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giovedì 22 gennaio 2015

Il rumore dei desideri.


Mamma, vorrei tanto la carrozza delle Winx. Vorrei avere tutte le principesse, e vorrei restare per sempre di quattro anni. Vorrei avere tante sorelle e due gemelle. Vorrei che Buia restasse sempre con noi. Vorrei un piccolo gattino per prendermi cura di lui. Voglio fare un pigiama party con tutte le mie amiche e vorrei invitare una volta Matilde a casa mia e farle vedere tutti i miei giochi. Mamma, vorrei fare un disegno grandissimo con tutte le scritte. Mamma, io voglio stare sempre con te. Non voglio che tu muoia, mamma. Non voglio mai crescere e non voglio mai morire.

mercoledì 26 marzo 2014

Conflitti interiori.

C'è una me che quando esce di casa la mattina, con una pupa a mo' di koala sul fianco e un'altra attaccata al braccio che si ferma a ogni gradino per costringerla ad ammirare i fiori bianchi del susino, c'è una me che maledice quelle dannate scale, e desidererebbe tanto abitare in una casa normale, in un condominio, magari, con atrio e tutto il resto, e ascensore, e magari anche pagare la pulizia delle scale, al limite, ma poter lasciare il passeggino nell'androne, invece che nella rimessina del sottoscala a portata di muffe e pioggia.

C'è una me che quando cammina per strada a volte sbircia nei giardini altrui, indugia sulle facciate delle villette bifamiliari, immagina vite al di là delle finestre con le serrande abbassate, protette da grate e sbarre che lasciano intuire un'urgenza di privacy legittima e motivata probabilmente dal possesso di beni sudati in anni di onesto e integerrimo lavoro ben retribuito, contributi pagati, contratti sicuri, entrate adeguiate al proprio tenore di vita.

martedì 11 dicembre 2012

Una settimana piena.

Evviva evviva! E udite udite.
Lo so che al mondo può anche non interessare gran che, ma oggi si celebra la riconquistata libertà di gestione dei tempi e degli spazi.
E fatemela godere finché ce n'è, che tra qualche mese piangerò di nostalgia ripensando a quando potevo permettermi tanto.
La porta di camera chiusa e io a scrivere cose futili sul mio blog. Nessuno che mi interrompe con frasi tipo: "Mamma, ma 'ccuda, io voglio vede'e Pimpaelasuapaperina!" (tono da povera bimba incompresa e frustrata nei desideri, come se non l'avesse mai visto, quel dannato video. Al punto che io stessa ho imparato a memoria le battute e gli spezzoni musicali. Grave.)
Insomma, questa cosa del posto letto al nido è fantastica perché mi permette di godere gli spazi di casa.
In genere quando metto a letto lei finisco confinata nello spazio angusto della nostra cucina sbilenca, appollaiata su una sedia, che non è comodo, a fare cose che farei volentieri sbracata su un letto, o magari su un ipotetico divano, in un ipotetico salotto. Lusso per pochi, finora soltanto il vago miraggio di una terra promessa che per qualche tempo si è lasciata intravedere, per poi allontanarsi...
Sì, sto parlando di nuovo di una casa. Della casa, di cui forse un giorno parlerò per benino a mo' di autoterapia, quando sentirò di aver del tutto metabolizzato il lutto della perdita. Sto pensando (ancora) a "quella" casa, a cui abbiamo rinunciato.
Ma insomma, l'importante è avere un tetto sopra la testa no? No?
E quello ancora non c'è crollato addosso, no.
Per ora.
Ma mi dimentico fin troppo facilmente come è duro calle lo scendere e salir per queste scale (che Mimi ha battezzato "Panzulle", non chiedetemi perché) quando è inverno e sai che in casa troverai solo il momentaneo sollievo di chi viene da fuori, prima che il freddo ti penetri nuovamente nelle ossa e tu sarai costretta ad accendere il forno per salvarti dall'ibernazione casalinga.
Un altro inverno qui non lo faccio, ripeto sempre ad ogni nuovo inverno. Ma guarda: siamo già a otto inverni, e salvo qualche bronchite saltuaria, siamo ancora vivi.
Sopravvissuti anche a questa lunga malattia di Mimi, che oggi, dicevo, certificato medico di ammissione alla mano, è rientrata, con mio grande sollievo e sua insperata impazienza, al nido "dagli amici", e per l'occasione si è voluta mettere un vestitino rosa con fiori e merletti che non sapevo nemmeno di avere (parte degli stock rimediati da mia madre ai vari mercatini dell'usato che metto da parte perchè sempre immancabilmente fuori taglia, e poi dimentico) e andava rimirandosi felice come solo una bambina di due anni sa essere e ripetendo convinta: "Mamma, guadda: sono popio una pincipetta! Sono popio la Pincipetta 'Ccopa!" Sì perchè ora il suo alter-ego principesco ha un nome: e il suo nome è Principessa Scopa... Mah! I doppi sensi non sono ammessi, prego.

