venerdì 31 maggio 2013

Quando la tetta fa anche da ciuccio (inorridisco al pensiero di chi potrebbe arrivare a questa pagina da Google)

Immagine presa dal web (ovvero: non è la mia tetta!)
 (...e nemmeno mia figlia.)
Non che io non ci abbia provato, a proporglielo, alla piccola fatina.
Ci ho provato, poi lasciato stare. Poi riprovato, dopo un po', tanto per vedere se nel frattempo non avesse cambiato idea.
Ma no. Lei non è interessata. Al ciuccio.
Ne ho provato uno interamente in caucciù vecchio di Mimi; uno anatomico della COOP con, mi pare, l'uccellino Ugo e il pratico tappo salva-ciuccio; uno che si chiama tipo Chupet e che ho scoperto luminescente (una genialata, dico io), "con tettina piatta mini", dicono loro.
Lei mi mima un conato di vomito. Direi: più chiara di così!



Poco male, vorrà dire: ce ne faremo una ragione. Mi arrendo all'evidenza e depongo le mie armi in lattice e caucciù.
Ma ne sfodero un'altra! Eh eh! Con quella state tranquilli che la vinco sulla più accanita resistenza neonatale.
A saperlo l'adottavo prima. Con l'altra, dico.
Ma si sa: ogni cosa ha i suoi pro e i suoi contro. Anche l'utilizzo della tetta a mo' di ciuccio.

PRO

  • La tetta è sempre a portata di mano: non cade (oddio, magari un tantinello sì, ma rimane pur sempre attaccata al luogo da cui si origina), non si perde nel letto, smarrendosi tra le pieghe delle lenzuola, non rischia di rotolare tra polvere e peli di gatto, non si smarrisce per strada.
  • La tetta non si deteriora. O almeno: non nell'immediato, necessita pochissima manutenzione e non richiede schiere di doppioni a scopo sostituzione indolore quando il pupo non potrà più disporre del suo modello preferito.
  • Ad ogni modo ce ne sono due, a scanso di equivoci.
  • La tetta è sempre, più o meno, pulita ( a diretta conseguenza del punto 1: non rotola tra polvere e peli di gatto, e nemmeno ristagna in borsa tra briciole di crecker e fiorellini di campo rinsecchiti).
  • La tetta è multifunzionale: funziona come erogatore di alimento, calmante, induttore di sonno, gingillo antistress, inibitore di singhiozzo, catalizzatore di peristalsi intestinale del neonato, e chissà per che altro (nel dubbio, uno prova).
  • La tetta non te la scordi a casa quando esci. Sfido chiunque.
CONTRO
  • La tetta non entra nella carrozzina (o nella culla, a seconda), a meno che non ti cimenti a entrarci tu tutta intera.
  • Analogamente, non ne puoi usufruire mentre stai spingendo tua figlia nell'ovetto per strada. A meno che voi non siate contorsioniste cinesi e riusciate a mantenere comunque la posizione camminando.
  • La tetta in alcuni contesti è soggetta a un certo grado di ostracismo sociale. Il ciuccio no.
  • A farne un uso intensivo e continuato può generare rigurgiti e overdose da latte, fame lupigna e dolori lombari nella genitrice, al limite anche una certa esasperazione e insofferenza verso l'atto di porgerla.
Fatene buon uso, donne.

giovedì 30 maggio 2013

Vi racconto una sedia...

Fuori misura

Un post da finire da un'infinità di tempo.
E allora perché oggi? Mah!
Sarà che faccio pulizia nella cartella "bozze".
Sarà che mi è tornata tra le mani questa foto qui sopra (la persona ritratta mi ha espressamente autorizzato alla pubblicazione della propria "effige". Securitalia invece no, ma...).
E per l'esattezza posso dire che rimuginavo su questa foto da circa un anno, da quando cioé, rimuginavo di recarmi a quest'appuntamento, proposito poi non mai esaudito.



Peccato: la stupida auto della sicurezza stradale notturna ha rovinato tutto l'effetto "Signora Minù" (ve la ricordate Minù Pepperpot?).
Comunque la foto rende abbastanza: qualcuno di noi due è fuori misura, cara la mia sedia!
Cosa accidenti ci fa una sedia di quelle dimensioni abbandonata in strada nel centro di Milano nel cuore della notte?
Cosa ci facevamo noi (io e la Signora Minù della foto, nel suo rosso cappottino) in centro Milano nel cuore della notte?
Chi ha lasciato quella sedia lì?
Cosa sta facendo la Signora Minù della foto? Si arrampica sulla gigantesca sedia o ne sta scendendo a fatica, dopo aver assistito a uno spettacolo di strada per giganti?
Mah!
Non son qui per dissipare i vostri dubbi.
Del resto potrebbe darsi benissimo che questa foto sia una messa in scena, sì, cioè, che la mia Signora Minù si sia messa in posa proprio per fare la foto, che la sedia in questione non fosse altro che una trovata pubblicitaria di Stokke o chessoìo (o una qualche forma di arte contemporanea di strada chessoìo) che l'auto di Securitalia abbia rallentato per capire cosa accidenti stessero tentando di fare alla Stokke quelle due girovaghe notturne per Milano...

Ma, per l'appunto, che ci facevamo?
Niente: vagavamo. Nell'attesa di poter prendere il treno per tornarcene a casa, dopo aver assistito a un concerto che era un regalo di compleanno. Quanto mi piaceva fare regali di compleanno a effetto, quando potevo permettermelo! Peccato che poi sceglievo le combinazioni data-location più infattibili e alla povera malcapitata di turno toccava fare i salti mortali per poterne usufruire...
E così siamo finite a vagare nottetempo per quelle strade, come uscite da un trip allucinogeno. Eppure ricordo pure che Vinicio lo disse, durante la presentazione di una delle ultime canzoni, che si scusava, ma oltre alle ombre cinesi non disponeva di pipe da oppio per ricreare il clima della fumeria di C'era una volta in America...
Niente oppio, dunque, ma quella nottata per strada a vagare e a fare incontri bizzarri la ricordo avvolta comunque da un'aura di delirio oppiaceo.
Tipo l'artista delle lampade che si trascinava dietro quel monoblocco di granito che era la sua ultima creazione artistica, creazione che voleva rifilarci alla modica cifra di qualche centinar d'euro... non che il prezzo fosse l'impedimento maggiore, quanto l'idea pazzesca di doverci a nostra volta incollare la granitica lampada artistica per le strade della città by night. Come se non fossimo già abbastanza derelitte così.
Tipo il venditore di fiori sordomuto che regalava rose alla mia amica Signora Minù, con la quale intavolava lunghissime conversazioni in una lingua dei segni improvvisata che io puntualmente fraintendevo.
E questa epifania improvvisa, della maxi-Stokke, o chessoìo, piantata nel bel mezzo del selciato, a emblema del generale clima di non-sense dell'intera nottata.

Ecco, se mi vien chiesto di raccontare una sedia, questa è la prima che mi viene in mente, anche se di lei, a dire il vero conosco assai poco, poiché ha finto col rappresentare in un'unica istantanea quella memorabile notte.

E per chi si stia chiedendo di che accidenti parla questo post rimando a Measachair, una delle idee più folli che mi sia capitato di trovare in rete:
Un blog, una pagina facebook, una raccolta iconografica: tutto ruota intorno ad un oggetto di uso comune – la sedia – oggetto fisico, simulacro, pretesto di dialogo. L’idea di fondo è l’espressione del valore individuale: ogni persona è speciale e ha qualcosa di interessante da raccontare.
Ecco riassunto il loro progetto nel blog di Stima.
Oppure su quello di Camilla, alias Ladoratrice.

E per finire, un invito al gioco per chi volesse dare il suo contributo e raccontare a sua volta, una sedia.

Per quanto mi riguarda, datosi che inauguro così l'etichetta (o "la letichetta" come direbbe Mimi) "sedie", immagino che potrei pubblicarne altre ancora... chissà.

Buone sedute a tutti!

mercoledì 29 maggio 2013

Ho messo via.

Disclaimer (trad. "mettiamo le mani avanti"): la citazione di Ligabue non era intenzionale a ricevere un maggior numero di visualizzazioni. Peraltro immagino lo stato d'animo rancoroso e le "Madonne" che mi lanceranno i fan del Liga quando, googolando la celebre canzone si ritroveranno sul mio blog. Ci ho pensato pure, a cambiare il titolo onde evitare equivoci e false aspettative, ma poi mi son detta: "Oh, be'! Fatti loro. Perchè complicarmi la vita".

Admission (mea culpa): attenzione,questo è uno di quei post in cui si ripete continuamente l'enunciato di cui al titolo, fino al punto da sfinire il lettore. Trattasi di espediente retorico* abbastanza sputtanato, cui ricorrono volentieri e sovente scrittori dilettanti allo scopo di rendere più accattivanti scritti altrimenti di modesto interesse pubblico. Fa sempre figo ed è di facile utilizzo. Basta non esagerare.

Detto questo cominciamo pure.
Ahem...


