venerdì 31 agosto 2012

Piove.

Lo so che sarebbe meglio io dormissi a quest'ora, ma va così ultimamente, che se il sonno si interrompe a metà nottata non c'è più verso, allora tanto vale.
Per quanto non lo ritenga molto salutare né tanto normale, mettermi a scrivere sul blog a quest'ora.
Ma fuori tuona e trepido nell'attesa di udire le prime gocce di una lunga e poderosa serie di scroscioni.
Ché mi è sempre piaciuto quando viene  a piovere così, finalmente, dopo tanto desiderio di pulizia, e di fresco.
Il mondo ogni tanto ha bisogno di essere lavato.
E a volte anche i pensieri.
La pioggia, quando arriva così, mi pare possa lavare via anche tristezze e paure, e delusioni e frustrazioni, e solitudini e incomprensioni, e rabbia e dolore.
Allora aspetto. Che arrivi la pioggia e il sonno.


mercoledì 29 agosto 2012

Eredità.


In questi giorni sono stata piuttosto occupata ad autocommiserarmi, poi a un certo punto sono riuscita a concludere, ed eccomi ritornata più o meno in me. Diciamo che poi quando i guai arrivano arrivano a grappoli, come le bombe che fanno più danno, e se non li vogliamo proprio chiamare guai, chiamiamoli problemi, e se problemi non vogliam proprio chiamarli, allora chiamateli pure pensieri, chè di pensieri ce n'è sempre, e se non ci fossero, guai, che ci s'imprigrirebbe il cervello.

E poi a nessuno piace sentire altri lamentarsi, ché ognuno ne ha abbastanza già dei suoi guai problemi pensieri, e così ultimamente scrivo solo idiozie in cui non mi riconosco molto, non riconosco il mio vissuto di ora e mi chiedo a cosa serva, e più di una volta mi son domandata se non fosse giunta la sua ora, l'ora di chiuderlo, il blog dove non parlo più di nulla. Ma poi, in fondo.

Quindi mi son detta: orsù, o qualcosa del genere, chè non son mica nata nell'800, io , anche se poco ci manca a giudicare da come mi esprimo a volte, cosa ho da rimuginare tanto?
Si sa che ciascuno è artefice del suo destino, e così io; piangersi addosso, a che pro?

Ora apro il blog e scrivo, riprendo uno di quei post iniziati secoli or sono e mai finiti (ecco, forse nell'800 devo aver cominciato questo: "Eredità", che ci volevo scrivere poi, chissà. No: Carlo Conti non c'entra. Mah!).

Ecco come cominciava: Apro il post con una foto non a caso, chè è proprio di questa foto che volevo parlare, o meglio, è questa foto che mi ha dato lo spunto a scrivere oggi.
Lasciamo stare la mia terribile felpa, che non è del modo in cui venivo, ahimè, vestita da piccola che ho intenzione di parlare qui, anche se, uh, se ce ne sarebbe da dire! 

Come al solito grandi divagazioni per dire infine che la pupa aveva iniziato a sillabare con la vocale "o", e faceva un mucchio scompisciare, ché la pronunciava tutta chiusa, serratissima, e diceva tipo "o" con la dieresi (come si fa a fare con la tastiera italiana) e ne usciva fuori un bizzarro "nonno", che poi era l'uomo che vedete in foto, insieme a me piccola imbronciata, ché da piccola uscivo spesso imbronciata in foto, forse perché ero spesso imbronciata, chissà.
E a me questa cosa mi aveva profondamente toccato qualche tasto profondo dell'anima, se posso dire commosso lo dico: mi aveva un poco commosso, che la pupa, dico, dicesse "nonno" indicando la foto, pur non avendolo mai conosciuto in vita sua e pur sapendo io che mai l'avrebbe potuto conoscere, non di persona almeno, ma solo per voce riportata.

E allora tante cose mi tornavano in mente. Mi tornavano in mente i giorni tristi, terribili di pianti e pensieri spauriti sul futuro, quando pensavo che lui a breve non ci sarebbe più stato, perchè la malattia se lo mangiava, e c'erano alcuni pensieri che più degli altri mi facevano male, ed uno di questi era che i miei figli non avrebbero mai conosciuto il loro nonno, che i miei figli non lo avrebbero mai conosciuto, che a loro sarebbe mancata in fondo questa eredità spirituale, questa continuità generazionale, e questa cosa mi faceva molto male.
Oh, io ce lo vedevo mio padre come nonno!

Mio padre che non ha fatto mai giochi scalmanati con noi, o di gran fisicità, come per idea comune ci si aspetta dai padri.
Mio padre che annotava i particolari della vita e ci sottoponeva indovinelli sulle piccole cose del quotidiano. Secondo te cos'è quella striscia più scura che corre lungo il muro a mezzo metro da terra? Era il cane peloso del vicino, che tutti i giorni usciva proprio da quell'apertura del garage e seguiva proprio quel percorso lungo il muro, poi tornava indietro, e nel tempo aveva lasciato la sua bella scia di grasso sebaceo.

Mio padre che inventava soluzioni personali ai problemi di ordine pratico, che a volte rasentavano la bizzarria, come quell'oblò che volle montare sull'uscio di casa...
Mio padre che trasferiva nella sua vita reale i principi in cui credeva, ma mio padre che prima di credere a un principio, guardava alle situazioni reali, che ai principi di massima mai corrispondono.
Mio padre che non amava le smancerie, che non amava sprecare parole, che liquidava i discorsi che riteneva inutili con un'infastidita alzata di spalle, e che in generale tendeva a rifuggire le occasioni di vita mondana, a conti fatti finendo per essere piuttosto orso.
Mio padre che se era invitato ai matrimoni metteva la giacca a scacchi beige, la cosa più elegante che mai gli avessi visto indosso, ma che in linea di massima riduceva il suo abbigliamento a una camicia e al solito giubbotto smanicato con le tascone sul davanti.

Mio padre che sapeva azzerare i miei patemi d'animo dando sempre la risposta più semplice, che in genere era quella che avevo bisogno di sentire, e che non avevo voglia di mettere in pratica, ma lo facevo.
Mio padre che aveva mantenuto integra la fantasia e la creatività di un bambino, era in effetti un po' genialoide, ma come tutte le persone un po' geniali, difettava nella comunicazione e nella partecipazione altrui ai propri progetti.
Mio padre che non andava mai a parlare con i docenti e lo riteneva un supplizio, e che una volta mi firmò una risposta a una convocazione della mia professoressa di greco che diceva: "Come se fossi venuto. Dite pure alla ragazza.", cosa che mandò lei su tutte le furie.

Questo e poi tanto altro, come c'è da aspettarsi, ché una persona è sempre fatta di tante cose, e descrivere in pochi tratti essenziali non è mai stato il mio forte, io che divago e per parlare di una cosa faccio prima mille giri e arzigogoli mentali e verbali, e la memoria poi non aiuta, che si riduce una persona a una serie di immagini accavallate, di ricordi episodici, aneddoti che tu ritieni esemplari a spiegare chi fosse quella persona, la cui memoria vorresti tenere viva ma non ci riesci poi mai del tutto, perchè ti sfuggono le espressioni a mezza bocca, gli sguardi, i silenzi al momento giusto.

Come quando, d'improvviso, mi sono sentita come chi porta avanti una conversazione e si ritrova a un tratto con il ricevitore in mano, muto, e non ha più modo di rintracciare l'interlocutore, perché non ha più il numero, e non lo ha l'altra persona, e la conversazione allora è destinata a rimanere così, tronca, per l'eternità. Era questa la sensazione: una comunicazione interrotta, per sempre, tante parole dette, tante esperienze, tanti ricordi comuni, luoghi visti insieme, discorsi fatti e lasciati a metà, ripresi, continuati su carta, a voce, rimandi ad altre cose dette, riferimenti a persone note, vecchie battute, sempre riesumate, lettere scritte, ricordi di quando, ricordi quando ti dissi, secondo te cosa è meglio, sai cosa mi è successo, sai cosa ho letto, lo sai che in quel posto, ricordi quando andammo.
Quella complicità che affiorava a tratti, e mi rendeva piena e sicura di un nostro rapporto esclusivo, i pochi messaggi di lui sul cellulare, criptici, come massime di vita, ancora li ricordo: "Anche buttarsi in acqua per salvare qualcuno è rischioso". Tutto finito, tutto inutile, materiale ingombrante della memoria, ormai senza destinatario, a senso unico, ed era molto destabilizzante.

E spesso mi dico che non potrò mai trasmettere a lei il ricordo che ho di lui tutto quanto, che nella trasmissione si perde il contatto diretto, e come al solito non so nemmeno da che parte cominciare.
Anche quando mi dico che lei, in fondo, lo conoscerà anche attraverso quel che io sono, più che da quel che io racconto, poi mi chiedo cos'è che è rimasto in me di lui, quale reale eredità.
Forse la mia insofferenza per le discussioni infinite? La mia intolleranza idiosincratica per la banalità, i cliché, le situazioni tipo? I pantaloni di velluto a costine? I capelli crespi, gli occhi azzurri? La tendenza a vagare per luoghi sperduti alla ricerca di quello che pochi conoscono? La  predilizione per le strade secondarie, per i percorsi non convenzionali, nella viabilità come nella vita? La sensazione di essere sempre "fuori", fuori dai ranghi? Quella sua consapevolezza un po' presuntuosa di estraneità al modo di essere standard?
Ma lui lo sapeva fare meglio, somigliando a se stesso senza inutili confronti con altri. O almeno così credevo io.