E comunque era ora. Abbiamo esaurito fantasia, energia, e buona volontà.
Abbiamo giocato col didò, dipinto un quadro, fatto le collane, preparato la cena (lei ha tagliuzzato un fungo nel tempo in cui io ne ho affettata una confezione), fatto la pizza, fatto l'albero di Natale, indossato le collane di mamma, letto più volte l'intera nostra biblioteca casalinga, fatto una torta, dipinto le farfalline di pasta, fatto il pane, colorato ancora, travasato secchiate di nocciole, fatto il bagno agli animali e guardato Olivia Paperina allo sfinimento.
Nel frattempo è passata una settimana più o meno infruttuosa, tra febbri, antibiotico, conseguenti diarree, fiumi di cacca, ritorno al pannolino, piumoni da lavare, pioggia torrentizia che mi ha impedito fulminei blitz alla lavanderia, crisi di nervi legate all'assenza di lavatrice in casa, notti praticamente all'addiaccio, ricerche spasmodiche di coperte volatilizzatesi nel nulla, telefonate ad amiche ex-coinquiline per chiedere se, fosse mai, per caso non avesse preso con sé sbadatamente una nostra coperta di lana pesante non più pervenuta, risposte che, no no, io non ce l'ho, avete guardato bene nello sgabuzzino?, gite al mercato ad accattare di corsa un piumone, notti ancora tutti e tre nel lettone per evitare di disperdere il nostro prezioso calore corporeo più due felini scalda-piedi, telefonate continue ad agenzie e visite pomeridiane sotto la stessa pioggia torrentizia che "mi tieni la pupa per favore una mezz'ora c'ho da andare a vedere una casa", altre corse in farmacia a (ri)comprare l'Enterogermina. Cose così.