Ho messo via un mezzo quintale di vestitini taglia 0 mesi. E fin qui, tutto bene.
Temo che tra poco mi accingerò a metterne via un altro pacco taglia 1-3 mesi rigorosamente estivi, senza aver neppure avuto l'opportunità di usarne neppure uno. Questa stagione è stata sufficientemente stronza da impedirmi di vestire mia figlia con pagliaccetti smanicati e completini canottiera-culotte fino alle soglie di giugno, e tuttavia la bimba in questione ha ricevuto una caterva di doni vestiari sul genere "bellezze-in-spiaggia" relative proprio a questi mesi di vento burrascoso, piogge itineranti e grandine repentina. Potevo almeno evitare di togliere le etichette e rivendermeli per nuovi. Invece ho avuto l'alzata d'ingegno di buttarli tutti in un primo ciclo di lavatrice. E vabbé.
Ne ho messo via un altro pacco esclusivamente di tutine pesanti in ciniglia, mini-piumini imbottiti e scafandri da palombaro di taglia 3-6 mesi, visto che mi auguro almeno che tra giugno e agosto (quando le dovrebbero calzare) possiamo farne tranquillamente a meno.
Non che non mi siano girate un po' la palle eh!
Vorrà dire che mi toccherà programmare una terza pupa che venga alla luce intorno a giugno, onde poter riutilizzare il tutto.

Ho messo via anche una buona quantità di miei vestiti vecchi, che avevano tutti, chi più chi meno, un'età pari a tre-quattro volte quella di Mimi. Li ho messi via nel senso che ne ho fatto due bustone e li ho infilato nel cassone della Caritas...
E' stato faticoso separarmi dai miei abiti decennali, ma ho dovuto fare i conti col fatto che da anni ormai giacevano lì inutilizzati, vuoi per un personale cambio di stile e gusti (non ho detto che sia stato in meglio), vuoi per una mutata conformazione fisica della sottoscritta (non ho detto ch'io sia più magra ora o più grassa, ma ho avuto due figlie, e vuoi non vuoi sono cambiata), vuoi per lo stato pietoso in cui li avevo ridotti in anni di utilizzo, centrifughe selvagge e unghie di gatto. Sì, anche quel fantastico maglione turchese comprato durante il mio Erasmus a Madrid in saldo da Zara (e non ricordo neppure di esser mai riuscita a metterlo); sì, anche quello bordeaux comprato alla bancarella cinese il mio primo anno di università a 2000 lire (che detto così sembra tanto, ma vallo a trovare ora un maglione a un euro!); la gonna di lino giallo-senape che non so chi mi aveva rifilato... Stavano lì a occupare spazio: tzè! Ne ho fatto un gran fagotto e via.
Ci ho guadagnato due scatole da guardaroba libere.
Che soddisfazione.
E mo' mi voglio vedere a novembre, quando imprecherò contro un armadio semi-deserto!

Ho messo via un bel po' di capelli.
Sognavo di farlo da un po'. Ora l'ho fatto.
Certo: ho dovuto scassare i cabasisi al beduino per un buon mesetto, intensificare lo scassamento degli stessi nel corso dell'ultima giornata di domenica, in cui miracolosamente ci siamo ritrovati a casa in una relativa tranquillità domestica.
Alla fine ha ceduto: mi ha rapata... oddio: rapata è una parolona. Lui si è limitato a eliminare le "lunghezze", lasciandomi in testa un panettone degno della più cotonata delle sessantenni.
Ho dovuto provvedere da me misma, concludendo il lavoro a colpi di sforbiciate davanti allo specchio del bagno.
Alla fine Mimi ha detto: "Mamma, mi sembri un pulcino spennacchiato". Sempre gentile, lei.

Ho messo via anche un discreto numero di libri. Ohibò.
Confesso che è stato un po' straziante separarmene. Ne ho fatta una cernita e li ho spediti via corriere espresso all'amica-di-sempre come regalo di compleanno... si dice che la crisi porti a rivalutare l'abitudine al riuso. Ecco: mi chiedo cosa ci stiano a fare una montagna di libri letti a prendere polvere su uno scaffale quando potrebbero viaggiare, e far viaggiare altre menti, visto che alla mia raramente piace percorrere sentieri già battuti. Ovvero: non rileggo quasi mai un libro già letto. Figuriamoci ora che strappo alla lettura clandestina attimi di pausa tra un mamma-vieni-a vedele-che-bel-fiole-ho-tlovato e un uè-uè. Tanto vale farli circolare, far girare immagini, parole, emozioni. Che vivano in altre teste. Anzi: ci sto pensando, quasi quasi, di disfarmi di tutti i miei volumi cartacei, magari aprendo una pagina del blog o altrove che si chiami "lo scambialibro" o algo asì (oggi non lo so perché ma mi sale il castigliano).
Certo la mia collezione di Montalbano...
I miei amati Saramago...
I miei gratificanti mattonazzi storici (del resto l'amica-di-sempre mi ha espressamente dichiarato di non esservi interessata)...
I conturbanti McEwan...
Espiazione poi... ah! Espiazione! No: Espiazione non ce l'ho fatta. Troppe emozioni mi ha fatto rivivere aprendolo e leggendo la data di quel lontano 2010 in cui lo lessi con Mimi nella panza.
Ho sovente l'abitudine di apporre la data in cui finisco di leggere alcuni libri. E questo è un deterrente al darli via. Ma, orsù: questa era solo la prima tranche. Una prima ondata della mia eredità letteraria.
Mi riprometto di svacantare quello scaffale. E poi, magari un giorno, di riempirlo con altri nuovi.
Che le pagine lette rimangano dentro di me, come in Farenheit 451 di Bradbury e quelle scritte vadano ad imprimersi altrove...

E' un periodo che, dopo anni di accumulo, miro allo svacantare.
Che senso possa avere tutto ciò non saprei, ma se, dopo questa carrellata di ho messo via, avete avuto la pazienza di arrivare a leggere fin qui, forse ci posso provare.
Avere l'urgenza di riempire e poi sentire l'esigenza di fare spazio. Tutto ciò ha davvero assai poco senso, è chiaro. E' un circolo vizioso dell'esistenza, che tende a cercare un'autodefinizione attraverso il possesso di oggetti.
E poi ti ritrovi casa piena zeppa di stronzate cianfrusaglie, ma non sai dove tenere l'essenziale.

La mia urgenza di preparare il guardaroba per la nascitura, per esempio: un guardaroba resosi superfluo nel giro di un paio di mesi. O quel formicolio che provai quando finalmente ebbi montati in camera i tanto agognati scaffali su ci allineare il mio patrimonio librario.
Per far cosa poi? Per rimirarmeli?
Questa smania che abbiamo noi esseri umani di collezionare, mettere insieme, allineare oggetti come rappresentanti di tappe del nostro vissuto. Ma non è così.
Il nostro vissuto è altrove: non in quegli oggetti.
Con tutto il rispetto che ancora non riesco a smettere di provare verso l'oggetto-libro, per esempio (ok, bruciarli come in Bradbury no), mi rendo conto che il valore di tale oggetto permane solo se gli viene data la possibilità di circolare.
E i pantaloni che portavo in-quel-favoloso-inverno-in-cui, per quanto rappresentino un'immagine concreta di molti episodi in cui essi figurarono indosso a me in quella o quell'altra circostanza, rimangono pur sempre dei pantaloni vecchi.
E poi finisci a guardare sconsolata un armadio stracolmo e a dire: "Minchia mi metto?".

Ok. E i capelli?
I capelli non avevo più il tempo per lavarli, lo confesso.
L'ultima volta li tenni zozzi per ben tre settimane. Quando finalmente arrivai a farmi lo shampoo, si era creato in cima alla testa un mega nodo indistricabile, e mentre combattevo con la spazzola sotto la doccia, dietro la porta del bagno si affollava gente che reclamava il mio intervento perché "La piccola piange", "Vieni a vedele che bel castello ho fatto", o "Miao-miao".
In un raptus ho tagliato di netto il nodo gordiano... ecco perché la rapatura si era resa necessaria già da un po'...
Ma volendo potrei dire che avevo voglia di dar aria alle mie idee, o di alleggerirmi la testa, fate un po' voi.

Insomma: sto facendo un po' di posto. Che mi aspetto? Chi lo sa... ops! Ci sono ricascata...

(Avete qualche Ho messo via da aggiungere? Non capita anche a voi di avere questo bisogno di svacantare? O è solo una cosa mia e di Luciano?)


 





 

*Anàfora (dal greco ἀναφορά, «ripresa») è una figura retorica che consiste nel riprendere, ripetendola, una parola o un'espressione all'inizio di frasi o di versi successivi, per sottolineare un'immagine o un concetto. L'effetto è tanto maggiore quanto più numerose sono le ripetizioni.
(wikipedia)

Disposofobia (o accumulo patologico o accaparramento compulsivo) è un disturbo mentale caratterizzato da un bisogno ossessivo di acquisire (senza utilizzare né buttare via) una notevole quantità di beni, anche se gli elementi sono inutili, pericolosi, o insalubri.
(sempre wikipedia)

(Che razza di post... mah!)

lunedì 27 maggio 2013

Il nostro didò parte seconda.

Allora siccome fuori tira sempre vento e la primavera volge un po' all'inverno, siccome a noi piace investire sempre nel nostro tempo di qualità e siccome che la piccola fatina si è gentilmente concessa una lunga pausa di sonno, decido di accontentare la richiesta che Mimi mi rinnova da giorni, di rifarle il didò, perché, così mi dice, doveva fare il gelato.

Ritengo quindi doveroso aggiornare queste pagine circa la riuscita del nostro secondo ufficiale cimento nell'impresa ( vi ricordo il primo esperimento).

Dunque stavolta decido di provare con il colorante in polvere portatomi dal beduino (pare che nella cucina araba lo si usi molto per "colorire" i piatti... mah! Comunque in negozio da lui va alla grande!)




Quindi con Mimi misceliamo farina, sale, cremor tartaro, e aggiungiamo una di queste bustine.
Due bustine: non si vede alcun pigmento, forse una era troppo poco per tutta questa farina... tre bustine, quattro... Mimi, tieni: aiutami anche tu. Svuota questa bustina. Anche questa.

Insomma: per farla breve ci mettiamo una cifra non ben identificata di queste bustine in polvere, e il colore... ancora niente.


