martedì 27 dicembre 2011

Roba da gatti: collezioni.


La pupa l'ha trovata. La trova sempre: la collezione di soprammobili felini della mia infanzia-adolescenza.
Da una parte sono felice che continui ad avere un ruolo importante per qualcuno che geneticamente parlando incarna la prosecuzione della mia esistenza, di trasmetterle questa eredità spirituale, o insana mania che dir si voglia.
Dall'altra sono un po' preoccupata per l'integrità fisica di questi miei poveri pezzi da collezione, portatori sani di valore assolutamente e prettamente affettivo.
Il gattino in pietra lavica già ne ha risentito, delle cure della pupa, rimettendoci la punta della coda.
Ma l'ha fatto con volontario spirito di sacrificio, e lo so che in fondo era contento che qualcuno ancora si interessasse di lui, con un entusiasmo che io, per la verità, non ho mai manifestato a tali livelli.
La pupa va letteralmente in fibrillazione, e a suon di "Gaatti-ni! Miào! Miào!" li passa in rassegna dalle dieci alle venti volte al giorno.
Ora dorme, stringendo nella mano, contro il petto, il gattino siamese di legno, dagli occhi a mandorla azzurri.

Roba da gatti, la rubrica del martedì che non va in vacanza.

lunedì 26 dicembre 2011

Qui finisce l'avventura. Ovvero: la vincitrice del giveaway.

La farò breve.

Questo era il vergognoso concorso:


Queste siete voi:


Questa le fasi della laboriosa e solenne estrazione:







Questa la vincitrice. Evviva!
Perciò, cara Sfolli, contattami al più presto e fammi avere il tuo indirizzo fisico, così potrò provvedere a farti recapitare il premio desiderato.

La scelta del metodo per la proclamazione del vincitore è stata lunga e sofferta.
Confesso di non aver resistito alla curiosità di andare a vedere questo famigerato Random.org, ma...
A parte che non ho capito un gran che del suo funzionamento, non mi ha lasciato nemmeno troppo soddisfatta. Asettico, cervellotico, privo di affettività e di suspense.
Quindi, malgrado mio fratello Ergino mi abbia pazientemente seguito nell'arduo compito di visualizzare la schermata della lista sul blog, ho preferito optare per il solito metodo casereccio, materico e cartaceo, al cui allestimento ho allegramente coinvolto l'intero entourage familiare.
Quindi ringrazio:
  • mio fratello Ergino perché, oltra ad avermi svelato gli arcani di Random.org, ha fornito l'attrezzatura fotografica per effettuare la dovuta documentazione del momento;
  • mio fratello Cicci per aver aiutato a tagliuzzare e arrotolare i cannolicchi per l'estrazione;
  • Hasuna idem;
  • Nenne per aver intrattenuto e contenuto la pupa nell'intento di finalizzare l'estrazione, e per aver altresì partecipato emotivamente e commentato in tempo reale e con trepidazione il fatale momento ("Questa la conosco, è la tua amica, no? Questa chi è? Ah, Ha vinto Sfolli, bene, sono contenta, brava!" Perché mia mamma, ragazze, vi conosce. Sappiate che il suo occhio vigile vi osserva: attente a voi!);
  • la pupa per il suo indispensabile apporto.
Troppo forte la tentazione di non fare una prova con il Random, e però mi sono incasinata e non so che ho combinato.
Ho randomizzato la lista una decina di volte senza venirne a capo e alla fine sono riuscita a capire come generare il numero del vincitore. Era una prova, e quindi non sarei nemmeno tenuta a comunicare questo mio primo pedestre tentativo: potrei tacere.
Ma per fugare di fronte a me stessa medesima il sospetto di mistificazione e disonestà, ho deciso, dopo un lungo e impegnativo consulto con me stessa, che la persona in questione sarà da me considerata assegnataria del secondo premio, in concordanza con quello prescelto dalla prima classificata e con la disponibilità della mia fornirtrice ufficiale.
E insomma, la seconda classificata è:
Giuppy!

Mi felicito, ragazze.
Ora fatevi avanti.
Aspetto vostre notizie.
E a tutte le altre un sincero augurio di buone feste e di un sereno inizio anno, alla faccia della crisi, dell' ICI, e dei rincari.
Ma sì! Che ce frega!
Happy new year!

P.S.
Suster ringrazia personalmente la sorte: anche io sono una vincitrice!

venerdì 23 dicembre 2011

Claustrofobia.

La festa al nido è andata.
A saperlo evitavo di farmi prendere dall'agitazione per i  preparativi.
Prevedibile, alla fine, che si sarebbe risolta solo in una colossale magnata. Anzi: in una colossale azzuffata per poter mangiare a più non posso, mangiare più degli altri, e prima degli altri, prima che finiscano  panini al latte imburrati, fiondarsi sul vassoio delle pizzette come tanti profughi derelitti, che non toccano cibo da giorni, reduci per mare su una zattera sbattuta dalle onde.
E bambine in abitino rosso di velluto (io e la pupa sfiguravamo, ma tanto nessuno se n'è accorto), i regali alle maestre, genitori con videocamera a riprendere, cosa? Lo spettacolo delle marionette delle maestre, mica i bambini. Che intanto inebetiti fissavano chi di qua chi di là, chi frignava, chi se ne andava per conto suo, con la mamma che gli corre dietro cercando di convincerlo a rimanere seduto a guardare il teatrino.

La pupa per la verità era molto partecipe. Ha seguito la storia del piccolo dinosauro con grande emozione e coinvolgimento, identificando di volta in volta le comparse come "duda" (bruco in arabo), o come "dillo" (coccodrillo), e alzandosi infine in piedi gesticolando esaltata come chi ha capito in anticipo la soluzione del giallo, ha gridato qualcosa come "Tuttata! Tuttata!" o simile, con mio grande sconcerto e stupore degli astanti. Un successone, lo spettacolo.