E' che dicembre finisce sempre troppo in fretta, e uno si fa troppe illusioni di poteri riuscire a fare troppe cose.
Ti frega, sì, anche perché ci sta sempre di mezzo almeno una settimana di malanni, guarda un po', tutti gli anni è lo stesso.
Per esempio mi sarebbe piaciuto portare Mimi alla biblioteca dei piccoli di Lucca, e per l'occasione fare un giro per la città.
Poi vorrei trovare casa, magari, che io non demordo.
Poi avrei tante cose da scrivere sul blog, che mi vengono in mente sempre mentre sono in bicicletta e le trovo cose molto degne di nota e attenzione, se non è una ripetizione usare entrambi i termini, peccato che poi mi manca il tempo e la presenza mentale per dar loro una forma compiuta e scritta e lineare, e così prendo nota e loro si accumulano.
Poi vorrei portare a stampare le foto del 2011, che ho messo sulla pennina da circa un anno, aspettando di avere i soldi (ah ah!) per portarle dal fotografo.
Poi vorrei finire l'album dei primi due anni di vita di Mimi (e guardate, questa settimana ho finalmente finito di riempire quello della nostra vacanza estiva dell'anno scorso! Wow!)
Poi volevo realizzare un (tardivissimo) calendario dell'avvento (tanto lei non è che si formalizza se lo faccio iniziare a scoppio ritardato), perché lei continua a dirmi: "Che bello il nostro albero mamma! Natale sarà felice quando viene!" intendendo, credo, Babbo Natale, e mi piacerebbe dare un'idea del tempo che occorrerà aspettare prima che "Natale" venga a farci visita. Non l'ho fatto prima perché... stupidamente pensavo non fosse in grado di apprezzare al pieno il senso dell'attesa, ma mi sbagliavo, e ora rimedierò. Lo faccio eh, promesso (ormai domani).
E a proposito di calendari, avrei un conto in sospeso con un'amica blogger che aspetta da circa un annetto... lo faccio, giuro! (sob!)
Poi programmavamo di andare una domenica all'acquario di Livorno, visto l'entusiasmo da lei dimostrato per gli acquari. Rimandato, per ora, che ci abbiamo un po' di spese in sospeso, e non è ora per i surplus.

Per esempio ci avrei ancora da pagare la retta del nido di ottobre e l'affitto di casa di dicembre, la bolletta del gas che scadeva oggi, la multa di 700 e passa euro per lo scontrino fiscale smarrito (perchè lui sostiene di averlo fatto, così ci tocca pagare pure le spese per la contestazione rigettata), la seconda rata della spazzatura che scadeva a ottobre, l'assicurazione della macchina che... va be', non è mica colpa nostra.
Sentite questa: l'amico fidato di amici che "guarda è proprio un bravo ragazzo, e poi ha bisogno di ingranare, gli va data fiducia, vi fa un prezzo buono etc etc" è andata a finire che ci ha solato 700 e passa euro (sì, ancora: sarebbe da giocarsela al lotto 'sta cifra) e mai ricevuto il tagliando dell'assicurazione. Dopo svariati mesi ci viene in mente di indagare, ma lui è ormai irreperibile. Vien fuori che ha diverse denunce per truffa, e non ultima quella da parte della compagnia assicurativa per cui lavora... va be', ma allora ditelo, cazzarola! Se non è sfiga questa... come? Dite che è anche idiozia? Magari un po'. Vatti a fidare più degli amici di amici.
E' che il beduino si rifiuta di pagare l'assicurazione più di quanto non abbia pagato l'auto... difficile obiettivo, se si considera che il catorcio ce l'han tirato dietro e a momenti ci pagavano per portarcelo via.
Ma comunque il catorcio richiede una ripassatina dal meccanico, perché al mattino con il freddo si rifiuta di partire.
Non che io prenda la macchina senza assicurazione eh! Mmmmh...
Va be', come non detto.
E poi dovremmo pure andare a Roma per le feste... Pro memoria per me: sistemare la questione "auto" prima della partenza (no! Il treno nooooooo! Vi prego!)
...
Il regalo alle maestre! Oh, cazzo! Quasi dimenticavo!
Dite che va bene anche un "pagherò"?

Femminile singolare

Lei e il boa
albero sbilenco

Mimi concentrata a metter palle
I grappoli di palle assemblati da Mimi



Mamma a me piacciono tolo i chicchi.

Si fa quel che si può...

martedì 16 ottobre 2012

Smaramba di pensieri (tra le righe: sindrome del nido).


