lunedì 4 marzo 2013

Depressione pre-parto?


Febbraio è stato il mese dei post incompleti.
Ora faccio un po' di pulizia di primavera, ma questo lo recupero: lo iniziavo tempo fa, ma certi stati d'animo a tratti ritornano.
Ho fatto il primo acquisto ufficiale in vista del parto.
Ecco, l'ho detto: PARTO!
E non certo nel senso di una mia partenza imminente. No, quella magari. Ma bisogna dire che anche nel mio caso necessiterò di una valigia, e l'idea di dover iniziare a prepararmela mi mette già addosso un filino d'ansia. Così come quelle pantofole comprate stamani in saldo.
Sì, ho comprato le pantofole per l'ospedale, e questa cosa mi ha come ripiombato indietro di un tre anni in una frazione di secondo, con tutto quello che ne consegue.
Solo che all'epoca comprai a 2 euro un paio di ciabatte infradito di gomma. Azzurre. Con dei puntolini. Un affarone. Era estate ed io andavo incontro al mio destino con l'inconsapevolezza innocente di chi non sa cosa l'aspetta.
Ora invece mi ha preso un po' il panico.
Insomma, posso dirvelo? Per la verità me la faccio sotto.
Non è il dolore che mi terrorizza, anche se, ecco, se potessi lo eviterei volentieri. Non è l'eventualità che qualcosa possa "non andare per il verso giusto".
E' una sensazione di rivissuto, e stanchezza, e l'idea di ricominciare daccapo, l'ambiente asettico dell'ospedale, il distacco da routine dei medici, la saccenza acidella delle cretine della nursery, lo smarrimento di ritrovarmi di nuovo alle prese con un neonato, il fatto di dover stare lontana da Mimi per alcuni giorni, la stanchezza del dopo parto, il dilemma del latte che non arriva, la congestione mammaria, un rapporto da costruire daccapo...
Sì sente tanto parlare di depressione post-partum. Io mi sa che ora mi invento quella pre-partum.
O magari già esiste. Figuriamoci se non si sono inventati un nome anche per quello.
Come se bastasse dare un nome agli stati d'animo per stare tranquilli.
Verificato che non mi sono inventata proprio un bel niente: un'attenta ricerca su Google (tipo di 3 secondi e mezzo) mi conferma che gli espertoni già l'avevano sgamata e ne descrivono così i sintomi:
  1. Non provare più felicità o capacità di divertirsi (beh, questa, per fortuna, mi manca);
  2. Sentirsi a terra, tristi, vuote per la maggior parte del giorno, ogni giorno (ce l'ho ce l'ho!);
  3. Fatica a concentrarsi (...cosa stavamo dicendo?);
  4. Estrema irritabilità o ansia o pianto incontrollato (lasciamo perdere...);
  5. Fatica estrema, continua (ma che c'entra la depressione?);
  6. Difficoltà a dormire o impossibilità a dormire (e io che pensavo fosse colpa della panza!);
  7. Desiderio di mangiare in continuazione o al contrario, di non mangiare per nulla (ce li ho entrambi: dunque non ha a che fare con la fantomatica influenza intestinale?);
  8. Senso di colpevolezza, sentirsi inappropriate o senza speranza (in colpa sì, inappropriata pure, senza speranza mi sa un pochettino tragica)
Ok, direi che a parte la prima, ci sta che tutte le altre si verifichino a fasi alterne.

Prendete una che si fa la sua vita tranquilla, rendetela inetta a svolgere una qualsiasi attività, rendete faticoso ogni suo movimento, inattuabile ogni suo progetto in autonomia, ed ecco, è un po' normale che una si deprima un poco...
Ma non mi arrendo eh! Il sole e il cielo limpido di questi giorni farebbero desistere chiunque dal voler portare avanti una qualsiasi forma di stupida depressione passeggera.
Il segreto è non fermarsi, non lasciar spazio ai pensieri, all'inattività.
Se la gravidanza è tosta, io lo son di più.
Mi sto attivando: le pantofole erano solo il primo passo, ora ho finito di preparare la valigia per l'ospedale, ho acquistato orrende camicie da notte in stock al mercato, vestaglie e due pigiami, che non si sa mai, ho fatto la prima lavatrice di vestitini mignon, rimasti poi sullo stendino per un tempo indeterminato, perché non ho ancora una cassettiera in cui sistemarli, ho effettuato svariati viaggi all'isola ecologica e forse sto riuscendo a sgombrare casa, sempre se qualche altro benefattore non decide di mollarci scatoloni di immondizia riesumata in cantina. La camera delle bimbe di là è sgombra (più o meno), imbiancata (si fa quel che si può), e anche se la macchia di umidità sul muro persiste forse forse in questi giorni vengono gli operai a risolverne la causa (veramente li aspettavo per stamani... mah!).
E poi girovago a perlustrare grandi magazzini alla ricerca del mobilio.
Mimi ha detto che vuole un armadio azzurro, e che ci pensa lei: "Non ti pleoccupale, mamma, lo complo io l'ammadio, ci penso io. Ciao mamma, vado a complare l'ammadio!"
Cosa farei senza di lei?

Mi sento un po' stupida a confessare certi stati emotivi, per la verità, soprattutto ora, a freddo, che tutto mi sembra lontano e stento anche a capirne la causa.
Dall'altro canto sento la necessità di esternare, per annientare, legittimare, per relativizzare, capirmi per superarmi.
Mi riempio di cose da fare, di progetti, poi basta un niente per gettarmi nel panico, una giornata storta di litigi e capricci a mettermi KO.
Sono sbagliata, mi dico: non so vivere mai in maniera serena ogni passaggio cruciale della mia vita. A dirla tutta a tratti vivo l'avvicinarsi del parto con l'atteggiamento di chi si avvia la patibolo.
Rifuggo il confronto con realtà simili alla mia perché finisco sempre col sentirmi indietro, più impreparata, più sguarnita, più sfigata.
Da un lato vorrei sentirmi più aiutata, considerata, coccolata. Dall'altra riscatto la mia autonomia, la mia capacità di saper comunque "fare da sola".
E invece mi dicono, dovrei "godermela". E forse è vero.
Godermi l'attesa, i progetti, la preparazione, la trepidazione, l'idea di qualcosa che sta per iniziare.
La stagione è propizia, i tempi sono maturi, il mio ombelico è scomparso.
La bimba è anche pronta, volendo, la sorella scalpita e reclama Noemma a gran voce.
Persino il beduino s'è sbilanciato a voler parlare finalmente di "nomi" per la nascitura. Poi ve ne parlo che quello è proprio un capitolo a sé, e merita.

In questi giorni una notizia funesta: una ragazza che ha fatto con me il percorso nascita, stessa età io e lei, stesso tempo di gestazione, entrambe aspettavamo una bimba. Ma il cuore della sua ha smesso di battere, e ora immagino come debba essere, per lei, l'attesa frustrata, il vuoto nelle viscere e nella casa, le aspettative crollate, i sogni sfumati, l'amore profuso verso qualcuno che non hai fatto nemmeno in tempo a stringere tra le braccia.
E mi vergogno della mia miopia, della mia incapacità di apprezzare, di essere grata alla vita, di gioire, sempre ogni giorno che passa, e invee mi perdo in un bicchier d'acqua dopo l'altro, e non vedo l'oceano che mi si apre davanti.

A volte il dolore altrui può aprirti gli occhi, anche se non è giusto.

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