, tacita, nascosta, perché guardarla in faccia ti fa ancora più paura, e allora eviti di farlo, la allontani, scacci quel pensiero.
La paura del domani, la paura di non trovare più strade percorribili, di non corrispondere alle aspettative, tue o di chi ti ama, di dover un giorno giustificarti di fronte a tua figlia, o alle tue figlie per ciò che non sei stata in grado di garantire loro, per aver chiuso vie di fuga anche a loro, per non aver saputo offrire orizzonti più vasti, e limpidi.

lunedì 15 settembre 2014

Sul lago.

Settembre è al giro di boa e ci regala scampoli d'estate che un pochino, almeno credo, rinfrancano quanti hanno sofferto le bizze dei trascorsi mesi di una stagione che si è detto esser stata "atipica".
Poi ci sono quelli che come me non riescono ad essere polemici persino con il meteo, e che in fondo, senza darlo troppo a vedere onde evitar pubblici linciaggi, hanno apprezzato il fresco, accolto di buon grado le giornate incerte, fatto buon viso all'arrivo di trombe d'aria in spiaggia, allargato le braccia di fronte al prospettarsi di una nuova ripassata di pioggia.
Un'estate ombrosa, un po' capricciosa, che ci rallegriamo di aver messo a frutto per quanto ci è stato possibile

Sul Lago Trasimeno

mercoledì 10 settembre 2014

La città arrampicata.

Cortona.


Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d'una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole. 


venerdì 5 settembre 2014

Quel che è tra l'arrivo e la partenza.


Mio fratello quest'anno è andato in vacanza in Croazia. Da solo.
Poi, va be', è andato anche in Normandia con amici, ma tutto ciò non riguarda questo blog, comunque.
E comunque, in Croazia, dicevo, ci è andato da solo, e si è fatto un bel giro.
Gli dico: mandami delle foto.
E lui mi manda delle foto.
Dico: Wow! Scrivendo, non parlando, sul cellulare. Lo scrivo tanto per scrivere qualcosa, la reazione doverosa che chiunque si aspetta in risposta ad una propria condivisione, ma intanto vorrei dirgli e scrivergli qualcosa di diverso, perché questo pensarlo in giro su suolo straniero, la testa leggera, il cuore a zonzo, gli occhi affamati di cose nuove, mi smuove qualcosa dentro e richiama sensazioni sopite, di vite trascorse e cose vissute tipo millenni fa.

venerdì 29 agosto 2014

Approdo.

Sembra incredibile, ma: sono qui.
Qui che scrivo malgrado l'ora e la stanchezza del viaggio, delle valigie da disfare, delle euforie delle bimbe e dei litigi prima dopo e durante l'arrivo, il bagno, la cena e gli intermezzi vari ed eventuali.
Ho sgridato Mimi per mezz'ora perché sua sorella aveva strappato un bellissimo e raffinato libro pop-up donatole per il compleanno, così, oltre al danno ricevuto, è stata pure cazziata lei al posto della vandala. Ma avrebbe dovuto metterlo a posto, invece di asciarlo alla di lei mercé. Ah, le ingiustizie genitoriali!
Ma non divaghiamo, ché mi ero riproposta post breve e incisivo, e già sul breve avrei i miei dubbi.

Dicevo, da non crederci, riessere qui, a calcare il suolo patrio (di casa), dopo aver girovagato per suoli e case altrui, un po' in prestito, un po' ospiti e un po' senza fissa dimora.
Partimmo come Colombo verso ovest e siamo tornati da est.
Potremmo dire di aver fatto un piccolo giro del mondo a modo nostro, in più tappe e diversi mezzi, più che come Colombo, che malgrado le ottime intenzioni, non ci arrivò, direi come Phileas Fogg, o forse sarebbe più corretto come Magellano?
Sottigliezze.

giovedì 30 maggio 2013

Vi racconto una sedia...