E così, sarà che ultimamente avrei avuto tanta voglia di parlare con lui, che mi desse ancora una volta la risposta più semplice di tutte, quella che in fondo già conoscevo, ma che mi aspettavo mi dicesse lui, sarà che è stata un'altra estate di attesa, come quell'altra, tanti anni fa, e c'erano le olimpiadi anche allora, e un Italiano vinceva la Maratona, e faceva caldissimo, come questo maledetto, maledettissimo agosto infinito.
Divento malinconica. Mi chiedo come sarebbe stato.
Sicuramente sarei cresciuta meno.
Questo vantaggio portano almeno le sciagure della vita, o le difficoltà, se vogliamo, che ti fan crescere.
E cerco di darmi da sola la risposta più semplice,  e porto avanti il ricordo di lui, o quel che ne resta in me, che non somiglia mai a quello che hanno altri.

- Mi 'acconti la ttoia di nonno Mauo?
- Va bene. Nonno Mauro aveva un furgoncino rosso, e quando partivamo entravamo tutti nel furgoncino rosso, e zio Ciccio lo chiamava Il tutù, perché gli sembrava un trenino. E andavamo tutti carichi carichi in giro per l'Italia, con tutte le valigie sul tetto del tutù. Anzi, prima ancora aveva una macchina azzurra vecchia vecchia, e noi bambini stavamo nel bagagliaio, che era grande, e ci stendevamo una coperta per giocare, mentre viaggiavamo, poi quando eravamo stanchi dormivamo.
- E cosa cantava nonno Mauo?
- Cantava Sol soletto vola il pipistrello e Il più bel fiorellin del mondo.
- Poi la cantone della bicicletta-cletta-cletta?
- Sì, anche quella. Quella l'ha inventata lui, eh. E' bellissima quella canzone.
- Tì: è popio bellittima quella cantone! E poi?
- Poi...

martedì 21 agosto 2012

Effusioni.


Mimi si sta esercitando a pronunciare la lettera "S". (A volte le vien fuori discreta).

- Come tei bellisssssima, Mamma!
- TU sei bellissima.
- TU tei bellissssima.
- Tu sei la bambina più bella dell'universo.
- Tu tei la bambina più bella dell... del miverzo.
- No, io sono una mamma: TU sei la bambina più bella dell'universo.
- Io tono una bambina, tu tei una 'agatta, mamma.
- Che sono io?
- Una 'agatta, mamma, tei una 'agatzzza.
- Ah, io sono una ragazza?
- Tì: tei una 'agatta bellissssssssssssssima.

(Come la amo la mia pupa! Alla facciaccia di tutti quelli che per strada mi apostrofano con: "Signora!" Ma che non si vede che sono una RAGAZZA???)

sabato 18 agosto 2012

Sopravvivere all'estate in quattro comode mosse


Quando sei piccolo l'estate ti sembra la stagione più bella dell'anno. Il resto dell'anno lo passi a fare il conto alla rovescia su quanto manca al suo arrivo, perché in fondo a quell'età estate è sinonimo di libertà, dalla scuola, dai compiti, dalla routine, dai vestiti pesanti...

Ora per me estate è sinonimo di "uff, ma quando finisce?"
Perché stai a casa, sudi come un porco, frughi nel frigo in cerca di un'ispirazione circa cosa propinare alla pupa per pranzo senza dover accendere i fornelli, quasi vomiti nel maneggiare polli crudi che non hai mai imparato a tagliare come si deve, ma tanto lei non mangerà che qualche cracker con stracchino, e anche tu, o in alternativa due acini d'uva, un succo di frutta ACE con la cannuccia e, forse, un uovo alla coques... no la devo capire questa passione improvvisa della pupa per l'uovo alla coques (che a me continua a venire fuori più sodo che alla coques) dopo che per un anno mi ha schifato l'uovo in qualsiasi veste io glie lo presentassi. Ma va be'.

Il nido intanto mi sembra esser stato un miraggio di ricordi lontani forse solo immaginati.
Partendo per le vacanze subito a ridosso della sua chiusura non ho fatto in tempo ad abituarmi all'eventualità di non poterne disporre. Al ritorno la cruda, dura realtà: due mesi di fila a gestirmi infinite giornate bollenti con la pupa insofferente, pomeriggi brevi di nanne iniziate tardi e finite tardissimo, tappata in casa ad aspettare temperature più consone a poter riaprire le imposte della cucina senza rischiare un collasso, mentre lei dorme cullata dal ronzio del nostro formidabile condizionatore d'epoca, raccattato con gran lungimiranza al mercatino dell'usato, che, devo dire ci sta risolvendo non poche notti di afa e calor...

Però questo ritiro forzato con Mimi priva di sostegno logistico esterno, supporto parentale, conforto spirituale di amici latitanti impegnati a "svernare" lontani dalla città, il web più o meno deserto, mi hanno permesso di approfondire le mie competenze in fatto di convivenza con pupa, che oramai si è consolidato quasi in una simbiosi, per cui credo che questa estate la ricorderò soprattutto così: le mie strategie di sopravvivenza di un'estate in città con lei.

- Mare. Ci son state le andate al mare mattutine: davvero, non so chi me lo facesse fare, ogni volta finiva in pianto, io incazzata, guidare sotto il sole meridiano in un'auto incandescente (per inciso, siamo riusciti a procurarci un'auto più obsoleta di quella che avevamo prima, ma siccome a caval donato non si guarda in bocca, e soprattutto non si sputa, posso dire che è stato proprio un gran bell'affare, per non dire una gran bella botta di culo il fatto che il tizio che ce l'ha mollata fosse stufo di tenersela parcheggiata sotto casa, così, insomma, sì: abbiamo pagato più l'autoradio che la macchina, fine dell'inciso), lei che snocciolava i più fantasiosi capricci del caso, prima di cadere in catalessi in prossimità della città, cosa che mi avrebbe pur fatto comodo se immancabilmente i miei tentativi di traslarla dal seggiolino al letto senza che lei si svegliasse non fossero stati frustrati da tempestivi e drammatici risvegli, ancora accompagnati da pianti furiosi e più o meno immotivati, che solo dopo molto tempo riuscivo a sedare. Del resto il sonnellino pomeridiano dopo questo abbozzo di sonno comatoso da macchina andava a farsi puntualmente fottere, e il resto del pomeriggio finiva peggio di quanto non fosse iniziato, con la conseguenza che ben presto le mie volenterose incursioni marine si sono drasticamente diradate, e infine azzerate, in attesa di tempi un po' più freschi.

Ci sono gli aspetti positivi del passare il periodo di Ferragosto a casa: non trovi traffico per strada e soprattutto i supermercati non proprio deserti ma quasi. Diciamo che ci accontentiamo.
nel mio caso ci sono state non poche aggravanti, a render ancor più odioso questa lunga stasi estiva:


- il Ramadan. 'Cidenti a me e a quando non ho ascoltato le raccomandazioni della mia prof delle medie: "Ricordate: mai sposare un Musulmano". Averla presa sul serio all'epoca mi sarei risparmiata tanto sudore ai fornelli nelle uniche ore in cui, messa a letto pupa, mi sarei potuta svaccare anche io per terra, come Panzumen, che la sa lunga, e si sceglie il pavimento del bagno, evidentemente il più fresco della casa. E invece mettiti a soffriggere cipolla, a cuocere minestre con agnello e peperoncino alle tre del pomeriggio, a rimestare brodaglie per due ore, che così poi la cena è pronta per quando torna il Beduino con il suo compare, il così detto "ragazzo della macelleria" (ma a parte l'età effettiva che ha, sembra mi'zio) a rompere il digiuno, e anche un po' le palle alla sottoscritta,  ché è abbastanza normale che quando passi l'intera giornata senza bere e senza mangiare, soprattutto se fanno 40°C, la sera ti girano e  hai una spiccata tendenza a scassare i cabasisi al prossimo, ma non ho capito perché ci devo rimettere io che con Allah non ci voglio avere nulla a che fare, che se la vedano loro con il loro Dio a far quadrare i conti. La shorba è troppo asciutta, hai messo troppo piccante, troppo liquida, manca il prezzemolo, che c'entrano le patate? Troppa cipolla, ma hai fatto solo questo da mangiare? Hai messo su il té? L'acqua fresca è finita? Va be', ciao Hasuna, sai che c'è? Domani ho da fare, cucinatevi voi.

- Il vasino.Ok stavolta testa bassa, vado fino in fondo. Pipì o non pipì, ho una scorta di mutandine taglia 2-3 anni da far invidia a Intimissimi, e pure lavandone tre al giorno, co 'sto caldo, fanno presto ad asciugare. Ricorderò forse questa estate com l'estate del vadino, o, come dice lei "L'invasor":
Mimi cosa ci fa il vasino in camera mia?
- Mimi dove l'hai messo il vasino? Vallo a prendere su, che facciamo pipì.
- Mamma, guadda: ho tovato l'invadò!
- Ah, il vasino sarebbe l'invasor? Quello della canzone?
- Tì: Una mattina, mi to' vvegliata...

In effetti, a parte l'assonanza tra le due parole che deve aver suggerito alla pupa l'equivoco, il vasino finisce per trovarsi sempre in luoghi che non gli competono, ed è per questo che in casa nostra è e rimarrà "l'invasor" di campo.