Poi la distribuzione dei regalini (una foto dei bimbi negli ateliers di gioco, lei con una faccia mesta mesta, scelta non troppo felice da lasciare alla mamma in testimonianza alle vita nel nido, ma vabbé), e infine la grande abboffata.

Anche questa è andata, fa la Suster, che per quanto si sforzi non riesce a prendere il periodo pre-feste diversamente da una corsa a ostacoli, però in apnea.
Claustrofobica sensazione di incombenze da sbrigare, futili però imprescindibili.
Fatto. Fatto. Fatto.
Bisogno di deserto, e però anche di contatto familiare e di solidità domestica, di ritrovarsi e di oziosi recuperi assolutamente improduttivi.
Feste.

Da noi Babbo Natale arrivava la notte tra il 24 e il 25, un po' come da tutti, e lasciava il salotto di casa trasmutato in un deposito di pacchi assortiti e luccicanti, più una lettera appesa al televisore, da leggere prima di scartare i regali, la mattina, al risveglio.
Niente cenone, niente scambio di doni alla mezzanotte, solo l'eccedenza materiale del nuovo, di oggetti per lo più inutili, che sarebbero andati ad ingombrare i cantucci ancora liberi della nostra ridondante dimora.
Era gioia dell'attesa però anche un po' melanconia del constatare che in fondo finiva tutto troppo subito, e che a ben vedere tutto il bello stava nel mezzo, in quell'infinitesimale momento tra l'aspettare e lo scoprire. Ché la festa era già finita non appena finiva di cominciare.
O forse sono io, che son sempre stata un po' troppo incline al non accontentarmi, a non accettare un momento di gioia puro e semplice, senza andare a scavarci dentro e a trovare che in fondo è fatto di cose effimere, e a chiederti allora che senso possa avere.
E perchè sento il bisogno di ricreare tutto questo per mia figlia? Per illudermi che per lei l'infanzia possa essere un periodo felice e senza ombre, vissuto nell'incanto di una fiaba, che però si scorda di fornire contenuti, oltre alla superficie patinata della carta da regalo, dei grandi magazzini straboccanti di merci e persone che quest'anno, forse, tireranno la cinghia un po' più del solito, a malincuore, solo perchè i tempi sembrano essere di magra, non certo perché consapevoli che la loro smania di acquistare e di perpetuare questa psicosi collettiva non aggiungerà gioia alle loro feste, che la felicità non si raggiunge nella temporanea affettazione di buoni sentimenti, in un'atmosfera gravida di eccessi, dove "dare" sembra aver perso la bellezza del suo significato gratuito, per assumere quella di una consuetudine sociale di cui quasi tutti non ricordano più il senso...
Scusate.

giovedì 22 dicembre 2011

Cronache dalla lavanderia.


Non lo avrei creduto. Andare a fare il bucato in lavanderia non è poi così male.
Mi ci potrei abituare, di più: affezionare.

Non fosse per qualche contrattempo imponderabile.
Il tipo cingalese in mutande che ha messo nel carico anche i pantaloni che aveva indosso e aspetta che ora finisca il ciclo dell'asciugatrice. E tu allora vai  a farti un giro, e poi ripassi, tanto per non metterlo in imbarazzo, o per non metterti in imbarazzo, che è strano in effetti trovarti in un ambiente chiuso in compagnia di un estraneo in mutande per un tempo piuttosto prolungato senza avere apparentemente nulla da fare che constatare l'imbarazzo della situazione.

In genere parto col bustone nel portapacchi della bici già quando porto la pupa al nido, per ottimizzare. Così oscilliamo sotto il peso del carico paurosamente a ogni spostamento d'aria causato da un'auto che passa superandoci un po' troppo da vicino.
Mollo lei e porto il bucato, che a quell'ora in genere non trovo il titolare in loco, ed è meglio, come direbbe Quattrocchi, così avvio il ciclo e me la squaglio. In caso contrario il brav'uomo, un vichingo di un metro e novanta dalla folta barba fulva, mi intratterrà per una buona mezz'ora ad illustrarmi i vantaggi di un buon candeggio, e allolra tanto vale aspettare che il ciclo si concluda e arrivederci.
Peccato che ogni volta che tento la toccata e fuga incorro in una o in una serie delle seguenti situazioni in combinazione varia tra loro:
A- mancanza di monete sufficienti ad azionare le macchine, nella scomoda necessità di spicciolare una banconota da 50, che ovviamente il bar accanto non vorrà cambiarmi, perchè siamo appena a inizio mattinata e loro necessitano resti;
B- il distributore di detersivo monodose non eroga la dose di detersivo come dovrebbe, e io, ovviamente, non me lo sono portata da casa;
C- la macchina è carica, la moneta è disponibile, il programma viene impostato, ma... sbaglio a selezionare il numero della mia lavatrice e così mi tocca spostare il carico in quella vicina, e soprattutto travasare il detersivo (liquido, ovvio) dall'uno all'altro cestello, perchè non ho modo di procurarmene dell'altro al momento, assammarando tutto il pavimento e le mani;
D- ovviamente non ho con me fazzoletti per rimediare all'inguacchio;
E- ovviamente il lavandaio si fa vivo proprio mentre mi trovo in tale penosa situazione, con i panni mezzi di qua e mezzi di là, mutande sparse in giro, e le mani grondanti marsiglia liquido (scusi non è che avrebbe uno straccio per pulirmi?)