Fuori misura

Un post da finire da un'infinità di tempo.
E allora perché oggi? Mah!
Sarà che faccio pulizia nella cartella "bozze".
Sarà che mi è tornata tra le mani questa foto qui sopra (la persona ritratta mi ha espressamente autorizzato alla pubblicazione della propria "effige". Securitalia invece no, ma...).
E per l'esattezza posso dire che rimuginavo su questa foto da circa un anno, da quando cioé, rimuginavo di recarmi a quest'appuntamento, proposito poi non mai esaudito.



Peccato: la stupida auto della sicurezza stradale notturna ha rovinato tutto l'effetto "Signora Minù" (ve la ricordate Minù Pepperpot?).
Comunque la foto rende abbastanza: qualcuno di noi due è fuori misura, cara la mia sedia!
Cosa accidenti ci fa una sedia di quelle dimensioni abbandonata in strada nel centro di Milano nel cuore della notte?
Cosa ci facevamo noi (io e la Signora Minù della foto, nel suo rosso cappottino) in centro Milano nel cuore della notte?
Chi ha lasciato quella sedia lì?
Cosa sta facendo la Signora Minù della foto? Si arrampica sulla gigantesca sedia o ne sta scendendo a fatica, dopo aver assistito a uno spettacolo di strada per giganti?
Mah!
Non son qui per dissipare i vostri dubbi.
Del resto potrebbe darsi benissimo che questa foto sia una messa in scena, sì, cioè, che la mia Signora Minù si sia messa in posa proprio per fare la foto, che la sedia in questione non fosse altro che una trovata pubblicitaria di Stokke o chessoìo (o una qualche forma di arte contemporanea di strada chessoìo) che l'auto di Securitalia abbia rallentato per capire cosa accidenti stessero tentando di fare alla Stokke quelle due girovaghe notturne per Milano...

Ma, per l'appunto, che ci facevamo?
Niente: vagavamo. Nell'attesa di poter prendere il treno per tornarcene a casa, dopo aver assistito a un concerto che era un regalo di compleanno. Quanto mi piaceva fare regali di compleanno a effetto, quando potevo permettermelo! Peccato che poi sceglievo le combinazioni data-location più infattibili e alla povera malcapitata di turno toccava fare i salti mortali per poterne usufruire...
E così siamo finite a vagare nottetempo per quelle strade, come uscite da un trip allucinogeno. Eppure ricordo pure che Vinicio lo disse, durante la presentazione di una delle ultime canzoni, che si scusava, ma oltre alle ombre cinesi non disponeva di pipe da oppio per ricreare il clima della fumeria di C'era una volta in America...
Niente oppio, dunque, ma quella nottata per strada a vagare e a fare incontri bizzarri la ricordo avvolta comunque da un'aura di delirio oppiaceo.
Tipo l'artista delle lampade che si trascinava dietro quel monoblocco di granito che era la sua ultima creazione artistica, creazione che voleva rifilarci alla modica cifra di qualche centinar d'euro... non che il prezzo fosse l'impedimento maggiore, quanto l'idea pazzesca di doverci a nostra volta incollare la granitica lampada artistica per le strade della città by night. Come se non fossimo già abbastanza derelitte così.
Tipo il venditore di fiori sordomuto che regalava rose alla mia amica Signora Minù, con la quale intavolava lunghissime conversazioni in una lingua dei segni improvvisata che io puntualmente fraintendevo.
E questa epifania improvvisa, della maxi-Stokke, o chessoìo, piantata nel bel mezzo del selciato, a emblema del generale clima di non-sense dell'intera nottata.

Ecco, se mi vien chiesto di raccontare una sedia, questa è la prima che mi viene in mente, anche se di lei, a dire il vero conosco assai poco, poiché ha finto col rappresentare in un'unica istantanea quella memorabile notte.