Dopo le prime due pipì andate a buon fine, pensavo che la cosa fosse ormai sotto controllo, e invece finiamo per trascorrere in compagnia dell'invasor circa un terzo della nostra giornata, con conseguenti esaurimenti nervosi miei. Si inizia con paziente incoraggiamento:
- Dai Mimi, ora ci mettiamo qua e facciamo tutta la pipì nel vasino, come Lia...
- Come Lia-e- il-tuo-vadino?
- Sì sì, proprio come Lia e il suo vasino. Mimi lascia stare Panzumen. Mimi siediti che non l'hai ancora fatta la pipì. Mimi alza il vestito che lo bagni. Mimiiiii, dove vaiiiii?
Per passare poi alle lusinghe:
- Dai Mimi, che se fai pipì, poi andiamo ai giardini. Dai, fai questa pipì che dopo ti dò il ghiacciolo. Fammi vedere come sei brava che fai pipì tutta da sola, io vado di là e tu quando hai fatto mi chiami.
Per finire con le minacce:
- Mimi che fai culo all'aria? Dov'è il vasino? Forza, vai a far pipì, guarda che se la fai ancora per terra stavolta mi arrabbio eh!
Lo so che non è bene arrabbiarsi per questa cosa, ma le mezz'ore passate ad aspettare la fantomatica pipì che non arriva, per poi dover asciugare laghi di piscio sulle scale di casa o sotto al cesto dei panni sporchi mi snervano.

- Giardini. La sera andiamo in genere ai giardini, ci sono le amichette di Mimi del nido e quelle dei giardini appunto che son rimaste in città perché hanno avuto di recente neonati fratellini e sorelline. Ci sono le mamme che ci siamo pure scambiate i numeri di telefono, e anche se per me questa è una cosa nuova e un po' strana, devo dire che non mi dispiace scoprire un poco di solidarietà maternale, scambiarsi consigli e strategie su sonno e pianto, parlare anche di vasino, sì, visto che per me questo è al momento un argomento molto "scottante", e vedere Mimi fare la selvaggia aggirandosi per il parco in mutande dietro all'amichetta di poco più grande, bagnarsi da capo a piedi con la fontanella dell'acqua, studiata da accorti architetti per ottenere risultati ottimali in un giardino frequentato da infanti, col suo design da pompa campestre che stuzzica di molto le fantasie ludiche di due duenni; vederla affacciarsi incuriosita e affascinata alla carrozzina dove dorme "la to'ellina di Maua" e vederle tirare fuori quella tenerezza che disperavo avrebbe mai manifestato nei confronti di bimbi più piccoli, a giudicare dal trattamento da lei riservato ai suoi sfortunati bambolotti, ripetutamente sbatacchiati e defenestrati dal parapetto del lettino...

In somma: tutto questo è stato, ed è ancora, la nostra estate.
L'estate con la sua insostenibile leggerezza.

Questo post partecipa al
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martedì 14 agosto 2012

Vorrei.

Illustrazione di Alessandra Vitelli

Vorrei fare una gita fuori porta, noi tre, come facevamo un tempo, da qualche parte amena, che metta d'accordo me e il beduino. E vorrei un po' di fresco, se possibile.

Vorrei portare la pupa da qualche parte che non dimenticherà, di quelle che poi per i prossimi sei mesi continuerà a ripetermi all'infinito "Abbiamo visto... T'iicoddi, mamma?"

Mi piacerebbe portarla prima della fine dell'estate al Parco di Pinocchio a Collodi, malgrado i prezzi vertiginosi degli ingressi. Vorrei poterla immortalare mentre passa sotto le gambe della statua del carabiniere, come mio fratello l'ultima volta che andammo, che aveva due anni allora come lei ora. La immagino entusiasmarsi per il gatto e la volpe e per l'immensa balena, quando entreremo nella sua bocca, e riconoscere gioiosa questo o quel personaggio della storia man mano che prosegue il percorso di visita.

Vorrei prima o poi portarla anche al parco dei mostri di Bomarzo (meglio Sacro Bosco), e rivivere attraverso lo stupore dei suoi occhi, il mio, ormai vivo solo nei lontani ricordi di una prima infanzia che tutto ingigantisce a ammanta di una luce fiabesca, perché, senza di lei, tornarci, lo so, forse sarebbe solo una gran delusione, malgrado le mie conoscenze acquisite nel frattempo, malgrado la mia tesina sui temi del Sacro Bosco e sulla filosofia neoepicurea di Vicino Orsini, ideatore del programma iconografico.

Vorrei andare anche con lei a rivedere il Museo di Storia Naturale della Certosa a Calci, perché l'ultima volta che ci sono stata avevo il panzone, e pensavo: in questo posto mi piacerebbe ritornare con lei, quando sarà nata, sono sicura che le piacerà. E ora che la conosco ne sono sempre più sicura, perché conosco le sue passioni, il suo amore per gli animali, il suo entusiasmo per i fiori, la sua gioiosa eccitazione quando fa qualcosa di diverso insieme a me e al babbo, "Mamma, Buia e Mimi, tutti e t'e!".

Vorrei concretizzare in qualche tappa importante lo scorrere ozioso di questa estate lunghissima in cui le idee su come passare le giornate scarseggiano già da un po', e lei si annoia al punto da ripetermi più volte al giorno: "Quando andiamo alla ccuola di Mimi?"

Vorrei che la nostra vacanza insieme finisca per essere qualcosa di più che lo starci addosso reciprocamente nel caldo appiccicoso della casa, e migrare stancamente verso giardini deserti a cercare un po' di fresco sul far della sera.

Vorrei liberarmi di questa fiacchezza del corpo e dello spirito.

Vorrei mettere mano ai miei progetti che per ora continuano a rimanere tali senza assumere forma più concreta di propositi, che non trovo la forza o il coraggio di affrontare sul serio.

Vorrei andare a mangiare una pizza una sera, appena finisce sto cazzo di Ramadan al Beduino.

Vorrei non essere più così intollerante verso le cose in cui lui crede, anche se a me sembrano stupide e inutili superstizioni. Tanto per complicarsi un po' di più la vita, e complicarla al prossimo.

Vorrei una casetta tutta nostra, con un piccolo giardino magari, su due piani, magari, com'è che lo chiamano in gergo immobiliare? Ah, sì: terratetto. Terribile definizione.
Immagino di allestire la camera della pupa e nella mia testa la chiamo "la camera dei bambini" e ci sono scale in legno e soppalchi e scaffali, come in quella della mia prima infanzia, quando ci arrampicavamo come bertucce sui ripiani più alti e ci infilavamo nei loculi sotto il soffitto. E una libreria dove riporre in ordine tutti i libri di lei, per ora sparpagliati nei vari anfratti della nostra pseudo-casa-parcheggio di oggetti.
Vorrei un bagno con una porta che si chiuda e una temperatura interna abbastanza idonea alla sopravvivenza biologica dei suoi abitanti.

Giacchè ci siamo vorrei un salotto con un divano, in modo da non dover avere la tv in cucina, ché mi urta, e soprattutto vorrei una cucina vera, dove non devo giocare a tetris per farci entrare tutte le pentole infilando questa nel forno, quest'altra in cima alla mensola, questa terza appendendola a un gancio nel muro e questa quarta... uhm... (non fatemi essere volgare), e dove non siamo costretti a tenere la roba per la colazione in un piccolo frigorifero spento.

E poi non mi farebbe schifo avere una lavatrice, e uno spazio mio per stare, e tenere le mie cose, e magari occuparmi delle mie cose, foto, pc, stampante, libri, materiali vari di hobbistica che non ho mai avuto modo di coltivare intanto perché non ho mai avuto lo spazio per potermici mettere, e che ora giacciono sepolti in qualche scatola sul fondo di qualche armadio, la lana, i ferri, le stoffe, i fili di rame con le pinze, i pezzi di legno per il tornio...

E se proprio devo immaginare, allora voglio un magazzino per infilarci dentro tutte le carabattole di Hasuna, che non stiano in giro per casa in mezzo agli zebedei, tutta la sua robaccia di pesca, e le sue antenne satellitari raccattate dalla munnezza, e i suoi cavi e fili, e pezzi di transistor, e apparecchi elettronici rotti, buttati via da altri, dalla misteriosa utilità.

E poi e poi...

venerdì 10 agosto 2012

Fiabe anticonvenzionali: Emanulele Luzzati.

Le nostre vacanze con annesso com-pup-anno hanno fatto sì che la mole dei nostri libri under 2 montasse in maniera non più controllabile. Abbiamo un sacco di new-entry, gente!
Da che parte cominciare?
Siccome avrete tutti già letto il titolo del post, vi dico subito che cominceremo da questa chicca, regalo della nonna:



Titolo: I tre fratelli.
Autore: Emanuele Luzzati.
Editore: Gallucci.
Età indicata: dai 5 anni (ma secondo me anche da prima)


Voto: 10.

E tanto per cominciare vi dico che all'inizio ero un po' perplessa.
Non certo in merito alle qualità estetiche e artistiche del libro, quanto in merito al fatto che la pupa l'avrebbe capito/apprezzato. E questo non tanto per l'indicazione della fascia d'età presente in copertina (non so secondo quali criteri le stabiliscano, mah!), quanto perchè queste illustrazioni, espressione di una fantasia sfrenata, spia di una continua volontà di divertirsi e divertire con le immagini e con la storia, manifesto di di una totale libertà di tecnica espressiva, pensavo fossero un pochino troppo complicate e lambiccate per la capacità interpretativa e di lettura dell'immagine di lei.