Fortuna che i miei lavandai sono persone gentili e comprensive.
Non li mollo manco per sogno.
Peccato che il socio del vichingo sia un tantino marpione, e la cosa mi mette in un certo imbarazzo: non sostengo i complimenti marpioni, io, entro in confusione e finisco a fare la figura della fessa.
Per questo a volte corro ai ripari portandomi dietro la pupa.
Lui è rimasto un po' interdetto:
- Sei una mamma molto giovane!
- Insomma, mica tanto.
Faccio io, screditandomi, ma evito da aggiungere altro.
- Proprio una bella mamma, se è lecito.
- Insomma, mica tanto. (Cavolo, credo di averla già usata questa frase!)
Altre volte tenta l'approccio amichevole.
- Posso chiederti come ti chiami, se è lecito? (Questo chiede sempre se è lecito, ossessionato dalla legalità) Io sono Antonello.
E che fai, non glie lo dici? Ma perché se lo sta segnando sul cellulare? Nel frattempo me la squaglio.

Se andiamo in serata, è facile che ci troviamo altri clienti, e una gran pozza d'acqua sul pavimento. La pupa si gasa molto, a fare cic-ciac con le scarpe nella pozza, poi a sorprendere i panni che girano negli oblò altrui, e corre corre corre.
- Pupa, fai piano che scivol...
Non faccio in tempo a finire la frase che ho una pupa stesa in terra e urlante nel bagnaticcio del pavimento, e una montagna di panni da ripiegare, occhi disapprovanti che mi sbirciano di sguincio, mentre attendono la fine dei loro cicli.

E poi c'è la signora ecuadoregna che se la becchi è la fine, perchè ti terrà ore e ore a raccontarti lacrimevole la sua storia di sfighe terribili, figli lontani, compagni stronzi e sfruttatori, una vita di duro lavoro e pochi soldi, e insomma, non è che tu non la voglia stare ad ascoltare, ma proprio non ce la fai, oggi, ad affrontare anche lei, e allora ti divincoli e scappi, nel buio della fredda serata, col tuo bustone di panni umidicci da stendere in terrazza, e ti dici: chi l'avrebbe mai detto che qui dentro c'era tutto un mondo a sé?
Quasi quasi mi tengo la lavatrice rotta...
...
   ... Naaaaaaaaaaaa!!!

mercoledì 21 dicembre 2011

Roba da gatti: Suster's cat(s)


(Anche da noi, va più o meno così)

Roba da gatti è in leggero ritardo questa settimana, e mi scuso con chi aveva già postato il suo contributo.
Connessione ballerina, feste del nido e incombenze burocratiche accumulatesi da sbrigare mi hanno impedito di essere puntuale come avrei voluto.
Non è nemmeno il post che avevo in mente, ma con quello ci ho combattuto talmente tanto, tra caricamento di foto e sessioni scadute, che per il momento mi è passata la voglia di terminarlo.

Stremata infine da giornata piena e pesantina, mi riproponevo di mettervi mano ieri sera, a pupa allettata, ma, come spesso suole accadere, la mamma è crollata insieme alla pupa, di un sonno piombigno da cui è riemersa solo intorno all'una, troppo tardi per mettermi a fare qualsiasi cosa, ma con il sonno ormai in parte sfumato, mi accingo ad una lunga sessione di lettura serale, con i gatti acciambellati chi ad altezza piedi, chi ad altezza ginocchia, che mi costringevano ad assumere sul giaciglio stravaganti posizioni da gioco Twister (ve lo ricordate? Mano sinistra sul giallo, piede destro sul verde...).

Eccomi lì, con il mio bel mattone da 700 pagine appoggiato sul petto, tutta storta sotto la coltre multistrato di piumini e plaid di lana, quando ecco: un tocco leggero, gentile, un passo felpato ed elegante, sento salirmi lungo il corpo, sfiorando appena le mie stanche membra per poi appollaiarmisi ad altezza sterno, in posa come il leone di pietra di una balaustra gotica, fiero guardiano dei miei sonni, sporge affettuoso il nobile muso da sotto le pagine del mio libro e ci contempliamo amorosamente per lunghi amabili istanti di trasporto passionale.

- Zorro! Bello gattone mio! Quanto sei bello, bello gattone mio! Grazie che mi vieni a dare la buona notte!
- Buttalo via quel gatto di merda: se ti rimane sullo stomaco ti fa fare gli incubi.
- Guarda che lui è intelligente: è venuto solo a salutarmi. Mica come quello lì... Ecco, lo vedi, ora si va a rimettere tra le gambe, dove era prima. E' solo affettuoso e tu sei invidioso.

E riprendo la lettura notturna del mio librone, aggiustandomi un poco la postura per consentire a Zorro di inserirsi comodamente nella cavità tra le mie gambe.

Quand'ecco... sgraziati passi pesanti sento affondarmi nella carne delle mie parti molli, un peso goffo di bestia concentrato in pochi centimetri quadrati di zampa, come degli spuntoni che ti affondano nel corpo, e infine un grosso muso peloso spuntare non richiesto da sotto il mio libro e con insistenza farsi strada a colpi di naso, riuscirsi a infiltrare e a raggiungere la prossimità della mai faccia e finalmente alitarmi addosso un mefitico alito di bocconcini in gelatina al salmone.

- Puah! Panzumen! Ti levi dalle scatole! Ma chi ti ha chiamato? Te ne vai dal tuo beduino, piuttosto? Non è che devi fare per forza tutto quello che fa Zorro, se non possiedi la sua grazia e la sua delicatezza...
- Brava, sei proprio ingiusta!
- Ho capito, ma che bisogno c'è di alitarmi in faccia? Che schifo! Vorrei vedere te!

Panzumen intanto si è spostato sul cuscino e inizia a zampettare intorno alla mia testa, tirandomi ciocche di capelli e capelli singoli, mentre con gli artigli affonda nel morbido del guanciale cotonando  a più non posso la mia già ricciutissima chioma.

-Ti levi dalle scatole, gatto molesto? Mi fai male! E poi pesi un quintale, sei enorme, ti sposti dal mio cuscino please?

