giovedì 22 novembre 2012

Essere femmina a due anni.

Non c'è niente da fare. Lei è femmina.
Lei mi ha scassato le palle per tre mesi perché "voleva la toellina".
Lei si afferra il lembo della maglietta mentre salta sul letto scatenata e dice "Mamma, guadda come ballo con la mia gonna!".
Lei quando si sente romantica dice di essere la "Pincipetta Yasssmin" e ha una sigla tutta sua.
Lei ama adornarsi come un venditore ambulante senegalese con le collane di mamma, e si arrabbia perché non riesce a infilare gli orecchini di mamma (lei non ha i buchi alle orecchie: la mamma ritiene un'usanza piuttosto barbara e una violazione della libertà di autodeterminazione sul proprio corpo l'imporlo alle bambine non ancora in età di intendere e di volere, e aspetterà che sia lei a chiederglielo, se mai).
E ancora, lei quando accompagna la mamma al negozio delle scarpe, e dopo aver sguazzato per un intervallo di tempo ragionevole nella vasca delle palline, va in brodo di giuggiole a scorrazzare per i corridoi di scaffali pieni di scarpe, non si annoia mai a provarsene diverse paia, e guarda con orrore e un po' schifata agli scarponcini neutri blu coi lacci che le propongo, gli unici a un prezzo inferiore alle 20 €, ma si entusiasma di fronte alle orrende plasticone fucsia glitterate sponsorizzate dalla fatina di turno.
In genere mi rompo le scatole io prima di lei, devo andarla a recuperare in mezzo a una cortina di cinte per signora, dove è intenta ad esaminare borchie e inserti traslucidi e a improvvisarsi Raperonzolo nella torre applicando alla capigliatura ardite extencion di corda, accessorio a mio dire di orrido gusto trucido-chick (guadda mamma: ho le t'ecce, tono 'Apeontolo!).
Lei si ritiene molto aggraziata nei movimenti, quando improvvisa qualcuna delle sue danze forsennate di cui si autoproduce la colonna sonora, almeno finchè non va a sbattere contro qualche spigolo rintronata dal suo vorticoso girare da derviscio, e sa di essere bella. Del resto non perdo occasione per ribadirle il concetto.

Insomma: chi lo dice che essere femmina sia solo rosa e tutù. Non io, certo, malgrado il senso comune vada in direzione ostinata e contraria al mio sentire.
Io fino a poco tempo fa mi vantavo di non aver mai giocato con le bambole.
Io sono cresciuta in mezzo a due fratelli maschi giocando al Wrestling sul letto dei miei genitori e collezionando "pozioni" maleodoranti e colorate riciclando le bottigliette dei succhi di frutta e svuotando ogni volta l'armadietto dei medicinali in bagno con strage di pomate e soluzioni strane.
Non ero propriamente una bambina "maschiaccio", malgrado la mia costituzione tutt'altro che esile, l'odiato caschetto biondo che mi hanno imposto fino all'età della ragione, la mia discreta recalcitranza ai bagni, la mia semiselvaticità, che prevedeva movimentati giochi all'aperto, ma non uno sguazzare sistematico nel fango. No: io amavo i giochi strutturati, inventare storie con i miei svariati pupazzi, coinvolgere nella messa in scena delle trame mio fratello Ergino e delimitare metodicamente ogni diverso gioco di fantasia che intavolavamo con una sigla di apertura e di chiusura, sul calco di quelle televisive che hanno improntato gran parte della mia infanzia siglata anni '80.
Ma schifavo Memole dolce Memole e l'Incantevole Creamy altrettanto quanto Mazinga e l'Uomo tigre, non so se avete presente ciò di cui sto parlando...
Non mettevo la gonna. Quasi mai. Del resto non posso ritenermi responsabile del mio guardaroba di allora, cui provvedeva con esasperata arte del riciclo mia madre. E in casa mia se pur esisteva qualche superstite esemplare di Barbie, eredità di qualche cugina grande, era quasi sempre un tronco mozzo nudo o una testa rapata vagante per i nostri cesti di vimini ingombri di  giocattolame fluttuante.
E non ho mai frequentato corsi di danza classica o ritmica ma tutt'al più di taeqwondo (con scarsissimo successo, peraltro).

Questo non significa che non difendessi con i denti e le unghie la mia femminilità.
Mi impuntai come un somaro quando a otto anni mio padre voleva tagliarmi per l'ennesima volta i capelli che mi crescevano selvaggi e scarruffati in un disordinato taglio scalato con frangia da cagnetto dello Yorkshire, alla Sophie Marceau dei bei tempi delle mele, e altrettanto mi impuntai per convincere mia mamma a martoriarmi il lobo dell'orecchio con un formidabile ago da cucito passato sulla fiamma del gas come misura di sterilità.

Ecco: io sono decisamente contro gli stereotipi di genere, e credo che ognuno, e soprattutto un bambino, debba esprimere la propria identità, la propria personalità, sessuale o meno, nella più totale libertà, senza per questa dover essere etichettato come "maschiaccio" o "principessina".
Femminilità è qualcosa di ben più sottile.
Eppure di fondo riconosco, in me come in lei, una certa consapevolezza più o meno nascosta del fascino che emana dalla propria essenza femminile, l'importanza del proprio aspetto, dei propri modi, una maggior sensibilità di fondo, una tendenza all'autoosservazione, un abbandono voluttuoso alla propria facoltà immaginativa e creativa, una maggior complessità dei rapporti interrelazionali, un compiacimento per la propria duttile capacità di adattarsi a diversi contesti, che forse nei maschi difetta un poco...

Forse. O forse no. Difficile e molto rischioso tentare di generalizzare, in questi casi.
Quel che è certo è che Lei si sente decisamente femmina, qualsiasi cosa questo voglia dire, e se ne compiace.

La guardavo giocare con la sua amica Maua, questa estate ai giardini, e mi chiedevo una volta di più quanta presunzione sia insita a volte nel ritenere da parte dei genitori che il carattere del proprio figlio debba rispecchiare il proprio.
Maua in mutande, (aveva eliminato il vestito bagnato sotto il getto della fontanella a pompa), saltava selvaggiamente sul tappetino elastico del parco giochi, andava in altalena a gambe larghe, bella piazzata e aggressiva, litigava con i maschietti per il diritto di usufrutto di un escavatore giallo con cui rimuoveva appassionata cumuli di pietrisco. Mimi le veniva appresso con moderazione, tenendosi come sempre il lembo del vestitino mentre saltava sul tappetino elastico, sedeva sull'altalena con una certa compostezza, anche se ciò significava un minor assetto statico, e rinunciava volentieri alle zuffe coi bambini per aggirarsi tra le aiuole fiorite ad aspirare pollini di fiori assolutamente inodori e assortire mazzolini sgualciti e spampanati.
La differenza saltava troppo agli occhi per non essere da me notata.
Dovevo aspettarmelo che non avrebbe degnato della minima attenzione il fantastico camion sollevaterra che volli comprarle il giorno dopo per indurla a partecipare a quei polverosi giochi terrestri. Mezza popolazione del giardino (indovinate un po' quale metà) accorse per accaparrarsi l'ambìto oggetto ricreativo, mentre lei se ne tornava incurante dai suoi fiori.

E malgrado io le abbia proposto Urka urka tirulero e Hakuna matata come alcuni dei miei pezzi Disney favoriti, lei continua a preferire tra tutti questa lagna:


Mah! Dé, gustibus! Come dicono al Livorno...

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