Decido per il sì e per il no di infilarci dentro anche un po' di aroma all'acqua di rose (questi arabi aromatizzano persino l'acqua che bevono): male non farà di certo.

Ma ecco... miracolo! A contatto con un qualsivoglia liquido il colore esce fuori!

Un bel giallo che più giallo non si può (Azz', stai a vedere che di bustina ne bastava alla fine pure una...)

In pratica giallo-evidenziatore...


- Mimi, non mangiare il didò liquido. Mimi, non mangiare il didò liquido. Mimi, non mangiare il didò liquido, ché fa schifo. Mimi non... e vabbé, e allora mangialo!



- Buono?
- No, mamma: è un pochino cchifodo.
- Ah, ecco.

E poi la cottura.
Attenzione: a vederlo così parrebbe che non è venuto un beneamato ciufolo. NO?
E invece: mai disperare. Sì invece impastare.
Impastare è la chiave di tutto.
Impastare all'acqua di rose.
Impastare all'evidenziatore giallo, anche se vi diventano le dita fluorescenti...



E alla fine, si potranno ben inaugurare i timbrini regalo dell'amica Rosetta...


- Mamma, guadda: ho fatto me!
- Mh. E io chi sono?
- Tu sei la ttrega Grimilde.
- Ah. Beh, grazie.
(E pensare che ho immolato la mia domenica a farti il didò...)


L'unica pecca: abbiamo messo il colorante nell'impasto di base. Quindi ci siamo ritrovate con tipo un chilo di didò giallo-fosforescente.
Però: aggiungendo in post-produzione il caro vecchio colorante liquido rosso abbiamo ottenuto un bellissimo arancione brillante.
Aggiungendo il caro vecchio azzullo abbiamo ottenuto un bellissimo verdino-pisello-brillante che la mia reflex mezza sbroccata si è rifiutata di fotografare. Pazienza: credetemi sulla parola.
Impossibile invece ottenere qualsivoglia rosso o verdi più scuri di quel verdino-pisello lì, immagino a causa delle proporzioni spropositate di colorante giallo per cous-cous utilizzato.

Devo dire che questa esagerazione di colorante ha dato risultati di una brillantezza che non avrei mai potuto sperare con i soli colori liquidi usati la volta scorsa, che ci avevano limitato a una gamma di colori molto acquarellati, sbiaditi.
Pollice in su dunque al colorante beduino.

Poi, per chi volesse al volo imitarci senza stare a cercare due ore nel web e confrontare ricette più o meno simili ma pur sempre dissimili, ecco a voi la nostra, pratica e veloce (ricordo che il cremor tartaro io l'ho ordinato in farmacia, non avendolo reperito in nessuno dei 119 supermercati in cui l'ho cercato -scherzo: erano solo 2!-)

RICETTA (semplificata e corretta):

  • 2 tazze di farina
  • 1 tazza di sale fino
  • 2 tazze di acqua calda (non bollente!)
  • cremor tartaro: 20g.
  • 1 cucchiaio di olio di semi (o altro olio)
  • colorante alimentare in polvere (noi abbiamo messo tipo 6-7 bustine, ma suppongo che ne basterebbero anche molte meno)
  • aroma di acqua di rose (mah! suppongo vada bene qualsiasi altro aroma a piacimento)

Ora sorge spontanea una domanda: ma 'sto cremor tarataro, nell'economia del didò, a che accidenti serve? Quale sarà la sua funzione? Mistero.
(Se ci fosse qualche chimico in ascolto che volesse illuminarmi...)

giovedì 23 maggio 2013

Tempo di qualità? Sempre.

La prima volta che ne sentii parlare, fu all'interno di un programma televisivo del pomeriggio, di quelli che si chiamano, mi pare "contenitori", nel senso che contengono un mucchio di stonzate, tipo, che ne so, Pomeriggio 5 o La vita in diretta... (Ora tutti crederanno che io sia un'esperta sull'argomento: sob!).

Comunque. Non ricordo quale fosse il tema del giorno, ma ricordo questa tipa, una rampante mamma in carriera o sedicente tale (erano i rombanti anni '90, wow! Oggi madri solo precarie e contratti freelance), e insomma questa tipa andava millantando di aver messo a punto un sistema eccellente per ottimizzare il tempo che trascorreva con i suoi figli, favorendone la qualità.
In pratica questo piccolo genio ordinava tutto il cibo che acquistava per casa a una ditta di fornitura di cibi surgelati a domicilio, in questo modo evitando l'incombenza di doversi recare al supermercato 2-3 volte a settimana, inficiando il prezioso tempo di qualità da riservare ai suoi adorati pargoli, già fin troppo penalizzati dalle assenze lavorative materne.
E insomma, anche allora, malgrado non fossi mamma neppure nell'anticamera del mio lobo frontale, ricordo che pensai: "Ma vaffanculo!" che in pratica riassume ottimamente le mie riflessione che da qui in avanti vi esporrò.


Perché va bene, rampante mamma in carriera o sedicente tale che ami trascorrere coi tuoi figli solo attimi splendidamente memorabili, ci posso pure stare che girare mezz'ora nel parcheggio del supermercato in cerca di un posto auto libero non sia il massimo dell'investimento del tuo tempo coi tuoi figli, ché le file alla cassa metterebbero a dura prova la più amorosa delle genitrici, con le migliori intenzioni del mondo e il più ferreo self-control, soprattutto se i pargoli in questione attaccano la solfa del "mamma-me-lo-compri-quello" e la vecchietta dietro di voi vi spintona facendo la vaga, e quell'altra passa avanti con la scusa del "Che-signora-mi-fa passare-c'ho-solo-queste-quattro-cose" e poi s'infila a tradimento il marito col carrello stracolmo... ve bene: tu preferisci intavolare con i tuoi bimbi giochi di società e spingerli amenamente sulle altalene al parco, costruisci plastici in scala del quartiere e raccogli pezzetti di corteccia con cui realizzare collage artistici con materiali naturali, e però... ti fai recapitare a casa la spesa surgelata.
Non so perché ma tutto ciò mi suona molto "finto".
Perché mai la casalinga sfigata, che si barcamena tra i 1300 euro mensili e le quote per la gita scolastica, fa i salti mortali per far quadrare i conti a fine mese con un solo stipendio e due figli, la prole da recuperare a scuola e la lavatrice da stendere, la caldaia da riparare e la lettiera del gatto da pulire, dovrebbe sentirsi una madre meno presente se passa due ore al supermercato coi suoi bambini a fare la spesa invece di allestire set di giochi montessoriani pagati un discreto fottìo e portare i bambini a La città della scienza?

Cos'è fondamentalmente che vogliamo insegnare, trasmettere, ai nostri figli? Cosa vogliamo che imparino da noi? Cosa vogliamo che diventino? Ma soprattutto: cosa vogliamo che rimanga loro del tempo della loro infanzia trascorso in nostra compagnia?
Forse dovremmo rispondere ad alcune di queste domande per capire cosa significa passare del tempo "di qualità" coi nostri figli.
Ché così pare che questo tempo di qualità sia appannaggio dei ricconi, di quelli che si possono permettere di preservarsene una buona fetta a esclusivo orientamento ludico-ricreativo, ma per carità, anche educativo svolgendo con loro attività altamente stimolanti e andando ad incrementare il loro album mentale dei ricordi lieti d'infanzia, tanto ti puoi permettere di pagarti qualcun altro che ti pulisce casa/ti stira i calzini/ti fa la spesa.
Giustissimo, io dico, voler vivere dei momenti speciali coi nostri figli, ma forse non è il caso di sputare sopra ai momenti "normali" della vita di tutti i giorni.

Io ho dei ricordi lieti e caotici, tragicomico-parossistici dei pomeriggi al supermercato con mia madre, e di quelli, più eccezionali e forse proprio per questo più succulenti, con mio padre, il sabato pomeriggio alla GS, che era come dire il luna park dei supermarket, perché se no noi si andava alla SIR a piedi, e si tornava con le buste a mano, che se per disgrazia l'ascensore era rotto, toccava caricarsele fino all'ottavo piano, rampa dopo rampa, e pure il passeggino di mio fratello piccolo, il quale passeggino, se malauguratamente il passeggero se ne levava all'improvviso per venire dietro a uno di noi grandi nelle nostre scorribande tra gli scaffali dei dolciumi, si rovesciava all'indietro per il peso delle buste attaccate al manubrio, e il più delle volte era un disastro, cui seguiva un'immancabile "Oddio-le-uova!" della genitrice...
Insomma, immagino che per la genitrice in questione quelle giornate fossero un incubo, e posso solo inorridire pensando a me stessa in analoga situazione.
Ma il fatto è che nella mia visione bambina, quelle missioni comperereccie erano epiche, e ora nella memoria mi rimangono ammantate di una qualche romantica aura di leggenda, come tutto ciò che riguarda la nostra infanzia.
Non sono pure quelli momenti di aggregazione familiare?
O vogliamo fingere che lo stare in famiglia sia solo e sempre impeccabile e metodica messa in atto dei più evoluti precetti pedagogici?
Tempo di qualità dal mio punto di vista è anche questo: imparare insieme la vita, semplicemente vivendola. Mostrare con la pratica della propria vita come affontare le difficoltà e gli inconvenienti di ogni giorno, insegnare a gestire le situazioni, anche le più faticose, aiutandoci reciprocamente, collaborando, ripartendo le responsabilità anche tra i più piccoli.
Non è farsi recapitare a casa il merluzzo congelato da passare dieci minuti in microonde e nel frattempo starsene in poltrona a leggere filastrocche.
Io credo che nell'accezione di "tempo di qualità" rientri uno spettro di situazioni più vasto e articolato.