E per chi si stia chiedendo di che accidenti parla questo post rimando a Measachair, una delle idee più folli che mi sia capitato di trovare in rete:
Un blog, una pagina facebook, una raccolta iconografica: tutto ruota intorno ad un oggetto di uso comune – la sedia – oggetto fisico, simulacro, pretesto di dialogo. L’idea di fondo è l’espressione del valore individuale: ogni persona è speciale e ha qualcosa di interessante da raccontare.
Ecco riassunto il loro progetto nel blog di Stima.
Oppure su quello di Camilla, alias Ladoratrice.

E per finire, un invito al gioco per chi volesse dare il suo contributo e raccontare a sua volta, una sedia.

Per quanto mi riguarda, datosi che inauguro così l'etichetta (o "la letichetta" come direbbe Mimi) "sedie", immagino che potrei pubblicarne altre ancora... chissà.

Buone sedute a tutti!

lunedì 26 novembre 2012

La mia città invisibile.

Non pensavo che avrei preso in considerazione l'idea di lasciare Fillide tanto presto.

E' che troppo spesso abbiamo la presunzione di poter fare pronostici o formulare aspettative per quel che riguarda il futuro della nostra vita, mentre è vero che non abbiamo il potere di determinare nemmeno il suo evolversi nell'immediato avvenire.
Per il momento una gran nebbia avvolge il mio immediato futuro.
Visibilità limitata: procedere con cautela.

Niente addii lacrimosi. E' ancora presto; se verranno, verranno poi.
Solo il tentativo di raccogliere i miei ricordi visivi in un'immagine unitaria.

Ci sarà sempre una città invisibile che mi porterò dietro, andando via, anche se non corrisponderà mai a quella città che è, che è stata o che sarà la vera Fillide.

Fillide.







Giunto a Fillide, ti compiaci d'osservare quanti ponti diversi uno dall'altro attraversano i canali: ponti a schiena d'asino, coperti, su pilastri, su barche, sospesi, con i parapetti traforati;









quante varietà di finestre s'affacciano sulle vie: a bifora, moresche, lanceolate, a sesto acuto, sormontate da lunette o da rosoni; quante specie di pavimenti coprano il suolo: a ciottoli, a lastroni, d'imbrecciata, a piastrelle bianche e blu.




 























In ogni suo punto la città offre sorprese alla vista: un cespo di capperi che sporge dalle mura della fortezza, le statue di tre regine su una mensola, una cupola a cipolla con tre cipolline infilzate sulla guglia.


 



 




 

 


 





"Felice chi ha ogni giorno Fillide sotto gli occhi e non finisce mai di vedere le cose che contiene", esclami, col rimpianto di dover lasciare la città dopo averla solo sfiorata con lo sguardo.

 


 


 











Ti accade invece di fermarti a Fillide e passarvi il resto dei tuoi giorni. Presto la città sbiadisce ai tuoi occhi, si cancellano i rosoni, le statue sulle mensole, le cupole.









Come tutti gli abitanti di Fillide, segui linee a zigzag da una via all'altra, distingui zone di sole e zone d'ombra, qua una porta, là una scala, una panca dove puoi posare il cesto, una cunetta dove il piede inciampa se non ci badi. Tutto il resto della città è invisibile.

 





Fillide è uno spazio in cui si tracciano percorsi tra punti sospesi nel vuoto, la via piú breve per raggiungere la tenda di quel mercante evitando lo sportello di quel creditore.

 

 





I tuoi passi rincorrono ciò che non si trova fuori degli occhi ma dentro, sepolto e cancellato: se tra due portici uno continua a sembrarti piú gaio è perché è quello in cui passava trent'anni fa una ragazza dalle larghe maniche ricamate, oppure è solo perché riceve la luce a una cert'ora come quel portico, che non ricordi piú dov'era.




Milioni d'occhi s'alzano su finestre ponti capperi ed è come scorressero su una pagina bianca.



Molte sono le città come Fillide che si sottraggono agli sguardi tranne che se le cogli di sorpresa.