martedì 30 luglio 2013

C'era una volta...

... una principessa, naturalmente.
Anzi! Due.
Due principesse, piovute sulla terra da mondi lontani.
Una si chiamava Artemisia e l'altra Ipazia.
Una aveva fragranza di gelsomini, e fieno tagliato e grano maturo e terra riarsa, e sale sulla pelle, e frinire di grilli nelle orecchie la sera, e chiasso di cicale di giorno.
L'altra aveva la pelle profumata di violetta, e terriccio umido e foglie cadute e occhi grandi color castagna e prime piogge.
Arrivarono un giorno, anzi, due giorni, vicini ma distinti e dovettero imparare ad adattarsi al diverso terreno, a mettere radici e attecchire sul fertile ma a volte impervio suolo terrestre, a gestire nuove facoltà sensoriali, a muoversi e agire nello spazio e nel tempo, a conoscere le cose nuove e relazionarsi con gli esseri che popolavano quella loro nuova Patria.



Artemisia arrivò per prima, e l'accolse il sole caldo e la luce; ancor prima di guardarsi intorno si sentì molto arrabbiata, di tutto, e iniziò a urlare infuriata.
Artemisia aveva il fuoco nelle vene, ma custodiva dentro un animo da principessa, che piano piano le rivelò anche la bellezza di quel mondo in cui era stata catapultata, così senza poterlo decidere, senza sapere come né perché, o per volere di chi. Allora pian piano la rabbia e lo scontento iniziarono a sopirsi, e lei guardava quel mondo con occhi sognanti.
Più di tutto amava i fiori, la loro delicatezza e i loro profumi, i loro colori così vari, le loro forme così mollemente dissimili e sapientemente simmetriche.

Ipazia aveva un gran sonno, quando arrivò, si sentiva stanca e spossata per il viaggio, a dirla tutta non aveva una grandissima voglia di guardarsi intorno.
Ma nel sangue covava i germi dell'amore per la sapienza e dell'arte teatrale. Presto schiuse anch'ella i suoi grandi occhi al nuovo mondo e iniziò a scrutarlo meditabonda.
Ipazia osservava, rifletteva e speculava, di tutto si faceva un'idea, ma sospendeva i giudizi pertanto che non fosse giunto il tempo.

Artemisia imparò presto il fascino della parola. Scoprì che gli esseri di questo mondo comunicavano modulando suoni e con quelli componevano pensieri, racconti, emozioni. Volle penetrare gli arcani di quei codici e imparò a dominarli, a conoscerli e a domarli. Ne esistevano di diversi e vari, e tutti avevano suoni differenti e differenti significati e differenti modi di esprimerli, ed era come un oceano infinito la parola che poteva dare infinite derivazioni e coniare infinite storie.
Artemisia amava le storie. Amava ascoltarle e amava inventarle.
Vedeva storie ovunque nel mondo intorno a lei. Storie di re e regine, ma anche di pezzi di legno, di ranocchie, di fiori, di gatti e di topi, di pulci e di orologi. Ogni cosa aveva una storia da raccontare, ogni cosa aveva una sua bellezza sottesa all'immagine visiva, e la parola la rivelava.

Ipazia speculando e speculando, finì per interessarsi assai alle leggi del moto, dello spazio, dell'equilibrio e della statica. Ipazia amava muoversi in quello spazio, sperimentando col proprio corpo. Trovava punti di equilibrio, sfidava la gravità, inventava figure acrobatiche. Si arrampicava, saltava, piroettava. Apprese insomma l'arte di dominare lo spazio.
E mentre Artemisia dalle lunghe ciglia raccontava e inventava, Ipazia dai grandi occhi carambolava e cogitava, il tempo passava.
Artemisia, visionaria e affabulatoria e Ipazia, dinamica e meditabonda.
Artemisia passionale e diffidente e Ipazia, tranquilla e indipendente, crescevano in grazia e bellezza, come tutte le principesse.
Le due principesse vivevano sulla Terra in luoghi distanti ma non lontanissimi da non potersi comunque incontrare saltuariamente, all'inizio ignorandosi reciprocamente, o interagendo solo per intralciarsi l'un l'altra, poi piano piano iniziando a riconoscersi, a intendersi, a cercarsi.
Quando si trovavano si scrutavano, si chiamavano e si abbracciavano.

A volte Artemisia indossava romantici vestiti di raso a balze, e si pavoneggiava rimirandosi nel riflesso di uno specchio d'acqua, improvvisava con grazia un passo o due di danza accompagnandoli con versi di canti ideati sul momento.
Ipazia era una farfalla leggera che saltellava tremula nelle sue vesti svolazzanti, ma aveva una criniera dorata come quella di un leone. Era impavida, e tutto voleva esplorare e sperimentare, ma poi rapidamente si stufava e passava ad altro, sempre sfarfallando di fiore in fiore, di saltello in saltello.
Quando Artemisia, tenendosi l'orlo del vestito di raso, tentava di tenerle dietro, a volte incespicava, altre finiva in terra con grande desolazione.
Quando Artemisia le mostrava qualcuno dei suoi animali immaginari e le illustrava le loro caleidoscopiche avventure immaginarie, Ipazia le diceva di non vedere proprio un bel niente: niente amico topino, niente fatine dei fiori, niente piccolo scoiattolo scureggione. Ma come non lo vedi, Ipazia? No, non c'è niente qui.
Eppure, pur parlando linguaggi diversi e dissimili, e malgrado sporadiche tirate di capelli e botte in testa, le due principesse continuavano a cercarsi sempre, e con grande cordoglio ogni volta Artemisia faceva le valige per far ritorno nel suo regno distaccato, salutando Ipazia fino alla prossima volta.
Intanto il tempo continuava a passar loro accanto, stagione dopo stagione.
E loro crescevano.
Ed era così bello vederle crescere insieme, così diverse, ma non distanti, lontane nella vita, ma non nel cuore.


martedì 23 luglio 2013

Nel bel mezzo di una torrida estate.

