martedì 29 maggio 2012

Evoluzione delle mie piccole Miss Jekyll & Hide


Un po' di tempo fa mi è venuto in mente di andare a vedere cosa scrivevo a distanza di un anno prima esatto, ed è uscito questo:

Allora mi era sembrato carino scrivere un piccolo proseguio, tanto per dar modo di verificare se fosse possibile venirne fuori. Iniziato e non terminato nè  pubblicato per mancanza di tempo, aggiorno oggi.
Ecco cosa era venuto fuori:

A oggi, 11 maggio 2012, la Pupa ha un anno, nove mesi, tre settimane e due giorni (grazie, contatore elettronico).
La pupa presentasi potenzialmente scissa in diverse pupe, ma con ripartiture meno nette rispetto al passato e frequenti incursioni di campo dell'una nell'altra.

Possiamo comunque affermare a grandi linee che le principali manifestazioni di pupa sono al momento raggruppabili nei seguenti grandi gruppi:

Pupa cogitans: anche detta "Pupa mi-faccio-gli-affari-miei-allegramente".
Di indole relativamente tranquilla e accomodante, la Pupa Cogitans risiede prevalentemente negli spazi chiusi, tuttavia non disdegna incursioni al di fuori delle mura domestiche, apprezza il moderato esercizio fisico, nella fattispecie si diletta di ciclismo, attività nella quale eccelle soprattutto nel ruolo di passeggera da manubrio. Tuttavia questo particolare e piuttosto raro esemplare di pupa, la cui speciazione si ritiene esser stata causata da una particolare mutazione genetica molto recente nel processo evolutivo, è ancora per lo più poco conosciuta dagli studiosi, che ritengono di non aver ancora avuto modo di osservarla nel lungo periodo.
Sembrerebbe comunque una specie in via di assestamento, e gli esperti ritengono che ci siano buone possibilità di diffusione su più larga scala a condizione di un habitat idoneo al suo insediamento.
La Pupa Cogitans non dimostra particolari propensioni sociali, per quanto risulti un esemplare piuttosto mansueto e raramente aggressivo. Le sue principali attitudini tuttavia la portano in genere a snobbare la compagnia di simili e condurre un'esistenza piuttosto appartata, almeno nel breve periodo. Si lascia facilmente coinvolgere in attività manuali, intellettuali, musicali, artistiche o verbali, dimostrando una spiccata capacità a gestire da sola i propri tempi e le proprie manovre, ma il più del tempo è in grado di razzolare per conto suo, in genere impilando librini cartonati dopo un'accurata e fantasiosa lettura, che spesso indirizza a ipotetici ascoltatori o anche a individui così detti "transizionali", non propriamente animati, per quanto dotati di una certa loro personalità e capacità di interazione unicamente con Pupa Cogitans o affini (vedi anche Pupa Loquens).
Il verso caratteristico di una Pupa Cogitans è descrivibile come una sorta di borbottio-mugolio, a tratti intervallato da più facilmente udibili sonorità acute, nelle quali è stato possibile isolare alcuni fonemi significanti, tra cui: "Dai buttati Giulioconiglio", "Guadda, semba una meduda"; "Cosa fai tatta'uga, eh?" o "Come ttai Pinocchio? Bello bellittimo, ca'o Pinocchio".

Pupa loquens: anche detta "Pupa-ti-'acconto-una-tto'ia".
Secondo esemplare isolato di pupa innocua all'uomo.
La forza di questa forma di pupa risiede principalmente nella sua capacità locutoria. Si ritiene che la Pupa-loquens sia una diretta derivazione della primitiva forma di Pupa Simpatica, della quale conserva i tratti fondamentali. La pupa loquens si differenzia della semplice Pupa Simpatica per una caratteristica emissione e continua di suoni variamente articolati e di senso compiuto, che a seconda della funzione assumono declinazioni e tonalità differenti.
In poche parole la Pupa loquens non sta mai zitta, sin dal primo risveglio, quando inizia a  enumerare i librini che vede ben disposti sullo scaffale attiguo al suo lettino, dal quale attinge poi iniziando a leggere al gatto peluche Amleto o alla bambola Tittiottella alternativamente a partire dall'indice o dalla prima pagina, riempiendo le lacune mnemoniche con mugolii indistinti e passando quindi al successivo.
La Pupa loquens descrive in genere tutto quello che fa, si lancia in articolati resoconti di fatti svoltisi in un tempo non ben determinato istituendo frequenti similitudini tra se stessa e vicende di personaggi noti, quali Popoff e Giulio Coniglio, attacca facilmente bottone con chiunque ed è solita intavolare complesse conversazioni filosofiche coinvolgendo qualunque essere, animato o no, le si pari dinnanzi.
In alternativa la Pupa loquens può attaccare una compilation di canzoni di cui un ascoltatore attento stenterà a riconoscere melodia e testo, pur cogliendo qua e là indizi che possono ricondurre ad un repertorio piuttosto ampio, in grado di spaziare da Caparezza alla sigla di  Heidi.
Di indole socievole e con una spiccata propensione per le relazioni interpersonali, la Pupa Loquens interroga in genere i suoi interlocutori coniando epiteti ad hoc, come per esempio il recente "Babbo-pelodo", sa essere accondiscendente e mediare, sdrammatizzare e consolare ("Ttai tanquillo, Babbo, non ti peoccupa'e, Babbo, c'è Mimi, ora"; "Non ti peoccupa'e Amleto, non è tuccetto niente"; "Pove'a Amichetta, è titte! Pecchè tei titte Amichetta? Non puoi palla'e?") ma anche tiranneggiare ("Non palla'e amichetta!", "No, no mamma, è di Mimi la ccala, non puoi aiuta'e!").
In generale un misto di dolcezza e faccia da culo che non si può non adorare.
Ah! Quasi dimenticavo! La Pupa loquens racconta le storie! Nel senso che se le inventa: voi datele un soggetto e lei partirà con un racconto mozzafiato, che immancabilmente comincerà con "C'e'a una votta... (un cane/un asino/un bambino-punk...) e si concluderà con "Si pposano e vitte'o tutti peliti e contenti". In definitiva possiamo affermare che la Pupa Loquens è dotata di una formidabile fantasia creativa e affabulatoria.


Pupa ridens, anche detta Pupa "Tutto ma non dormire".
Questa pupa non è molto pericolosa, per l'individuo normale, ma può diventarlo in relazione all'individuo-mamma. Bisogna ammettere che in caso di contatto con un pubblico consenziente, questa pupa può essere molto socievole e istrionica. Sa animare i pomeriggi di pioggia casalinghi con ospiti, galvanizzare l'entusiasmo di gruppi medio-grandi di astanti coinvolgendoli in interpretazioni canore o artistiche, recitative o cabarettistiche, teatrali o circensi, ginniche o coreografiche di alta levatura.
Pupa Ridens ama la compagnia e gli spazi aperti, non disdegna la novità, anzi, trova il suo terreno ideale nelle situazioni in cui può dare il meglio di sé di fronte a un pubblico vergine. Dimostra spiccate capacità motorie e una grande capacità di resistenza alla stanchezza, dote che può in casi limiti mettere in serio pericolo   l'incolumità dell'individuo mamma. La Pupa Ridens può per esempio raggiungere le sue punte massime di vitalità inspiegabilmente intorno alle 4 di notte e da quel momento in poi dare prova di una incredibile intraprendenza e propositività, mettendo mano ad un numero inimmaginabile di attività in rapida e ripetuta successione. L'atteggiamento consigliato in questi casi è lo sfinimento di Pupa, cosa che, certo, richiede già di per sè un notevole dispendio di energie da parte dell'individuo mamma in trance, che dovrà disporre della necessaria dose di caffeina per tenere testa ai picchi adrenalinici pupeschi. Un'attività ad alto contenuto fisico e sporchevole è altamente consigliata, a seguito un bagno con animali potrà servire a ripristinare un adeguato livello di rammollimento pupesco, necessario per ripristinare lo stato di sonno precedentemente turbato dall'eccesso inconsulto di Pupa Ridens.