I bambini non hanno il nostro stesso senso del tempo: non hanno il senso del tempo "perso" per far qualcosa per cui potreste impiegarne assai meno delegando ad altri. Hanno il senso del tempo "impiegato" a far quel qualcosa insieme a loro.
I bambini non hanno il senso del tardi o del presto (merda, sono già le sette e ancora non ho messo su nulla per cena!). Hanno il senso della pienezza di un tempo utilizzato per portare a termine un lavoro assieme alla mamma, un lavoro che li riguarda, un lavoro che rappresenta una delle milleuna faccende da sbrigare per portare avanti la vita domestica di una famiglia.

I bambini vivono l'ora e sono immuni da ansie e rimpianti. E' importante imparare a vivere questo "ora" insieme a loro, senza cadere nell'errore del dover loro fabbricare un "ora" fatto su misura, tanto ideale quanto fittizio.

Che poi, voglio dire, mia madre non era questa casalinga con ore e ore da sperperare: era una professionista con un lavoro full time e cinque figli sparpagliati su un arco temporale di quindici anni da gestire. Eppure nel mio ripensare al mio tempo con lei, o con mio padre, non ho mai la sensazione che entrambi non ne mettessero a frutto ogni secondo rendendoci partecipi della loro vita, e partecipando alle nostre, anche semplicemente da spettatori o ascoltatori, anche a loro modo arrivando tardi ai saggi di fine anno o disertando gli incontri con gli insegnanti...
Insomma: tempo di qualità è sempre.
Rendere partecipi i nostri bambini alle attività di tutti i giorni è il modo migliore per "ottimizzare" il nostro tempo insieme a loro, a patto di non sfinirli.

E forse questo conflitto che tutti noi, chi più chi meno, genitori o no, viviamo nei confronti del nostro tempo, questo affannarsi a voler sempre fare tutto e "ottimizzare" che ci fa arrivare a sera sfiniti e con la fastidiosa sensazione di aver corso tutto il tempo, di avere sempre l'acqua alla gola, è più una questione di "testa" che di ritmi di vita. Del resto siamo noi ad impostare i nostri ritmi, frenetici o ben scanditi che siano: non ci farebbe male tentare di prendere a modello il rapporto che col loro tempo hanno i nostri bambini, valutandolo non in relazione al numero di attività (o a quanto fighe esse siano) che riusciamo a infilare in una data unità dello stesso, ma in base alla capacità che abbiamo avuto di metterlo a frutto in positivo, accettando che sia quello e non di più di quanto ce ne venga concesso ogni giorno, godendecelo, anche a discapito delle tabelle di marcia che ci autoimponiamo.

Un poco, lo ammetto, queste mie riflessioni si ispirano alla sensazione che ho avuto, di "non corrispondenza" tra la nostra maniera "occidentale" di "sentire" il nostro tempo (e scusate lo sproloquio di virgolette) e quella che ho osservato, direi quasi "respirato" durante la nostra permanenza in Libia (ne parlavo qui).
Se mi è permesso autocitarmi:
Scandita dalle cinque preghiere prescritte dall'Islam, ogni giornata fila liscia come una ruota ben oliata e non si ha mai l'impressione che il tempo non basti.
Ma ti basterebbe scorrere l'occhio su questi paesaggi sonnolenti, rallentati, sempre uguali a se stessi, per capire davvero il reale valore di quell'affermazione. Il tempo è in quello spazio che non può certo dirsi a misura d'uomo: è l'uomo che vi si adegua, che vi si adagia pigramente, senza affannarsi a coprirne le distanze, o a riempirne gli spazi vuoti, a metterlo tutto a frutto, proprio come la campagna chiazzata di terra polverosa, da cui prendi quel che si può. E ciò che non si può far oggi, si farà domani.
E anche qui:
Il punto è che loro lì non si pongono mai in conflitto con l'idea del tempo. Il tempo che si impiega a fare una data cosa è quello, e quello rimane, tutto il resto può aspettare, per quanto futile possa apparire lo scopo ultimo di tanto impegno.
In effetti vivere anche per poco tempo coi ritmi di laggiù, mi ha dato la sensazione di essere catapultata in un'altra epoca. Vi assicuro che il ritorno a quella attuale (di epoca), coi suoi tempi e le sue scadenze, le sue incombenze improrogabili, malgrado la gioia di ritrovarmi finalmente nel mio mondo, non è stato facile.

Non è per fare sempre la secchiona, che questo mese partecipo addirittura con due post... è che queste riflessioni mi sono venute a catena ragionando sul tema del mese di Genitoricrescono: Il tempo.
Le volevo aggiungere in calce al primo post scritto, ma mi sono resa conto che non c'azzecavano nulla.
Poi mi hanno dato il consenso ufficiale che si può fare, quindi:



martedì 21 maggio 2013

Lavori in corso: la cameretta.


Quando andavo ai corsi pre-parto, una delle cose che contribuiva non poco ad abbassare il mio livello di benessere emotivo pre-gravidico e a gettarmi talvolta nel vortice più nero dei miei pensieri, era il "confronto" con le altre madri-in-fieri sull'argomento "cameretta".
Quando ero incinta di Mimi la cosa mi sembrava avesse il sapore di una ingiustificabile ingiustizia a cui mia figlia sarebbe stata esposta ancor prima di venire al mondo.
Tutti avevano una cameretta, parlavano di come l'avevano arredata, e dove l'hai comprato il fasciatoio, e di che colore l'hai messa la carta da parati, e cazzi e mazzi, erano tutte pugnalate al cuore. Al cuore di una futura neo-mamma che già prima di cominciare si sentiva inadempiente nei confronti di sua figlia, che per il momento di camerette non se ne sarebbe fatta un gran che, parcheggiata in utero fino a data da destinarsi.
Niente. Mia figlia non aveva una cameretta.

Pensai di adattare a "cameretta" il piccolo stanzino che già da tempo utilizzavamo come camera degli ospiti: in fondo lo spazio di un letto ci stava, e a volercela infilare ci stava pure la cassettiera Malm, ricevuta in dono in vista della nuova nascita...
Non se ne fece mai nulla: lo stanzino rimase tale, e Mimi continuò a dormire in camera con noi fino a... fino a ora!

Poi con la seconda, pensi che le cose siano cambiate, ormai hai una nuova consapevolezza di quel che serve e quel che no, hai una visione "essenziale" di ciò che davvero conta, e non ci ricascherai...
E invece no. Lo spettro "cameretta" si riaffaccia alla tua mente tormentata.
Triboli per sette mesi e mezzo cercando soluzioni infattibili.
Ti ritiri da tutte le discussioni sul tema che si svolgono sul Forum per future madri che bazzichi (ora lo posso dire: sì, ho bazzicato un forum per future mamme!) dove tutte pubblicano foto di camerette rosa e blu con stickers alle pareti e peluches sugli scaffali...
Ti chiedi anche come farete a entrare in quattro in una stanza, e sogni un luogo ove poter riunire in un'unica libreria i librini di Mimi, attualmente sparpagliati per casa su ogni ripiano utile (man mano che diventavano sempre di più hanno colonizzato i comodini del corridoio e della cucina), dove riporre ordinatamente i suoi giochi e dove, magari un giorno, mettere a dormire le bambine facendole sloggiare dalla nostra intimità coniugale...

Poi finalmente ti riesce il salto di qualità. Un po' faticoso a dire il vero: comporta il raddoppio del canone di affitto mensile che pagavate finora, datosi che si tratta di prendere possesso dell'altra camera, quella finora occupata dall'altra inquilina (eh, sì: alla fine ce l'hai fatta!), ma, ragazzi, vuoi mettere l'ebbrezza di darti finalmente e follemente all'allestimento della CAMERA DELLE BIMBE?

E così ho iniziato.
L'inizio a dire il vero è stato un po' faticoso, non solo a causa delle elefantiache proporzioni della mia pancia da ottavo mese, ma perché si trattava di svuotare, imbiancare e risistemare una camera che da almeno sei anni non aveva ricevuto interventi del genere, e io ero in pratica sola con la mia panza, data anche l'irreperibilità del beduino che in quei giorni lavorava full time da procuratore-interprete di certi libici determinati ad investire in Italia... cose sue.
Comunque riuscii a ingaggiare con un mezzo sotterfugio gli operai albanesi che lavoravano per il mio padrone di casa all'appartamento del piano terra. Lui, il padrone di casa, dopo avermi assicurato che mi avrebbe assistito nei lavori, aveva avuto l'alzata d'ingegno di partire per Dubai, e inoltre mi avvertì solo il giorno stesso, ché per caso lo chiamai per sapere "quando" pensava di iniziarli, questi lavori. "No, sai, sto partendo per Dubai. Facciamo al mio ritorno, tra un mesetto?" Al che mi incazzai un poco, perché io tra un mesetto sarei stata prossima alla sala parto, e speravo, per quella data, di avere già concluso con la mia tanto agognata "cameretta"...
Quindi gli strappai il consenso a farmi disporre dei "suoi" operai in sua assenza. I quali operai non si dimostrarono proprio entusiasti di vedersi commissionare dalla sottoscritta l'onere di altri lavori (evidentemente assai poco e tardi retribuiti), ma insistendo e insistendo e con molta fatica ancora hanno infine mosso il culo.