Forse in realtà questa non-convenzionalità dell'immagine riesce un pochino faticosa da leggere più per chi, come un adulto, ha già pienamente compiuto il proprio processo di elaborazione mentale dello spazio e della visione, che per chi, come la pupa, sta ancora intraprendendo questo percorso, di formazione di una propria idea di canoni e di convenzioni spaziali, rappresentative e prospettiche.
Queste illustrazioni forse si avvicinano invece molto alla maniera di immaginare e di conoscere che hanno i bambini, per associazioni, per simboli, visioni della mente che si mischiano e a volte si sovrappongono ai dati della realtà puramente sensibile.
Così mi sono stupita a constatare come queste rappresentazioni così fantasiose, astratte, ridondanti, talvolta bizzarre e rococò, costruite per piani illogici e prospettive assurde, riuscissero immediatamente e intuitivamente comprensibili e assimilabili alla sua capacità immaginativa.
Questo credo sia un pregio dovuto al genio del maestro Luzzati, e alla sua capacità di creare mondi onirici e suggestivi, di unire l'incanto della fiaba e l'ironia sagace del racconto moderno.

Mi sono dilungata un tantino a parlare dell'aspetto "grafico" e ancora non ho preso in considerazione quello narrativo, ma per la verità la coesione dei due piani qui è talmente compenetrata da non poterne fare due discorsi separati: l'immagine e la narrazione sono parte integrante l'una dell'altra e insieme si definiscono definendo il tono generale della storia, tra il giocoso e il fiabesco.

La storia dei tre fratelli, che si chiamavano tutti e tre Tommaso, e che, guarda caso, si innamorano tutti della stessa donna, la bellissima figlia del sultano delle Puglie, ricalca in maniera attenta, ma originale gli schemi tipici della fiaba tradizionale, ma lo fa in chiave spiritosa e sopra le righe, prendendo allo stesso tempo le distanze dal racconto fiabesco, per stravolgerlo un po', e metterlo in discussione laddove esso riesce ormai inadatto e poco compatibile con la sensibilità moderna.
Così la ricerca del dono con cui conquistare il cuore della sposa, che condurrà i fratelli per luoghi meravigliosi: uno nel Paese della Scienza, uno in un bazar orientale stile Mille e una notte, il terzo in un Paese popolato di musicisti che sembrano usciti da un dipinto di Chagall.

Quindi la competizione tra i tre fratelli per aggiudicarsi la mano della bella principessa, si trasforma prima in unione di intenti e solidarietà per raggiungere uno scopo comune, che è quello di salvare prima di tutto la sposa in pericolo, poi, una volta appurato che il contributo di ciascuno si è dimostrato indispensabile a risolvere la situazione, la scelta di appellarsi alla decisione insindacabile di lei, e questa, a detta del narratore, non può che sembrare un'"idea pazza", chè tale sarebbe nel mondo delle fiabe classiche, dove da sempre è la principessa ad essere "scelta" per qualcun altro, o "da" qualcun altro, o al limite, è qualcun altro a scegliere "per" lei. Eppure, eppure... ci voleva così poco! "Caro re, se me lo chiedevi prima, evitavamo questa manfrina!"
Cosa aggiungere di fronte a questa deliziosa chiosa della disinibita e spensierata principessa?
Niente, che ho già detto troppo, e altro non aggiungerò per non fare anticipazioni sul finale.
I  nostri tre fratelli però sono eroi un po' tragicomici: intraprendenti e all'occorrenza determinati, ma un po' sfigati, e assai poco credibili nelle vesti di principi azzurri, ma non si daranno per vinti: il mondo, si sa, è pieno di principesse da sposare!

Insomma: il racconto è gustosissimo, e la lettura scorrevole, divertente, con una cadenza da filastrocca in versi molto liberi e rime sciolte, giochi di parole, assonanze e onomatopee, dove la parola stessa diventa oggetto di gioco e divertissement, proprio come nelle filastrocche di Rodari.

Non so: non condivido la dicitura "dai 5 anni", perché giurerei che la pupa, malgrado i suoi due appena compiuti, sia stata in grado di comprendere e cogliere il senso giocoso tanto della narrazione quanto dello stile, per quanto, non c'è dubbio che magari non avrà afferrato in pieno tutte le allusioni e una certa venatura ironica di fondo, la scelta di soluzioni anticonvenzionali che fanno sorridere noi adulti.
Ma di un'opera si possono comprendere e apprezzare, a seconda delle età, aspetti diversi, la si coglie per piani distinti, e credo sia questa adattabilità e poliedricità che è spia di un grande operare.

Siccome sono solita inserire alcuni estratti delle illustrazioni dei libri che presento, non posso tralasciare di farlo ora, anche se per la verità queste immagini sono talmente accattivanti da farmi correre il rischio di fotografare il libro intero.
Non lo farò. Voglio però mostrarmi i miei passaggi preferiti: la rappresentazione (geniale) del Paese della Scienza.


La principessa che guarisce e fa una piroetta, chè secondo me non v'è immagine plasticamente più esplicita e dimostrativa di questa a significare un'esplosione subitanea di salute psicofisica: la piroetta.


Invece alla pupa piace soprattutto: il bazar, con la sua varietà cromatica ed espositiva.


La sfilata degli strumenti musicali.


Il fatto che i tre fratelli avessero ognuno il naso di un colore diverso, cosa che la diverte all'inverosimile.




E poi c'è un certo personaggio dai biondi boccoli e dagli occhi cerulei, che lei dice sempre somigliarmi ("Tomiglia a Mamma!"), e questo, anche se non aggiunge nulla al libro, la dice lunga sull'immagine che lei ha di me: giovane, bella e dalla risolutiva presenza.

Meno male che esistono i figli!
Se questa recensione infinita non vi ha annoiato abbastanza, potete sempre andare a leggere quelle scritte dalla pupa qui, nella sua libreria aNobii.

Qui le precedenti recensioni de I libri di pupa.

Con questo post partecipo a: I venerdì del libro.

martedì 7 agosto 2012

Nostro Mar.

Siete tutti morti?
Io personalmente ho creduto di non poter sopravvivere a questa prima bella mazzata di caldo e afa cittadina che hanno trasformato casa nostra in una fornace, togliendo respiro e capacità reattiva ai suoi abitanti over-due. Non so perché il caldo non riesca invece a fiaccare troppo la pupa. Sarà che nelle ore centrali della giornata se la dorme beata con tanto di condizionatore.
Sarà.
Io però accuso, sia la sua esuberanza di energia, davvero fuori luogo in queste bollenti contingenze, sia la stanchezza accumulata nei giorni immediatamente successivi al nostro rientro, chè mi ero messa in testa di concorrere, tanto per non sentirmi fuori gioco, concorsi per laureati. Ho riesumato i cari vecchi manuali dell'università, e mi sono imposta questo ulteriore supplizio.
Se non altro ci hai provato, Suster.

Vabbè, ma ora avrei proprio bisogno di freschezza, e riposo, e oblio, ora che andare al mare con la pupa in mattinata è diventata più una velleità suicida che un piacere, ora che ci sono altre cose a cui mettere mano, altre cose che iniziano, cose di cui forse un giorno vi parlerò, ammesso che a qualcuno freghi qualcosa, e la stanchezza mi attanaglia, proprio quando la città si spopola e tutti gli uffici sono chiusi, e io immagino le altrui assenze trasformate in altrettante vacanze su lidi meravigliosi, mi cullo nel ricordo dei miei giorni di relax, ormai così lontaaaani!
(Nota per me: le vacanze in luglio sono una fregatura, finiscono troppo presto!)

sabato 4 agosto 2012

Orgoglio (materno) punito.


Ah, il contrappasso!
Che parola dal suono stuzzicante. Ve lo ricordate? Quando alle superiori vi hanno fatto quel pippone su Dante e sulle punizioni dei peccatori all'Inferno in preparazione alla lettura della Divina Commedia?
E i tuoi peccati si ritorceranno contro di te e la tua anima, e tu sconterai sulla tua pelle, con gran pianto e stridore di denti, il male che hai commesso abbandonandoti ad essi.

Premessa indispensabile a quanto sto per confessarvi (e chi se ne frega! Chi è stato? Guarda che ti ho sentito, eh! Tu, dietro quel monitor! Guarda che non sei mica obbligato a leggermi! Click.).
Ok, dicevamo...

Ci sono due fondamentali obiettivi che conto di raggiungere entro tempi utili ad evitare il completo sfibramento del mio sistema nervoso prima della maggior età della pupa.
Uno è riuscire a far sì che si addormenti da sola (ah-ah! Ok, ora basta. I disturbatori sono pregati di lasciare questo blog!), l'altro è eliminare il così detto (da me) "pannoloz" ("Mamma si chiama panno-lino" "E io lo voglio chiamare Pannoloz. E poi chi te l'ha detto? La maestra Lucia? Quella non sa niente. I pannolini te li metterà lei, io ti metto il pannoloz". "Uppa mamma! Ti chia-ma panno-li-no!").
Lo sanno tutti: l'estate è il momento migliore per passare al vasino, no?
E così io mi sono munita di attrezzo adatto all'uopo, di santa pazienza, e ho intrapreso i primi (timidi) tentativi di direzionare lì i suoi bisogni.

Di fondo sono sempre stata una persona ottimista. Ma sì, che ci vorrà? Vedrai che sarà più semplice a dirsi che a farsi. E poi Mimi è sempre stata una bambina molto precoce... è sveglia! Mamma che parlantina che ha! E che memoria! E che fantasia! E che passione per le storie e per la musica! Come ti ascolta quando le spieghi le cose!
Sì, insomma: roba da madri esaltate.
Ma l'eccesso di orgoglio è uno dei sette peccati capitali (veramente quello è la superbia. Oh, ma non basta mia figlia a correggermi?).