Pupa urlatrice (pupa "è mmio!"), anche detta "Pupa Mi-faccio-gli-affari-miei-voi-fatevi-i-vostri".
Questa particolare pupa è potenzialmente letale, può essere tuttavia avvicinata senza conseguenze dannose a patto che si osservino determinati accorgimenti per non farla imbestialire.
La Pupa "è mmio!" deve il suo nome al caratteristico verso che la si sente ripetere a frequenze molto elevate e a intervalli ravvicinati anche nell'arco di un periodo di ascolto molto breve, nella fattispecie quando subisce una qualche interferenza anche minima nel proprio operare autonomo. Consigliamo l'incauto osservatore di tenersi a debita distanza dalla pupa "è mmio!" almeno finchè non avrà terminato di adempiere alle proprie faccende, anche quando dovesse sembrare che ella si trovi in situazioni di impaccio e verrebbe spontaneo aiutarla ad uscirne. Nel caso infatti in cui la pupa per esempio venga aiutata a disincastrarsi dal gradino della portafinestra dove il suo quadriciclo-mucca-no-è-un-atinello si è immancabilmente arenato, lei proromperà in urla feroci, e sbraitando, non solo pretenderà che vi allontaniate dal suo cospetto al punto da non rientrare più nel suo raggio visivo, ma si adopererà per ripristinare con gran fatica la situazione antecedente al vostro intervento, per poi ricominciare da capo a sforzarsi in vano per uscirne da sola. A quel punto, esacerbata e sconfitta, butterà tutto all'aria e darà libero sfogo al proprio disappunto con l'emissione prolungata di selvaggi lamenti.
Declinazione esasperata di questa varietà è la Pupa "Non-ci-penso-proprio", anche detta Pupa "Tanto-per-rompere-le-palle".
Questa pupa è, per fortuna, piuttosto rara al giorno d'oggi, ma le peggiori previsioni degli esperti non ne stimano la completa estinzione almeno a breve termine. Trattasi della diretta derivazione del primitivo stadio evolutivo di Pupa Furiosa, ma si differenzia da questa per una capacità più affinata di manifestare verbalmente la propria avversità e il proprio orrore verso qualsiasi tipo di proposta costruttiva e/o sostituitiva di precedenti espressioni di volontà non-praticabili, perchè lesive della persona della pupa stessa o di terzi, o di beni di terzi di natura non effimera (come per esempio un paio di occhiali da vista) o suicide, o vandaliche o insostenibili fisicamente per la persona adulta (in genere la madre) a cui viene chiesto di sottoporvisi.
Di fronte al diniego, per esempio, imposto all'innocente espressione di volontà della pupa di immergersi total-body all'interno della vasca di acqua putrida delle "tatta'ughe", la Pupa-non-ci penso-proprio punterà i piedi, sbraiterà, urlerà fino a farsi venire la tosse e il vomito, attirando gli sguardi sconfortati e  gli scuotimenti di capo disapprovanti di passanti e genitori raccolti attorno alla suddetta vasca delle tatta'ughe a sollazzare pupi apparentemente docili e mansueti come cagnolini addestrati, dirà di no a qualsiasi proposta alternativa, sarà insensibile a qualsiasi minaccia, resistente a qualsiasi blandizia, impenetrabile a qualsiasi distrazione, fino ad ottenere il suo principale scopo sotterraneo: lo smaronamento nervoso dell'individuo mamma, che tornerà a casa ripromettendosi e giurando su quanto ha di più caro che mai, mai più porterà sua figlia alla vasca delle tatta'ughe.
Non sappiamo per la verità perché la Pupa in questione agisca così, ma si pensa che la ragione sia semplicemente quella da cui il nome: tanto per rompere la palle!


E' con immenso piacere che vi presentiamo il nuovo indicatore umorale della pupa!



mercoledì 23 maggio 2012

La vita è un viaggio o i viaggi aiutano a vivere? (Marzulliamoci)


Sono una sempre a metà.
Sto in un posto ma so che potrei stare anche altrimenti. Mi tengo un'alternativa.
Sentirsi a casa in due posti diversi è un po' come non sentirsi a casa mai del tutto. Avere sempre un altrove.
Il mio viaggio è sempre un po' fuga e un po' ritorno, in qualunque direzione viaggi il mio treno, da nord a sud a nord della linea litoranea tirrenica.

Partire mi piace e non mi piace. Ne ho bisogno e ne ho orrore.
Del viaggio non mi piace: il mio nervosismo del pre-partenza, l'ansia immotivata, che non riesci a tenere a bada, il dover programmare, il dover rispettare i tempi.
Il fatto che finisco sempre per prendermela con le persone che ho intorno, la fretta inconcludente, la sensazione di dimenticare sempre qualcosa. L'accorgermi sempre troppo tardi di cosa ho dimenticato.
Non mi piace quando perdo il treno. Non mi piace la malinconia di quando lasci qualcuno caro anche se sai che lo rivedrai a breve, quando ti dici che avresti pure potuto salutarlo un po' più affettuosamente, invece di essere occupata ad essere impaziente e ansiosa, e nervosa.
Non mi piace dover partire col cibo appresso. Non mi piace dovermi incaricare di commissioni altrui, oberarmi di pacchi di dolci e bistecche crude sanguinolente da portare a spasso per l'Italia, come se fossimo in tempi di carestia, come se fossimo profughi rifugiati.
Non mi piace congedarmi con una frase aspra e insofferente, arrabbiarmi per una bistecca in più, un sorriso riparatore tardivo e forzato sempre insufficiente a farmi partire serena.
Non mi piace la sensazione di lasciar qualcosa in sospeso, a metà, di perdere il filo.

Del viaggio mi piace: mi piace partire leggera, riuscire a ridurre all'essenziale, scremare, alleggerirsi anche l'anima per via di togliere.
Non mi piace accorgermi di quanta fatica mi costi riuscire a staccarmi da alcuni oggetti, anche per pochi giorni. Il portatile, la reflex, appendici come zavorre che mi incatenano alla mia nicchia di esistenza.
Mi piace riuscire a fare a meno.

Mi piacciono le stazioni, tutte, ma soprattutto quelle che sanno ancora un po' di passato, non ancora stravolte da megaschermi pubblicitari a ogni binario e boutiques in franchising, fast-food come se piovesse, sempre affollatissimi e librerie mega-store. Non mi piace la Stazione Termini. Mi piace la stazione di Pisa Centrale.
Non mi piacciono gli aeroporti, perché sono troppo grandi e mi perdo sempre.
Mi piace, delle stazioni del treno,  l'idea che sono sempre ferme e che tutti ci passano per andare via o arrivare, e i treni partono e arrivano, e sono come porte per altri mondi, per altre dimensioni: sono la potenzialità dell'altrove. E ogni giorni ci passano un sacco di persone, e il giorno dopo chissà dove saranno andate a finire. Anche negli aeroporti, è chiaro, ma in treno le senti più vicine, e magari addentano un panino sulla panchina accanto a te sulla banchina. E poi i treni hanno percorsi già definiti, sempre quelli, e non possono andare dove gli pare, seguono i binari della ferrovia ed è bello sapere che quel percorso è stato già tracciato, apposta per te, da qualcun altro, e qualcuno l'ha fissato al suolo con l'acciaio ed è sempre quello, non puoi sbagliare, a meno che non sali sul treno sbagliato.
Mi piace il treno, come mezzo di trasporto "pubblico", ancora, malgrado le tariffe sempre più care, il mezzo di trasporto del popolo.
Mi piace quando viaggio con gruppi di studenti pendolari, mi piace sentirli parlare delle cose di tutti i giorni, la scuola, il compito in classe, i professori, i programmi per il week end, mentre aspettano di scendere ognuno alla propria stazione, alla spicciolata, e che sembrano tanto arroganti e sicuri di sé, ma che poi si imbarazzano se solo gli rivolgi la parola.
Mi piace pensare che per loro quella tratta ferroviaria fa parte del quotidiano e farà sempre parte della loro Storia, della loro memoria, del loro bagaglio di ricordi, come per me la linea urbana del 341, strapieno di teen-ager vocianti intorno alle due del pomeriggio, costipati tra zaini e le porte a soffietto, che sembravano sempre chiuderci in mezzo qualcuno, ma poi, chissà come, c'entravamo sempre tutti.