Luglio macina giorni e noi siamo sempre qua che arrostiamo. Mattina a casa, addormento bimbe tra aria condizionata e pignatte sul fuoco per il Ramadan, che arriva sempre a rompere le balle quando meno te l'accolleresti.
Escursione termica tra la cucina e la camera da letto: 30°C.
In terrazza picchia il sole ma tira per fortuna 'nu poco di venticello clemente. Le mie lenzuola sono già asciutte.
Fuori rapsodia di cicale.
Pomeriggi ai giardini ad ammazzare zanzare e spingere altalene.
Bambine con la cacarella. Lenzuola come se piovesse. Pipì sui materassi. Lavatrici su lavatrici: non aspetto nemmeno la sera per sfruttare la tariffa bioraria, guarda.
La prossima bolletta dell'Enel mi stenderà. Pazienza.
Montalbano che mi occhieggia e mi ruba minuti di straforo, mentre disegno plincipi e plincipesse e assemblo biciclette senza pedali. Lei ha detto che la prossima volta li vuole, i pedali.
Io ho replicato: intanto impara ad andare su questa, poi si vedrà.
Lei dice che la voleva azzulla (come al solito).
Io le dico: allora la diamo a Rania.
Lei risponde: no a Lania no.



Intanto butto via spazzatura a rate e attendo settembre per cercare di mettere un po' d'ordine in questa casa che soccombe sempre più sotto l'ingombro del nostro inutile ciarpame.
Il beduino che continua a portarne a casa a valanghe. Chissà dove rimedia certe porcherie.
Ora abbiamo un delizioso salottino di divani e bis di poltrone in legno e pelle marrone sul nostro ameno terrazzo. Dicevo che avremmo potuto farne volentieri a meno.
Non è che se qualcuno le butta via noi dobbiamo ficcarcele in casa.
Sarà un problema mio ma non vedo dove sarebbe l'affare: doversi ammazzare doppiamente per buttarle via di nuovo.
Stamattina mi ha svegliato alle sette una bambina in abitino di cotone a fiori viola e ciabatte infradito di Minnie.
- Mamma! Svegliati svegliati dai: andiamo al male?
Nel senso di "mare".
Non mi sarei azzardata mai a prendere in considerazione l'idea di caricarmele entrambe al mare da sola, se solo non l'avessi vista lì, già pronta a modo suo per la spiaggia, alzata e vestita, che si preparava la borsa con l'inevitabile essenziale (tipo una pigna, pennarelli, la padella della sua cucinetta di legno, pezzi di cose a casaccio).
Non le ho detto che il vestitino se l'era infilato avanti-retro, però. Se n'è accorta lei quando ha visto la "letichetta" spuntarle sul davanti.
- Hai visto che bel vestito? Con le maniche a palloncino e le balze! Tono plopio una bellizzima plincipezza.
Ma da dove le tirerà fuori certe cose?
Va be', ormai sono un mostro a prepararmi per il mare in quindici minuti netti.
Peccato che poi: Mimi devi fare pipì? No. mimi fai pipì. No, non la devo fare. Mimi hai fatto pipì?
E portala al cesso, e falla cambiare, e rivestila, e convincila che sotto il vestito a balze può anche evitare di mettere i pantaloni lunghi jean's.
Mimi è faticosa.
Mimi spostati. Mimi dai su, muoviti, rapida.
Mimi mezz'ora per fare qualsiasi cosa.
Mimi che deve rifare da sola quello che tu hai appena fatto.
Mimi, ma al mare ci vuoi andare o no?
Mimi aspetta che ti metto la crema. No mamma la metto io la metto iooooo! No tu noooo! Levamela questa!
Mimi che pazienza.
Mimi mi sto rompendo. Mimi, ora mi arrabbio. Mimi, ancora non ti sei messa il costume. No. voglio le mutande losa a pois.
Va bene metti quelle cazzz accidenti di mutande a pois, il costume lo metto io in borsa.
Mimi mettiti i sandaletti con i fiori ché con le ciabatte non ci sai camminare.
Mimi togliti quelle ciabatte ché io non ti ci porto in braccio, eh. Ho già la borsa, e Rania, e la busta con gli asciugamani.
Mamma imblaccio!
Mimi, se vuoi andare al mare cammini, eh, come faccio io a portarvi tutte e due quando arriviamo? Mimi...
Non ci voglio più andale al male! Pelché tu hai fatto un cadino con me.
Che casino ho fatto con te?
Mi hai tlattato male.
(Sbuffo).
Sono le nove, noi siamo sulle scale di casa.
Se la giornata parte così può solo finire peggio.
Ma ti immagini io al mare con lei che mi piazza scenate e si fa i bagni di sabbia e la sorella attaccata alla puppa che mi casca dal sonno ma non dorme?
Terrore panico.
Non siamo andate più.
Meglio arrostire a casa che in spiaggia.
Meglio usare cautela con due pupe.
Intanto piovono gli inviti mondani: oggi pomeriggio invito ufficiale per festa di amichetta del nido con tanto di RSVP. Affittata per l'occasione terrazza panoramica vista mare a Tirrenia con animazione per i piccoli e rinfresco per i grandi. Non è che io muoia proprio dalla voglia. Ne ho abbastanza di feste di compleanno. E non (non solo) per l'evidente svantaggio che ne verrebbe dall'immediato confronto con la mia festa per Mimi nel giardino scacazzato dai cani e piscina gonfiabile.
Le ho chiesto: vuoi andare? Ha detto no.
Non devo esser stata tanto convincente nel proporglielo.
Dice che stava male, che ci aveva la diaiea.
E lo diceva  con una faccia che le ho creduto. E poi ha passato la mattinata sul water a farsi tenere le mani.
Certo se mi si beve l'acqua del ristagno delle fontanelle dei giardini bene bene non le può fare.
Vaglielo a spiegare al dottore poi come ha fatto a prendersi il tifo.
Ora loro dormono però, e il dilemma è: andare alla festa con le compagnucce sì o no?
Supplizio sicuro, meta incerta, bagno di sudore in auto assicurato. E oltretutto la festa non è nemmeno sulla spiaggia, ma "su una terrazza attrezzata senza acceso al mare".
Cioè: guardare ma non toccare. Come si può?
Stento a capire, sul serio.
Ma capisco sempre più perché l'idea di invitare i compagnucci del nido e genitori a seguito per il compleanno di Mimi mi riluttava tanto.
Non ci siamo proprio: mondi lontanissimi,universi non intersecantesi le nostre vite.
Trasmetterò a mia figlia la mia pressoché totale inattitudine al mondo alla vita e ai rapporti?
Probabile, ma che posso farci se è la mia natura quella di rifuggire da un certo contesto sociale che aborro?
Un giorno, forse, snobberà le mie attitudini eremitiche fricchettone snob, ma per ora lei ha detto che non ha voglia di andare. Non vedo perché dovrei insistere.
E la diarrea mi pare un ottimo alibi per defezionare...