Tutto questo trambusto, per quanto sussurrato, ha turbato i sonni della piccola, che inizia a mugolare dal lettino, dicendo cose incomprensibili tipo "Tetétte! Tetétte! Mamma tetétte!"
Mi alzo allora rapida come un giaguaro, sgattaiolo fuori dalle calde coltri e soccorro la pupa brandendo il ciuccio, qualche carezzina, paroline dolci, e dormi amore io bello, su, dormi, va tutto bene.
Faccio poi per tornare al mio posto quand'ecco... un enorme felino è stravaccato nella conca formata dal  mio corpo sul materasso, giace soddisfatto laddove pochi secondi fa giacevo io, approfittando vile del mio residuo calore corporeo.

- Panzumen, hai capito proprio male! Levati! Guarda lì come sei grasso, sembri l'Oboesus!
- Ma boverino! Lo tratti sembre male! E' la natura che lo fa ingrassare d'inverno!
- Guarda che l'Oboesus è una scultura: un'opera d'arte etrusca, quindi, se mai, è un complimento!
- Allora perchè non lo dici a Zorro?
- Zorro, tu... sembri... l'Apollo del Belvedere!

Questione di correnti artistiche, non certo di favoritismi!

Roba da gatti, la rubrica (ritardataria) del martedì (ma anche del mercoledì, del giovedì, del venerdì...)
Chi vuole contribuire, mi comunichi pure il suo link.

Questa settimana Roba da gatti di:

lunedì 19 dicembre 2011

Di abeti e tradizioni, inverno e luci...

E dai, prima o poi il post sul Natale ci vuole!

Non è che io voglia proprio fare quella che detesta il Natale così, tanto per essere anticonformista, l'Ebenezer Scrooge di turno, o per dispregio a chi invece si esalta per le lucine in strada e per gli stuoli di pupazzi Babbo Natale in tuta rossa a misura d'uomo intenti a scassinare finestre e a scalare balconi con una mano modello free climber che ti vedi penzolare sinistramente dalle facciate di palazzi di tutto rispetto, quasi a suggerire ad eventuali topi d'appartamento la via più accessibile ai loro loschi intenti...
Non è così.
Il Natale in sé, per la verità non mi dispiacerebbe poi tanto per partito preso, se non si portasse dietro tutta una serie di situazioni, fonte per la sottoscritta di inesauribile ansia.

I supermercati mettono in atto vere e proprie rivoluzioni esistenziali e andare a fare la spesa in un normale, poniamo, giovedì di fine novembre significa immergersi in apnea in un fiume di carrelli impazziti e traboccanti di articoli abbastanza superflui, incanalati tra scaffalature luccicose di colori e nastrini argentati, alberelli sintetici dei più svariati modelli, la collezione di vassoi in stile afro, babbi natale sempre e comunque e un reparto giocattoli che si è allargato a macchia d'olio a invadere parte del reparto fai-da-te e ferramenta, che fa sfoggio degli ultimi orrori televisivi scodellati dall'industria ludica contemporanea.
Va be', mi fermo qui. Inutile fare l'ennesima polemica al consumismo natalizio, perché, per la verità, ci sono dentro fino al collo, per quanto mi dibatta ogni anno per disinvischiarmene, e anche infischiarmene, ma non si può, no. E' quel ricatto che ci autopropiniamo ogni anno: e come faccio a non fare regali? Che è bello dare quando sai che riceverai, e in fondo in fondo, anche se lo sappiamo che non è tutto lì, è un modo per dimostrare l'affetto che ci lega alle persone che amiamo, e anche per sentirci parte di una tradizione più grande, di un tutto gioioso e festante, alla faccia della crisi, alla faccia delle manovre finanziarie e del lavoro che non c'è, e se pure sai ch'è solo una tradizione commerciale, questa dei doni, importata da un occidente prospero e remoto, come un certo Babbo Natale, caro vecchietto della nostra infanzia, pure è l'unica forma di tradizione che ancora possiamo vantare di possedere, a cui ancora possiamo aggrapparci, in un mondo senza storie attorno al camino e senza veglia natalizia per le strade del paese innevate, i bimbi con un cero in mano, i berretti di lana, il nasino arrossato all'in su. Tutte scene di un immaginario che non mi è mai appartenuto e che però continuiamo inesorabilmente ad associare al Natale.
E' un po' clasutrofobico e un po' rassicurante.

E poi dicembre, per la verità, non lo amo, come mese: così buio. Il mese più buio dell'anno, ed io sono una creatura fotosintetica; il mio umore funziona ad energia fotovoltaica, e aspetto forse solo l'arrivo dell'antica festività del Sol Invictus, per veder finalmente ricominciare il ciclo della luce diurna, allungarsi le sue giornate, posticipare le ore serali, spegnersi l'illuminazione artificiale, per romantica che possa essere.

Ma nel frattempo tiro su anche io, nella mia diroccata casetta, il mio piccolo abete da quattro soldi, e partecipo ancora, per l'ennesima volta, all'entusiasmo collettivo, all'attesa trepidante per le solite, note, rassicuranti situazioni.
Per fortuna che ultimamente ho preso la preoccupante abitudine di rileggermi spesso e volentieri i vecchi post di un anno fa, perchè così mi risparmio di rievocare per l'ennesima volta la storia di questo mio povero alberello striminzito (l'avrei fatto, eh, ma mi accorsi di averlo già fatto un anno fa! Il mio pensiero, si vede, percorre vie già battute sotto lo stimolo delle ricorrenze a lui note).

E allora mi metto di buzzo buono, che tanto di tempo ne ho in abbondanza, con la pupa a casa da una settimana che non so più che farle fare per intrattenerla, tiriamo fuori palle di polistirolo impolverate, gancetti, lucine, la nostra bella base di cemento e infine lui, e insieme, come un anno fa, ma senza marsupio, abbiam regalato qualche luce in più ai nostri cupi pomeriggi casalinghi, di cielo oscurato da fitta nuvolaglia gravida di piogge.