Mi piace viaggiare in treno e mi piace la mia tratta. Mi piace perché ormai la conosco e la considero mia: la conosco, mi appartiene. E so quando la vista del mare mi si sta per aprire davanti, azzurrissima, subito dopo quella galleria, lasciata Livorno, e quando potrò ammirare dall'alto le baie di Cala Furia, col grande arco del viadotto stradale a sovrastarla, e Cala del Leone, nascosta, e il castello sul promontorio del Sonnino.
Mi piace perché costeggia campi e uliveti, e colline a sinistra e campagne e covoni di fieno e distese di gialle rape e rossi papaveri e lavanda color lavanda, e a maggio è tutto molto poetico.

Mi piace il treno Diretto, che costa meno di tutti e non devi prenotare, e ferma a tutte le stazioni e ci mette una vita e mezza, e non c'è l'aria condizionata a bloccarti la cervicale e gli scompartimenti sono aperti e puoi vedere la gente intorno a te, e puoi muoverti e alzarti senza doverti disincastrare dal tuo loculo di un metro quadro, e ci sono i venditori abusivi di orologi taroccati e altro, con le loro bustone azzurre stipate nei portapacchi che a volte mi sa che non hanno il biglietto, e rimangono in piedi sul corridoio, guardando a ogni fermata se sale il controllore.
Mi piace anche se dura quattro ore, ma mi piace solo se non è a ridosso di qualche festività, perché allora il treno è pieno e si sta tutti pigiati tra enormi valigie impilate a torre sui sedili e puzza di sudore.

Non mi piace l'Eurostar perché costa troppo e poi devi prenotare e ti mettono sempre pigiato in uno scompartimento completo quando il resto del vagone è vuoto, e tutti hanno le cuffie nelle orecchie e il pc davanti e sembrano molto impegnati e molto abituati al viaggio, tanto che non guardano più nemmeno dal finestrino.
A me piace guardare dal finestrino.

E mi piace viaggiare con la pupa, che è una piccola donna e si vergogna quando qualcuno le rivolge la parola, ma poi sfila a passeggio su e giù per il vagone a distribuire sorrisi e occhiate sornione e a raccogliere complimenti e esclamazioni ammirate.
E guarda i ragazzi grandi giocare a carte e a sasso forbice carta e imita i loro gesti divertita.
E indica le persone che passano accanto, per il corridoio descrivendo il modo in cui sono vestiti e se portano il cappello o la borsa,e se sì di che colore.
E si vuole sedere da sola sul sedile e poi esclama "Che bello tta'e tul t'eno!" E mi ascolta mentre le dico che ora ci fermeremo in tante città fino ad arrivare a Roma, dove vive Nonna, e Nonna ci verrà a prendere, con la sua macchina azzurra, e lei continua a chiedere: "E poi?". Ed è già proiettata nel suo futuro prossimo e si scorda che siamo appena partite, e alla prima fermata pensa che sia già tutto finito e dice: "Anco'a teno!"
E poi mi piace che il viaggio sia per lei una realtà naturale e tangibile, mi piace che sappia già viaggiare, così piccola com'è, e che mangi senza scomporsi la sua pasta fredda dalla vaschetta del gelato Carte d'Or e che poi si addormenti alla solita ora, e se ne stia lì, sbragata sulle poltrone scomode e la testa tutta storta, una lama di sole che filtra da sotto la tenda blu tirata a infastidirle la guancia, e il respiro regolare, coperto dal rumore conciliante delle ruote sui binari.
TU-TUM TU-TUM
Mi piace il rumore delle rotaie.

Mi piace portarmi un libro da leggere e sapere che per una volta so esattamente di potermi dedicare alla sua lettura senza altri impegni più importanti da sbrigare prima. Mi piace portarmi sempre un libro sul treno, anche se poi non lo leggo quasi mai.
Il tempo sul treno è un tempo sospeso che non ti senti in dovere di riempire in maniera "produttiva" per sentirti a posto con la coscienza e pensare di averlo "impiegato". Ma solo di farlo passare, senza che tu possa o debba fare nulla perché passi, perché si arrivi prima.

domenica 20 maggio 2012

Non nominare il nome di Giulio Coniglio invano.


In casa abbiamo una piccola Hitler. Con lei è tutto "Verboten!", proprio la sensazione che ho avuto quell'estate che andai in vacanza in Alto Adige e ovunque si leggevano cartelli con questa parola, per inciso, una delle dieci che conosco in lingua tedesca: Verboten! O per dirlo come lo dice lei: "Non ti può! Non ti fa codì!", con tanto di indice agitato davanti al tuo naso e quell'aria da Catone il Censore che mi chiedo proprio da dove le venga, visto che le proibizioni che le vengono imposte sono davvero rarissime.
Comunque la vittima favorita di questa incessante pioggia di divieti è senz'altro Master.
Povera Master...

- Buon giorno, Mimi, ben svegliata!
- Non palla'e, Ma'i!
- Ma io ho detto buon giorno...
- No tti può di'e buongionno, ma'i!

- Mimi, lo vuoi un biscotto? Come si dice?
- VIA!

- Non ti tocca la tetta di Mimi, Ma'i! (Dove "tetta" sta per "testa").

- Non tocca'e la coda Ma'i! (Ma voi lo sapevate che la pupa aveva la coda?)

- Non ti da'e bacino a Mimi!
- Allora lo dò a mamma.
- Nonnon ti può da'e bacino a Mamma!!!

- Tono una lumachina!
- Ah, una lumachina? Come quella di Giulio Coniglio?
(Diventa paonazza...)
- NONNON TI POTTO DI'E "GIULIO CONIGLIO" MA'I!

(Oh, così incavolata, non l'avevo mai vista!)

venerdì 18 maggio 2012

Libri per bambini: umorismo (la settima prerogativa)

Quando frugavo tra gli scaffali polverosi della biblioteca in cerca di libri per la pupa, sfogliando ne ho trovati alcuni anche meritevoli, che però alla fine finivo per scartare, in favore di altri magari anche un po' più grossolani, ma che sentivo a me più congeniali. E' normale: nella scelta oltre alla valutazione della qualità influisce il gusto personale, si sa.
Ma ora che ci penso, se do uno sguardo ai grandi rilegati che ancora indugiano sui bassi scaffali a portata di pupa, in attesa di essere restituiti alla mercé della pubblica consultazione, mi rendo conto che c'è qualcosa che li accomuna tutti, ed è proprio quel qualcosa che deve aver influenzato la mia scelta di fondo: l'umorismo.
Insomma, alcuni post-librari fa avevo coscienziosamente enumerato le qualità ineludibili che a mio umile parere un libro per bambini DEVE possedere pena l'ostracismo dai miei scaffali domestici.
Ora mi permetto, oltre alle tre individuate per il testo e l'oggetto-libro, e alle tre individuate per l'illustrazione (marò, quanto me la tiro: manco fossi Piero Dorfles!), di aggiungere la settima (la settima arte?), che è proprio questa: l'umorismo.