La dipartita del mobilio vetusto, coscenziosamente e letteralmente defenestrato dai nostri solerti operai, portò alla luce una mega macchia di umidità e muffa dietro l'armadio, e ci volle quasi un mese prima che si decidessero a rifare l'intonaco, dopo aver individuato e, almeno così affermano, sanato, la falla nella guaina del tetto.
Ma comunque alla fine ne siamo pur venuti a capo, e io ho dato alloggio ai millemila vestitini da neonata che in quei mesi avevo raccolto da amici/conoscenti, stipato, e da ultimo lavato-stirato-inscatolato in ordine di taglia e stagione. Un lavoro al limite del maniacale, soprattutto perché non avevo un guardaroba dove infilarli.
Nel frattempo ho passato spugnature di candeggina sulla muffa (mi dicono che funziona come l'ammoniaca... mah!) e abbiamo reimbiancato la camera.
E poi? Poi sono stata vittima di un'influenza killer che ha arrestato i lavori in corso per una buona quindicina di giorni.
Poi ho iniziato a girovagare per grandi magazzini e mercatini dell'usato in cerca del mobilio più adatto all'occorrenza, da me individuato in un armadio a ponte con letti due di cui uno estraibile, unica soluzione utile alla conformazione oblunga della camera.
Presa dall'ansia della nascita imminente, a due settimane della DPP (data presunta del parto per i non addetti ai lavori, data poi confermata pienamente da Rania) mi faccio recapitare a casa la gemella di MALM, trovata su e-bay a prezzo scontato (ma con la spedizione arrivo a pagarla qualcosina di più che non da IKEA. Pazienza: il servizio a domicilio li vale tutti, considerato il fatto che l'IKEA più vicina a casa io ce l'ho a Firenze).
A questo punto la monto con grande tribolazione, a causa della mia panza in stadio molto avanzato che mi rende estremamente faticoso lavorare carponi.
Ma ne esco vittoriosa.


Nota: un giorno non lontano, chissà, riuscirò pure a scrivere per intero i nomi delle bimbe su ciascuna cassettiera, non disperate! Mi mancano solo nove lettere, in fondo... (per fortuna abbiamo scelto nomi abbastanza brevi).

Infine, a poco più di una settimana dalla data X, individuo al mercatino dell'usato a Livorno l'armadio in questione (grazie, o mio amico Cileno scarrozzatore di donne gravide e un tantino sclerate!), a un prezzo ragionevole incluso trasporto e montaggio. C'è poco tempo, e prendo quel che c'è, per quanto avrei ben potuto andare avanti ancora per mesi a girarmi tutti i magazzini e i capannoni della provincia e non solo in cerca dell'armadio "azzullo" voluto da Mimi.

L'armadio è arrivato con un anticipo di un buon 4 giorni sull'arrivo di Rania, quando io già temevo di dovermi ritrovare a dovermi gestire un travaglio durante la fase di montaggio dello stesso (ricordate?).


E' stata in pratica una corsa contro il tempo.
Ma ne è valsa la pena.
Ora Mimi ha un "negozio dei puzzle" tutto suo, un ripiano per i suoi innumerevoli zainetti, e io una marea di spazio in cui confinare gli accessori delle bimbe.




Per il resto, che dire...
La "camera delle bimbe" è ancora molto di là dal divenire la camera che era nei miei sogni.

Diciamo che è molto approssimativa...



E dovrei sistemare i cassetti dell'armadio (ci sarà pure un motivo per cui l'ho pagato il prezzo che l'ho pagato, no?) e farmi fare i ripiani e comprare le aste, che tanto se speri di trovarle incluse nel prezzo, sei una povera illusa...


E anche la mia agognata libreria, per il momento, dovrà aspettare, ché i soldi mica li cachiamo noi!


Diciamo che ho un progetto in mente: farmela da sola.
Ne ho cercate in giro, ma nessuna mi soddisfaceva in quanto a misure: per lo più rischiavano di essere inutilmente ingombranti senza riuscire nemmeno a contenere tutti i libri di Mimi (sempre in aumento peraltro...)
Ma in quanto alla sua realizzazione, possiamo dire che ancora "ci stiamo lavorando".

Niente: mi piaceva riassumere qui la storia della nostra sofferta cameretta.
Così almeno chissaquando vedrete anche voi i progressi che farà...
La speranza è l'ultima a morire!

venerdì 17 maggio 2013

Tempo e bambini: quello che ho imparato.


Prima che il tempo mi voli via assieme a questo vento di maggio, e che, come già accaduto per marzo e aprile, perda l'occasione di farlo, tenterò di scrivere il post per il blogstorming di questo mese. Ché il tempo è così, ti scivola tra le mani come sabbia nella clessidra e tu nemmeno te ne accorgi e già del mese appena iniziato ne hai scollinato la metà, e il tuo post è lì, tra le bozze, incompleto e informe, e rischi di scordarti quel che avevi da dire...
Perciò, orsù, senza por tempo in mezzo, e chi ha tempo non aspetti tempo (va bene, la smetto).

Il tema proposto da Genitoricrescono a maggio è molto stuzzicante e, oserei dire, ha del filosofico.
Del resto, chi di noi non si è soffermato una volta nella sua vita a riflettere su questa entità così astratta eppure così imprescindibile nella sua effettività, tanto che non ci è possibile nemmeno immaginare un mondo che ne sia privo?
Dunque mi pareva di non avere gran che da scrivere in proposito (del resto pure troppo è già stato detto a riguardo, da tanti e tanti pensatori ben più forniti di argomenti), finché non mi ci sono fermata a riflettere un poco, sul binomio tempo-genitorialità, e allora gli spunti di riflessione mi sono piovuti a grappoli.
Tenterò qui di riassumere in maniera più o meno ordinata e per sommi capi ciò che ha significato per me il divenire genitore in relazione al mio tempo.

Il tempo dei neonati

Partiamo dal presupposto che il tempo di un neonato non è uguale al tempo di un adulto.
Che banalità, direte voi. Eppure credo che valga la pena metterlo nero su bianco a premessa di tutto, visto che, no, per chi si ritrova a dover gestire per la prima volta un neonato, questa verità non è affatto scontata.
Allora: come funziona il tempo di un neonato? Cioè: come mi devo regolare? Quando deve mangiare/dormire/svegliarsi/essere cambiato? Come funziona il suo tempo?
Per la verità all'inizio sembra facile: quando piange lo allatti, quando puzza lo cambi, per il resto dovrebbe dormire quasi tutto il tempo, no?
Questo è quello che credevo io, PRIMA.
In realtà non è detto che un bambino appena nato sappia di aver bisogno di dormire, e che comunque lo faccia anche senza arrivare ad essere cosciente di averne bisogno.
E neppure tu lo sai, mamma, quanto deve dormire un neonato a un mese, e poi a un mese e mezzo, a due, a tre...
E così vai a leggere. ti informi, cerchi, googli. Ed ecco cosa trovi:
"Un neonato almeno fino a tutto il quarto mese di vita dorme in media dalle 16 alle 20 ore al giorno".
E allora ti disperi. Perché diamine la tua non ne dorme che 8 scarse (e spesso interrotte), e per il resto del tempo ti dorme solo in braccio e come la metti giù si sveglia e frigna?

- Si vede che a lei quelle ore notturne bastano -ti dice tua sorella- e le bastano quelle che dorme quando è in braccio.
Ma la cosa, lungi dal rassicurarti, ti getta nel panico più totale. Ma come? Noo! Io voglio che lei dorma DA SOLA anche di giorno, e mi lasci libera di respirare almeno un due-tre ore di seguito, che possa darmi una lavata, farmi un piatto di spaghetti e mangiarmelo in santa pace, seduta, e non mentre ballonzolo in piedi con una neonata appollaiata sul braccio che non ne vuole sapere di arrendersi al sonno.

- E' normale: più crescono, e meno dormono. Cosa credevi?
Ti dice tua madre. E tu vorresti morire: porca miseria, ma ha solo 2 mesi e mezzo! E già dorme quanto me. Di questo passo a sei anni mi farà orario no-stop?