Cielo in grande movimento.
Sole. Caldo. Pioggia. Acquazzone. Vento. Freschetto. Piumone. Afa. Zanzare. Boh.
Mi sveglia poco prima dell'alba un violento scroscione. Il mio pensiero va alle magliettine stese della pupa, in terrazza: pazienza. Poi alla bicicletta, esposta alle intemperie perché gli operai che lavorano all'appartamento del piano terra non vogliono che la lasci più sotto la tettoia; dicono che li intralcia nei lavori. Mah.
Mi alzo a fatica e così come sono (in pigiama, eh. Niente gocce di Chanel per me!) infilo il poncho impermeabile, le ciabatte e scendo a spostare la bicicletta, rischiando di ammazzarmi sulle scale bagnate, ché si scivola. E' praticamente buio e mette un po' di depressione. Non si capisce bene se il sole è già sorto o meno.
Raramente riesco ad anticipare le due sveglie feline sonore e tattili.
Un pensiero: lasciar dormire la pupa, che russa nel lettone col padre, mezza raffreddata e distrutta dalle scarpinate del giorno prima* e uscire per sbrigare alcune faccende che devo, che non avrei voglia, che preferirei rimandare, ma che devo.

(*In programma prossimo post sulle nostre gite domenicali, se ci riesco)

La maternità ha migliorato in me molti aspetti in cui ero prima assai carente.
Puntualità, rapidità di azione, organizzazione.
Chi mi conosce sorriderà di certo, pensando che non lo sono affatto nemmeno ora. Ma ora posso imputare gran parte dei miei insuccessi in questi campi alla di lei presenza, che ce la mette tutta per creare elementi di disturbo, per quanto è in suo potere.
Senza la pupa sono pronta in mezz'ora, lavata, vestita e colazionata, esco di casa con un'ora di anticipo rispetto al consueto, quando porto lei al nido, e sono di ritorno, a faccende sbrigate, all'ora in cui normalmente riesco ad uscire di casa.
Mi piace la città scintillante di pioggia, il cielo minaccioso che incombe sopra i Lungarni plumbeo, pesante, i colori più vividi dopo la lavata notturna, il sole che filtra di quando in quando creando spettacolari contrasti di luce.

E' un periodo strano. Come il cielo di questo ottobre fin troppo canonicamente autunnale mi oscuro e mi rassereno, altrettanto subitaneamente, mi abbatto per ostacoli tutto sommato ordinari, mi faccio coraggio e mi butto nell'ignoto con una discreta incoscienza, rinsavisco e muoio di strizza, crollo di stanchezza alle nove di sera, resuscito alle due di notte e non riesco a prendere sonno assediata da millanta dubbi e pensieri, ansie solo parzialmente razionali e problemi che in fondo a pensarci sono del tutto affrontabili, con la dovuta calma, mi riprometto metodo e efficienza diurni e poi mi perdo in tergiversazioni del tipo dovrei fare 'sta cosa ma siccome la sola idea di farla mi mette su un bel po' di ansia, magari prima faccio quest'altra, ritrovo a tratti la calma atarassica e mi sembra tutto perfettamente sotto controllo, mi mostro affabile, disponibile al confronto, diplomatica, fin troppo comprensiva e accomodante a tratti, esplodo di collere verso ignoti o verso noti in differita, rimugino risposte pronte non date in tempo, e quindi non pronte, ma tardive, in quanto tali inutili.
Chè non è la stessa cosa mandare un messaggino postumo dicendo, tipo: a proposito di quel che mi ha detto tre ore fa, ho pensato che la cosa più giusta sarebbe stata risponderle così:..."
Ormai è andata. Mi incazzo anche per l'immagine che proietto di me, affabile  e sprovveduta, docile alle manipolazioni, poi alzo la cresta e magari pecco un po' in presunzione e saccenza.
Non è così che vorrei, o che dovrei affrontare queste battaglie. Vorrei mostrarmi più calma, consapevole, riflessiva e cauta sì, ma non indecisa e titubante, determinata ma non in preda alla fretta e all'ansia.
Chè a me sembra proprio una battaglia questa estenuante ricerca di casa.
Una battaglia a tratti senza speranza.
A tratti mi sento così stanca, ma così stanca.
E getterei la spugna, sì. Chi me lo fa fare. Chi ce lo fa fare.
Ah, che senso di leggerezza, di libertà, al sol pensiero di non dover più combattere tutti quei duelli verbali, la diffidenza, il tastare il terreno, le mosse false, gli azzardi, le stoccate, la ricerca di un compromesso.... AH! Cazzo! L'ho detto! Ho detto quella parola! Compromesso!
Parola che da sola basta a mandarmi in fibrillazione.
Quasi quanto "mutuo", "notaio", "accatastamento", "visura catastale"... Aaaaah! Ma che è sta roba? Voglio morì!
Ricerco le mie onde Theta. Yuhù? Onde theta? Ci siete?

