giovedì 26 luglio 2012

Cose tra madre e figlia.

Allora, ci sono eh!
No, niente, tanto per farlo presente.
Aver finito le vacanze quando la maggior parte della gente deve ancora iniziarle è un po' deprimente.
In effetti siamo stati in vacanza.
Eh, ma nemmeno un post di commiato, una cartolina, un avvertimento, ma che si fa così?
Per la verità mi ripromettevo di scrivere qualcosa da laggiù, magari postare qualche foto, chissà.
Il problema è che la rete non prendeva, e quindi, ancora una volta, mi sarei potuta risparmiare il peso del pc.
Ma è andata così.
Rieccoci alla vita normale, a un'estate in città che per ora si dimostra clemente, accogliendoci benevola con una certa brezza che si prolunga sin dal nostro ritorno, ormai una settimana fa.
Il beduino è alle prese col Ramadan, e con la crisi economica che ha i suoi effetti sulla sua attività.
Io con progetti professionali un po' scoraggianti...
Così con la pupa ce ne scappiamo al mare, di quando in quando, un poco storcendo il naso perché memori dei fondali bianchi e delle acque cristalline del Posto della Vacanza, ma come sempre accontentandoci, io, entusiasta lei, di aver ritrovato "il ma'e di Pisa", eh sì, "Non è quello di 'oma!" Eh, no, quello di Roma se mai fa più schifo di questo, Mimi (ma quando mai ci sei stata, poi?). "Non è quello di Nonna! Nonna è andata a Gabboi!" (Leggi Gavoi, n.d.r., il paese di mia madre, nel Nuorese) "Domme la giotta!" Sì, dorme la giostra, sarà anche per quello che ora ci andiamo di mattina, al mare, e non la sera, quando la giostra fa le ore piccole, e poi se la dorme fino a pomeriggio inoltrato.
La pupa confabula di continuo, costruisce complessi edifici concettuali instaurando nessi che alla prima mi sfuggono, ma che subito dopo mi rivelano la sotterranea struttura portante del suo pensiero infantile.

Ora è grande, sempre più grande, e mi pare lanciata in quinta, inafferrabile ormai a una descirzione graduale delle sue fasi di crescita.

Dura, molto dura arrivare a un compromesso con lei. Arrivano giorni davvero difficili, di urla a bruciarsi i polmoni, sbraitamenti e ruggiti selvaggi che si protraggono per tempi infiniti, a cui non riesco a porre un limite, qualsiasi strategia io adotti. Proteste, proteste per tutto, rabbia stizzita, esplosioni incontrollabili di orgoglio e indipendenza frustrati, conflitti irrisolti e del resto irrisolvinbili tra il puntiglio di averla vinta, di non cedere, di sfogare la sua rabbia fino all'ultimo, senza nulla risparmiarsi, e risparmiarmi, e il bisogno di sentirsi consolata, stretta al petto della grande madre consolatrice ("Mamma, hai le tettone gandi!" Mh, sì. "Mimi ce le ha piccole. Ce le ho piccole, io." E certo, io sono una mamma, le mamme hanno le tette grandi, le bambine ce le hanno piccole "Babbo ha le tette pelode!" Ma che le dovrei rispondere?).

Meravigliosi due anni.