Ecco come le incredibili doti della mia pupa prodigio hanno frustrato ripetutamente le mie velleità di madre presuntuosa e ambiziosa.

  • Fantasia (anche troppa).
- Allora, hai finito?
- Mamma, guadda! Quanta cacca!
- Mimi, ma dove?
- Qui, mamma: nel vadino! Guadda quanta cacca ha fatto Mimi!
- A me non pare, veramente. La pipì non la devi fare?
- Tìììì! Eccola la pipì! Quanta!
- Pipì reale, non immaginaria...
- Guadda quanta pipì magina'ia, Mamma!
(Sob!)
  • Passione per le storie.
- Mimi, sei pronta? Facciamo la nanna?
- Appetta, appetta, Mamma: ti p'endo un lib'o. Un lib'o pe'Mmamma.
- Mh. Me lo leggi tu?
- Me lo leggi tu?
- Io te l'ho chiesto. Lo leggi, tu, Mimi?
- Lo leggi tu, Mamma?
- Ma se hai detto che è per me: leggimelo tu.
- Tu lo leggi Mamma, un lib'o.
(Sgrunt)
Poi:
- Finito. Ora nanna.
- O'a p'endo l'uttimo lib'o pe' Mamma.
- No, basta libri, Mamma è stanca, Mimi. Dai mettiti qui accanto a me, facciamo la nanna.
-click-
...
- Mamma mi 'acconti la tto'ia di Aladino?
- Zzzzz.... eh?
- La ttoi'a di Aladino, Mamma, che va tul tappeto. E dopo Pollicino, Gatto con gli ttivali, e 'Osa-ppina (n.d.r. Rosaspina: la bella addormentata). Va bene Mamma? Eh Mamma?
- Mh. Vediamo... Zzzzzz...
- Mamma mi 'acconti la tto'ia di Aladino?
(Sigh!)

  • Passione per la musica:
- Allora Mimi, cosa ti canto, oggi? Pinocchio?
- No, non lo vuoi Pinocchio.
- Allora La balena?
- No.
- Heidi?
- No.
- Popoff? Gatto nero? Corvo torvo?
- No. No. No.
- Allora cosa vuoi?
...
- 'E Callo?
- Eh???
- Mh. Ah! Quella vuoi? (Accidenti a me a quando glie l'ho insegnata). Ma è difficile, Mimi, a quest'ora non so se ce la posso fare.
- E' bella 'E Callo, Mamma.
- Mh. E vabbè. Re Carlo tornava dalla guerra...
(Gosh!)
  • Memoria
(N.B. per chi non la conoscesse, la canzone Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers è una ballata licenziosa non troppo adatta ad un orecchio da duenne, ragion per cui, a volte la mia parte bacchettona mi impone di censurare alcuni passaggi.)

- E' mai possibile, corpo di un cane...
- Pocco di un cane, Mamma!
- ...che le avventure in codesto reame debban risolversi sempre con grandi... (ahem...) PANZANE?
- No, Mamma, non è codì la canzo-ne, Mam-ma! (Dice scandendo le sillabe scocciata.)
- Mimi, basta, dormi!
(Aiutoooo!)

mercoledì 1 agosto 2012

Post-card della vacanza.

E' risaputo da ché mondo è mondo e da ché l'uomo ha inaugurato la curiosa abitudine di delegare a pezzi di carta il compito di mantenere vivi i contatti con le persone lontane, è risaputo, da ché la scrittura ha sopperito in parte all'inconveniente della distanza visiva e tattile, ponendosi come surrogato dell'inarrivabilità vocale, è appurato e statisticamente comprovato che le cartoline, ovvero le postcards (per dirla alla maniera anglosassone, che fa sempre figo, soprattutto quest'anno che siamo in tempo di olimpiadi), che le cartoline arrivano sempre dopo la persona che le ha spedite.

Ora, senza arrivare ai casi estremi in cui il timbro postale denuncia una chiara volontà fraudolenta del mittente, che pur scrivendo "Qui è tutto bellissimo, ci stiamo divertendo un mondo e ci dispiace che tu non sia con noi", poi finisce per affrancare e imbucare a vacanza finita, dalla buca delle lettere del tabaccaio sotto casa, all'angolo, senza arrivare, dicevo, a questi casi estremi, dovrete convenire con me che questo curioso fenomeno è insindacabilmente inconfutabile: prima arriva il mittente, abbronzato oppure no, poi arriva la cartolina con le smancerie scritte a penna sul retro, il francobollo di sbieco per non coprire il nome del destinatario e l'immagine sul retto di un mare azzurro che più non si può incorniciato da scogliere frastagliate e faraglioni affioranti, a chiudere una caletta di sabbia bianca paradisiaca su cui non si scorge l'ombra di un bagnante, di una sdraio, o di un'anima viva che sia, luogo ovviamente puramente ideale, in cui il vacanziere, se interrogato, dovrà ammettere di non essere mai stato, ma era così pittoresca l'immagine che non mettiamoci a sottilizzare, l'ho presa e basta.

giovedì 26 luglio 2012

Cose tra madre e figlia.

Allora, ci sono eh!
No, niente, tanto per farlo presente.
Aver finito le vacanze quando la maggior parte della gente deve ancora iniziarle è un po' deprimente.
In effetti siamo stati in vacanza.
Eh, ma nemmeno un post di commiato, una cartolina, un avvertimento, ma che si fa così?
Per la verità mi ripromettevo di scrivere qualcosa da laggiù, magari postare qualche foto, chissà.
Il problema è che la rete non prendeva, e quindi, ancora una volta, mi sarei potuta risparmiare il peso del pc.
Ma è andata così.
Rieccoci alla vita normale, a un'estate in città che per ora si dimostra clemente, accogliendoci benevola con una certa brezza che si prolunga sin dal nostro ritorno, ormai una settimana fa.
Il beduino è alle prese col Ramadan, e con la crisi economica che ha i suoi effetti sulla sua attività.
Io con progetti professionali un po' scoraggianti...
Così con la pupa ce ne scappiamo al mare, di quando in quando, un poco storcendo il naso perché memori dei fondali bianchi e delle acque cristalline del Posto della Vacanza, ma come sempre accontentandoci, io, entusiasta lei, di aver ritrovato "il ma'e di Pisa", eh sì, "Non è quello di 'oma!" Eh, no, quello di Roma se mai fa più schifo di questo, Mimi (ma quando mai ci sei stata, poi?). "Non è quello di Nonna! Nonna è andata a Gabboi!" (Leggi Gavoi, n.d.r., il paese di mia madre, nel Nuorese) "Domme la giotta!" Sì, dorme la giostra, sarà anche per quello che ora ci andiamo di mattina, al mare, e non la sera, quando la giostra fa le ore piccole, e poi se la dorme fino a pomeriggio inoltrato.
La pupa confabula di continuo, costruisce complessi edifici concettuali instaurando nessi che alla prima mi sfuggono, ma che subito dopo mi rivelano la sotterranea struttura portante del suo pensiero infantile.

Ora è grande, sempre più grande, e mi pare lanciata in quinta, inafferrabile ormai a una descirzione graduale delle sue fasi di crescita.

Dura, molto dura arrivare a un compromesso con lei. Arrivano giorni davvero difficili, di urla a bruciarsi i polmoni, sbraitamenti e ruggiti selvaggi che si protraggono per tempi infiniti, a cui non riesco a porre un limite, qualsiasi strategia io adotti. Proteste, proteste per tutto, rabbia stizzita, esplosioni incontrollabili di orgoglio e indipendenza frustrati, conflitti irrisolti e del resto irrisolvinbili tra il puntiglio di averla vinta, di non cedere, di sfogare la sua rabbia fino all'ultimo, senza nulla risparmiarsi, e risparmiarmi, e il bisogno di sentirsi consolata, stretta al petto della grande madre consolatrice ("Mamma, hai le tettone gandi!" Mh, sì. "Mimi ce le ha piccole. Ce le ho piccole, io." E certo, io sono una mamma, le mamme hanno le tette grandi, le bambine ce le hanno piccole "Babbo ha le tette pelode!" Ma che le dovrei rispondere?).

Meravigliosi due anni.

Ormai ci siamo: siamo al giro di boa anche noi.
Niente più biglietto gratuito in nave e sull'aereo (per fortuna che ne abbiamo approfittato finché è durata), niente più "neonata", prego, ora abbiamo a che fare con una bambina "vera" ("Come Pinocchio, mamma!" Eh, sì, come Pinocchio).
Una bambina che non lascia nulla di non detto, se c'è qualcosa da annotare, lo farà, se sbagli ti corregge, se ti spingi un po' oltre te lo farà presente ("No, mamma, è mia la cintura! No, mamma, non api'e!"). Una bambina che infarcisce ogni sua frase di tenerissime interpunzioni: "Aspetta, aspetta, Mamma" "Tei a'abbiata, Mamma?" "Guadda Mamma, ti dò un bacio enomme, codì non ti a'abbi più". Ma Mimi non è che sono sempre arrabbiata, ora. "Non tei a'abbiata Mamma? Eh, Mamma? Tei temp'e a'abbiata Mamma, tu!" Ma dai, non è vero, sei tu se mai che ti arrabbi sempre, io mi arrabbio quando tu strilli senza motivo e non mi ascolti. "Pai i cap'icci, Mimi? Pecchè pai i cap'icci Mimi?" Eh, non lo so, Mimi, dimmelo tu.
Chè me lo devo fissare bene in mente che sono Mamma, che sono "Mamma, tei bellittima, lo tai?" e "Mamma, come tei ttupenda mamma!" e anche, va be' "Mamma, NO! No mamma, no! BIA!" E va be', non si può mica avere tutto dalla vita.
Mamma ha il dritto e il rovescio. Così come tutto.
Mamma è orgogliosa, mamma è sfinita, mamma soffre di insonnia, mamma crolla in catalessi alle dieci di sera, mamma vorrebbe studiare, mamma cerca lavoro, mamma vorrebbe stare sempre con la sua bambina, mamma la vorrebbe mollare in affidamento a Tata Lucia, mamma si diverte a giocare con la sua bambina, mamma vorrebbe poter gestire il suo tempo come le pare a lei, mamma non le interessa una vita migliore, mamma sogna una casa in campagna e traguardi professionali, mamma bambini piccoli non ne voglio più, mamma continua a sognare di famiglie numerose e la-camera-dei-bambini, mamma stanca, mamma soddisfatta, mamma preoccupata, mamma spensierata, mamma-vieni! Mamma-bai-bia!