Hasuna una sera mi ha detto: allora, visto che tu non vuoi proprio venire in Libia potremmo vendere la macelleria e andare in qualche Paese tropicale, prenderci una casetta, aprire una piccola attività e vivere lì, senza tutti questi casini che ci sono in Italia.
L'ho guardato non capendo se stesse scherzando oppure no.
Era serio.

La verità è che a me piace vivere in questo porco Paese.
Non sono di quei topi che scappano quando la nave affonda, sono se mai di quei topi, se ve ne sono, che si rintanano in attesa che passi la tempesta, pronta a colare a picco con lei, con la nave in cui sono nata, che conosco, che amo, in cui mi sento al sicuro, a torto o a ragione, in cui ho progettato di navigare mari più limpidi, e chissà che non si riesca ad arrivare al porto sani e salvi, invece, non è mica detto che debba finire in un naufragio.
Io sono speranzosa. Ma allo stesso tempo tremo.
Oltretutto fa freddino e non trovo un pantalone che mi stia. Mi tocca andare in giro con variopinte gonne di cotone come una hippie fuori stagione.
Oh, accidenti alla panza accidenti!

Non volevo parlare qui di questa cosa della casa, ma i post su quanto è bella e simpatica la pupa e sui suoi librini stavano nauseando persino me.
Del resto dico di non essere scaramantica, ma in mancanza d'altro, uno prova tutte le strade.
Dicono si chiami sindrome del nido, e che sia colpa sempre dei soliti ormoni della gravidanza.
Voi ci avete capito qualcosa in questa smaramba?

martedì 14 agosto 2012

Vorrei.

Illustrazione di Alessandra Vitelli

Vorrei fare una gita fuori porta, noi tre, come facevamo un tempo, da qualche parte amena, che metta d'accordo me e il beduino. E vorrei un po' di fresco, se possibile.

Vorrei portare la pupa da qualche parte che non dimenticherà, di quelle che poi per i prossimi sei mesi continuerà a ripetermi all'infinito "Abbiamo visto... T'iicoddi, mamma?"

Mi piacerebbe portarla prima della fine dell'estate al Parco di Pinocchio a Collodi, malgrado i prezzi vertiginosi degli ingressi. Vorrei poterla immortalare mentre passa sotto le gambe della statua del carabiniere, come mio fratello l'ultima volta che andammo, che aveva due anni allora come lei ora. La immagino entusiasmarsi per il gatto e la volpe e per l'immensa balena, quando entreremo nella sua bocca, e riconoscere gioiosa questo o quel personaggio della storia man mano che prosegue il percorso di visita.

Vorrei prima o poi portarla anche al parco dei mostri di Bomarzo (meglio Sacro Bosco), e rivivere attraverso lo stupore dei suoi occhi, il mio, ormai vivo solo nei lontani ricordi di una prima infanzia che tutto ingigantisce a ammanta di una luce fiabesca, perché, senza di lei, tornarci, lo so, forse sarebbe solo una gran delusione, malgrado le mie conoscenze acquisite nel frattempo, malgrado la mia tesina sui temi del Sacro Bosco e sulla filosofia neoepicurea di Vicino Orsini, ideatore del programma iconografico.