"P'lline!" Dice lei, mangiandosi la vocale iniziale e arrotondando la finale, con inspiegabile accento anglosassone che non riesco a giustificarmi né geneticamente né tanto meno culturalmente.
Ecco sì, dai, pupa, passami una pallina, ché l'attacchiamo... Pupa? Puupaa!
Non ha capito molto bene la funzione e il senso di quel che stavamo facendo, e diciamo che il suo aiuto è stato soprattutto morale, quando infine ho acceso le luci e ha commentato, semplicemente e meravigliosamente: "Wow!" (bambina decisamente anglosassone).





Le pacchianozze lucine multicolor acquistate a suo tempo assieme all'intero set albero-palline- nastri, in effetti quest'anno mi hanno indotto a fare un acquisto ulteriore in via del tutto eccezionale: una confezione di palline di rigorosa plastica assortite per fantasia e dimensione, ma rigorosamente sul rosso, così da renderlo il colore predominante del nostro povero abete.

Rosso perché è Natale, e perché è un colore caldo, che amo, e rosso infine perché una volta, da bambina, coinvolta da mia madre nella temeraria impresa di disegnare a mano i bigliettini di auguri destinati ai vari parenti, io disegnai una stella cometa rossa, e lei mi castrò subito, decisa, così: "Ma no! Che fai? La stella rossa è un simbolo politico, non puoi fare la stella di Natale rossa!"

E io invece la voglio fare, ecco. E ce la metto pure in cima. Tié!


Che il colore riempia la tua vita, pupetta.

Che le stelle brillino per te rosse, verdi e blu, violette e indaco, arancioni e oro, smeraldo e rubino.

Che la convenzione non sia un ostacolo alla tua espressione.

Che la gioia e non lasci mai il passo alla spenta consuetudine.

Che la varietà sia alla base della tua coerenza.

Che il contribuito altrui possa arricchire la tua personalità, ma non condizionarla.

A questo proposito, ancora due parole spenderò sul nostro eccezionale albero di Natale.

Venne un tempo in cui misi mano a un progetto ambizioso e ai limiti della moralità, natalizia o no.

Avete presente la filastrocca di Arlecchino?
Probabilmente no.
Per cui vi dirò com'è che fa. Fa così:
Arlecchino, poverino, non aveva il vestitino:
ogni bimbo gli ha portato un pezzetto colorato
e la mamma gli ha cucito un bellissimo vestito.

Ecco dunque il mio progetto: tutti gli abeti che io avrei incontrato sulla mia strada, avrebbero contribuito, col tacito consenso dei proprietari, a rendere più vario e prezioso il mio.
Non chiedevo loro poi molto: solo una pallina. Una simbolica pallina: un cinque per mille per il mio abete. In questo modo un pezzetto del loro Natale, avrebbe continuato ad animare il mio, e loro non se ne sarebbero neppure accorti.
E così feci. Nei negozi, per strada, nei condomini, negli uffici pubblici in cui mi trovavo a passare: zac! Una pallina per il mio abete. Se conoscevo i proprietari lo chiedevo, se no...
Ora voi dite che si chiama rubare. Eh, e se tutti facessero così, dove andremmo a finire!
Però sarebbe fichissimo, io credo, se lo si facesse per consuetudine, tutti, per tradizione.
Non trovate? Per Natale tutti espongono l'albero e ognuno si sente autorizzato a prendere una pallina da ogni albero che incontra, e tutti in pratica avrebbero un albero in continua evoluzione, arricchito e espoliato da contributi altrui.
E comunque ecco i cimeli di quella psicosi soggettiva, e mai collettivizzata che fu il mio privato comunismo delle palle di Natale, che non durò che un anno:




Questa invece, acquistata con la pupa al mercatino di Calci, da una signora che si svuotava la soffitta aprendo banchetti in strada.

L'ha scelta la pupa, e io glie l'ho acquistata.

Infine un contributo di un'amica: la bomboniera di laurea (rossa, vedi quanti significati associati a un unico colore?) della povera Dani, che io tratto sempre male, e non se lo merita, anche se qualche volta se lo merita pure, ma non sempre.

Allora per farmi perdonare, anche di quella volta che ero incinta e che lei venne a fare l'albero con me, e che iniziò a scassare i cabasisi con "Qui hai messo troppe palle blu"; "No, il filo argentato va messo prima delle luci" e altro simile, al che, io le risposi con "Oh, ma te lo vai a fare a casa tua l'albero, anzicché rompere le palle qui sul mio?" Ecco, anche per quella volta, scusa Dani, che lo so che volevi solo farmi compagnia, e tirarmi su il morale, che ero letargica e vittima delle nausee, ma ero gravida e covavo in me da due mesi il mio segreto, aspettando il giorno del nascente Sol Invictus per comunicarlo a casa, e la cosa mi rendeva un tantino ansiosa e nervosa, e poi l'albero, mo' te lo dico: lo faccio un po' come mi pare a me.
Ma comunque ecco qua:


E per quanti, non credo tanti, avranno avuto la pazienza di leggere fin qui, malgrado l'argomento non fosse proprio dei più interessanti, rivelerò gli arcani intenti del mio scrivere.

Con questo post io prendo i due classici piccioni con una fava:


  • illumino l'oscurità invernale di questa nuova settimana entrante di fine dicembre di fiammelle e paillettes regalandovi un nostro specialissimo momento light;


domenica 18 dicembre 2011

Per tutto vedere e niente perdere.