La verità è che hai bisogno di entrare nel suo tempo, dimenticarti come era PRIMA, capire come funziona il tempo per un neonato.
E ogni tanto ti capita pure di imbatterti in qualche dritta utile.
Imparare a gestire il tempo di un neonato è cosa fondamentale per la sopravvivenza genitoriale, e ora vi dico cos'è che, alla lunga e sulla mia pelle, ho imparato, sperimentato, messo in atto e interiorizzato sull'argomento:
  • Scandire i tempi.
Prima lezione appresa. Nel magma ininterrotto delle mie giornate (primo mese e mezzo) con mia figlia, annaspavo disperata alla ricerca di un appiglio, di una Stella Polare, di un qualcosa che mi facesse capire come potevo organizzare i miei tempi intorno ai tempi biologici di lei.
Ho capito che dovevo scandire tutto in unità più piccole, in piccoli cicli fatti almeno di quattro passaggi: sveglia-pannolino-poppata-nanna. In tutto ciò è FONDAMENTALE ricordarsi di guardare di continuo l'orologio, almeno per chi è alle prime armi con un neonato. E' vero: i neonati non tengono conto degli orari, ma questo rapportarvi di continuo ai tempi esterni e universalmente riconosciuti, può aiutare voi a darvi una tabella di marcia che sia sempre più o meno quella. E all'inizio tutto ciò non durerà che un due ore massimo, perché poi il neonato sclera, a star troppo sveglio, e tutta la giornata di conseguenza sarà un disastro. Quindi: si è svegliato alle 6? Alle 8 non è troppo pretendere che vi dorma di nuovo.
  • Adattarsi.
Altra cosa che ho ben presto capito a mie spese, è stata che, se volevo uscirne, dovevo puntare alla sopravvivenza, e se volevo sopravvivere, dovevo adattare la mia vita al suo tempo e non pretendere che fosse lei ad adattarsi ai miei. E questo significa rinunciare a fare le cose in un certo ordine, quello nel quale eravamo abituati a farlo prima (per esempio: svegliarsi e fare una doccia, e poi colazione, sono attività che verranno postposte al primo ciclo pannolino-poppata-nanna) oppure rinunciare del tutto a qualcosa (non lo rimpiangerete, perché riuscirete a guadagnarci in una relativa tranquillità).
  • Trovate i "vostri" ritmi.
Come noi adulti, anche i bambini piccoli non sono tutti uguali, hanno ritmi e abitudini, equilibri che in parte avete trovato insieme, in parte avete dovuto "accettare". Siccome che mi capita di continuo di imbattermi in una serie di luoghi comuni duri a morire, ci tengo a specificarlo.
Per esempio: "Non lasciarla dormire tutto il giorno, se no poi la notte ti rimane sveglia"; oppure: "Beh, magari ti è rimasta sveglia tutto il giorno, ma almeno poi stasera ti dorme bene"; o ancora: "Ma ancora la fai dormire? Si è svegliata appena due ore fa! Attenta che poi ti scambia la notte col giorno"
E altre genialate affini.
Mia figlia è sempre stata una bimba piuttosto nervosetta. Non mi è mai successo che mi "crollasse" di stanchezza a fine di una giornata di veglia intensa. Invece più riposava bene di giorno, meglio e più a lungo dormiva la notte. E' un'equazione semplice: più dorme, più è tranquilla e più dormirà; meno dorme, più è nervosa e meno dormirà. Vallo a spiegare al mondo.
Per cui se ancora oggi che ha quasi tre anni mi dicono: "Ma non è grande per farle fare ancora il sonnellino a metà giornata? Certo che poi la sera ti va a letto tardi!", me ne sbatto allegramente, e pazienza se mia figlia la sera si addormenta alle dieci e mezza-undici e non alle nove come la maggior parte dei suoi coetanei. Almeno non arriva isterica all'ora di cena e ciò significa più pace per me, più armonia familiare in genere, meno rischio infanticidio per le cronache.
  • Essere flessibili.
Pian piano i tempi dei neonati si modificano, di pari passo con la loro crescita, e tendono ad allungarsi, e allora sarete già diventati abbastanza bravi da accorgervi delle mutate loro esigenze, e pian piano allungherete anche la durata dei loro cicli vitali sonno-veglia. Verrà (quasi) naturale, ve lo garantisco. Inutile impuntarsi sul voler a tutti i costi mantenere i due sonnellini mattutini a un pupo di sei mesi vispo e attivo che ti costringe a un'ora e mezza di ninna-nanne a manetta. Vorrà dire che è giunto il momento di sottrarre un sonnellino, e di "allungare" i tempi di veglia tra gli altri. I bimbi per fortuna si adattano in fretta, e voi ci guadagnerete in qualità della vita, potendo disporre di intervalli più lunghi, più conformi ai nostri ritmi adulti.
  • Darsi tempo.
Ricordo bene la disperazione che a giorni mi attanagliava la gola nei primissimi mesi di vita di Mimi: non faccio più vita, aiuto! Rivoglio il mio tempo! Rivoglio il mio diritto a orinare in pace! La mattina mi sveglio e vorrei morì.
OK. Non pretendere di venirne subito a capo: ci vuole tempo, anche qui. Tempo e attenzione. Bisogna saper osservare un neonato, coglierne le sfumature, capirne le esigenze, interpretarne il pianto e agire di conseguenza. Ma per fortuna anche se si sbaglia non succede niente di grave: "Ah, ma allora piangevi perché eri pieno di cacca fino al collo! Bene: la prossima volta prima di farmi cadere le braccia a forza di ninnarti ti sottoporrò alla prova olfattiva.
  • Mantenere basse aspettative.
Sembra brutto, eh, detto così. L'ho pensato anche io la prima volta che l'ho letto, su un depliant lasciatomi dall'ospedale al momento delle dimissioni. Ma come? Tutta la vita ci insegnano che bisogna "puntare in alto", che se miri al lampione sei un perdente, che devi mirare alla luna, e poi pazienza se arrivi al lampione e via dicendo. Solo dopo ho capito forse il senso dei quel "mantenere basse aspettative", o comunque l'ho interpretato a modo mio. Se io mi aspetto che la mia vita con un neonato possa rimanere la stessa che avevo prima, compreso uscire la sera un tre volte a settimana, stare al bar un'oretta al giorno con gli amici, guardare un'oretta di tv dopo pranzo, leggere una media di due libri a settimana più quotidiani e articoli on line... probabilmente mi schianterò con la più amara delle disillusioni. No, non è possibile tutto ciò. Se invece parti da un obiettivo più semplice, tipo: una passeggiata col pupo, allora capace che ci riesci, e almeno ti eviti la frustrazione.
  • Avere sempre un piano B.
Visto che lui/lei non ne voleva sapere di dormire, avete deciso di uscire, e cogliere l'occasione per incontrare un'amica in centro. tempo di preparavi, infagottare il pupo nella carrozzina, e quando siete sulla porta, lo vedete che è collassato. Ora dorme, il bastardello! E anche voi avreste tanta voglia di buttarvi a pesce sul letto e collassare un'oretta... In questi casi che fare? Cambiare idea e cogliere l'attimo (non dimenticate che è fuggente) è il mio personale consiglio. Improvvisare. Cambiare programma. Concedersi deviazioni.
  • Il tempo ben speso.
Il mio rapporto col tempo è sempre stato pessimo, anche prima di avere Mimi. Non ero quella che sapeva gestirselo con parsimonia e saggezza. Ero quella che quando preparava gli esami non rispettava mai le tabelle di marcia che si faceva da sola, e se aveva un mese a disposizione se ne macinava tre quarti e si riduceva a dover studiare l'80 % del programma nel giro delle ultime 48 ore utili, compreso il tempo di attesa del proprio turno fuori dall'aula. Sono quella che arriva sempre in ritardo e  trafelata, perché nel frattempo vuole sempre ficcarci dentro più cose possibili da fare. Non mi piacciono i tempi morti: cerco sempre di mettere a frutto ogni istante e mi ritengo soddisfatta se alla fine della giornata ho depennato il maggior numero di faccende da espletare.
Ma con un figlio si rischia il collasso: semplicemente non si può. Non tutto il tempo va messo a frutto in maniera attiva; sono arrivata a considerare in maniera diversa il concetto di "tempo ben speso", ovvero quello che ti fa arrivare sano e salvo alla fine della giornata  e senza inutili spargimenti di sangue e crisi isteriche. Se si tratta di rinunciare a un impegno preso o a una puntata al supermercato ché la dispensa piange carestia, perché il pupo ha le coliche ed esige che lo teniate in braccio a oltranza massaggiandogli la panza, quello è tempo ben speso, se poi alla fine sarete riusciti a metterlo finalmente a letto.
  • Relativizzare.
Lo so: ve lo dicono tutti: i bimbi, per fortuna, prima o poi crescono. Tenete duro solo qualche mese.
Qualche mese??? La prospettiva ora come ora pare agghiacciante, vero? Come "qualche mese"? Ma se ha appena 20 giorni e già fantastico liberatori harakiri! Lo so che il tempo a volte sembra immobile, ha il potere di dilatarsi a dismisura, e a volte una vostra giornata pare infinita. Ma a un certo punto vi sveglierete e vostro figlio avrà 4 mesi, e forse non soffrirà più di coliche, e poi ne avrà 6, e poi 12, e stare con lui/lei sarà sempre più divertente e gratificante, e magari anche (un po') meno faticoso. Perciò guardate in prospettiva: tra un anno penserete a questi giorni come chi se li è lasciati alle spalle, e magari lo farete sorridendo...
  • Il tempo degli altri.
In tutto ciò il tempo degli altri continua a non tener conto del fatto che il vostro tempo ora è cambiato.

- Allora arriviamo alle 5, va bene?
- Sì, mi raccomando, se ritardate avvertitemi.
Vi è mai capitato che gli amici in questione si presentino alle 5 e quaranta, mentre voi tentate disperatamente di tenere occupato il pupo che a quell'ora in genere, già dorme da una buona mezz'ora?
Eh, dai: mezz'oretta che sarà mai!
Ma per un bambino piccolo è tanto. E' tantissimo. Per cui, cazzarola: se vi accorgete che fate tardi, avvertitemi, e io metterò a letto il pupo prima. Per quando sarete arrivati già avrà fatto in tempo a svegliarsi di nuovo, e voi potrete fare la conoscenza di un pupo riposato e sereno, e io non dovrò spalleggiarmi un marmocchio isterico mentre vi ringrazio per il pensiero ma ora vi sbatto fuori dai coglioni perché il lui/lei urla.

- Pronto, amicamia, puoi venire a tenermi il pupo un'oretta, che sono distrutta e vorrei uscire un attimo e sbrigare alcune cose, e non sono ancora riuscita a pranzare?
- Certo, cara, arrivo subito! Dammi dieci minuti.
E fu sera e fu mattina.
Non scherzo: è successo davvero.
A me. Dalle due del pomeriggio arrivò che erano quasi le cinque.
E io continuavo a dirmi: ora arriva, ora arriva, dai, si sarà solo fermata stradafacendo, tieni duro...
E intanto avevo mia figlia in braccio che quel giorno mi voleva prendere per sfinimento, e avevo fame, e le lacrime agli occhi, e la pentola sul fuoco con l'acqua della pasta che per la terza volta mi era evaporata finché ci avevo rinunciato, e il soffritto di cipolle carbonizzato in padella e la tisana nel microonde che continuavo a scaldare ma che poi era sempre fredda, nemmeno tiepida, quando mi ricordavo di andarla a prendere, e i nervi a pezzi.
Per cui, vedete: il tempo per lei era ridotto solo a un banale "scusa, ho fatto un po' tardi", ma per me corrispondeva a un: "Se non arriva subito muoio".
Perciò: non confidate nella comprensione altrui. Siate chiari, precisi, puntigliosi fino alla pedanteria. Se non vi capiscono, lo capiranno presto (a loro spese), a meno che non si rifiutino di procreare a loro volta...
  • Il tempo di lui
- Eh, dai, quanto la fai lunga perché ho ritardato un po'!
- Ma sono quasi le dieci!
- Ma ho finito tardi. Poi mi sono fermato al bar a parlare con i ragazzi, ho fumato una sigaretta qua sotto con Tizio e sono arrivato SUBITO.