Sono convinta che l'umorismo sia una qualità innata nei bambini. Mi sono sempre stupita di come i bambini, anche molto piccoli, siano capaci di cogliere l'aspetto ridicolo di certe situazioni, e di riderne. difficile trovare un bambino privo di senso dell'umorismo. Molto più facile trovare un adulto incapace di trovare il lato ridicolo della vita, di sorridere con ironia dei propri guai, del tutto incapace di non prendersi troppo sul serio.
Dunque ciò significa che quell'adulto si è perso per strada l'innata capacità all'umorismo che aveva da bambino.
Non sia mai! L'umorismo è un'arma potentissima per combattere le battaglie della propria vita, uno strumento che ritengo fondamentale per poter affrontare il futuro, sorridere con indulgenza di sé, degli altri, dei casi storti della vita.

Dunque va coltivato: orsù! Quale strumento più adatto di un libro per insegnare ad affinare quest'arte?
Devo dire che, se guardiamo all'editoria per l'infanzia odierna, troveremo che la maggior parte degli autori e degli illustratori contemporanei hanno fatto propria e condividono in pieno questa linea, e sempre di più la narrativa rivolta all'infanzia tende ad avere un'impostazione umoristica.
Che non significa affatto povertà di contenuti o assenza di messaggi o insegnamenti: infatti "cosa vieta di dire la verità scherzando?".
Non lo dico io, lo diceva un tizio, tanto tempo fa.

Per farla breve, ecco il libro di cui volevo parlare oggi:

Titolo: La strega Rossella

Autore: Julia Donaldson

Illustratore: Axel Schleffler


Editore: Emme edizioni

Età: dice dai 5 anni, secondo me pure prima.

Grazie a questo libro ho conosciuto un'autrice davvero interessante, che fa dell'umorismo la sua carta vincente.
Il mondo raccontato da Julia Donaldson è un mondo di pura fantasia, popolato da streghe simpatiche e imbranate, draghi fifoni, vecchi castelli e animali parlanti, un mondo di fiaba a tutti gli effetti, anche se visto attraverso il filtro dell'ironia, che avvicina un poco quei personaggi, archetipi ancestrali dell'immaginario, al nostro mondo di oggi, soffermandosi sui piccoli accadimenti quotidiani, su semplici episodi  che li rendono più familiari, più accessibili agli occhi di un bambino, che attraverso quelle vicende rivive il suo mondo infantile di amicizie e complicità. Un mondo fatato, insomma, che affascina ma rassicura, perché il drago fa paura ma può essere messo in fuga con le armi dell'astuzia e dell'alleanza tra deboli.
Sì, insomma, niente di più che un racconto sulla generosità premiata, sul valore dell'amicizia e dei piccoli gesti di cortesia reciproca, sull'importanza del mutuo aiuto nel fronteggiare le situazioni difficili o paurose.
In fondo la trama ricalca a grandi linee la fiaba classica dei Musicanti di Brema, di cui riprende un poco lo schema narrativo, lo stratagemma messo in atto degli animali per risolvere una situazione critica e il messaggio finale dell'unione che fa la forza, anche di fronte ad avversari ben al di sopra delle nostre possibilità.

Molto scorrevole il testo in rima, tradotto in Italiano da Laura Pelaschiar, dove una volta tanto la metrica non viene violentata troppo brutalmente (malgrado qualche forzatura qua e là di natura fonetica più che metrica), come invece accade troppo spesso a proposito di filastrocche per l'infanzia scritte o tradotte in maniera fin troppo grossolana, cosa di cui la Suster soffre in maniera lacerante oltre misura. Ahimè, la mia formazione classica mi ha tarato.

E le illustrazioni? Le illustrazioni sono talmente in linea con la narrazione che quasi mi sono stupita del fatto che non appartenessero alla stessa autrice. Del resto la collaborazione tra l'autrice e l'illustratore Axel Schleffler ha fruttato un gran numero di successi editoriali tra cui la fortunata serie del mostro Gruffalò...
Colpisce di queste pagine l'attenzione riservata alla rappresentazione dei paesaggi, di un realismo quasi vedutistico, ma con una forte connotazione emotiva, che spazia dall'onirico incantato all'orrorifico spettrale, ma sempre mitigato dalla presenza dei personaggi molto caricaturali e ironici alle cui vicende fa da mirabile scenario teatrale.

E scusate, se il libro è un po' vecchiotto, vi assicuro però che a volerlo prendere, è ancora reperibile.

Partecipo a  I venerdì del libro.
Se vi può interessare consultate:

P.S.
Rossella è anche il nome di una maestra della pupa... Mi aspetto che da un giorno all'altro lei se ne esca in sua presenza con una delle sue frasi celebri, del tipo: "Come la 'ttega 'Ottella! Ha una ccopa volante la maetta 'Ottella?" ...Certo che me le vado proprio a cercare!

mercoledì 16 maggio 2012

Una rincoglionita.


Forza su, Zorro: entra.

Non so voi; io se una mattina mi svegliassi e non mi sentissi affatto bene, essere infilata in un contenitore con grate di plastica in cui entro a mala pena, essere montata e fissata con ganci elastici al portapacchi di una bicicletta ed essere sballottata per strade e percorsi non ben identificati per lunghe mezzore col rombo delle auto nelle orecchie, il sole che mi arroventa la plastica e il vento che mi viene in faccia dalla grata, sarebbe l'ultima cosa che chiederei. Magari preferirei essere lasciata in pace sotto al letto, accucciata al fresco, a sbavare liberamente. Ma questo non è stato concesso al povero Zorro.

E così dopo aver vagato in vano (porca zozza, giurerei che era proprio da queste parti, l'ambulatorio), mi rassegno ad andare dal mio solito veterinario, anche se ogni volta mi fa aspettare due ore prima di ricevermi, ed è caro appestato, e per questi e altri motivi da un po' di tempo meditavo di cambiarlo, chè inizia a starmi un po' sulle palle.

- Pronto? Sì, senta, posso portare il gatto che sbava e non esce da sotto al letto e non mangia? Non ci ha nemmeno svegliati alle 5 con i soliti MIAO-MIAOO e questo è grave. per non rompere i coglioni dev'essere proprio grave, eh! Come quando, ora? Domani? No, no, la ringrazio, proverò da qualche altra p... ah, dice che se aspetto mi riceve anche ora? OK, arrivo.

Devo prima andare in lavanderia però.
Ci dev'essere un motivo se il tuo gatto, che non lo ha mai fatto prima, un bel giorno decide di pisciare sul letto di tua figlia (mentre lei ci dorme dentro).
E ora che ci penso potrebbe esserci un motivo diverso dalla pura lunaticità pupesca se tua figlia un bel mattino si sveglia alle 5 e inizia a fare evoluzioni da saltimbanco fino a costringerti ad alzarti al suo seguito. Chissà, magari perchè si è ritrovata immersa in un mare di piscio di gatto?
Il bello è accorgersene solo dopo 24 ore, quando nel metterla a letto ti sovviene alle nari un certo insistente puzzo provenire dal suo materasso...

- Pronto? Senta ho trovato il suo numero su Pagine Gialle, stavo venendo all'ambulatorio ma non riesco a trovarlo... No, al numero fisso non risponde nessuno... No, senta, ho il gatto nel portapacchi che sta male... non saprei: sbava tipo rubinetto che perde... OK provo a richiamare.