E' arrivato stamani, inaspettato, un occhialuto signor melanzana.
Ha bussato alla cassetta delle lettere chiedendo di "Suster e la sua pupa", e la cosa mi ha sorpreso, e fatto sorridere.
A chiusura di una settimana di reclusione, con malanni assortiti e biancheria da lavare in esubero, ché non sono potuta andare in lavanderia, un filo d'ansia montante per i preparativi prossimi alla partenza e al Natale che speravo di non dover lasciare come sempre all'ultimo, una lista mentale noiosissima di incombenze burocratiche da sbrigare, il beduino perso dietro alle sue auto usate e una notte semi-insonne a lume di candela (e di monitor, almeno finché è durata la batteria) spaventata da ogni minimo rumore prodotto lì fuori dal vento, aspettando che l'elettricità tornasse, paventando terrificanti Rosa Bazzi e Olindo (ebbene, Suster quando è sola in casa in una notte di bufera e senza luce, si lascia prendere la mano da strane paure), in mezzo a tale prosaico oceano di quotidianità...
Che magnifica nota di poesia!
Grazie signor Melanzana!
E grazie a te, Francesca.
Conserverò con gioia questa carto-nina come un dono di una cara amica.
Inventeremo nuove ricette, e ci sazieremo di ninestroni saporiti di racconti ed esperienze, persone e vita.
Ricordandoci di tutto vedere e niente perdere.
Questo è il mio modo per dire grazie.

sabato 17 dicembre 2011

Librini piccini picciò.

Tadàn! (Come dice lei uscendo trionfante ed euforica per l'ennesima volta dal frigo piccolo che usiamo come dispensa per tenere i biscotti).
Approfitto di questa pausa esistenziale per tentare un esperimento che rimugino da un po': recensire la fantastica libreria di pupa a puntate. Scommetto non vedevate l'ora, eh? E scelgo questo periodo di avvento per inaugurare questa pseudo-rubrica assolutamente a-periodica, non a caso:
Libri di pupa, per un non-conventional Christmas!
Ah, dite che lo slogan l'hanno già usato prima di me? Uh, va be', non se ne accorge nessuno tanto.
Ma non divaghiamo.
Vediamo se riesco a dare a qualcuno qualche dritta in vista di acquisti librari per i più piccini.
E a proposito di piccini, oggi volevo presentarvi:

I librini piccini picciò.

Cosa sono?
Trattasi di libretti cartonati illustrati di formato quadrato, pratico, buono, come il noto cioccolato (oggi sono di citazioni erudite).
Appartengono alla mini collana "Storie piccine picciò", edita dalla casa editrice La Coccinella.
Origine.
Un giorno la mamma porta la pupa in una nota libreria della città, con l'intento di rinnovare il repertorio delle lettura in vista della partenza per le vacanze estive.
La pupa come al solito arraffa qua e là, nel mucchio dei librini della sezione per l'infanzia, ma poi che la mamma la mette a sedere su di una sediolina celeste che lì trovavasi, nella sezione libri per l'infanzia, ed inizia a leggerle la storia, rimane come ipnotizzata a seguire parole e immagini, e subito, appena finito chiede a gran voce il bis, e ancora, e ancora e ancora, finché la mamma non è costretta, per sua stessa sopravvivenza e per evitare di pernottare nella nota libreria, ad acquistare l'articolo.

Attualmente possediamo:

La storia è la seguente: nel paese di gatti piccini picciò, c'era un gatto di nome Zampanò, che una sera decide di invitare a cena tutti i suoi amici, e benché avesse una casa piccina picciò, e tanti amici, come si vedrà, li invita proprio tutti. Ha così inizio una lunga processione di gattini piccini picciò verso la casetta piccina picciò, ciascuno si presenta col suo carico di regali o di amici, chi col cappello, chi col cappotto e alla fine...
Eh, no: il finale non ve lo svelo, se no che gusto c'è?
Allora, malgrado la storiella sia proprio scema scema, anzi, forse proprio per questo, la forza magnetica di questi libretti sui più piccoli è travolgente! Il segreto è proprio lì: la semplicità, la reiterazione, il fascino delle liste (Omero insegna), delle ripetizioni, dell'accumulo, che piace tanto ai bambini quando si racconta loro qualsiasi cosa (si pensi solo alla Fiera dell'Est, alla Vecchia Fattoria, agli elefanti che si dondolavano sul filo di una ragnatela...). Il gusto del raccontare, insomma, fine a se stesso, il ritmo cadenzato che scandisce il progredire della storia, l'entusiasmo di vederla crescere man mano, immaginando che potrebbe continuare all'infinito...

 
Ma dove entreranno mai tutti questi gatti nella casa piccina picciò di Zampanò?
Quanti ne arriveranno ancora?
Lo spazio si trova, non temete. Questa di Zampanò mi ricorda un pochino casa nostra, ai tempi d'oro: piccina picciò sì, capiente per numeri imprecisati di ospiti autogenerantisi anche, ma questa è un'altra storia...

C'era un bambino che non voleva dormire, e chiede alla nonna di cantargli una ninna nanna, e la nonna inizia: c'era un gattino che non voleva dormire... Il vecchio meccanismo delle Mille e una notte, un gioco di scatole cinesi: il racconto nel racconto nel racconto... e potrebbe continuare all'infinito: "C'era una volta un re..."; se non che: "il telefono squillò"! Niente di buono si preannuncia perché a questo punto, in rapida reazione a catena, il topino si svegliò, il gattino si svegliò, e pure il bambino si svegliò! Immagino e faccio miei la frustrazione e lo scorno di Nonna Topa, Nonna Gatta e Nonna, e mi chiedo come faccia quell'accidenti di arnese a suonare sempre nel momento sbagliato.
Ma tornando ai bimbi. Anche questa storia piccina picciò ha il potere di incantarli, perché prende in prestito il loro modo di vivere gli accadimenti di ogni giorno, la ritualità dei gesti, il ripetersi di una sequenza di azioni, la pupa che si nasconde nel frigo e invita la mamma a cercarla per poi saltare fuori scompisciandosi dalle risate, convinta che lei ancora non abbia capito, dopo cinquantaquattro volte, dov'è che lei si vada a imboscare.
Non hanno bisogno di colpi di scena, loro, se mai è sufficiente l'inconveniente del telefono, tanto per interrompere l'altrimenti interminabile catena di storie concentriche, che forse in fondo non sono che un'unica storia, di un bambino che si addormenta sognando, e il sogno si confonde col racconto che gli fa la nonna.