Ormai ci siamo: siamo al giro di boa anche noi.
Niente più biglietto gratuito in nave e sull'aereo (per fortuna che ne abbiamo approfittato finché è durata), niente più "neonata", prego, ora abbiamo a che fare con una bambina "vera" ("Come Pinocchio, mamma!" Eh, sì, come Pinocchio).
Una bambina che non lascia nulla di non detto, se c'è qualcosa da annotare, lo farà, se sbagli ti corregge, se ti spingi un po' oltre te lo farà presente ("No, mamma, è mia la cintura! No, mamma, non api'e!"). Una bambina che infarcisce ogni sua frase di tenerissime interpunzioni: "Aspetta, aspetta, Mamma" "Tei a'abbiata, Mamma?" "Guadda Mamma, ti dò un bacio enomme, codì non ti a'abbi più". Ma Mimi non è che sono sempre arrabbiata, ora. "Non tei a'abbiata Mamma? Eh, Mamma? Tei temp'e a'abbiata Mamma, tu!" Ma dai, non è vero, sei tu se mai che ti arrabbi sempre, io mi arrabbio quando tu strilli senza motivo e non mi ascolti. "Pai i cap'icci, Mimi? Pecchè pai i cap'icci Mimi?" Eh, non lo so, Mimi, dimmelo tu.
Chè me lo devo fissare bene in mente che sono Mamma, che sono "Mamma, tei bellittima, lo tai?" e "Mamma, come tei ttupenda mamma!" e anche, va be' "Mamma, NO! No mamma, no! BIA!" E va be', non si può mica avere tutto dalla vita.
Mamma ha il dritto e il rovescio. Così come tutto.
Mamma è orgogliosa, mamma è sfinita, mamma soffre di insonnia, mamma crolla in catalessi alle dieci di sera, mamma vorrebbe studiare, mamma cerca lavoro, mamma vorrebbe stare sempre con la sua bambina, mamma la vorrebbe mollare in affidamento a Tata Lucia, mamma si diverte a giocare con la sua bambina, mamma vorrebbe poter gestire il suo tempo come le pare a lei, mamma non le interessa una vita migliore, mamma sogna una casa in campagna e traguardi professionali, mamma bambini piccoli non ne voglio più, mamma continua a sognare di famiglie numerose e la-camera-dei-bambini, mamma stanca, mamma soddisfatta, mamma preoccupata, mamma spensierata, mamma-vieni! Mamma-bai-bia!

Ultimamente litighiamo anche nei sogni di lei, di notte. Si sveglia incacchiata nera, gridando manco la stessero scuoiando, trabocca rabbia da tutti i pori, e io mi chiedo cosa può provocare tanta rabbia, così tanta, in una bambina tanto piccola, tanta da invaderle anche le ore del sonno, e proseguire nella veglia, chiamarmi nel buio e poi allontanarmi, furibonda.

Non voglio rispondermi, chè tanto già l'ho capito che la causa del 99 per cento dei comportamenti "problematici" dei figli è da attribuirsi a uno "sbaglio" materno.
E certo: se tu la prendi subito in braccio!
E certo: se tu non l'ascolti!
E certo: se tu vai da lei appena apre bocca!
E certo: non la lasci esprimere!
E certo: se tu non la fai sentire sicura!
E certo: se tu la mandi al nido!
E cero: se tu stai sempre con lei!
E certo: se non le dici mai no!
E certo: se non le fai fare mai niente!
E certo: sta sempre con i grandi!
E certo: la porti sempre in giro!
E certo: ancora la addormenti tu!

E certo: chiunque altro farebbe meglio, è risaputo.
Ma mi chiedo perchè l'equazione non funzioni anche al contrario. Perché non posso sentirmi anche un poco responsabile in positivo dei suoi punti forti.
Allora è tutto un:
No, ma fantastica questa bambina, parla anche in arabo!
No, ma fantastica questa bambina: sa già contare!
No, ma fantastica questa bambina: canta De Andrè!
No, ma fantastica questa bambina: conosce Picasso!
No, ma fantastica questa bambina: non chiede mai di stare in braccio!
No, ma fantastica questa bambina: si legge i libri da sola!
No, ma fantastica questa bambina: si ricorda tutto!
No, ma fantastica questa bambina: non ha paura di niente!
No, ma fantastica questa bambina: non le fa schifo niente!

Sì, insomma, non che io non sia d'accordo. Mimi è, sotto tutti gli aspetti, fantastica, un po' come Mary Poppins, pur essendo lei ben lungi dalla perfezione, e ci mancherebbe altro.
Non è che mi aspetto: brava! Stai facendo un ottimo lavoro! Tanto me lo dico anche da sola, per quello, non c'è problema.