Lui secondo me alle volte ci marcia.
Magari avete il marito/compagno migliore del mondo, per carità, che queste cose NON le fa.
Resta il fatto che per chi continua ad avere una vita "fuori" rimane difficile capire del tutto chi passa l'intera sua giornata a stretto contatto con un neonato, e anche capire perché una persona che è appena riuscita ad addormentare suo figlio dopo aver rischiato varie volte di farselo cadere dalle braccia perché assalita da ripetuti colpi di sonno, esca alle dieci dalla camera ove il pupo dorme ora beato, crolli su una sedia e scoppi in lacrime.
Successo, anche questo. E lui non ha capito, credo, cosa significasse veramente la parola "sfinimento".
Comunque il consiglio in questo caso è: cercate di lasciare che anche lui sperimenti l'ebbrezza di qualche ora in compagnia del suo frugoletto (loro due, da soli solissimi). Io lo sto facendo ora, con la secondogenita, con la scusa che la mattina accompagno l'altra al nido mi eclisso per un'oretta-due, tipo per andare a fare la spesa o alle poste, o cazzeggio in giro per negozi e poi mi invento scuse per il ritardo.
Lo ritrovo puntualmente in piena crisi, che mi molla la secondogenita urlante e piena di cacca (lui non pensa mai di provare a vedere se magari deve cambiarle il pannolino) e mi dice: "Era ora, finalmente!".
"Ma se sono uscita appena un'oretta fa!" (è fondamentale a questo punto dire "un'oretta" e non "un'ora"). Ecco, so' soddisfazioni.
  • Il tempo del pediatra.
Il pediatra infine ha una scansione temporale tutta sua.
Inutile cercare di venirne a capo e prima lo capite meglio è.
Per esempio la prima volta che ci sono andata mi chiese quante volte al giorno mangiasse la bimba.
Cosa? Solo cinque volte? Sbagliato! Sbagliatissimo! Bambini così piccoli devono mangiare almeno 7-8 volte al giorno. Dovevo assolutamente aumentare le poppate. Ok.
La volta successiva gli dissi, orgogliosa, che era stato un po' faticoso, ma finalmente ero riuscita a portare le poppate a 6-7 al giorno.
Cosa? A due mesi??? Sbagliato! Sbagliatissimo! La bimba è TROPPO GRANDE per mangiare ANCORA così spesso! Dovevo assolutamente diminuire le poppate e portarle a massimo 5 nell'arco delle 24 ore (ma vavangulo dottò!).

Ora con la secondogenita mi ha regalato un'altra chicca:

- Bene, ora quanto ha? Quasi un mese? E' grande...
(Grande? Beh, sì: un'adulta direi)

- ...basta farla poppare una volta sola durante la notte...
(Ne parli con l'interessata, dottore: magari a lei darà ascolto...)

- ..per esempio se ti mangia a mezzanotte e poi si sveglia alle 3, magari prendi un po' di tempo... tirala un'oretta-due... fino almeno alle 5!
(Eh! Che saranno mai due ore a "tirare in lungo" una neonata affamata nel cuore della notte? Caro dottore: mi chiedo seriamente se si diverte a pigliarmi per il culo a volte...)

Io nel frattempo ho imparato la strategia del "dici-di-sì-e-poi-fà-come-ti-pare", che è meglio (come direbbe il puffo quattrocchi). Sapevatelo, e poi fatelo.



Il Blogstorming è candidato al Fattore Mamma Award, per votarlo questa è la pagina.

venerdì 10 maggio 2013

Prima o poi.


Prima o poi capirai che nei negozi di giocattoli ci si va anche per comprare dei giocattoli, e non solo per fare tour di piacere pomeridiani... e allora forse smetteremo di farne! (O ne faremo molto meno).

Prima o poi scoprirai dov'è che metto il pc quando non lo trovi sulla scrivania, e allora smetterai di credermi quando ti dirò che se l'è portato via tuo padre in macelleria.

Prima o poi arriverai ad intuire che "i video" su Youtube ci sono anche la mattina prima di andare a scuola, e anche la sera dopo cena, quando si dovrebbe andare a letto... sì, insomma: che ci sono sempre a prescindere dal fatto che il momento della giornata sia più o meno opportuno per guardarli.

Prima o poi capirai a cosa serve il telecomando, e allora forse capirai anche che quando la tv si spegne "da sola" non è perché si è rotta, e nemmeno perché forse vuole riposarsi un po'...

E allora forse anche capirai che persino tua madre può "rimaneggiare" un poco la verità se è a fin di bene (del suo). E allora forse smetterai di credere a tutto quello che ti dico...
Non suona molto educativo, ma un giorno, forse, ti spiegherò il perché di tutto ciò (e magari ti dirò anche cosa fanno Zorro e Panzumen quando tu credi che stiano litigando...).

Prima o poi te lo spiego...
Quando sarai più grande! (Quanto ho aspettato di poterlo, a mia volta, dire a qualcuno!)

mercoledì 8 maggio 2013

Decalogo: pro e contro dell'essere (o non-essere) incinta.


Dopo aver molto riflettuto sull'argomento e sull'urgenza di trattarlo in un capitolo a sé, decido qui di esporre i miei ottimi motivi per cui NON rimpiango il mio fantastico panzone, e per cui vale la pena celebrare la ricorrenza della Liberazione del mio utero.

L'idea me l'ha suggerita Micaela, con questo post (e poi con questo); dunque dovete ringraziare lei.

Ecco a voi i 10 ottimi motivi (più uno) per cui NON rimpiangere la gravidanza:
  1. Già detto: riesco a infilare le scarpe agevolmente, ma lo ripeto (questo essere un punto fondamentale della mia lista!)
  2. Mi sono finalmente liberata dagli assurdi e già precedentemente esposti (vedi link) sintomi metabolici che per nove mesi non ti danno pace (nausee, bruciori, acidità, attacchi di fame inconsulta, reflussi etc etc), e saluto con gioia la recuperata capienza della mia cavità gastrica, già costretta entro strettoie fisiologiche che le impedivano di espletare alla sua precipua funzione di accoglienza del cibo.
  3. Non rimpiango le notti insonni; il nervoso di non riuscire a chiudere occhio per ore e ore e ore senza un valido motivo apparente. Ora si dorme, sì col contagocce, ma mi basta posare la testa sul guanciale per mettere a frutto ogni singolo istante del nostro felice incontro.
  4. Non rimpiango la pesantezza, la spossatezza, l'ingombro che mi impedivano di accovacciarmi a giocare con Mimi la sera, la stanchezza cronica che mi faceva collassare subito dopo cena, malgrado gli strenui tentativi di lei di tenermi sveglia ("Ti ho dato un bacio sulla fonte, mia bella: vvegliati!")
  5. Né rimpiango il fiatone nel fare le scale, l'andatura dondolante, la difficoltà di guidare la macchina degli ultimi mesi, la fatica di fare manovra e quella generale incapacità di muovermi in autonomia che mi ha impedito di vivere serenamente il mio appropinquarmi al dì fatidico.
  6. Non rimpiango gli abiti pre-mamàn (e, come diceva Forrest Gump, non ho altro da aggiungere su questa faccenda).
  7. Gli sbalzi di umore, il senso di inadeguatezza, l'ansia notturna, i pianti ingiustificati, la fragilità emotiva e quella stupida, idiota facilità alla commozione che mi ha fatto sciogliere in lacrime nelle seguenti imbarazzanti situazioni: presa di visione dei video musicali tratti dai film di animazione della Disney quali "Il cerchio della vita" (e va be', ci può stare), "Il mondo è mio" (ancora ci può stare, per un'animo romantico come il mio...), "Il re più fasullo di Inghilterra" (...); lettura su Wiki-pedia della vita di Rita Levi Montalcini; visione televisiva di gare di pattinaggio artistico su ghiaccio; incontro fortuito con famiglia che attraversava la strada, il babbo teneva la bambina piccola per mano e con l'altro braccio cingeva la spalla della moglie (non ridete: è tutto vero). Tutto questo NON lo rimpiango.
  8. I dolori lancinanti, continui e inesorabili alle costole, una delle principali cause individuabili del mio non dormire la notte.
  9. I malanni continui e la mia collezione di "iti" (vedi cistite, congiuntivite, bronchite) congiunti all'incompatibilità del mio stato con l'assunzione di qualsivoglia farmaco, sia pure per via di mucosa oculare.
  10. Il confronto con le altre gravide che ti fa sempre sentire indietrissimo su tutte le tabelle di marcia delle cose che: dovresti fare a questo punto della gravidanza; dovrai fare entro il parto; avresti dovuto fare assai prima dell'attuale settimana di gestazione; dovresti aver già fatto nel momento in cui hai concepito, ma che sai che non riuscirai mai a fare (vedi capitolo: sistemare casa).
  11. Aggiungo un punto 11 al mio decalogo perché non posso certo lasciare innominato il mio aggravato e direi quasi patologico stato di storditaggine che in gravidanza ha raggiunto, credo, uno dei suoi apici storici. Nella fattispecie annovero tra gli episodi più significativi di questo stato i seguenti:
  • andare a fare la spesa e accorgersi che ti sei dimenticata il portafoglio in macchina; chiedere gentilmente alla cassiera se può "congelarti la spesa" mentre vai a recuperarlo e dimenticarti tua figlia nel carrello, intanto rimanere bloccata nell'apertura automatica della cassa per un buon 5 minuti perché ti ostinavi a voler uscire dal lato da cui si entra e meritarti il rimprovero della cassiera esasperata;
  • andare a fare la spesa e accorgerti che ti sei dimenticata il PIN del bancomat (non è colpa tua: l'hai rinnovato da poco!), ma proprio non riesci a ricordartelo, eh! E non avere altra forma di pagamento con te. Fortuna che l'hai salvato in rubrica sul cellulare. Peccato che hai lasciato il cellulare a casa. Fortuna che te lo sei scritto in agenda. Peccato che l'hai lasciata a casa. Dover tornare a casa a a prendere il PIN. E intanto minaccia pioggia. E tu sei in bicicletta!
  • andare a fare la spesa e impallare la cassa rapida perché ti ostini a voler far passare la tessera di Socio-COOP sul lettore del Carrefour;
  • andare a fare la spesa e accorgerti, una volta arrivata a casa, che hai dimenticato alla cassa la fantastica lettiera per gatti completa di tetto con porticina che hai ritenuto fondamentale acquistare per soppiantare quella vecchia e semidistrutta. Tornare indietro a recuperarla e accorgerti che hai lasciato lo scontrino dove essa risultava pagata nelle buste della spesa. Che hai lasciato in macchina, e tu, per fare prima, sei tornata al supermercato in bicicletta. Sob!
  • andare a fare la spesa e dimenticarti di riprendere la macchina al parcheggio. Accorgertene quando sei già a metà strada, e ti rendi conto che ti stai portando a casa il carrello, con tutta la spesa e tua figlia dentro (che si diverte da matti, aggiungo).
  • Telefonare a qualcuno e dimenticarsi perché lo hai chiamato;
  • telefonare a qualcuno e accorgerti quando ti risponde che volevi chiamare un'altra persona, ma fare lo stesso finta di voler parlare con lui col risultato che rimani dieci minuti a dire stronzate, finché alla fine non ammetti il tuo errore e ti scusi.
Verdetto: se siete gravide (e rincoglionite quanto me) evitate almeno di andare a fare la spesa tanto spesso, piuttosto delegate a un amico, ma quando lo chiamate per chiedere il favore ricordate di segnarvi su un foglietto la persona che avete intenzione di chiamare e il motivo per cui la chiamate.