Ok, ho fatto una recensione che manco per Guerra e pace.
Ma un'ultima nota spetta alle bellissime illustrazioni di Antonella Abbatiello.
Essenziali, a fondo neutro o assolutamente stilizzato, sono al tempo stesso di grande impatto visivo ed efficacia narrativa, perché riducono la scena della storia raccontata ai suoi elementi base, facilmente individuabili da bambini anche molto piccoli.
Atmosfere soffuse e avvolgenti quelle in cui si muovono questi simpaticissimi, per nulla leziosi gattini e topini, dove si gioca con una spazialità infantile a due dimensioni, una prospettiva sfasata e una approssimazione del tratto solo apparente, che sa essere dettagliata e minuziosa là dove c'è da descrivere grandi scene (e allora ecco il ditino che viaggia a scovare nella grande casa di Zampanò dell'ultima pagina formato maxi, i lettini dei gattini, la lampada sul comodino e i librini impilati sullo scaffale...)

Voto di pupa: 5 stelle ***** (cioè il massimo)
Età indicata: 1 anno circa in su.

giovedì 15 dicembre 2011

A proposito... (pensavate forse di esservi salvati dai miei resoconti fotografici di viaggio?)

Insomma, non è che sia andata proprio malissimo, eh!
Influenza intestinale a parte e lampi di genio beduino (da non confondere col genio della lampada) pure a parte, la nostra visita piemontese alla mia sorella naturalizzata montanara è stata piacevole, malgrado il freddo.
Urca che freddo ragazzi! e chi se lo aspettava?
Lì nel paesello la situazione si presenta così:


Non vien freddo solo a guardarlo, 'sto paesaggio?



Tipo che a me non sarebbe mai venuto in mente che una casa potesse aver bisogno di una legnaia...



Ma trovo tutto ciò molto, molto casa.

Al paesello la zia e la nipote passeggiano amenamente, a debita distanza (non sia mai dar troppa confidenza!)

Lei sa bene dove andare...


 A visitare le attrazioni del luogo: i suoi noti castelli.




Una volta preso il via chi l'ha fermata più?
"Onòòò... duòòò.. dedììì..." conta i passi e poi... "Oddìo! Oddìo! Cadu-ta!"
Se pure mi stava per pigliare un infarto, quando si è rovesciata quasi di sotto dal ponticello, non ho potuto fare a meno di ridere a questa esclamazione! No, perché è lei stessa che si è fatta l'audiocronaca dell'incidente, se non si era capito, con tanto di "oddio oddio"!
A raccontarlo non rende il ridicolo della situazione: lei che si autoallarma ed espone l'accaduto, tranquillizzandosi subito dopo... che tipa questa qui!


Case con tetti spioventi...


E un signore che a quanto pare  lei ha identificato come "Noè"! (Tutta colpa dei due liocorni!)


Alberi dal tronco graaaaaaaaande!



E poi il momento di puro godimento...


La marmellata di mirtilli!

Il gatto Geggio sulla panza, se non sbava, fa molto sera d'inverno davanti al focolare...


Ma assai di più: il focolare! (Non è un forno, non è una tv: è un camino eh!)


Ecco, solo per rendere l'idea: questo il panorama dalla finestra di casa, all'imbrunire:


Ma all'alba le montagne innevate pare diventassero rosa... io non le ho viste, accidenti. I miei ritmi biologici erano tutti sballati, e per quanti sforzi facessi, non c'è stato verso.
Sarà per la prossima volta, eh!

mercoledì 14 dicembre 2011

Cosa potrebbe succedere la volta che decidi di partire per il ponte dell'8 dicembre.

Le nostre partenze sfiorano sempre l'assurdo, si risolvono generalmente in situazioni rocambolesche e al limite del tragicomico.
Tipo partire in macchina, con un'auto presa in prestito da un amico, un macchinone di grossa cilindrata e lungo sei metri, e dover tornare in treno, perché intanto l'amico in questione, dall'oggi al domani, ha deciso di vendersela, quella macchina.
A voi è mai successo? Io ora posso dire di sì.
E quindi tu ti sei adagiata nella sfiziosa prospettiva di una spaziosità mai sperata per la tua sempre difficilmente arginabile mole di bagagli, tu hai fatto l'imperdonabile errore di lasciarti andare all'abbondanza, allo scialo di maglioni di ricambio, al sovrappiù di due coperte di lana pesante, a una quantità imbarazzante di libretti illustrati per bimbi, con annessa l'intera custodia dei suoi cd monotraccia, ammettilo, ti sei caricata quel mattone di quasi 700 pagine che ti sei illusa di riuscire ad aprire "per ingannare il tempo" della tua presunta vacanza di tre giorni (guardate nella side bar... ah ah! Ma come mi sono lasciata convincere? Non lo finirò mai!), ma lo sai già in partenza che non ne leggerai nemmeno tre righe, e ora? Ora devi riportare tutto indietro, ma senza il capiente bagagliaio della Volvo, e in più, già che ci sei, incollati il comodissimo, portabilissimo seggiolino auto della pupa, il trenino vecchia fattoria-ia-ia-ò dono della zia Gunchina che ora fa emettere alla tua obesa valigia strani grugniti e muggiti ogni qual volta si tenti di farla entrare a forza nei pertugi ristrettissimi dei vani portabagagli dei treni di prima classe (grrrrr!), e va be' che ci hai rimesso una coperta, non sarà certo la fine del mondo, ma la pupa deve proprio avvertire lo stimolo alla cacca nell'istante stesso in cui poniamo il nostro coraggioso piede sul predellino del treno EuroStar che da Genova ci dovrà lasciare a Pisa nel giro di appena due ore e mezza? E così nel frattempo a te tocca viaggiare con lei sulle ginocchia che spande intorno aromi decisamente non fraintendibili, mentre amenamente ti intrattieni di pedagogia moderna con i compagni di viaggio del sedile di fronte, distinta coppia di mezza età che ride alla battute reiterate di Hasuna e alle uscite sorprendenti della pupa, che saluta con entusiasmo dei bellissimi limoni verdi e gialli ammiccanti di là dal finestrino, dai rami del loro albero nell'aiuola della stazione.