domenica 21 luglio 2013

Compleanno a luglio. Atto terzo.

Sopravvissuta. Anche se per un pelo. E siamo appena ai tre anni.
La vedo dura.
Non so poi perché uno debba complicarsi tanto la vita quando basterebbe fare tutto più semplice e stressarsi meno.
Naturalmente ho voluto fare la festa a Mimi, come al solito oscillando tra volontà e indecisione, bloccata dall'idea del caldo, dell'assenza di invitati, del ramadan del beduino e del chimmeloffare, ma alla fine mi son detta: basta, questo compleanno si ha da fare.

Malgrado miei errori organizzativi madornali, tutto sommato non è andata poi malissimo, se si eccettua:
  1. inspiegabile quanto imperdonabile assenza del genitore maschio dalla festa fino alle dieci di sera circa perché trovavasi in giro per l'Italia a contrattare camion e lamentava imponderabili ritardi ferroviari che gli hanno impedito il subitaneo ritorno.
  2. conseguente spiegabilissima e perdonabilissima incazzatura di genitore femmina.
  3. pessima scelta dei tempi di azione che han reso la festa una lunga agonia di adulti e bambini.
  4. pessima scelta della location.
  5. tentata fuga della festeggiata in tenuta da principessa rosa con diadema e bacchetta magica.
  6. distruzione psicofisica della mamma organizzante, nonché delle due figlie, partecipi e loro malgrado spettatrici attive delle tragicomiche vicende organizzativo-festaiole.
  7. esubero di regali.
Eccovi dunque qualche saggio e utile consiglio che, con il senno di poi, mi sento di dare a chi volesse, casomai, impelagarsi nel compito di organizzare nel cuore di un torrido luglio, la festa di compleanno per sua figlia treenne pur non avendo soldi per affittare un "bagno privato" al mare (non si intende come toilette, ma come porzione di spiaggia attrezzata) e pur non potendo vantare una grande disposizione e propensione personale per le public relations (ovvero proprio zero), né del sostegno pratico ed emotivo di un partner-padre dotato al contrario di grande disposizione e propensione per le stesse, ma inspiegabilmente assente.


Cibo fai da te. Sì. Se avete esperienza nel campo. Malgrado l'imponente mole di responsabilità e conseguente ansia da prestazione che in voi potrebbe comportare l'idea che un certo numero di persone dovrà cibarsi di ciò che avete cucinato voi e pure trovarvi un cero diletto (sempre, ahimè, nel cuore di un torrido luglio), vedrete che ne sarà valsa la pena, anche se più della metà delle pietanze preparate vi rimarrà nel frigo, perché un rapido calcolo delle proporzioni tra numero di invitati presenti e quantità del cibo non poteva che comportare queste ovvie conseguenze.
Cucinare di notte. Magari no. Ma in assenza di alternative anche sì. Ciò comporterà un aggravio delle vostre precarie condizioni emotive e di generale confusione mentale, in misura direttamente proporzionale all'ora notturna in cui avrete terminato il gravoso compito. Se non avete una neonata che si sveglia ogni mezz'ora imponendo il vostro pronto intervento di tetta, e costringendovi a lasciare in sospeso le vostre faccende gastronomiche, magari riuscirete a cavarvela prima delle 4 del mattino.