Ultimamente litighiamo anche nei sogni di lei, di notte. Si sveglia incacchiata nera, gridando manco la stessero scuoiando, trabocca rabbia da tutti i pori, e io mi chiedo cosa può provocare tanta rabbia, così tanta, in una bambina tanto piccola, tanta da invaderle anche le ore del sonno, e proseguire nella veglia, chiamarmi nel buio e poi allontanarmi, furibonda.

Non voglio rispondermi, chè tanto già l'ho capito che la causa del 99 per cento dei comportamenti "problematici" dei figli è da attribuirsi a uno "sbaglio" materno.
E certo: se tu la prendi subito in braccio!
E certo: se tu non l'ascolti!
E certo: se tu vai da lei appena apre bocca!
E certo: non la lasci esprimere!
E certo: se tu non la fai sentire sicura!
E certo: se tu la mandi al nido!
E cero: se tu stai sempre con lei!
E certo: se non le dici mai no!
E certo: se non le fai fare mai niente!
E certo: sta sempre con i grandi!
E certo: la porti sempre in giro!
E certo: ancora la addormenti tu!

E certo: chiunque altro farebbe meglio, è risaputo.
Ma mi chiedo perchè l'equazione non funzioni anche al contrario. Perché non posso sentirmi anche un poco responsabile in positivo dei suoi punti forti.
Allora è tutto un:
No, ma fantastica questa bambina, parla anche in arabo!
No, ma fantastica questa bambina: sa già contare!
No, ma fantastica questa bambina: canta De Andrè!
No, ma fantastica questa bambina: conosce Picasso!
No, ma fantastica questa bambina: non chiede mai di stare in braccio!
No, ma fantastica questa bambina: si legge i libri da sola!
No, ma fantastica questa bambina: si ricorda tutto!
No, ma fantastica questa bambina: non ha paura di niente!
No, ma fantastica questa bambina: non le fa schifo niente!

Sì, insomma, non che io non sia d'accordo. Mimi è, sotto tutti gli aspetti, fantastica, un po' come Mary Poppins, pur essendo lei ben lungi dalla perfezione, e ci mancherebbe altro.
Non è che mi aspetto: brava! Stai facendo un ottimo lavoro! Tanto me lo dico anche da sola, per quello, non c'è problema.

E' solo che a volte, quando diventa dura, e ogni giorno cerchi le energie per sfangartela, e la pazienza, e la serenità per dirti passerà, ti chiedi se magari non stai facendo un qualche errore enorme, madornale, macroscopico, un errore tale da segnare a vita la personalità di tua figlia.
Ecco: così si scoprì perché la pupa era diventata skizofrenica.
E allora vorresti che qualcun altro oltre a te ti dicesse: ma no! Sono fasi. Vedrai, passerà. E' una bambina fantastica, ognuno nasce con il suo carattere, e bisogna farci i conti. Non tuoi i meriti né i demeriti, solo il compito di indicare la via, con piccoli aggiustamenti, che magari a volte possono significare litigi selvaggi alle tre di notte.
Ma poi, lo sai bene, ne vale la pena per quel: "Mamma tei bellittima!"
Sì, lo so. Grazie.

Aggiornamenti postumi: la pupa ora ha abbandonato definitivamente il ciuccio, pronuncia bene la lettera "S", a momenti, e dipende dalla parola, coniuga quasi sempre i verbi alla prima persona e utilizza i pronomi "tu" e "io" al posto di "Mimi gioca" e "Mamma va"; cosa assai più importante ha imparato a rispondere di sì alle domande. Prima era solo "no", oppure ripeteva la domanda, del tipo:
"Mimi lo vuoi il cocomero?"
"Lo vuoi il cocomero? Eh?"
Ora invece:

"Mimi lo vuoi il cocomero?"
"Tiiiii! Lo voglio il cocomero!"

Insomma: ci tenevo a tenere traccia di queste conquiste, non è per vantarmi dei progressi di mia figlia!


domenica 1 luglio 2012

Duetto monodico.

(Illustrazione di Roberta Angeletti)
Mi è venuto in mente l'altro pomeriggio, mentre portavo la pupa al mare. E pensavo: ma chi me lo fa fare di sfacchinare così per un due orette a rincorrerla su quella striscia di sabbia sporca e perennemente umida, martoriata dalle palette di frotte di bimbi affamati di estate, stipati su un dieci metri spiaggia artificiale, in una piscina livello ginocchio di acqua di mare piuttosto stagnante, chiusa dal frangiflutti perché le mareggiate non si portino via del tutto quel residuo di rena iperaffollata, mentre lei lascia pedate di sabbia sugli asciugamani altrui e tenta per l'ennesima volta di prendere il largo a piedi approfittando della mia momentanea distrazione, presa come sono dall'edificazione della sua personale fortezza silicea, e si rifiuta di darmi la mano mentre l'acqua le arriva già alla gola e la più piccola oscillazione della superficie basta per farle perdere il precario equilibrio e ha già la testa sott'acqua e beve sorsate d''acqua salata prima che io possa afferrarla per le ascelle ed estrarla ché non anneghi sotto il mio sguardo vigile.

E intanto siamo ancora sul pullman, e io già penso a dopo, e l'autista ha una guida disinvolta e sportiva, che fa sì che la pupa, che pretende di star seduta da sola, sul suo sedile di fianco al finestrino, venga sbatacchiata di qua e di là, e ad ogni curva e ad ogni frenata mi aspetto che decolli verso i posti in prima fila, e l'afferro per una caviglia suscitando le sue più sentite proteste: "No, mamma! E' mio il piedino! E' mia la poltrona!".

- Pronto, dove siete?
- Stiamo andando al mare, io e Mimi.
- Con chi?
- Da sole.
- Ah, e come andate?
- Lascio la bici alla stazione degli autobus e poi prendo il pullman fino a Marina. Vuoi venire con noi?
- A marina?
- ...
- Mh. No.

La verità è che non mi interessa nulla di farmi le vacanze ideali. Non mi interessa il mare ideale, la spiaggia ideale, spiaggiarmi unta d'olio abbronzante esponendo un corpo scolpito a fatica nei lunghi mesi invernali appositamente per la "prova costume" (ah! Dannato lessico pubblicitario!).
E tutto sommato non mi rammarico nemmeno di aver perduto le mie solitarie incursioni lampo munita di asciugamano e mattonazzo cartaceo, le mie lunghe sessioni di lettura sulla riva conciliate dallo sciabordio delle onde, interrotte solo dai miei frequenti tuffi per prender fresco, chè il sole sulla pelle non l'ho mai amato troppo, e il mare per me non è mai stato sinonimo di "tintarella".
Sono  felice quando la vedo entusiasmarsi di tutto, portarla a passare un pomeriggio, poche ore fuori città, misurare il proprio coraggio e la propria indipendenza avventurandosi nell'acqua bassa, via via sempre meno bassa, insozzarsi di sabbia fin tra i capelli e concludere il pomeriggio con un giro sulla "macchina di Aladino" (1 euro e 50 un giro in giostra? Ma dove andremo a finire? Ah, ai miei tempi...)

Non ho bisogno d'altro per stare bene, che di vederla stare bene. Ho smesso da tempo di pensare che potrei essere più felice di così, che la vita potrebbe essere più facile. So che non è vero, che ciò che possiedi non ti rende più soddisfatto, di te, della tua vita. Se mi è permessa una citazione un po' pulp, mai come ora sono più che convinta che davvero le cose che possiedi, a un certo punto ti possiedano, nella misura in cui senti di non poterne fare a meno, che la tua realizzazione è legata al loro raggiungimento, alla loro permanenza e mantenimento.
E davvero, sentire di essere indipendente da tutto, di potermene andare al mare con mia figlia anche senza bisogno di una macchina, due borse in spalla e lei a cavalcioni su un fianco, mi fa stare bene, in armonia con me stessa, in pace, senza nulla desiderare, nulla chiedere di più, un poco anche compassionevole verso chi non riesce a fare a meno delle comodità che si è sempre concesso, ed è lì ancora a lamentarsi dei parcheggi inesistenti e del prezzo di un posto prenotato in spiaggia con ombrellone e sdraio, e anche di chi si rifiuta di starci, corpo a corpo con questa umanità vociante, e un po' panzona, di asciugamani confinanti e pedate di sabbia in faccia, insalata di riso e cocomero al sacco, e se ne rimane ormeggiato a largo di calette irrangiungibili per i comuni mortali, a fare tuffi e sorseggiare drink da barche che solo il carburante per una giornata di relax ci parte lo stipendio mensile di un manovale.
Ne ho conosciuti, di questi ricconi, e non mi son sembrati più felici di me neppure con la loro attrezzatura da sub nella rimessa del barcone e la moto ad acqua con cui improvvisare spedizioni nelle grotte. A dirla tutta ricordo quella giornata in barca con quei ricconi come una giornata un po' penosa. Noi due ci guardavamo a disagio, sapendo che non era quello il nostro posto, che per quanto splendido quel mare dove ci avevano portato, non ce lo stavamo godendo come quando attraversammo Cape Corse in bicicletta, dormendo a sbafo nei camping a pagamento e mangiando fichi d'india sulla via.