Solo per dire che alla fine del viaggio la puzza era diventata un tutt'uno coi miei pantaloni, già battezzati il primo giorno di viaggio da vari liquidi corporei sempre provenienti dalla pupa medesima, che, per inciso, non è stata affatto bene in questi giorni, e pare abbia passato a tutti i presenti, a fasi alterne, una fantastica influenza gastro-intestinale.
Nemmeno la mamma è stata dispensata naturalmente. Sono stata una chiavica per una giornata intera, e sognavo solo di riuscire ad arrivare a fine giornata per poter finalmente porre fine alle mie sofferenze, mettere lei a letto (che mi ha tormentato tutto il giorno come solo i santi bimbi sanno fare quando intuiscono che mammà non si sente proprio al top della sua forma fisica) e sprofondarmi nell'oblio di un sonno senza sogni.
Poichè amo mangiare, una sofferenza non indifferente è stata il mettermi a tavola affamata e rendermi conto che non sarei riuscita a mandare giù nemmeno un boccone di tutte le pietanze imbandite su di essa, il cui solo odore bastava a farmi girare la testa dal disgusto.

Hasuna invece si è lanciato nell'entusiasmante avventura dell'import-export acquistando in giro per l'Italia auto usate la cui destinazione più buona e giusta sarebbe magari la rottamazione, per poi trascinarsele fino a Genova e imbarcarle per la Libia, ed è straconvinto che questo business lo condurrà ben presto a scalare le vette dell'imprenditoria commerciale automobilistica.
Peccato che abbia scelto proprio i nostri travagliati tre giorni di vacanza per inaugurare questa nuova fase della sua bizzarra carriera lavorativa, passando nottate al pc a chiedersi se conveniva andarsi ad accattare un'auto del '92 a Ivrea ("Quanto è lontana Ivrea da qui?") per poi partirsene giusto il giorno dopo il nostro arrivo a portare in porto i suoi traffici.
Beduini: strana gente. Se potete, statene lontane, donne.

La pupa invece se n'è tornata con una bronchite se possibile triplicata dal livello standard cui l'hanno portata i due mesi e mezzo di nido, accompagnata da fiumi di catarro che le sgorga anche dagli occhi, copioso.
Una visita lampo al nostro burbero ma amato dottor Z. medico pediatra specializzato in nipiologia, e il verdetto è stato emesso: congiuntivite virale, e una settimana a casa, con tanto di antibiotico e gocce di collirio, e così ora siamo in consegna forzata, entrambe. Il dottore è stato molto minaccioso: guai a te se la porti ancora fuori in queste condizioni (madre degenere, deve aver aggiunto tra sé e sé).

Non vi dico che gioia doverle rifilare tre volte a dì lavaggi oculari e gocce: una lotta all'ultimo sangue, ma mi sa che l'ho vinta.

Ti fissavo dallo scaffale della farmacia, e ti ho apostrofato con lo sguardo, spavalda, oh soluzione fisiologica nasale, e mi son chiesta se sono infine pronta per la resa dei conti anche con te.
Forse solo il timore di chiedere il prezzo e di ricevere una risposta non gestibile per me in tal luogo mi ha fatto desistere dall'insano impulso di cimentarmi anche in questa impresa, ma appena vado al supermercato, vedrai, se non ti compro.
Quello dei lavaggi nasali, per ora, un cimento che vorrei posticipare. Una cosa per volta, meglio non strafare. E speriamo di non contrarre la congiuntivite. Non vorrei dovermi presentare in farmacia a cercare pomata oftalmica grondando pus dagli occhi: non dev'essere piacevole.

martedì 13 dicembre 2011

Roba da gatti: simmetrie.

Se dovessero sorgere dubbi sul fatto che sono "gemelli".

Archivio storico:




Dormire (la parte più cospicua):








Messa in posa:


Coccole:


Mangiare:



Pulizie:


Coreografie:




 E per finire...
Quando li chiami:

Di qua...

Di su...

Di giù...

Roba da gatti, la rubrica del martedì.

Nota dell'autrice.
Date le malmesse condizioni psicofisiche della pupa e di conseguenza mie, l'aggiornamento del blog sta subendo forti limitazioni. Mi riservo di pubblicare restrittivamente alla rubrica, almeno fino a prossime migliorie della situazione.
Nota numero due.
Ebbene sì, i gatti da noi mangiano in cima a quell'attrezzo utilissimo che è la stufa a legna voluta e acquistata da Hasuna. La sua unica funzione finora è stata quella di sottrarre alla portata della pupa le invitanti pietanze feline, dal gattonamento in poi.
Nota numero tre.
Dopo questo profluvio di gattume, d'ora in avanti mi impegno solennemente alla varietà tematica, anche all'interno della rubrica.

(Chi volesse partecipare comunichi il link del suo contributo)