domenica 9 giugno 2013

Papaveri.

Un viaggio di cinque ore in macchina con due pupe di cui una di soli due mesi è sempre un po' un massacro.
Ma poi arrivi che sono quasi le undici di sera e scopri che il piazzale davanti casa è pieno zeppo di papaveri, e allora pensi: domani quando lei li vedrà impazzirà.
Perché lei per ora è crollata addormentata nel seggiolino, con il collo a 90°, dopo esser stata vigile quasi per l'intero tragitto.


I papaveri sono fiori generosi: si regalano al passante anche negli scorci altrimenti squallidi di marciapiedi di periferia, accendono l'asfalto di sfarfallanti rossi, ed è come se ti dicessero: lo vedi? La civiltà non l'avrà mai del tutto vinta su Madre Natura. Tutto il petrolio del mondo non basterà ad asfaltare l'intera sua superficie. Noi siamo tra tutti i fiori i più umili, i più effimeri, i meno pregiati, ma bastiamo a regalare gioia alle mani di una bambina che ci cerca sui bordi dei marciapiedi.



Noi veniam fuori dalle fessure tra il cemento e il marmo, ci accontentiamo di poco, da quel duro terreno tiriamo fuori il nostro nutrimento. Tanto domani, al più doman l'altro, già non ci saremo più.

 

E ci prestiamo a quei giochi un po' crudeli che affrettano la fine di nostra già così breve e precaria esistenza.

Per donarle l'emozione di una sorpresa, nelle sfumature rosate dei nostri boccioli.


Così dicono, i papaveri, mi par di sentirli, mentre lei li sfoglia, attenta.


Lo sai che i papaveri...

 

... son alti alti alti!





E tu sei piccolina.



E vide degli alti papaveri al sole brillar


e lì s'incantò.

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