Ed ecco com'è che ci ho pensato, proprio l'altro giorno mentre andavo al mare con la pupa.
Pensavo a quel ragazzo allegro e irriverente che girava per le strade deserte della città notturna con le mutande infilate in testa, per gioco e per raccogliere una sfida.
Pensavo a quelle corse sulla bici senza sellino lui davanti e io dietro, in piedi sul portapacchi, che schivava i passanti gridando loro in un italiano da flagello di Dio: "Non ce l'abbiamo i freni! Non ce l'abbiamo i freni!", il mocio in spalla, perché andavamo a pulire il pavimento del sottopassaggio della stazione, impiego ottenuto per procura di un tizio losco di nostra conoscenza che si pigliava tutti gli appalti di lavori del Comune e poi se li rivendeva a compensi da schiavista.

Pensavo anche allo schifo di quel sottopassaggio, al puzzo di piscio umano, a quel cinese che è passato sul pavimento bagnato a lavoro finito e tu che gli hai gridato, assai politically scorrect, e very pisan slang: "Oh, Cinese! Levati di 'ulo! La maiala de tu ma'!", ma anche all'orgoglio di chi a testa alta è fiero di fare bene anche il lavoro più degradante e alla spensierata noncuranza con cui spazzolavamo metri quadri di lastricato, fregandocene dell'oggi ed entusiasti per il domani.

Pensavo a quel ragazzo che era felice con nulla, e che metteva allegria intorno, che contagiava tutti col suo buon umore, che invitava tutti a casa sua, che fermava sconosciuti per strada offrendo loro da bere, nelle fredde serate di inverno, e portava in giro carrelli della spesa piedi di lattine di birra da due soldi, comprate all'Eurospin, e casa sua era sempre piena di voci e accenti diversi, e gente che rideva e tutti si sentivano a casa loro, sin dal primo momento in cui vi mettevano piede.

E pensavo a quel ragazzo che non si era mai curato dei soldi, sempre troppo poco dei propri diritti, che in nome di presunte amicizie finiva sempre per dare a fondo perduto, in tutti i sensi, e non ritirava neppure i vuoti a rendere, e non teneva mai il conto di quello che offriva, mai a mente ciò che prestava, e si curava sempre delle persone più che degli oggetti.

Pensavo a quel ragazzo che non aveva mai pudore di mostrarsi per quello che era, e che per questo tutti amavano, che non si faceva mai pensiero di essere fuori contesto, o di non essere all'altezza di situazioni, che era sempre sopra le righe e metteva chiunque a proprio agio, che ricordava tutti i volti e scordava tutti i nomi, a cui tutti confidavano guai e problemi, infelicità e dolori e a cui nessuno chiedeva mai come si sentisse, di cui tutti si accorgevano di sapere sempre troppo poco, che nessuno ricordava mai da dove esattamente venisse, e quale fosse la sua storia, ma che tutti affermavano di conoscere come un fratello.

Ma soprattutto pensavo a quel ragazzo che sapeva essere felice pur non avendo nulla, e che tutto ciò che aveva costruito intorno a sé l'aveva costruito partendo dallo zero assoluto, e senza sotterfugi né scorciatoie, e lo sapeva e ne era fiero, ma senza vantarsene.

E mi sono chiesta quand'è che hai iniziato a gettare la spugna, e a sentirti stanco.
Perché ora non abbiamo molto più di quanto non avessimo allora. Se possibile abbiamo meno soldi di allora, perché abbiamo sicuramente meno entrate.
Ma abbiamo della strada fatta insieme e molti bei ricordi, altri meno belli, e abbiamo una laurea e un'attività, e anche se ci sembrano insufficienti le abbiamo realizzate con le nostre forze e con l'aiuto di nessuno.
E anche se è una laurea che chiunque un poco sorride sotto i baffi quando dico in cosa, anche se non me la rivendo magari, so di averla conseguita con passione, amando tutto ciò che facevo mio.
E anche se è un'attività che conta più fatica di quanto non sia il rendimento e non è arredata da un interior designer, e non è nella guida verde del turista, e chissà se ce la sfanghiamo da questa crisi, l'hai inventata tu, da cima a fondo, con creatività e impegno, e presenza, e anche se dici di essere stanco e demotivato, lo so che la senti parte di te, e non te ne staccherai con facilità e non senza dolore.

E abbiamo portato piatti, infornato pizze, tagliato bistecche, servito vino, stappato bottiglie, annusato tappi, litigato con principali, ingoiato bile, asciugato bicchieri, spinato orate, mandato in culo colleghi, litigato ancora con clienti, ingoiato bile, lavorato fino a tardi, ballato a piedi nudi, collezionato sbornie, allineato voti sul libretto (io), smesso di fumare, ricominciato a fumare, smesso di fumare, smesso di bere (tu), macinato libri (io), preparato esami dopo le tre di notte (io e tu), riso per le repliche di Paperissima sempre alle tre di notte, dormito solo la mattina (soprattutto tu).

E ora abbiamo anche un'altra cosa che ci unisce, ed è questa bambina.
E non è giusto, io credo, non è così che deve essere, che un bambino porti pesantezza, e preoccupazione, e negatività. Un bambino dovrebbe portare nella vita di chi lo accoglie, energia e gioia, e fiducia e speranza. E pensare al futuro non dev'essere un'ossessione, dev'essere un progetto comune. Pensare al presente non dev'essere il sentore una sconfitta, dev'essere consapevolezza di un viaggio e soddisfazione e orgoglio di sapercene fregare di quel di più che non serve, che è solo un'illusione di felicità.

Ogni tanto vedo ancora quel ragazzo, anche se ormai è un uomo, ma lo riconosco ancora.
Per fortuna avevo solo creduto che fosse andato via.
E siccome ti vanti di non aver mai letto un libro "in tua vita", so per certo che non leggerai mai queste parole, ma mi piace che comunque tu qui dentro ci sia.

giovedì 28 giugno 2012

Quel che so di lei.

Lei sostiene di chiamarsi Mimi.
Non che se glie lo chiedi non ti dica pure il nome per intero, sia chiaro. Ma Lei, a botta sicura, se le chiedi come si chiama, ti risponde Mimi.
Non si chiede da dove provenga quel suo vezzeggiativo, chi per prima l'abbia utilizzato, se Lei stessa o la sua mamma, per la quale, pur avendolo lei scelto, il nome completo è sempre risultato piuttosto difficile da utilizzare nella forma vocativa. Ma Lei probabilmente non si è mai neppure chiesta come sia stato, che il suo nome sia proprio quello, che le sia toccato di rispondere a quello e non a un altro. Le basta sintetizzarsi in quelle due semplici sillabe per sentirsi padrona della propria identità.
Lei in fondo sa di essere se stessa, che è già tantissimo.



Ho creduto a volte di sapere proprio tutto di Lei, ma ora che ci penso davvero, mi accorgo, ad essere sincera, di saperne invece ben poco.
Non saprei dire, per esempio, quale sia il suo colore preferito, quale l'amichetto o amichetta più simpatico, quale l'animale che le piace di più.
E so che queste sono in genere cose che una madre sa del proprio figlio, ma io davvero, non saprei.
Non glie l'ho mai chiesto, no, non credo abbia senso farlo.
Non so quanto conti per Lei lo stabilire una graduatoria degli oggetti e dei concetti di cui è formato il suo mondo, non le interessa esprimere la sua opinione, così come fan tutti, senza fermarsi a penetrare nella struttura delle cose; a Lei interessa possedere dentro di sè tutto ciò che vede esistere introno a lei, fuori di lei.




Di Lei so che sa amare con entusiasmo, che sa manifestare amore e gioia incondizionatamente, che lo fa senza inibizioni, senza esitazioni, che lo fa senza seguire schemi di comportamento, ma solo per l'esigenza momentanea di lasciar agire le proprie emozioni, per l'inadeguatezza di altre forme di linguaggio che non quello corporeo per poterlo fare nella maniera più efficace possibile.
Così punta il dito in direzione di una farfalla, ne segue il volo sfasato, ne imita il movimento con le mani, sgambetta felice e ripete "Bella bella! Vieni da me! Vieni da Mimi pappalla!"
Così saluta il mondo, interpella il sole, sgrida le nuvole, impartisce direttive alle formiche, si emoziona per il volo di un passerotto proprio davanti ai suoi occhi, accarezza i granchi, chiede scusa ai piccioni, spiega alle lucertole che non devono aver paura di lei, chè Lei è buona, si complimenta con i ragni per l'architettura perfetta della loro tela, esorta le lumache a non vergognarsi, si diverte a scimmiottare il verso della gazza, e ci riesce a meraviglia, inventa nomi per gli scalini e raccomanda alla palla di non muoversi. Non si è arrabbiata con il palloncino-coccinella per il fatto che sia scappato dalla finestra, ma si chiede ancora come mai l'abbia fatto, e si dà delle spiegazioni plausibili.
Accoglie il mondo dentro di sé e si proietta nel mondo; di tutto chiede, su tutto discute e confabula.