E' solo che a volte, quando diventa dura, e ogni giorno cerchi le energie per sfangartela, e la pazienza, e la serenità per dirti passerà, ti chiedi se magari non stai facendo un qualche errore enorme, madornale, macroscopico, un errore tale da segnare a vita la personalità di tua figlia.
Ecco: così si scoprì perché la pupa era diventata skizofrenica.
E allora vorresti che qualcun altro oltre a te ti dicesse: ma no! Sono fasi. Vedrai, passerà. E' una bambina fantastica, ognuno nasce con il suo carattere, e bisogna farci i conti. Non tuoi i meriti né i demeriti, solo il compito di indicare la via, con piccoli aggiustamenti, che magari a volte possono significare litigi selvaggi alle tre di notte.
Ma poi, lo sai bene, ne vale la pena per quel: "Mamma tei bellittima!"
Sì, lo so. Grazie.

Aggiornamenti postumi: la pupa ora ha abbandonato definitivamente il ciuccio, pronuncia bene la lettera "S", a momenti, e dipende dalla parola, coniuga quasi sempre i verbi alla prima persona e utilizza i pronomi "tu" e "io" al posto di "Mimi gioca" e "Mamma va"; cosa assai più importante ha imparato a rispondere di sì alle domande. Prima era solo "no", oppure ripeteva la domanda, del tipo:
"Mimi lo vuoi il cocomero?"
"Lo vuoi il cocomero? Eh?"
Ora invece:

"Mimi lo vuoi il cocomero?"
"Tiiiii! Lo voglio il cocomero!"

Insomma: ci tenevo a tenere traccia di queste conquiste, non è per vantarmi dei progressi di mia figlia!


domenica 1 luglio 2012

Duetto monodico.

(Illustrazione di Roberta Angeletti)
Mi è venuto in mente l'altro pomeriggio, mentre portavo la pupa al mare. E pensavo: ma chi me lo fa fare di sfacchinare così per un due orette a rincorrerla su quella striscia di sabbia sporca e perennemente umida, martoriata dalle palette di frotte di bimbi affamati di estate, stipati su un dieci metri spiaggia artificiale, in una piscina livello ginocchio di acqua di mare piuttosto stagnante, chiusa dal frangiflutti perché le mareggiate non si portino via del tutto quel residuo di rena iperaffollata, mentre lei lascia pedate di sabbia sugli asciugamani altrui e tenta per l'ennesima volta di prendere il largo a piedi approfittando della mia momentanea distrazione, presa come sono dall'edificazione della sua personale fortezza silicea, e si rifiuta di darmi la mano mentre l'acqua le arriva già alla gola e la più piccola oscillazione della superficie basta per farle perdere il precario equilibrio e ha già la testa sott'acqua e beve sorsate d''acqua salata prima che io possa afferrarla per le ascelle ed estrarla ché non anneghi sotto il mio sguardo vigile.

E intanto siamo ancora sul pullman, e io già penso a dopo, e l'autista ha una guida disinvolta e sportiva, che fa sì che la pupa, che pretende di star seduta da sola, sul suo sedile di fianco al finestrino, venga sbatacchiata di qua e di là, e ad ogni curva e ad ogni frenata mi aspetto che decolli verso i posti in prima fila, e l'afferro per una caviglia suscitando le sue più sentite proteste: "No, mamma! E' mio il piedino! E' mia la poltrona!".

- Pronto, dove siete?
- Stiamo andando al mare, io e Mimi.
- Con chi?
- Da sole.
- Ah, e come andate?
- Lascio la bici alla stazione degli autobus e poi prendo il pullman fino a Marina. Vuoi venire con noi?
- A marina?
- ...
- Mh. No.

La verità è che non mi interessa nulla di farmi le vacanze ideali. Non mi interessa il mare ideale, la spiaggia ideale, spiaggiarmi unta d'olio abbronzante esponendo un corpo scolpito a fatica nei lunghi mesi invernali appositamente per la "prova costume" (ah! Dannato lessico pubblicitario!).
E tutto sommato non mi rammarico nemmeno di aver perduto le mie solitarie incursioni lampo munita di asciugamano e mattonazzo cartaceo, le mie lunghe sessioni di lettura sulla riva conciliate dallo sciabordio delle onde, interrotte solo dai miei frequenti tuffi per prender fresco, chè il sole sulla pelle non l'ho mai amato troppo, e il mare per me non è mai stato sinonimo di "tintarella".
Sono  felice quando la vedo entusiasmarsi di tutto, portarla a passare un pomeriggio, poche ore fuori città, misurare il proprio coraggio e la propria indipendenza avventurandosi nell'acqua bassa, via via sempre meno bassa, insozzarsi di sabbia fin tra i capelli e concludere il pomeriggio con un giro sulla "macchina di Aladino" (1 euro e 50 un giro in giostra? Ma dove andremo a finire? Ah, ai miei tempi...)