Festa in casa. Sì, se reputate di avere lo spazio sufficiente. Se no potreste chiedere come favore all'amica che abita due piani sotto al vostro, di mettervi a disposizione all'uopo il pezzo di terra che pertiene il suo appartamento, normalmente deputato al pascolo brado dei cani (due, di grandi dimensioni). Questo comporterà che voi dobbiate comunque provvedere ad un'accurata pulizia preventiva del luogo onde epurarlo dalla presenza di escrementi canini tutt'altro che eventuali.
La cosa potrebbe risultare difficoltosa qualora abbiate anche in contemporanea due bambine insonni da gestire mentre rastrellate il terreno sollevando nuvole di polvere raccattando cacche a non finire, ma lo farete, pregustando con febbrile entusiasmo il successone della fantastica piscina gonfiabile che pensate costituirà il momento clou della festa.
Terreno adatto al giuoco. Quel che non avevate previsto è che il terreno poteva non risultare troppo idoneo alla presenza di bambini molto piccoli. Addossando parte della responsabilità alle defezioni e parte al fatto che non mi sentivo pronta per riempirmi casa di mocciosi urlanti e dei genitori del nido, diremo che alla nostra festa c'era una sola invitata dell'età di Mimi, con al seguito una sorellina di un anno che non ha perso tempo per infilare mani e faccia nel terreno non molto pulito lordo. Ok, avete sbagliato: questa non è più una delle feste del vostro passato di studenti universitari (era meglio la terrazza, io te l'avevo detto! Ma in terrazzasi schianta dal caldo! Oh, allora fai come ti pare). L'unica mamma invitata difatti era piuttosto scocciata per l'inconveniente. La festa si trasferirà al più presto al piano di sopra, attrezzando in fretta e furia la terrazza di casa.
Tovaglia di Hello Kitty. Anche no. Se sapevo che era di Hello Kitty non la prendevo di certo. Ecco perché costava così tanto!
Borsa frigo per tenere in fresco le bibite. Ma non facevate prima a farla direttamente sul terrazzo di casa vostra 'sta cavolo di festa? Così le bibite le levavate direttamente dal frigo al momento e rimanevano più fresche, e soprattutto più accessibili. Ma tanto nessuno dei vostri invitati adulti avrà voglia di succo di frutta Bravo o altre bevande rigorosamente analcoliche.
Piscina gonfiabile. Andava bene pure più piccola a pensarci bene. E magari era meglio se non la riempivate fino all'orlo, che poi non si riusciva più nemmeno a svuotare tanto era il peso della massa d'acqua che le impediva pure di defluire dall'apposito tappo di scarico posto sul fondo. Ma va be', ci avete provato, non è andata.
Amici di sempre. Sì sì e sì. Se non fosse stato per loro, io starei ancora lì a piangere. A parte che se non ci fossero stati loro, la festa non sarebbe proprio stata, ché hanno fatto insieme da aiuto-organizzatori, manovalanza e da ospiti, riempiendo Mimi di doni anche un poco al di sopra delle necessità, e ciascuno secondo le proprie naturali inclinazioni, dal cavalletto dell'artista, all'aquilone da manovratore aereo, dalla cucina in miniatura al vestito da principessa, ma va bene, l'importante, e credo che anche per Mimi sia così, è che ci siano stati, anche chi è passato giusto un'oretta per salutare e poi è dovuto scappare a lavoro. Ché Mimi qui ci ha un sacco di zii e amici grandi acquisiti in eredità spirituale, e se da un lato questo fa sì che diventi destinataria di una quantità eccessiva di attenzioni e premure, è pur vero che ha sempre tre anni, e non c'è niente di male, io penso, a farle fare la principessa per un giorno, e ci sarà tempo per fare la festicciola con i compagni di classe, se mai mi dovesse smorcare la fantasia di fargliela fare (un giorno color arancio, chissà...)



 Regali. Hai un bel dire a tutti che vuoi limitare la mole dei regali, educare all'essenziale, non abituare all'eccesso, insegnare il valore dei gesti e non degli oggetti, emancipare dal materiale... i regali arriveranno.
E va be'. Fa' almeno che siano (anche) di tuo gradimento (ovvìa, chiudiamo un occhio sul vestito da principessa, che le è garbato così tanto...).
Ovvero: poco ingombranti che non ti riempiano casa (ci siamo riusciti secondo voi? Mah!), ragionevolmente sporchevoli e moderatamente futili.
Dicevo: poco ingombrantiiii!


Uff! che fatica farsi ascoltare! E poi alla fine passi per la madre bacchettona rompiballe, proprio tu che hai ordinato la bicicletta su quel sito di giocattoli all'ingrosso, coinvolgendo anche l'amica tua nel folle ordine di un mega pacco cumulativo di baloccaglia varia, però poi, temendo che non arrivasse in tempo per la data X, ti sei premurata di procurarti anche un secondo regalo di riserva.
E pensare che Mimi aveva espressamente avanzato due sole richieste: "un librino da leggere" e "l'ombrello delle principesse" (daje co'ste principesse!). Fatto. Fatto. Ci ha pensato mamma, ovviamente. Anche se lei si è dichiarata ormai stanca di scartare regali e si è concessa quell'ultima proroga giusto perché erano da parte mia. E comunque...
Una sorpresa al risveglio. Non ha prezzo!