- Pronto senta non trovo l'ambulatorio: era in zona La Fontina, vero? Ricordo di essere venuta una volta, ma il fatto che una volta io lo sia riuscita a trovare per puro cul caso dopo mezz'ora di giri a casaccio non significa che io ci riesca una seconda volta: ho un pessimo senso dell'orientamento io, sa? Pazienza, ho imparato a conviverci, ma a volte tornerebbe comodo. Come dice? Non siete alla Fontina? Ah, siete a Porta a Lucca? E da quando? Da sempre??? Ma allora ho sbagliato numero, mi scusi.

- Pronto, Bidone, mi dici dove sta il tuo veterinario? A Porta a Lucca? Ah, in via Savona? OK.

- Pronto salve, senta ma voi siete l'ambulatorio di P.ta a Lucca? Ah, bene. Mi manda un'amica che vi porta il gatto, avrei bisogno di portarvi il mio (gatto). Siete in via Savona, vero? Ah, no? In via Rismondo eh? Ma quanti ambulatori veterinari ci sono a P.ta a Lucca?

- Pronto? Lei è il dottor Foscolo? Ah, scusi, io leggo qui Ambulatorio Veterinario Foscolo, Ugo... Ah, no, quella è la via, mi scusi. No, non è uno scherzo...

- (Pant pant) Buon giorno mi scusi, ho telefonato poco fa, mi avete detto che potevo venire...
-Ah, quella del gatto! Ha telefonato 2 ORE fa...
- Sì, lo so: sono in bicicletta...
- Va be' aspetti 5 minuti.

Ovviamente dopo mezz'ora ero ancora lì fuori, con il povero Zorro nel trasportino, e sono dovuta andare a recuperare la pupa al nido.

Forse è la mezza stagione, o carenza si zuccheri, ore di sonno perse... forse non è decisamente stata una buona idea quella di andare a donare il sangue dopo che la pupa mi aveva fatto fare la levataccia alle 5 di mattina, e ancora non mi sono del tutto ripresa, chè mi pare di camminare sulla luna e il cervello mi fa come la chiavetta della Tre: la connessione va e viene.

martedì 15 maggio 2012

Compassione.

Qualcuno di voi forse si ricorderà di


Partendo dai presupposti che:

  • oggi è martedì, e non lunedì;
  • l'iniziativa si è già conclusa qualche settimana fa;
  • ho completamente stravolto l'ordine delle tappe (ma tanto cambiando l'ordine degli addendi, il risultato sempre quello è, tuttavia vedere un film montato al contrario non credo che aiuti la sua comprensione, a meno che non si tratti di Memento);
  • a nessuno probabilmente interesserà molto che io continui o no...
volevo oggi affrontare il tema numero sette del seguente elenco, da cui il titolo del post:
  1. fare domande;
  2. risolvere problemi;
  3. affrontare progetti;
  4. coltivare passioni;
  5. indipendenza;
  6. esser contenti con se stessi;
  7. compassione;
  8. tolleranza.
  9. affrontare i cambiamenti.


Arriverò mai alla fine della lista? Chissà, chissà.
Ma intanto riprendo le parole dell'iniziatrice del progetto che spiega così il senso di questa parola, piuttosto ambigua, COMPASSIONE:
Trattiamo i figli con empatia, chiedendo loro come stanno, ascoltandoli, abituandoli all'interesse per l'altro. Diventeranno persone in grado di lavorare in gruppo. Abbiamo estremo bisogno, infatti, di lavorare in armonia con gli altri perché accanto ad altri che non ci siamo scelti passiamo gran parte della nostra vita, dalla scuola al luogo di lavoro. Se offriamo ai nostri figli l'esperienza di poter essere felici aiutando gli altri e interessandosi di loro, trasmetteremo loro forse il più grande insegnamento.

Visto che trovo estremamente sensate e vere queste parole, stavolta eviterò di librarmi nei miei risaputi voli logici e proporrò semplicemente una mia personalissima interpretazione di questa massima, una delle possibili declinazioni di come, a mio modesto sempre e umile parere di madre mediamente rincoglionita, permettere a un bambino, anche molto piccolo, come la pupa, di affinare questa capacità.

Passo la parola alla diretta interessata che, guarda un po', al momento è distratta, sta parlando con Panzumen:
- Vieni, vieni, Pantumen, vieni da Mimi! No'ssali'e, eh, tul tavolo, Pantumen. Ttai qui, ti 'acconto una 'ttoia.
Allo'a! C'ea una votta un gatto, BE-LLI-TTI-MO!

Dovrei restare in silenzio, ma come faccio a non ridere? Intanto lei continua, a raccontare la storia al gatto: non capisco gran che, ogni tanto intermezza con "mh-mh-mh" quando non sa che dire, poi salta di palo in frasca, scavando nella memoria breve della sua recente conoscenza fiabistica:

- Il mugnaio aveva SETTE pigli... mh mh... peliti, e contenti! Ti è piaciuta Pantumen?

Ecco, non è che sto cazzeggiando: traevo spunto dalla realtà per spiegare quello che volevo dire.
Quando osservo la pupa rapportarsi con i suoi gatti, Zorro, detto Do'o, e Panzumen, detto Pantumen(e), rivedo molti dei miei atteggiamenti nei suoi confronti. Lei racconta le storie al gatto, ma anche, sgrida il gatto quando fa cose che non si possono fare, come salire sul tavolo; altre volte reagisce a loro comportamenti in maniera del tutto spontanea e personale, per esempio quando lei sta facendo qualcosa, tipo disegnare sul suo tavolinetto basso, e loro si mettono in mezzo. Ovviamente reagisce con stizza: "Levati Pantumeneeee! 'Tta didegnando Mimi! No ppuoi!"
Ama tormentarli, anche, in maniera giocosa, e mai sadica, ma quando esagera le dico che non si fa male ai gatti, perchè anche loro quando si fanno male sono tristi, proprio come lei.

Se loro si rotolano tutti contenti sotto le sue carezze lei va in brodo di giuggiole.
Se loro avvicinano il muso a un biscotto o a qualsiasi altra cosa che lei ha in mano, prima si arrabbia e dice: "No! E' di Mimi!" ma poi aggiunge: " Hai pame, Pantumen? Vuoi la pappa?"

Ecco, io credo che prendersi cura di un altro essere animato sia una grande scuola di "Compassione", intesa come "empatia", la capacità di mettersi nei panni dell'altro, di capire di cosa ha bisogno e di giustificare le sue azioni attraverso l'interpretazione del di lui sentire, che possiamo immaginare simile al nostro.

Educarsi alla comprensione dell'altro, e alla sensibilità.


(Notare nella seconda foto lo sguardo soddisfatto e fiero di Zorro dopo l'inatteso abbraccio, per cogliere il quale non ho potuto che queste foto un po' minchia, ma pazienza...)

Questo post partecipa alla rubrica del martedì: Roba da gatti.
Ah-ah! Non ve l'aspettavate eh!? Fregati!

Se invece vi può interessare leggere delle precedenti capacità da me affrontate cliccate i seguenti link della mia personalissima lista:

lunedì 14 maggio 2012

Là dove nacquero fiori dai cannoni.

Laddove un tempo sorgeva una cittadella difensiva, oggi la città difende un pezzo del suo passato, rendendolo ancora fruibile ai suoi abitanti...



Laddove alte mura merlate cingevano la roccaforte dell'arsenale civico, bastioni e camminatoi venivano percorsi notte e giorno da sentinelle armate, depositi di polvere e mortai, micce e munizioni garantivano al Comune la propria autonomia militare e in definitiva la propria indipendenza...