Non ho bisogno d'altro per stare bene, che di vederla stare bene. Ho smesso da tempo di pensare che potrei essere più felice di così, che la vita potrebbe essere più facile. So che non è vero, che ciò che possiedi non ti rende più soddisfatto, di te, della tua vita. Se mi è permessa una citazione un po' pulp, mai come ora sono più che convinta che davvero le cose che possiedi, a un certo punto ti possiedano, nella misura in cui senti di non poterne fare a meno, che la tua realizzazione è legata al loro raggiungimento, alla loro permanenza e mantenimento.
E davvero, sentire di essere indipendente da tutto, di potermene andare al mare con mia figlia anche senza bisogno di una macchina, due borse in spalla e lei a cavalcioni su un fianco, mi fa stare bene, in armonia con me stessa, in pace, senza nulla desiderare, nulla chiedere di più, un poco anche compassionevole verso chi non riesce a fare a meno delle comodità che si è sempre concesso, ed è lì ancora a lamentarsi dei parcheggi inesistenti e del prezzo di un posto prenotato in spiaggia con ombrellone e sdraio, e anche di chi si rifiuta di starci, corpo a corpo con questa umanità vociante, e un po' panzona, di asciugamani confinanti e pedate di sabbia in faccia, insalata di riso e cocomero al sacco, e se ne rimane ormeggiato a largo di calette irrangiungibili per i comuni mortali, a fare tuffi e sorseggiare drink da barche che solo il carburante per una giornata di relax ci parte lo stipendio mensile di un manovale.
Ne ho conosciuti, di questi ricconi, e non mi son sembrati più felici di me neppure con la loro attrezzatura da sub nella rimessa del barcone e la moto ad acqua con cui improvvisare spedizioni nelle grotte. A dirla tutta ricordo quella giornata in barca con quei ricconi come una giornata un po' penosa. Noi due ci guardavamo a disagio, sapendo che non era quello il nostro posto, che per quanto splendido quel mare dove ci avevano portato, non ce lo stavamo godendo come quando attraversammo Cape Corse in bicicletta, dormendo a sbafo nei camping a pagamento e mangiando fichi d'india sulla via.

Ed ecco com'è che ci ho pensato, proprio l'altro giorno mentre andavo al mare con la pupa.
Pensavo a quel ragazzo allegro e irriverente che girava per le strade deserte della città notturna con le mutande infilate in testa, per gioco e per raccogliere una sfida.
Pensavo a quelle corse sulla bici senza sellino lui davanti e io dietro, in piedi sul portapacchi, che schivava i passanti gridando loro in un italiano da flagello di Dio: "Non ce l'abbiamo i freni! Non ce l'abbiamo i freni!", il mocio in spalla, perché andavamo a pulire il pavimento del sottopassaggio della stazione, impiego ottenuto per procura di un tizio losco di nostra conoscenza che si pigliava tutti gli appalti di lavori del Comune e poi se li rivendeva a compensi da schiavista.

Pensavo anche allo schifo di quel sottopassaggio, al puzzo di piscio umano, a quel cinese che è passato sul pavimento bagnato a lavoro finito e tu che gli hai gridato, assai politically scorrect, e very pisan slang: "Oh, Cinese! Levati di 'ulo! La maiala de tu ma'!", ma anche all'orgoglio di chi a testa alta è fiero di fare bene anche il lavoro più degradante e alla spensierata noncuranza con cui spazzolavamo metri quadri di lastricato, fregandocene dell'oggi ed entusiasti per il domani.

Pensavo a quel ragazzo che era felice con nulla, e che metteva allegria intorno, che contagiava tutti col suo buon umore, che invitava tutti a casa sua, che fermava sconosciuti per strada offrendo loro da bere, nelle fredde serate di inverno, e portava in giro carrelli della spesa piedi di lattine di birra da due soldi, comprate all'Eurospin, e casa sua era sempre piena di voci e accenti diversi, e gente che rideva e tutti si sentivano a casa loro, sin dal primo momento in cui vi mettevano piede.