 


Per dire: a lei bastavano pure i soli personaggi di Cenerentola e Biancaneba, giunti balzellon balzelloni da Roma impacchettati in fila indiana come i nani di ritorno dalla miniera di diamanti, per potersi ritenere pienamente soddisfatta del giorno del suo compleanno. Non si può rendere una bambina felice ancora più felice. Si rischia solo di sovraccaricarla. Ecco perché per il prossimo anno ci siamo imposte di comune accordo io e lei il limite massimo di due regali. L'ha deciso lei. E ho un anno intero per sceglierli con cura, senza sgarrare (stai a vedé).
Soffiare le candeline con un'amica. E' fondamentale ad una buona riuscita di un compleanno per il resto piuttosto disastroso. Ma in fondo: un giorno forse tutto questo dolore mi sarà utile. Mah!


sabato 13 luglio 2013

L'ira funesta.

Ok, partiamo da qui.
Sono piuttosto stremata.
Nemmeno una settimana che è finito il nido e ho le due pupe sul groppone da gestire in contemporanea, visita oftalmica per cisti palpebrale inclusa, spedizioni punitive (per me) ai giardini nel tardo pomeriggio "quando rinfresca" incluse, e sono un tantino provata.
E lei che urla, lei che piange per ogni cosa, lei che è tutto un no, tutto un "voglio farlo io" tutto un mandare all'aria se la contraddici, solo per tornare poi come acqua fresca alle carezze dell'amore, ai "mamma io ti amo", "Mamma, voglio stale con te".
Ok. Ma me l'avevano detto, quando paventavo la neonata ventura, che la parte più difficile forse non sarebbe stato tanto gestire la neonata ma...



La neonata, lei, è una neonata nella norma. Mi fa la grazia di piangere sottotono, e comunque compensa ridendo un sacco.
Poi ci ha 'sta capocciona che si trova al momento molto impegnata a voler gestire in asse col busto, ed è fantastica.
Ma la grande...

Si inizia col non dormire più di pomeriggio. Oh, be', era ora, mi pare di sentirli, loro, il coro di quelli che  "sei tu che non sai gestirla, 'sta figlia".
No, signori miei, mi oppongo, e non ammetto obbiezioni.
Mi ergo invece a difesa e baluardo di tutti quei genitori (o genitrici) di bambini con un carattere di merd di indole focosa. Ah, l'indole! Che idea! Che concetto! (Che alibi! -Sempre loro, mi par di sentirli!)
Faccio ammenda dei miei precedenti errori, io che, prima di essere genitore, ero anche io una senza figli, e allora era tanto bello e facile, e comodo, e dava un certo tono d'importanza sparare a zero sui presunti errori di genitori di figli altrui. Io che guardavo SOS Tata e inneggiavo a Tata Lucia e alle sue soluzioni universali. Io che, ora, quando snocciola le sue perle di saggezza pedagogica, le sparerei volentieri.
Si presuppone che se un bambino di tre anni rompe le palle più della media dei suoi coetanei, sia per forza di cose, colpa del genitore (leggi "della madre").
Si presuppone e lo si dice anche, apertamente: "Sei tu che l'hai abituata così" "Sei tu che non sai mettergli dei limiti" "Sei tu che la lasci troppo libera".
La interpelli su tutto, glie le dai tutte vinte, giustifichi tutto quel che fa.
Non sapete quante me ne son sentita dire.
E che cazzo però!

Mimi nella pancia mi puntava i piedi contro le costole togliendomi il fiato.
Me la immaginavo lì dentro stizzita e rancorosa nel suo ristretto mondo intrauterino a menar pedate per guadagnarsi spazio vitale da contendere con fegato e polmoni del genitore ospitante.

Mimi da zero a quattro mesi ha dato il suo buongiorno al mondo con grandi e clamorose, da diversi testimoni oculari ricordate con terrore costernato, scenate di pianti e urla da strappare il cuore e pure i capelli.
Lei nella sdraietta ci rimaneva all'incirca sette secondi e mezzo, prima di iniziare a manifestare il suo più sentito disappunto, sempre senza mezzi termini, nella maniera più energica che conoscesse, e malgrado la tenera età le riusciva piuttosto bene.
Lei a spasso nell'ovetto non ce la sono mai riuscita a portare. L'ovetto è stato infatti la new entry di questa seconda esperienza di maternità. Lei nel passeggino faceva affacciare alle finestre e ai balconi tutti i residenti limitrofi delle strade che battevamo nei nostri percorsi cittadini, che vogliamo chiamare "passeggiate", con grande sforzo d'immaginazione.

Da neonata il suo stato basic da sveglia era il pianto, con varie intensità e picchi, ma sempre difficilmente ignorabile, faticosamente arginabile.
Il mio era un continuo tenerla impegnata, distrarla, ninnarla, rintronarla di canzoncine e balletti, per distoglierla da quella rabbia cieca e sorda, da quell'incazzatura ancestrale che si portava dietro e che sembrava espressione di un suo moto interiore di protesta contro l'esistere, e l'esistenza, e il suo stesso essere al mondo, e contro me che ce l'avevo messa.
Saranno le coliche, uno si diceva. Ma poi sono passate le coliche e sono iniziati i dentini.
La cosa pareva dovesse durare per l'eternità.