... oggi l'edera dipinge in autunno i suoi giochi di colore, smussa gli spigoli, avvolge il laterizio e la pietra di un morbido, ovattato, rivestimento vegetale; le sentinelle di vedetta hanno sguardi svagati e curiosi, raccolgono gelsomini e osservano dall'alto coppie di giovani innamorati rotolarsi, abbracciati, tra l'erba.




Laddove gli ingressi e le uscite sottostavano a rigidi controlli, di persone, di merci, e un fossato girava tutt'intorno a una solida scarpa muraria in pietra su cui si innalzavano, possenti, i bastioni angolari...



...oggi un continuo e libero viavai di visitatori delle più svariate estrazioni e provenienze anima i viali lastricati, sale e scende ponticelli e gradinate dalle affascinanti costruzioni prospettiche, o si ferma all'ombra di esotiche palme, che forse il Sangallo non aveva contemplato nel piano originario dell'opera...




Laddove i più moderni ritrovati dell'ingegneria bellica venivano custoditi e sorvegliati come tesori, celati alle spie di Stato con la massima cura, capolavori tecnici finalizzati alla sopravvivenza di sè e alla distruzione del nemico, in definitiva, alla vittoria...



...oggi nuovi architetti reinventano il rapporto tra natura e città, eleganza e utilità, struttura e superficie, strumenti ludici e maestria tecnica, antico e nuovo, perchè la nostra sopravvivenza è legata al rinnovarsi della vita, al lasciar spazio all'infanzia, in definitiva, al gioco.



E le uniche restrizioni del transito sono legate agli orari di chiusura...


Laddove tintinnavano archibugi...


...oggi frusciano foglie al vento.

Laddove tuonava l'artiglieria...


...oggi prendono il sole i gatti.

Laddove caricavano i cannoni...



...oggi nascono fiori.



E i secoli e i piccioni, ci guardano ancora dall'alto...

PS:
Avevo già parlato del Giardino Scotto in un altro post un po' vecchiotto, per chi desiderasse info storiche e culturali sulla Fortezza, prego, consultare qui e qui.

Questo è solo un altro viaggio emotivo.

sabato 12 maggio 2012

Riflessione del sabato (e i consigli di Tata Lucia)


Avevo preparato il post scherzoso. Avevo iniziato a scriverlo, senza terminarlo, e mi riproponevo di farlo oggi.
Oggi non ce la faccio.
Spossata dall'ennesima sfuriata nata dal nulla e nel nulla conclusasi, sento invece il bisogno di fermarmi a buttar giù nervosismi ed esasperazioni.
Poco male: è sabato, faranno almeno 35 gradi, fuori c'è un sole che spacca e tutti voi sarete al mare, o in giro, non certo a leggere queste mie sbrodolate.

Succede che lei esploda, così, di punto in bianco, senza un motivo apparente, come una bomba di rabbia. Manco a dire che tutta questa furia nasca da qualcosa, a volte non riesco neppure a capire cos'è che l'ha contrariata.
Ricordo che qualche tempo fa su Genitoricrescono fu lanciato come tema del mese proprio questo: la rabbia, e la difficoltà di arginarla. Non scrissi niente, ma mi ritrovai in molte delle cose che lessi a proposito.
Diciamo che la pupa è stata fin da neonata soggetta a enormi esplosioni di furia devastatrice, capace di disintegrare completamente il mio sistema nervoso e di farmi sentire in completa balìa dei suoi umori, perché incapace di controllarli, incapace di prevederli, e quindi anche di prevenirli, incapace di fronteggiarli e incapace infine anche di controllare le mie reazioni alle sue sfuriate. Che molto spesso non mi hanno lasciata contenta di me.
Quale deve essere il compito di un genitore in questi casi? Soprintendere alla rabbia del piccolo indemoniato che ancora non è in grado di gestirla, per una naturale immaturità emotiva.
Io invece esplodo a mia volta.
Non c'è niente come le urla isteriche, la crisi di pianto che degenera in accessi di vomito, capace di farmi saltare del tutto i nervi, e allora esplodo anch'io.

Sono consapevole che il mio alzare la voce all'improvviso, quando il vaso è colmo, al di sopra del volume della sua, i miei scatti di ira repentini, il mio improvviso allontanarla da me in malo modo, molto spesso perché sento che mi verrebbe voglia di prenderla a schiaffi, e me la voglio togliere di torno, non sono né educativi né contribuiscono in alcun modo a finalizzare il mio obiettivo principe: che lei smetta di frignare, e in questo modo permettere anche a me di recuperare il controllo di me.
E' uno spaventoso turbine di crescente vento di rabbia che si trasmette da lei a me e poi ancora a lei che in finale mi fa ritrovare sconfitta.
Con l'infittirsi dei capricci nell'ultimo periodo, con la sua presa di coscienza di poter determinare ciò che accade intorno a lei e la sua resistenza ad accettare che non sempre tutto può essere come vuole lei, è un continuo logorio dei nervi, ma è anche vero che ora mi ritrovo davanti una bambina capace di intendere in parte le ragioni della controparte, se non proprio di accettarle.

E poi provi con le buone (cosa c'è che non va, Mimi, perché sei arrabbiata? Dimmelo senza piangere, così capisco), provi con gli avvertimenti (ora basta frignare, ché non c'è proprio motivo. Se non mi spieghi cosa vuoi ti lascio qui e me ne vado), provi a fare come se nulla fosse, cambi argomento, continui a fare quello che stavi facendo prima ma lei si oppone con tutte le forze, inizia a buttare all'aria ogni cosa, sbraita più forte. Sei sicura che ha già dimenticato il motivo per cui piangeva, che oltretutto non vale l'entità della sfuriata.
Alla fine ci provi, ad ignorarla fino in fondo, finché non smette, e intanto ti senti salire la rabbia pure dentro, e sai che ti devi allontanare da lì, se no esplodi anche tu, e addio pace domestica.

Me ne sono andata, l'ho lasciata piangente sul letto, nuda, i capelli ancora bagnati, col fon in mano, spento, ché era quello il momento in cui la furia l'aveva colta. Ho iniziato a fare le mie cose, ho messo la musica, alta, che mi coprisse le urla. Piano piano la rabbia mi sbolliva, anche se la sentivo ancora, nelle pause musicali, urlare più forte per farsi sentire, e dire qualcosa tipo "Anco'a!" che non aveva senso perché io ho smesso di asciugarle i capelli solo dopo che la sua crisi isterica mi aveva reso impossibile quel lavoro, e quindi non era certo legata a quello, l'origine della sua rabbia. Ma così, forse la difficoltà stessa di spiegare il suo malessere, il suo desiderio frustrato alimentano quella rabbia, come ora il mio disinteressarmene.
Ma non cedo, scavo nei miei ricordi a quando ancora ero solita istruirmi dei saggi insegnamenti di SOS Tata, quando ancora non ne avevo mai avuto bisogno, e credevo ancora che un metodo bastasse a risolvere i problemi. Non è così semplice: ciò che il metodo non contempla sono le tue reazioni emotive, le tue contraddizioni interiori.

