lunedì 29 agosto 2011

Le miè città invisibili: Sorano.

Le città e gli occhi.
 Dopo aver marciato sette giorni attraverso boscaglie, chi va a Bauci non riesce a vederla ed è arrivato.





 I sottili trampoli che s’alzano dal suolo a gran distanza l’uno dall’altro e si perdono sopra le nubi sostengono la città. Ci si sale con scalette.




A terra gli abitanti si mostrano di rado: hanno già tutto l’occorrente lassù e preferiscono non scendere.

 



 

 Nulla della città tocca il suolo tranne quelle lunghe gambe da fenicottero a cui si appoggia





 e, nelle giornate luminose, un’ombra traforata e angolosa che si disegna sul fogliame.






Tre ipotesi si dànno sugli abitanti di Bauci: che odino la Terra; che la rispettino al punto d’evitare ogni contatto;




che la amino com’era prima di loro e con cannocchiali e telescopi puntati in giù non si stanchino di passarla in rassegna, foglia a foglia, sasso a sasso, formica per formica, contemplando affascinati la propria assenza.





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giovedì 25 agosto 2011

Ritagli di una vacanza.

Difficile riprendere le fila del discorso, e un poco c'è anche il timore di ricadere nel circolo vizioso del blog, nella compulsione da memoriale.
Difficile come riprendere la abitudini di sempre, tanto più se clima e temperatura non aiutano il corpo a sentirsi in forma, anche se la mente si sente attiva, pronta a ricominciare, a finire ciò che aveva lasciato incompiuto, a riprendere ciò che aveva finora rimandato a data da destinarsi.
Ma nel frattempo (caspita!) il mio blog ha campato di rendita, e i lettori sono addirittura aumentati e ora si avvicinano pericolosamente al centinaio...
La città ti si fonde sotto le suole, la casa è stata strigliata a dovere. I gatti sono più noiosi che mai: non li ricordavo così assillanti e appiccicosi.
La vacanza mi sembra esser stata troppo breve, e però è stata una bella vacanza.

E' possibile amare un posto dopo che ci hai trascorso appena quindici giorni della tua vita?
Cosa non dimenticare? Quali impressioni annotare?

Il canto dei grilli di notte.
La luce del sole al tramonto.
Il cannoncino per i lupi che spara nottetempo.
Lo sbatacchiare dei campanacci delle pecore che passano davanti casa al mattino e alla sera.
La pupa che ripete sempre solo la prima sillaba delle parole nuove che impara.
Il suo entusiasmo per la gatta Ninetta.
Lo sguardo triste della cagna Puccia.
I nugoli di mosche in cucina.
Leggere un libro sulla sdraio all'ombra del pergolato di glicine.
La testa del Buddha in giardino.
La pelle morta di un serpente in mezzo all'erba.
La pupa che bacia Viola a bocca aperta.
I primi passi sul tappeto del salotto da un divano all'altro.
Scendere le scale la mattina appena sveglie chiamando "Nenne".
Lo stereo che canta Popoff.
Noi adulti che balliamo come scemi al ritmo di "Viva la mamma".
Il materasso a bozzi duro come il marmo sul tavolaccio di legno, dei tempi di Mario e Saverio.
L'odore del letame nei campi che arriva a ondate.
Il profumo dell'erba cedrina.
Ocra acceso e rosso terra di Siena, i colori dei campi arati sulle colline davanti casa.
Mia madre che raccoglie more e uva fragolina.
Guardare le stelle seduti intorno alla brace.
Chiudere la finestra perché se no entrano i pipistrelli.
La papera a dondolo di legno.
Lei che fa cucù da dietro l'anta dell'uscio di casa.
Che altro?





















Sarà che avevo bisogno di tranquillità.
Sarà che avevo bisogno di sentirmi in vacanza.
Sarà che è stato bello sentirsi in famiglia, e ora sento bene che cosa significhi esserne fuori.
Ma c'è una piccola persona che ora si aggira per casa sgambettando su due zampe, ed è strano scorgerla con la coda dell'occhio che zompetta per le stanze note, sui noti pavimenti e tra le note pareti, in tal dissimile postura, che mi pare ancora una presenza estranea e bizzarra. E questa è forse l'eredità più duratura che mi porterò dietro da questa permanenza rurale: una pupa bipede.