Vorrei andare anche con lei a rivedere il Museo di Storia Naturale della Certosa a Calci, perché l'ultima volta che ci sono stata avevo il panzone, e pensavo: in questo posto mi piacerebbe ritornare con lei, quando sarà nata, sono sicura che le piacerà. E ora che la conosco ne sono sempre più sicura, perché conosco le sue passioni, il suo amore per gli animali, il suo entusiasmo per i fiori, la sua gioiosa eccitazione quando fa qualcosa di diverso insieme a me e al babbo, "Mamma, Buia e Mimi, tutti e t'e!".

Vorrei concretizzare in qualche tappa importante lo scorrere ozioso di questa estate lunghissima in cui le idee su come passare le giornate scarseggiano già da un po', e lei si annoia al punto da ripetermi più volte al giorno: "Quando andiamo alla ccuola di Mimi?"

Vorrei che la nostra vacanza insieme finisca per essere qualcosa di più che lo starci addosso reciprocamente nel caldo appiccicoso della casa, e migrare stancamente verso giardini deserti a cercare un po' di fresco sul far della sera.

Vorrei liberarmi di questa fiacchezza del corpo e dello spirito.

Vorrei mettere mano ai miei progetti che per ora continuano a rimanere tali senza assumere forma più concreta di propositi, che non trovo la forza o il coraggio di affrontare sul serio.

Vorrei andare a mangiare una pizza una sera, appena finisce sto cazzo di Ramadan al Beduino.

Vorrei non essere più così intollerante verso le cose in cui lui crede, anche se a me sembrano stupide e inutili superstizioni. Tanto per complicarsi un po' di più la vita, e complicarla al prossimo.

Vorrei una casetta tutta nostra, con un piccolo giardino magari, su due piani, magari, com'è che lo chiamano in gergo immobiliare? Ah, sì: terratetto. Terribile definizione.
Immagino di allestire la camera della pupa e nella mia testa la chiamo "la camera dei bambini" e ci sono scale in legno e soppalchi e scaffali, come in quella della mia prima infanzia, quando ci arrampicavamo come bertucce sui ripiani più alti e ci infilavamo nei loculi sotto il soffitto. E una libreria dove riporre in ordine tutti i libri di lei, per ora sparpagliati nei vari anfratti della nostra pseudo-casa-parcheggio di oggetti.
Vorrei un bagno con una porta che si chiuda e una temperatura interna abbastanza idonea alla sopravvivenza biologica dei suoi abitanti.

Giacchè ci siamo vorrei un salotto con un divano, in modo da non dover avere la tv in cucina, ché mi urta, e soprattutto vorrei una cucina vera, dove non devo giocare a tetris per farci entrare tutte le pentole infilando questa nel forno, quest'altra in cima alla mensola, questa terza appendendola a un gancio nel muro e questa quarta... uhm... (non fatemi essere volgare), e dove non siamo costretti a tenere la roba per la colazione in un piccolo frigorifero spento.

E poi non mi farebbe schifo avere una lavatrice, e uno spazio mio per stare, e tenere le mie cose, e magari occuparmi delle mie cose, foto, pc, stampante, libri, materiali vari di hobbistica che non ho mai avuto modo di coltivare intanto perché non ho mai avuto lo spazio per potermici mettere, e che ora giacciono sepolti in qualche scatola sul fondo di qualche armadio, la lana, i ferri, le stoffe, i fili di rame con le pinze, i pezzi di legno per il tornio...

E se proprio devo immaginare, allora voglio un magazzino per infilarci dentro tutte le carabattole di Hasuna, che non stiano in giro per casa in mezzo agli zebedei, tutta la sua robaccia di pesca, e le sue antenne satellitari raccattate dalla munnezza, e i suoi cavi e fili, e pezzi di transistor, e apparecchi elettronici rotti, buttati via da altri, dalla misteriosa utilità.

E poi e poi...

domenica 17 luglio 2011

Make a wish. Combattere la nostalgia canaglia.