Dunque, prima di poter insegnare alla pupa l'autocontrollo, devo imparare io a dominarmi, a non farmi toccare da quegli eccessi di rabbia contagiosi, ad agire anche in quei frangenti da benevola educatrice, benevola e comprensiva, che sa come deve comportarsi. E lo fa.
Invece, poi, quando la rabbia ti passa e la senti ancora frignare, ti chiedi: ma sarà poi giusto lasciare che si sbudelli così le corde vocali? E sono già trenta minuti buoni che lei urla. Smette a tratti, poi ti vede passare, che rimetti in ordine gli oggetti che ti sono serviti per il bagnetto, e ricomincia a urlare, come per dirti "Ehi, ma che ti sei scordata di me? Guarda che io stavo piangendo: quando vieni a consolarmi?"
E ti chiedi anche se non suona anche quello come un ricatto, come quelle madri che dicono: "Se fai i capricci mamma non ti vuole più bene", perché in fondo è quello che le sto dicendo con l'atteggiamento: se rompi i coglioni, mamma non ne vuole sapere più nulla di te, e farà come se tu non esistessi.
Ma forse, dice l'altra me stessa, è giusto invece che lei capisca che quello che io non considero non è il suo dolore, quanto il suo atteggiamento sbagliato, non è lei, è il suo capriccio. Che è sbagliato lo sa, glie l'ho detto decine di volte  che le cose le deve dire senza urlare.
E poi magari ora ha semplicemente voglia di urlare, come te quando qualcosa dentro ti agita e vuoi buttarla fuori, e allora lasciamola scaricare.
Solo che questa è peggio del panda della Duracel, dura di più, MOLTO di più...

Alla fine se ne stava seduta sul letto, nuda, come l'avevo mollata, con un'espressione sfinita e sguardo assente. Io ho finito di lavarmi e preparare il pranzo, mentre piangeva, senza dire niente mi sono avvicinata e ho iniziato a vestirla. Le ho detto: "Allora, dove eravamo rimaste? Stavi togliendo le mollettine dalla custodia?"
Lei ha ricominciato a togliere le mollettine dalla custodia, come se in mezzo non ci fosse stato niente.
Me le passava una per una e io dicevo grazie, e lei diceva prego.
"Ora ti asciugo i capelli. Va bene?"
Come un pupazzo rotto si è fatta finire di asciugare e vestire.
"Lo sai che quando urli mamma non capisce cosa vuoi. Quando Mimi vuole qualcosa, deve dirlo a mamma, non urlare".
E chissà se faccio bene a tornare sull'argomento, ora che tutto è passato, farei meglio a lasciar perdere? E anche se non risponde e anche se probabilmente non posso aspettarmi che memorizzi e metta in pratica il saggio precetto, sento di dover giustificare il mio disinteresse. "Quando urli, mamma si allontana, poi aspetta che Mimi ha finito di urlare, e poi torna. Mamma non ti lascia mai mai..."
"Non ti lascia mai mai.."
E' questo il nostro codice, quel "mai mai" messo a punto durante le pedalate verso il nido, che rassicura come una formula magica.

Mi chiedo se sia possibile eliminare del tutto dal processo educativo verso un figlio la violenza, in qualsiasi forma essa si manifesti. Non è forse una forma di violenza ignorare deliberatamente una richiesta di intervento fino a che non ottieni quello che desideri (la sua resa)? Io faccio violenza a me stessa, e alla fine mi sento spossata.
Che poi lo so che lei avrebbe smesso di piangere anche se io fossi andata a consolarla, a un certo punto, prima che fosse sfinita fino alla fine, che il suo pianto a una certa s'è trasformato da sfogo di rabbia in richiesta di armistizio: "Mamma, vieni da me, se mi consoli smetterò di piangere".
Allora, chi è che ricatta chi?
E' tutto un equilibrio delicato tra amor proprio e bisogno dell'altro, e bisogna imparare anche che gli altri non saranno sempre disposti a stare ai tuoi tempi, cara pupa, e che reagiscono esattamente come te di fronte alle frustrazioni, e che a volte dovrai essere tu la prima a cedere.

Detta da una che nella vita ha abbozzato quasi sempre, è una conquista!

PS.
Sulla rabbia infantile ho visto in libreria questo libro, molto carino, e un pensierino me lo sono fatto di prenderglielo...


mercoledì 9 maggio 2012

Pedalo.


E io che fine ho fatto? Quando manco da pochi giorni da qui ho la sgradevole sensazione di perdere il filo dei miei pensieri, prima dei contatti con altri. La necessità di mettere per iscritto, nero, su bianco, di dare forma a tutta quella matassa ingarbugliata di idee e concetti, immagini e parole, che io produco in continuazione.
Ma soprattutto quando pedalo. Pedalo in giro per la città, subissata da impegni fittizi, che quasi mi impongo, stabilendo scadenze improrogabili, forse solo per avere l'impressione di essere molto attiva, molto affaccendata, e poi mi perdo tra file alle poste, file alla ASL, file alla COOP, pedalo pedalo e alla fine delle file mi pare di non aver combinato nulla.
No, dai, almeno ho fatto il bucato, almeno ho passato lo straccio, almeno ho fatto la spesa.
Passano un giorno, due e siamo punto e a capo.
Pedalo e penso, pedalo e progetto, pedalo e ho idee brillanti, decine di idee, peccato che poi me ne scordo la metà, l'altra metà non riesco a metterle in pratica quasi mai. Ma prendo appunti mentali quando mi pare di averne una buona, poi mi scordo. E intanto pedalo, che mi rilassa, col cielo sopra la testa, e mi chiedo perché mai il pedalare diventa in genere sinonimo di fatica. Giro giro sempre a vuoto.
Macino ore e già c'è da recuperare la pupa al nido, la metto a letto e non mi basta il respiro che già è sveglia, e via con la "patteggiata", coi giardini, con le "tattaughe" e su e giù per le scale, "andiamo alla galle'ia?", "Mimi, ma ci siamo appena state", e lagne a non finire, e improvvise schiarite, e mezz'ora per salire le scale di casa.
Se siamo uscite in bici, "P'endiamo il patteggino?". Se siamo uscite a piedi "La biticletta-cletta-cletta!". Se le mancano gli argomenti "Anco'a patteggiata!". E "Ma'agià ma'agià è a'ivato il ma'agià".
Mimi, basta, su, sono due ore che passeggiamo, la bicicletta la prendiamo domani, quando andiamo "dagli amici". "ANDA'E DAGLI AMITI! ANDA'E DAGLI AMITI! ANDA'E DAGLI AMITI!"
Uff, che è tardi, già bisogna fare la cena, e anche oggi ho perso La Ghigliottina, vedi un po' tu, se una povera cristiana le togli pure 'sti piaceri innocenti della vita, di vedere Carlo Conti in tv, prima del tg, con tutti quegli imprenditori morti ammazzati che si impiccano alla grondaia di casa, e rabbrividisco al pensiero, quando vedo la sera il Beduino sempre un po' più stanco, che parla solo di IRPEF e di mutuo, e di soldi e di perdite e di Libia, che poi sarebbe la sua America, dove tutto è un pochino più facile e il futuro è più luminoso.

Ecco pupa, è pronta la pappa. "Tuccodimela tuccodimela!" va bene tieni, non lo rovesciare eh, che mamma si arrabbia davvero stavolta. Cazzo, Mimi, ma perchè minchia lo rovesci sempre, eh? Lo fai apposta?
"Raccoglia'e pomodo'o". Ecco tieni. "NOOOO! 'Accoglie Mimi pomodo'ooooo!" "Mimi basta lagne eh! Raccogli 'sto (cazzo di) pomodoro".
Che è non ti va più la pappa? La tolgo? Va be' basta. Aspetta che mamma prepara la cena per lei e babbo. Senti senti, è arrivato babbo!
Dai, si mangia, che è tardi, devo addormentare la pupa che se no dopo è isterica e ci metto tre ore.
Ah, ma tu ora vuoi mangiare eh!
Ma che glie la fai a fare la pappa, aspetta che torno e mangiamo insieme, no?
Sì, vabbè, ma te non si sa mai a che ora arrivi e lei di punto in bianco sclera che vuole la pappa.
E poi ora si va a letto. Uff, è finita un'altra giornata, ma com'è che il tempo non basta mai? Tutto di corsa, sempre, tutto incastrato. Dai, andiamo a lavare i denti, mettiamo il pigiama.
"Dice tata Lucia che i bambini già a un anno e mezzo dovrebbero dormire da soli..."
E vabbè allora che venga tata Lucia a metterla a letto. Io faccio così, a me va bene, anche se poi facciamo il wrestling sul materasso fino alle undici e mezza se va bene, e poi riemergo piuttosto sfatta dopo essermi consumata la voce a furia di Pinocchio, intramezzato da stralci di sogno nel dormiveglia incombente, e lei mi tira calci nello stomaco, come quando stava dentro, e con la stessa determinazione me li puntava sulle costole, quei santi piedini.