Io poi non è che stavo bene eh. E' logico che mi fossi anche un po' esaurita pure io, a vedermi appioppata da una sorte beffarda e maligna cotanta erede, e già mi figuravo il resto di mia vita come un infinito supplizio, in perenne balìa  delle sue epiche sfuriate più o meno giustificate.
E allora c'è stato pure chi mi diceva che ero io, io che non ero serena, io che trasmettevo a mia figlia quell'irrequietezza che lamentavo, che paventavo.

Poi piano piano gli stati di quiete hanno iniziato ad affacciarsi nell'economia dei momenti di veglia, e infine ad essere abbastanza più frequenti, fino a sostituirsi come stato basic agli stati tempestosi, che però hanno continuato ad affacciarsi periodicamente nella sua e nella mia vita, con conseguenze a volte catastrofiche per la pace domestica.

Intorno agli otto mesi di sua vita, ricordo che è subentrato un ulteriore aspetto disturbante nell'armonia precaria del nostro rapporto: accadeva che non potevo fare un passo da lei senza provocare incontenibili e inconsolabili accessi di urla e pianti, tanto per cambiare. Non vi dico come fosse facile per me preparare la cena con lei avvinghiata al mio stinco urlante, barcamenandomi tra le canzoncine sul tappeto e la pentola sul fuoco.
Il pediatra me la definì come la "crisi dell'ottavo mese" e almeno il fatto che esistesse una cosa con questo nome mi tranquillizzò del fatto che prima o poi sarebbe passata (assieme all'ottavo mese, speravo).
Invece durò un po' di più, e io non riuscii a divincolarmi da Mimi fino a quando lei non imparò a camminare.
Ah, ma poi fu una pacchia: l'entusiasmo di potersi finalmente muovere in autonomia da me la rese molto  più gestibile e di "piacevole" compagnia.
Allora aveva circa un anno.
Poi a settembre feci la cazzata di mandarla al nido e tutto finì.
Un inserimento traumatizzante, sul quale avrei diverse cosette da rimproverare alle educatrici di turno, ma lasciamo perdere. Se voleva essere una terapia d'urto, l'intento terapeutico è drammaticamente naufragato. Ritornò ad avvinghiarmisi agli stinchi
Il trauma del distacco me lo fece pagare con moneta sonante di paturnie e grandi crisi di abbandono improvvise e incontrollabili per diversi mesi a seguire.

Intorno ai diciotto mesi Mimi capì che poteva avere voce in capitolo circa le scelte quotidiane che riguardavano la sua persona, e da allora furono cazzi amari.
Lei voleva fare tutto da sola, ma rendendosi conto di non essere sempre e comunque all'altezza, di non essere capace, entrava in crisi. Non la si poteva aiutare e guai a dirle: "Beh, allora fai da sola".
Bloccata tra l'orgoglio dell'autonomia e l'evidenza della propria iadeguatezza sapeva dare sfogo ad una rabbia nera e verde e rossa e di tutti i colori e le sfumature che un sentimento distruttivo e autodistruttivo come quello può avere.
Mimi che piange fino al vomito.
Mimi che tira calci e lancia le cose.
Mimi che si strappa i capelli e i vestiti di dosso.
Mimi che tira capocciate contro il muro, che si spalma il moccio sul viso, che rifiuta di farsi pulire, che si ostina nel pianto, che chiama mamma e poi mi urla contro di andarmene via, che rimane un'ora di orologio a piangere disperata nel mezzo del giardino pubblico davanti agli occhi costernati di madri sapienti educatrici, mentre la madre incapace tenta di mettere in pratica i saggi consigli circa il "capriccio che va ignorato", finché non perde la pazienza e finisce per dare spettacolo del peggiore dei lati di sé, sbatacchiando sua figlia con malagrazia e altre amenità su cui preferisco non soffermarmi troppo.

Se ripenso a molti di quegli episodi ci vedo una certa continuità tematica di fondo, una congruità se non proprio caratteriale, almeno di indole.
Cavolo se non credo nell'indole!
Stufa e arcistufa di vedermi addossare presunti successi e insuccessi (ma soprattutto insuccessi) educativi relativi all'esuberanza emotiva di mia figlia mi chiedo perchè l'approccio comportamentista sia considerato superato persino tra gli studiosi di etologia animale, ma non in pedagogia.
Io dico: fanculo a loro e ai vari "sei tu che l'abitui".
Il comportamentismo e altre stronzate.

Ma sapete che vi dico? Io ho visto, io ho sperimentato sulla mia pelle, io ho lottato, faticato, sudato, io ho dato anima e sangue, io mi sono sgolata, ho urlato, ho ignorato, ho mediato, ho sorvolato, ho schiaffeggiato, ho sofferto, ho provato la frustrazione di non essere all'altezza troppe volte, di non venirne a capo, di perdere la pazienza, di sbagliare, mi sono scontrata contro questa piccola furia un milione di volte da quando è nata. Io la conosco. Io magari non la so ancora del tutto gestire, non sempre, ché spesso e volentieri sono stanca pure io, e non ho voglia sempre di discutere per tutto, e di urlare per tutto, e di sentire urlacci e piagnistei, e vorrei poterci mettere cinque minuti a preparare mia figlia per uscire e non quaranta, e vorrei che le semplici operazioni quotidiane non dovessero essere ripetute almeno tre volte perché deve farlo lei, e deve farlo da sola, e vorrei che chiunque la smettesse di elargire giudizi sul mio modo di essere madre e sulla mia presunta educazione all'anarchia.