E ora, che sono tornata più o meno me, posso anche permettermi il lusso di provare a focalizzare anche io l'attenzione sugli aspetti che forse forse potrei anche rimpiangere del "periodo più bello della mia vita" (tsé!)... (Un po' come quelli che dicono: "Eh, però sotto il fascismo i treni partivano in orario!")

Dunque, ecco a voi i 10 più o meno motivi per cui si potrebbe anche, volendo, rimpiangere i vantaggi dell'essere incinta:
  1. Puoi addurre la panza come scusa valida del tuo vestirti a cazzo... ehm... della tua eventuale sciatteria, e del metterti sempre gli stessi abiti, per giorni e giorni, e giorni...
  2. Quando sei incinta i peli delle gambe ti crescono più lentamente. E sono più sottili e radi. Almeno a me  capita così. Una figata, finché dura. (Ma compensi col fatto che per mesi sei impossibilitato a curare la tua "zona bichini", e inorridisco al pensiero di come avrei fatto a esibirmi in costume da bagno se invece di partorire a marzo avessi dovuto farlo a settembre).
  3. Quando sei incinta tu pubblichi su FB foto di te di profilo con una silouette da Barbapapà e tutti ti scrivono: "Che bella che sei!". (Forse si sentono in dovere di dirlo, visto che hai pubblicato la foto, ma il punto è che ciò non accadrà mai più, in nessun  altro momento della tua vita. O almeno: non in relazione alle dimensioni esponenziali della tua pancia).
  4. Quando vai all'ospedale basta che dici che sei all'ottavo mese di gravidanza e puoi parcheggiare dentro, senza pagare le strisce blu (poco importa se sei in realtà al quinto o al sesto mese: il tizio di guardia non se ne intende di pance e non indagherà). Un vantaggio che però in effetti finita la gravidanza non ti servirebbe poi a tanto, visto che avrai assai meno occasioni di recarti in ospedale (e se devi farlo puoi sempre portarti dietro tua figlia neonata: sortisce lo stesso effetto passe-par-tout di un pancione).
  5. Quando sei incinta in teoria puoi saltare la fila alle poste e negli altri uffici pubblici. In pratica sconsiglio di provarci se non volete alimentare una disputa su quale sia il maggiore o minore stato di handicap (e quindi di maggiore o minore diritto alla precedenza) tra le persone presenti, tutte rigorosamente over 70! (Guarda te che culo!)
  6. Al supermercato (ma ricordate di recarvici il meno possibile se siete affette da rincoglionimento gestazionale di cui sopra) c'è la cassa prioritaria. Ma 9 su 10 la troverete chiusa.
  7. Nel parcheggio della COOP (ma ricordate di recarvici il meno possibile se siete affette da rincoglionimento gestazionale di cui sopra) ci sono i posti macchina per gravide o donne con neonati. Ma li troverete sempre occupati.
  8. La gente in ogni dove si sentirà autorizzata ad attaccare bottone con voi prendendo a pretesto la pancia (in maniera inversamente proporzionale alla sua età anagrafica... della gente, non della pancia!). In effetti questo più che un vantaggio è una seccatura e dovrei forse aggiungerlo alla prima lista... Ma a volte fa piacere sentirsi presi in considerazione, soprattutto perché la gravida soffre in genere di crisi di  vittimismo da abbandono sociale.
  9. Non mi ricordo più se c'era un punto 9.
  10. Per fortuna, finisce presto!

lunedì 6 maggio 2013

Supporting myself.


Oggi mi sono svegliata alle sei e mezza tra una neonata frignante e una treenne in orizzontale che occupava da sola i 3/4 della larghezza del letto, mentre il beduino era già uscito da un pezzo (miracolo! No, è che aveva da fare fuori città).
Oggi mi sono alzata, l'ho cambiata, cullata, calmata e sfamata, e riaddormentata, per un po'.
Oggi mi sono vestita e lavata in due minuti netti, con la prescia che si potesse svegliare di nuovo e impedirmi di finire di prepararmi.
Oggi ho svegliato l'altra che ancora non avevo preso il caffè, perché già s'era fatto tardi col discorso della poppata alla sorella, che dura sempre un tempo difficilmente definibile.
Oggi abbiamo fatto colazione insieme mentre io le infilavo il vestito "quello lungo per ballale" e trovavo le motivazioni valide a che si lasciasse infilare pure i calzini, e poi, ovviamente, abbiamo ballato sul letto, giusto il tempo di un giro di valzer, perché era già oltremodo tardi, ma: come dirle di no senza tragiche ripercussioni?
Oggi abbiamo anche inaugurato i calzettoni con l'Ape Maia, perché lei li ha voluti mettere al posto delle calze di nylon sotto il vestitino per ballare, peccato che fossero forse di una taglia più grandi, così che le arrivavano a metà coscia e sembravano davvero un paio di autoreggenti... chissà cosa avranno pensato le maestre del nido!
Oggi siamo uscite io lei e la piccola nell'ovetto, espletati i soliti tre viaggi necessari a me per trasportare i vari pezzi del trio al piano terra dell'edificio al secondo piano del quale viviamo noi e privo di ascensore, non più tardi della media degli altri giorni e ci siamo incamminate verso il nido raccontando a oltranza la trama de Gli aristogatti incluse le canzoni.
Oggi siamo arrivate a destinazione puntuali, abbiamo lasciato la lumaca nell'armadietto insieme alle scarpe con le fatine e ci siamo infilate quelle del nido, rosse coi trenini, che a lei fanno schifo, ecco il motivo per cui sono state declassate a scarpe del nido, malgrado io le abbia pagate assai più delle stupide e insulse scarpe con le fatine; ci siamo lasciate con un po' di lacrime e "io voglio tornare a cada con te", ma senza esagerare.
Oggi mi sono concessa una passeggiata in centro con la fatina piccola che dormiva nel suo ovetto, ho sondato librerie e negozi di vestiario per bambini e sono uscita senza acquistare niente, con lei sempre sul punto di svegliarsi a ogni pausa di rollio e con una serie di appunti editoriali salvati sul cellulare da cercare on-line...
Oggi è un gran giorno: sono riuscita ad affrontare da sola solissima una mattinata con due pupe e sono sopravvissuta.
Oggi, dopo una mattinata di pianti e poppate e senza essere riuscita ancora a lavare da terra il succo di frutta all'ananas rovesciato ieri sera, ho infilato la piccola fatina con le coliche nella mia capiente fascia porta-bebé e vado a recuparare l'altra.
Sono queste le volte in cui mi dico: "Cacchio, sì! Ce la posso fare!"
E alla faccia di tutti quei pronostici catastrofisti di chi inficiando non poco la mia già di per sé traballante autostima mi diceva: "Non ce la farai mai con due" "Come fai da sola?" "Guarda che scleri!", ora posso dire: "Yes, I can!"
Del resto se non mi auto-incoraggio io, il mondo certo non lo farà per me.
Ho deciso: d'ora in avanti sarò la mia più accanita supporter.