Mimi e i suoi granchi.

- Che ca'ini i ganchi! Pove'i: volete la mamma ganchi?

Mimi e i pesciolini di Babbo.



Mi azzarderei a dire che non ama particolarmente gli oggetti, o meglio: non ambisce al loro possesso, non ne è interessata. E' attratta da tutto e tutto vuole conoscere, comprendere, definire, a tutto vuole arrivare ad attribuire una ragion d'essere, un motivo, una funzione, una causa del suo essere lì. Se afferra un oggetto di qualcun altro, lo fa con l'entusiasmo di chi scopre qualcosa e desideri mostrare la sua scoperta, sperimenta il suo uso, la sua funzione, a non ha la più piccola difficoltà a staccarsene, accetta di buon grado di restituirlo al legittimo proprietario, e in fondo non penso a che abbia un'idea chiara del concetto di proprietà. Per Lei una cosa appartiene a qualcuno nel momento in cui qualcuno la sta usando. Da parte mia non avverto l'urgenza di chiarirle quel concetto, di cui non riconosco la priorità su un'infinità di concetti più interessanti, più utili, più belli.



Del resto sa chiedere con estremo garbo e perfetto savoir faire la licenza di usufrutto di qualcosa che momentaneamente attrae il suo interesse, ma si rassegna di buon grado al diniego, senza scomporsi.
D'altro canto ha chiara idea dei propri diritti, e non ammette che qualcosa le sia tolto di mano mentre lo sta usando, poco importa quale sia la provenienza dell'oggetto in questione.
In generale dispone di un'eccezionale pazienza nel trattare con i suoi coetanei, non transige sui soprusi, ma non perde la calma, espone invece il suo punto di vista con una certa supponenza da chi impartisce una lezione di vita, accompagnando le parole col movimento dell'indice: "No, bimbo, quetto è di Mi-mi! Appetta, bimbo dopo te lo do." Oppure: "Quetto è il mio palloncino, tu hai il tuo".
Mi fa ridere, ma sto attenta a non farlo.
Mi piace il suo senso della giustizia.

 


A Lei non interessano i giochi troppo complicati, non ama i pupazzi parlanti, le reazioni inaspettate di oggetti inanimati la turbano a volte fino a terrorizzarla, proprio Lei che raramente ha paura di qualcosa.
Si è ritratta sconcertata di fronte al coniglio di peluche azzurro di un'altra bambina che si spanciava dalle risate rotolandosi sguaiatamente per terra. Non ha bisogno, Lei, che i suoi animali di pezza emettano versi elettronici e compiano movimenti meccanici per poterli "sentir parlare" e "vederli" muoversi. Con loro sa intavolare lunghe conversazioni anche senza l'ausilio di batterie e transistor.

Ama i palloncini, ma solo se prima "tiriamo loro il collo" e ci facciamo un bel nodo, in maniera da non lasciare che volino via in maniera imprevedibile, emettendo quel loro spaventoso fischio. Quello non le piace. E' capace però di giocare a lungo con un pacchetto di palloncini sgonfi: li tira fuori uno a uno, li divide per colore, li dispone in cerchio, fa cantar loro "Giro-giro-tondo".
Riesce a trovare il potenziale creativo anche degli oggetti più semplici, compone le mollette in fantasiosi collage e poi invita gli altri a condividere l'entusiasmo delle sue trasfigurazioni: "Guadda mamma: semba un aerio! Sembano un aerio le mollette!"
In genere si stufa rapidamente dei propri giochi e non ne porta quasi mai con sé quando esce di casa.



Laborioso assemblamento di un "aerio" di mollette.



Di lei so che ma i giochi di movimento ma senza esagerare.

Le piace l'altalena ma non ama andare troppo forte; del resto le sembra di volare "come Heidi" anche ad una velocità moderata. I movimenti eccessivamente bruschi la mettono a disagio, e lei sa che a quella sensazione corrisponde il significato della parola "pauva".
D'altro canto non ha mai avuto paura del mare, dell'acqua, del fuoco, dell'altezza, degli animali in generale. Ama gli animali, tutti indistintamente.E' interessata agli alberi, agli uccelli, alle farfalle, alle pigne e ai rametti assai più che a bambole e balocchi.
Ama l'arte, ha un gusto spiccato per le illustrazioni, i disegni, le immagini, una particolare propensione a individuarle e a interpretarne il senso, contestualizzandole dal suo personale punto di vista. Coglie all'istante qualsiasi rappresentazione grafica entri a far parte del proprio campo visivo, dai segnali stradali alle insegne dei negozi, dai motivi zoomorfi del tappeto in gommapiuma del play-ground ai nanetti stampati sulla maglietta di un altro bimbo.
E' una creatura degli spazi aperti, il suo tempo è la pausa tra una passeggiata è l'altra. Parte a razzo quando smonta dal seggiolino della bici e arriva ai giardini al galoppo esultando. Ha messo a punto i suoi tour standard, a cui apporta periodiche variazioni, in base all'ispirazione o all'interesse del momento. Pretende che le mostri "le statue" del giardino, e che glie le spieghi, vuole salire da sola i gradini della scalinata che conduce "alla galleria" e mi chiede il nome dei fiori, ne raccoglie uno di ogni tipo e ne aspira il profumo, reale o presunto.

 



Se la conosco almeno un po', posso affermare che ha sempre avuto una maniera molto enfatica di esprimersi, con i mezzi che le sue età finora le hanno concesso.
Stare in sua compagnia è una delizia, se è di buon umore; allora è un cicaleccio continuo, è un continuo esclamare "Che bello che bello!" E "Guadda, guadda!", e elargisce baci, si profonde in abbracci pieni di pathos e di gioia. Sa essere affettuosa, anche se non si direbbe. E' riservata, anche se non si direbbe, e si concede agli altri con cautela, per gradi, ma non nasconde simpatie e amori viscerali, le piace stare in mezzo alla gente, è perfettamente in grado di gestire il centro delle attenzioni altrui. Provocatrice, ma un tantino permalosa, pronta allo scherzo, quando lo decide lei, consapevole di poter dettare il bello e il cattivo tempo.
Arrivano momenti di infinita tenerezza, di sfrenata euforia, e poi di rabbia nera, di urla selvagge, di tenace ostinazione. Lei è drastica, è fuoco scoppiettante, inesorabile come il sole di luglio, volitiva, orgogliosa, un tantino arrogante magari anche.





Posso affermare con una certa sicurezza che Lei non è schizzinosa; le piace sentirsi bella ed elegante, ha anche chiara idea delle sue preferenze in fatto di abbigliamento, ma in fin dei conti non se ne fa un cruccio, e fare una capriola sull'asfalto bagnato di pioggia avrà sempre la priorità sulla necessità di non sporcarsi.
A volte diventa Cappuccetto Rosso, altre volte può assumere le sembianze di Heidi o di Pippi, il suo mondo vive un continuo interscambio con altri universi, e Lei li accoglie di buon grado come realtà ugualmente valide e possibili.
Non credo che abbia chiara l'idea della differenza tra i sogni e la veglia, la realtà e l'immaginazione.
Lei vede tartarughe sui tetti dei palazzi, per Lei il carcere davanti casa è un castello, e a volte ci vede Raperonzolo affacciata, incontra maghi e pirati per strada, riconosce tra i passanti, in incognito, e mi indica a gran voce Babbo Natale e Caparezza, si sveglia di notte confabulando di lucertole e dinosauri, raccoglie da terra un pezzetto di pollo caduto dal piatto e dice: "Guadda: una meduda! Che bellittima quetta meduda!"
Per Lei il fiore più piccolo si rivolge a quello più grande chiamandolo "Mamma, mamma!", e la luna, a volte, le sembra "innamorata".

Il suo mondo è un incanto che non ha bisogno di magie.

 




Di lei so che riserva una grande importanza alla parola, ne ha compreso l'immenso potenziale, fatico, narrativo, emotivo, creativo, e concentra tutte le sue energie nel dominarla, nel gestirla, nel padroneggiarla. E' affascinata dai suoni della lingua, incuriosita dagli idiomi a lei non familiari, divora libri, ricorda e ripete, recita e interpreta con grande trasporto.
Canta, tiene il tempo, non vuole essere aiutata quando dimentica le parole, ma se non sa andare avanti mi chiede di intervenire, ma devo ricominciare da capo: "Dall'altra parte, mamma", non dal punto in cui è arrivata lei. Ci tiene a far da sola.
Si butta nelle danze senza inibizioni, si muove e balla su qualsiasi melodia, e mi invita a fare altrettanto. Non si cura degli sguardi altrui, non le interessa apparire goffa, ridicola o scoordinata, non crede di dover ricevere un giudizio o un plauso.
Si immerge nel suo mondo e tutto il resto cessa per qualche istante di esistere. Chiacchiera con Pinocchio e Pinocchio le risponde.




Non so molto di lei, in fondo, a parte questi appunti fugaci di momenti che passano in fretta, lasciando indietro pezzi di Lei che credevo di conoscere, e altri che mi si svelano giorno per giorno, mentre lei cresce, e cambia, e ancora mi stupisco a scoprirla diversa, nel suo sforzo di definirsi come persona.


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SEGNALAZIONE:
La deliziosa mascherina da gufo che la pupa indossa nelle prime foto è un gradito regalo di una cara amica blogger. Come minimo per ringraziarla del pensiero era mio dovere segnalarla qui: ha un animo delicato e mani fatate, e realizza giochi e accessori home made graziosissimi per bimbi.
Se volete andate a dare un'occhiata sul suo blog.