Però la conosco, e so che c'è un'altra Mimi che è delicata e intuitiva, che ragiona e ascolta, che sa chiedere e accetta risposte negative e motivate, che non batte ciglio se non si può andare alle giostre, che non pretende che le si compri qualsiasi cosa veda, che sa entusiasmarsi delle cose senza impuntarsi a volerle per sé, che sa interagire coi suoi simili con grande diplomazia e senso della giustizia, senza mai usare prepotenza o prevaricazione, che è generosa e sa condividere, e anche dare.
Non credo che Mimi sia una bambina "capricciosa".
E non credo, come qualcuno mi ha sentenziato, che non abbia il senso dei propri limiti, anche se la lascio giocare con la pompa dell'acqua, ché non ci vedo nulla di male, o fare le bolle con la cannuccia nel succo di frutta (le ho sempre fatte anch'io).
E mi incazzo quando mi dicono che mia figlia è viziata, ecco.
Magari un tantinello testarda, sono d'accordo. E spesso ha difficoltà a gestire le sue pulsioni devastanti.

Chi ha conosciuto Mimi in uno dei suoi momenti no può pensare che sia una bambina capricciosa e malgestita. Se pure non lo dice con queste parole, lo lascia intendere.
Chi la conosce in uno dei suoi splendidi momenti d'oro, è pronto a giurare che sia una bambina meravigliosa.
Lei è tutt'e due le cose: è una furia, ed è una grazia, da schiaffi e da baci.

E in tutta onestà trovo difficoltà a chiamarli "capricci". Le sue esondazioni non sono strategie mirate ad un fine, quanto espressioni di un conflitto interno, prorompere di una rabbia distruttrice che lei a quanto pare non è in grado di arginare. E' quel che viene fuori quando si imbatte in sentimenti quali frustrazione, insoddisfazione, mortificazione, ed è naturale che non sappia ancora come reagire ad essi, come fronteggiarli. Così come non gestisce la rabbia che ne deriva.
Non è facile: non lo è neanche per un adulto.
Non lo è per me mantenere il controllo dei nervi quando mi trovo a dover affrontare le sue sfuriate.
E siccome poi riconosce quando sbaglia, e ci torna su, posso dire che ci sta lavorando, su questa cosa delle esplosioni di rabbia, che si sforza di modificare comportamenti a monte, che se avvertita per tempo, riesce a bloccare la spirale di azioni-reazioni che la trascinano giù in quel gorgo di sentimenti  e impulsi devastanti, e riesce a prendere strade alternative che le vengono suggerite.
In tutto ciò io non sono il potente demiurgo che ne plasma il carattere e l'essere, e lei non è una mia creazione, non scaturisce dalle mie azioni la sua essenza.
In tutto ciò il mio accidenti di compito è solo se mai quello di saperle indicare queste vie, a volte suggerendogliele apertamente, ma soprattutto mostrandogliele, implicitamente, non fornendole dei modelli pret-a-porter, ma sforzandomi io stessa di modificare le mie azioni-reazioni, nella vita, nella crisi, nello scontro, nei suoi e negli altrui riguardi (e per la verità non sempre ci riesco).
Perché essere genitore può voler dire anche imporsi di migliorare se stessi.
Essere una madre migliore, essere una persona migliore. Rivedermi in lei, rivedere in lei certi meccanismi che ben conosco, che riconosco in me, e permetterle di misurare il proprio essere sul mio, e permettermi di cambiare ancora, adulta, grazie a lei.

Non sono una gran pedagogista, ma ascolto e osservo, molto imparo e provo e sperimento e sbaglio magari, e poi mi correggo, o almeno tento. E sento, soprattutto (questa dannata empatia!).
Chi pretende di applicare a qualsiasi bambino un identico precetto educativo a prescindere dal bambino credo sia un po' come quelli che se ti vedono smanicata in aprile con 35 gradi si sorprendono e ti dicono: "Già così leggera? E ad agosto che fai?" Perché quando si vestono la mattina guardano il calendario e non il termometro.
Così bisognerebbe guardare prima del manuale di pedagogia, la persona che sta già, in auge, nel bambino, e imparare a comprenderlo, a conoscerlo.
Mi hanno detto anche, persone a me molto vicine, che un buon educatore non dovrebbe "comprendere e giustificare" un comportamento, ma solo imporre dei limiti.
Non sono molto d'accordo. E' ovvio che se Mimi in un eccesso d'ira pesta la coda al gatto o tira schiaffi alla sorellina, la riprendo, è ovvio che la sua rabbia non giustifica tutto, non giustifica qualsiasi eccesso.
Ma riconosco il diritto di essere arrabbiata, e di imparare a misurarsi con essa.
E credetemi se vi dico che lasciarla libera di arrivare a ciò non è affatto la via più facile. Tanto più facile sarebbe impormi unilateralmente.

Bene, ora ho finito di autoscagionarmi come madre incapace.
La bestia ieri è crollata dopo una delle sue migliori performance. Attendo il risveglio. Fatemi un in bocca al lupo!

lunedì 8 luglio 2013

La posta di Suster: le mie mommy-FAQ (che si legge come fuck!).

Tanto per intenderci...
Io non sono proprio brava a elaborare poeticamente...