Quando cose di scarsissima rilevanza hanno il potere di illanguidirti le giornate di un luglio che volge in meglio, complice una brezza piacevolmente fresca e asciutta diligentemente preannunciata da tg e meteo, beh, allora sei inguaiata, perché non ne esci.
Stai lì a rivisitare momenti e immagini della tua notte più lunga e di tutto quello che è seguito, fino ad arrivare qua. Ricordi che riguardano me sola, dentro una stanza e tutto il mondo fuori na na na na na. O forse lei, sola dentro una panza?
E il beduino che non c'è, in missione a Roma, lasciandomi qui a svolgere in solitaria i compiti del week end con pupa, anche questo mi immalinconisce un po', pure se, finalmente, che bello, me ne sto un poco per i caz miei. Immalinconita.
E allora urge correre ai ripari.
Piccoli obiettivi, realizzabili con una manciata di impegno e forza di volontà.
Un desiderio la cui realizzazione dipende unicamente da me.
Ecco: vorrei fare qualcosa di bello per il primo compleanno di mia figlia.
Vorrei che lei si senta festeggiata.

Iniziamo con poco:

 
Colgo l'occasione per pubblicare questa brutta foto, così posso finalmente cestinarla.
Volevo pubblicarla qualche tempo fa, perché è una delle poche torte che saprei riprodurre a occhio e memoria, senza consultare manuali di cucina e appunti, perché è facile, e si chiama nel mio gergo "torta di Concetta", perché la ricetta me l'ha data Concetta per l'appunto, ma è una banalissima torta di mele, e allora magari è pure inutile riportarla qui, la scontatissima ricetta.

Domani ci mettiamo su una candelina  a forma di numero 1 e cantiamo tanti auguri i italiano e poi in arabo: Kulla am wa anti bichair, che metricamente non ci sta un piffero, ma pazienza.
E viene pure da Roma la mia amichetta d'oro, cosa volere di più?
E poi pupa scarterà i regali.
Che regali? Boh! Qualcosa le vorrai regalare a tua figlia per il suo primo compleanno, no?
Madre degenere che altro non sei! Lo so cosa stai pensando: ma se neanche sa che è il suo compleann...
E non appellarti a una facile etica anticonsumista, che va bene pure un calendario vecchio a lei per farsi prendere dall'entusiasmo, basta che glie lo impachetti ben bene. Eh, ma non ti provare a regalarle per davvero un calendario vecchio! Stai attenta a te.
Lunedi molli la pupa alla Master e vai a cercarle un regalo come si deve!
Come! E allora tutti i libretti che le ho comprato sabato scorso? E il set di secchiello e paletta per la spiaggia? E i gommoni/salvagenti/piscine gonfiabili come se piovesse che ha ricevuto dalle mie amiche/zie negli ultimi tempi?
No, ma quelli ormai... Non vale: deve esserci  almeno un pacchetto da scartare  quel giorno, dopo la torta.
Crea il rituale del compleanno.
Ecco cosa vorrei: creare a mia figlia il rituale del compleanno.
E il prossimo desiderio lo esprimerò per lei, mentre spegnerà la sua prima candelina, che forse lei non capirà se glie lo sussurro all'orecchio, di esprimere un desiderio mentre soffia. Lei no, che di desideri non ne ha ancora, le basta ridere quando suo padre la porta sulle spalle e le fa fare il cavallo pazzo, inseguendo la mamma per casa. Ed è felice.

Poi se riesco pure a concretizzare quella mezza idea che mi ronza per la testa della festicciola-scampagnata in luogo fresco domenica prossima, racimolando un manipolo di amici scampati all'esodo vacanziero, meglio ancora.
Ma andiamo per gradi, che devo ancora fare la torta, e non oso pensare al caldo che farà in casa dopo che avrò acceso il forno...

Mamma mia quanto la sto facendo lunga con questa storia. Non sono mai stata così in fissa per l'avvicinarsi del mio, di compleanno, nemmeno da piccola, giuro!