E pensavo a quel ragazzo che non si era mai curato dei soldi, sempre troppo poco dei propri diritti, che in nome di presunte amicizie finiva sempre per dare a fondo perduto, in tutti i sensi, e non ritirava neppure i vuoti a rendere, e non teneva mai il conto di quello che offriva, mai a mente ciò che prestava, e si curava sempre delle persone più che degli oggetti.

Pensavo a quel ragazzo che non aveva mai pudore di mostrarsi per quello che era, e che per questo tutti amavano, che non si faceva mai pensiero di essere fuori contesto, o di non essere all'altezza di situazioni, che era sempre sopra le righe e metteva chiunque a proprio agio, che ricordava tutti i volti e scordava tutti i nomi, a cui tutti confidavano guai e problemi, infelicità e dolori e a cui nessuno chiedeva mai come si sentisse, di cui tutti si accorgevano di sapere sempre troppo poco, che nessuno ricordava mai da dove esattamente venisse, e quale fosse la sua storia, ma che tutti affermavano di conoscere come un fratello.

Ma soprattutto pensavo a quel ragazzo che sapeva essere felice pur non avendo nulla, e che tutto ciò che aveva costruito intorno a sé l'aveva costruito partendo dallo zero assoluto, e senza sotterfugi né scorciatoie, e lo sapeva e ne era fiero, ma senza vantarsene.

E mi sono chiesta quand'è che hai iniziato a gettare la spugna, e a sentirti stanco.
Perché ora non abbiamo molto più di quanto non avessimo allora. Se possibile abbiamo meno soldi di allora, perché abbiamo sicuramente meno entrate.
Ma abbiamo della strada fatta insieme e molti bei ricordi, altri meno belli, e abbiamo una laurea e un'attività, e anche se ci sembrano insufficienti le abbiamo realizzate con le nostre forze e con l'aiuto di nessuno.
E anche se è una laurea che chiunque un poco sorride sotto i baffi quando dico in cosa, anche se non me la rivendo magari, so di averla conseguita con passione, amando tutto ciò che facevo mio.
E anche se è un'attività che conta più fatica di quanto non sia il rendimento e non è arredata da un interior designer, e non è nella guida verde del turista, e chissà se ce la sfanghiamo da questa crisi, l'hai inventata tu, da cima a fondo, con creatività e impegno, e presenza, e anche se dici di essere stanco e demotivato, lo so che la senti parte di te, e non te ne staccherai con facilità e non senza dolore.

E abbiamo portato piatti, infornato pizze, tagliato bistecche, servito vino, stappato bottiglie, annusato tappi, litigato con principali, ingoiato bile, asciugato bicchieri, spinato orate, mandato in culo colleghi, litigato ancora con clienti, ingoiato bile, lavorato fino a tardi, ballato a piedi nudi, collezionato sbornie, allineato voti sul libretto (io), smesso di fumare, ricominciato a fumare, smesso di fumare, smesso di bere (tu), macinato libri (io), preparato esami dopo le tre di notte (io e tu), riso per le repliche di Paperissima sempre alle tre di notte, dormito solo la mattina (soprattutto tu).

E ora abbiamo anche un'altra cosa che ci unisce, ed è questa bambina.
E non è giusto, io credo, non è così che deve essere, che un bambino porti pesantezza, e preoccupazione, e negatività. Un bambino dovrebbe portare nella vita di chi lo accoglie, energia e gioia, e fiducia e speranza. E pensare al futuro non dev'essere un'ossessione, dev'essere un progetto comune. Pensare al presente non dev'essere il sentore una sconfitta, dev'essere consapevolezza di un viaggio e soddisfazione e orgoglio di sapercene fregare di quel di più che non serve, che è solo un'illusione di felicità.

Ogni tanto vedo ancora quel ragazzo, anche se ormai è un uomo, ma lo riconosco ancora.
Per fortuna avevo solo creduto che fosse andato via.
E siccome ti vanti di non aver mai letto un libro "in tua vita", so per certo che non leggerai mai queste parole, ma mi piace che comunque tu qui dentro ci sia.