- Ma cosa si prova ad avere un bambino dentro?
- Cosa senti quando si muove?
- Com'è quando lo senti muoversi?
- Mi hanno detto che è come sentire il battito d'ali di farfalle...
- O bolle di sapone che scoppiano...
- Allora, com'è?
- Dunque è come se... come se... come se avessi dentro di te una persona che ti piglia a cazzotti, ecco.



E non capisco bene cosa significhi "guardare con gli occhi dell'amore"...

- Allora, è nata? Dimmi, com'è, com'è?
- A chi somiglia?
- Oh, amore! Pasticcino! Cucciola! Dai, raccontaci: com'è?
- Uhm.. sì... Oddio: è una cicciona... E' enOOOrme! E che capoccia, tu vedessi! Marò... se penso da dove l'ho dovuta far passare... Cioè, è carina. Un po' pelosetta magari, sulla schiena, e pure sulle braccia. Sembra un po' cinese, e ha la pappagorgia. Tipo Giuliano Ferrara, ecco. Ma è bella eh!

Non pretendo di immolarmi sull'altare dell'amore materno...

- Ma allora com'è andata? E' stato veloce hai detto, no? Bello!
- Senza epidurale! Sei una grande!
- Un'esperienza unica il parto! Come ti invidio!
- Hai fatto bene a non fare l'anestesia: uno deve viverle certe cose.
- Allora, com'è stato?
- Ehm, sì, volevo provare a non fare l'epidurale... dicevano che ero già "avanti"... è stato "abbastanza" rapido... dicono, ma... Cioè: so' stata una cojona a non farla. Cazzo! Altro che rapido! Sono state le 12 ore più lunghe della mia vita. Non mi sono mai sentita urlare così. Almeno finchè ho potuto, poi non riuscivo nemmeno più a urlare. Volevo morì, e basta. Guarda, non è per spaventarti ma, porca troia di Eva e della sua fottutissima mela, in quei momenti invochi la morte!

Non sono brava a minimizzare, quando il peggio è passato...

- Oh, finalmente!
- Complimenti signora, è bellissima! Che bel parto!
- Eh, sì, è andato tutto a meraviglia, e guardi, non sembra nemmeno che abbia partorito.
- E' stata bravissima, come si sente?
- Vuole dire qualcosa ai nostri microfoni mentre è ancora a cosce spalancate e le spremiamo un po' la pancia per strizzarle l'utero?
- Sì io... volevo solo dire... è stato... è stato... bruttissimo! Non voglio farlo mai più! MAI PIU'! Ma cosa mi è venuto in mente. Nessuno dovrebbe fare queste cose! E' stato terribile, TERRIBILE!

E ho una memoria fin troppo funzionante...

- Allora dimmi, è vero che tutto il dolore si dimentica all'istante appena la vedi?
- Non è la gioia più grande diventare mamma? Dopotutto cosa sono poche ore di sofferenza...
- Cosa hai provato appena l'hai vista?
- E' vero che il dolore si dimentica? Eh? E' vero? Dicci, dicci...
- Beh... non esageriamo... non è che si dimentica proprio subito. Diciamo che non ti scordi proprio tutto tutto. Non io, almeno. Per esempio: quando la contrazione arriva inizi a tremare tutta come uno col parkinson, e allora capisci che stai per morire e vorresti piangere, ma poi lei arriva e ti toglie il fiato e tu non ce la fai, a piangere, e credi che morirai in assenza di ossigeno, e allora inizi a sbuffare come una locomotiva, però anche così è faticoso perché nel frattempo ti senti la pancia che ti si stritola e vorresti torcerti nel letto almeno invece sei immobilizzata dal dolore, e hai la gola in fiamme, e intanto senti le vertebre disintegrartisi dietro la schiena una ad una, come se qualcuno te le frantumasse. Poi iniziano le spinte e... ed è come se ti strappassero via le budella da sotto e come se volessi cacarti via l'anima, non so se mi spiego. Poi arrivi finalmente all'espulsione e non è ancora finita, stai lì a cosce aperte ed è come se ti squartassero la passera da tutte le parti con dei ganci e... ma sì, non preoccuparti. Dopo dimentichi quasi subito. Dopo tutto il dolore non è che un'esperienza soggettiva eh.

Posso dimenticarmi le chiavi di casa attaccate alla porta, la borsa nel cestino della bicicletta, il portafogli alla cassa del supermercato e mia figlia sull'altalena, ma quel dolore, amici miei, quello lo porterò con me nella tomba! (Dolore terapeutico un cazzo!)

sabato 6 luglio 2013

Di che morte vuoi morire?



Sì sì, mo' me lo segno! Rispondeva Troisi-Mario nel celeberrimo film...

Mimi ha molto chiaro il concetto, a quanto pare.

- Mamma, 'ttò molendo di fleddo: mi plendi la copelta col leone?
- Freddo? Ma faranno 39 gradi, Mimi. Che freddo? Che coperta!
- La copetta colleone, peffavole mamma, ttò molendo di fleddo! Tu ttai molendo di fleddo?
- No, Mimi, non sto morendo di freddo. Proprio no direi.
- Ttai molendo di caldo?
- No, vabbé... sto bene.
- Ttai bene?

(La cosa non la convince. Ci pensa su un tantino)

- Mamma, ttai molendo di tiepido?

Vi abbiamo presentato:
Mimi, in "Di qualcosa si dovrà pur morire", commedia noir.