Desiderio espresso su invito di Owl, la mia amica blogger dal cuor di carciofo.

sabato 25 giugno 2011

Viaggi sognati, programmati, sfumati...

Dove mi piacerebbe andare?
Risposta difficile. Risposta più che scontata: ovunque.
Suster nella sua vita non ha girato molto, e non ne è orgogliosa, non ne è felice, ma nemmeno se ne fa un cruccio troppo grande.
Le occasioni che si sono offerte le ha colte. E' che non ce ne sono state troppe, finora.
Quando non lavoravo, non avevo mai i soldi. Quando ho cominciato a lavorare avevo finalmente i soldi, ma non avevo più tempo per utilizzarli. E' il dilemma cruciale dell'umanità, credo. O almeno di quella fetta di umanità che deve e sa arrangiarsi come può.
Suster non ha girato troppo il mondo però ha almeno due motivi per essere fiera di sé: il primo è che l'Italia almeno, se non il mondo intero, l'ha girata sì, che l'ha girata. E per questo sarà eternamente grata ai suoi avventurosi genitori. Sì, anche per le estenuanti giornate nei musei, che hanno contribuito a fomentare la sua passione per l'arte e per la storia.
Il secondo motivo di orgoglio è che Suster può vantare almeno un viaggio inter-continentale, e che viaggio! Per questo sono invece debitrice al mio lui. Ma ve ne parlerò in sede apposita.

Ora vi parlo invece dei posti in cui mi piacerebbe andare, prima o poi.

Immagine tratta dal web, ovviamente.

Ecco qua. Il primo è questo.
Da quando abbiamo iniziato la nostra love-story, io e il beduino, progettavamo di prenderci questo "anno sabbatico" per girare in lungo e in largo l'America del sud, andando a trovare i numerosi amici che entrambi abbiamo laggiù, sparsi un po' per tutto il continente, dal Cile all'Argentina al Messico.
E' rimasto un sogno, per ora, ma ve lo dico: che io non mi chiami più Suster se un giorno non ci andrò, in Messico. Oh, sì: un giorno andremo in Messico; se pure non dovessi mai riuscire a girarmi tutto il continente latino-americano in moto come il Che, che almeno io riesca a farmi un bell'iter messicano. A costo di girarcelo a piedi e in autostop con gli zaini e la tenda, fare l'elemosina per strada e lavare i piatti nei ristoranti turistici per autofinanziarci.

Foto di repertorio susteriano.

L'ultimo viaggio che avevamo in programma di fare insieme tutti e tre noi, invece era per una meta un pochino più vicina, ma è sfumato per ragioni non nostre.
Doveva essere in febbraio: così avevamo stabilito già da circa un annetto, se non fosse che: in dicembre il beduino ci raggiunge con il treno a Roma, dove io e la pupa trascorrevamo le vacanze di Natale a casa di mia madre. Di ritorno, sul treno, gli fregano la borsa, con dentro i documenti, tra cui il passaporto (qui il resoconto dell'incidente). Pratiche infinite per richiederne una copia all'ambasciata libica,  due mesi di attesa, e infine è pronto, il 17 febbraio.
Quel giorno scoppia la rivolta in Libia, e da lì la guerra che si protrae ormai da più di quattro mesi.
Avete capito dove dovevamo andare noi?
Dovevamo partire il 15 febbraio. Dovevamo andare in Libia. Ma il caso ha deciso che noi non partissimo mai.

E ora un sogno squinternato, immotivato, privato, mio e basta.
Ve lo rivelo: sapete cosa mi piacerebbe visitare prima di lasciare questo mondo?

Immagine tratta dal web.

Dicono che si veda persino dallo spazio. Possibile che io non la debba vedere mai, pur trovandomi assai più vicina, qui sulla Terra?
Mi piacerebbe poter dire di averne percorso almeno un pezzettino.
Chissà poi come nascono certe fissazioni.

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