E' che a volte l'adoro e mi sembra di non poter più vivere senza. Altre volte la detesto e non la sopporto più, non ci sto dietro, a tutte quelle lagne, e un poco rimpiango i pomeriggi in terrazza, a primavera, con un libro, a farsi accarezzare la pelle dal vento e dal sole, avere tempo per fare, con calma, una cosa alla volta, non avere sempre le ore contate.
Ma poi la sento che declama filastrocche imparate altrove, e che si capisce mezza parola ogni tre, la sento che fa i suoi cazziatoni a mosche e a lucertole, che chiede a "Pantumen" se vuole venire connoi, che inventa fiabe per il gatto Amleto, che canta riempiendo le parole che non sa con "Mh mh mh" e inventa nomi per i suoi pupazzi, saluta la luna e le dice "Vieni da Mimi!" saluta l'Arno e gli dice "Come ttai?" saluta il sole e gli dice "Ti vediamo domani!", analizza parentele e improvvisa censimenti ovunque vada (come ti chiama? E' la mamma di...), e allora mi chiedo come sia possibile tutto ciò, che questa qui si sia presa tanta parte di me, e del mio mondo, e del mio amore, e mi dico che amare è più facile quando tutto va sempre bene, che mi si chiede di amare a prescindere, al di là degli scleri, della stanchezza e dei giorni che boccheggi e non riesci a stare a galla, e ti chiedi se stai andando da qualche parte o se stai ferma da tempo, pure se ti agiti peggio di  uno che balla la pizzica male.
E poi sera e mattina, e un altro giorno ancora.

venerdì 4 maggio 2012

Tipe da biblioteca (e libri muti).

Io e pupa tra le altre cose ci siamo date alla Biblioteca dei Ragazzi.
Per la verità è stato un incontro breve, un paio di match e poi al tappeto.
Lei, mica noi! Noi ci siamo scialate.
Lei purtroppo ha temporaneamente chiuso i battenti, dicendo che sarebbe tornata a inizio anno scolastico, che l'avremmo ritrovata in una struttura più idonea ad ospitarla. Noi le abbiamo voluto credere, ma con il beneficio del dubbio e un po' dispiaciute di aver fatto la sua conoscenza così tardivamente, giusto giusto qualche giorno prima del suo ritiro a vita privata per prossimo trasferimento.

E però abbiamo messo a frutto questo poco tempo: io ho ravanato tra scaffali polverosi rinvenendo qua e là preziosi volumi illustrati che ancora custodiamo temporaneamente nella nostra illustre dimora, in attesa di renderli; la pupa ha fatto amicizia con Pinocchio in persona, o almeno con la sua sagoma in ferro battuto, unico elemento decorativo che ornava gli spazi risicati e squalliducci delegati ad ospitare gli scaffali e i piccoli tavoli della biblioteca dei piccoli.

Io ho scoperto che non necessariamente occorre possedere fisicamente tutto ciò che leggiamo, e forse la soluzione preferibile in molti casi non può che essere quella di attingere al bene comune, chè tanto, diciamocelo, questi cartonati rischiano di rimanerci sul groppone a vita, una volta terminata la loro funzione educatrice nel giro di qualche anno; la pupa ogni giorno mi salutava all'uscita dal nido con la frase "Ha peso i bibli in bibloteca mamma?" ed era felicissima di scoprire quali novità io avessi in serbo per lei.

Bisogna dire però che la povera biblioteca languiva un po' nell'abbandono, e nella fattispecie la sezione dedicata ai "piccolissimi" necessiterebbe di una bella svecchiata...
Tuttavia, in mezzo a tanti orribilia, qualche tesoro è pur saltato fuori.

Ecco qua:


  • Titolo: Il pappagallo di Monsieur Hulot

  • Autore: David Merveille

  • Dal personaggio di: Jacques Tati

  • Editore: Excelsior 1881

  • Collana: Piccole pesti




Oh, se non mi sono innamorata al primo sguardo!

Questo libro è di una poesia unica, di una delicatezza, di un umorismo, di una genialità, di un'acuratezza tale, che sembra in tutto e per tutto una dichiarazione di amore. Che poi è quello che è, in fondo.
Protagonista è il timido romantico, sognatore bizzarro e solitario, Monsieur Hulot (per la pupa "Il tigno' Ulò", anche detto "Tomigliava a Pinocchio!"), distratto girovago, che, perso dietro le sue fantasticherie, incurante della vita concreta, delle convenzioni, delle conseguenze della sua sbadataggine, traccia percorsi stravaganti in sella alla sua bicicletta per le vie di una Parigi che non si può non amare.


Protagonista è anche la città, animata, viva, che ci si mostra in tutta la spettacolarità delle sue prospettive mozzafiato, negli stralci di vita degli abitanti che la percorrono, negli incontri ai crocicchi, nelle sue soffitte bohemien,  nei suoi lampioni, nelle sue terrazze, nei suoi panni stesi, un mondo reale e concreto eppure così vicino all'immaginario che il confine si fa permeabile, e tutto diventa possibile...



Giusto un assaggino, eh! Tanto per farvi capire lo stile, ché non posso svelarvi troppo, sarebbe come raccontarvi il finale di un film.

Però posso mostrarvi qualche particolare qua e là, se non vi dispiace, così potete rendervi conto della cura per il dettaglio, dell'umorismo sotteso ad ogni singola figura, dell'universo che sta dietro a questa storia, della ricchezza di espressioni che offre alla lettura, pur risparmiando quelle verbali, cosa che d'altro canto lo rende accessibile al di là di ogni confine linguistico.





E se il vostro bambino rimarrà affascinato dalla scoperta, emozionato dal prima e dopo, entusiasta delle soluzioni imprevedibili che gli si aprono davanti agli occhi al dispiegarsi della panoramica visiva, voi adulti potrete deliziarvi andando a scovare con l'occhio quel microcosmo che alla prima mirata sfugge, come il signore che si scaccola in auto, credendo di non essere visto, lo sbirro che si avvicina minaccioso al suonatore di organetto, il bullo in motocicletta che rimorchia la ragazzina smorfiosa, le cialde che bruciano nella piastra, il tipo sbronzo che è collassato col naso nel calice di vino, l'anziana gattara che guarda la tv con la coperta sulle ginocchia o il rampante giovane yuppie che sfoglia riviste patinate nel suo salotto di design... cercate, cercate: troverete persino una cacca di cane!












Eppure mi riesce difficile definire questo libro un "libro per bambini".
Io credo che si offra a diversi livelli di lettura: a quello dell'adulto che indulge alla sua parte bambina, a quella del bambino che si improvvisa adulto, finalmente padrone di poter "leggere" le immagine a suo mnodo, senza bisogno del filtro interpretativo di chi conosce il codice della parola scritta.
Un libro da sfogliare divertiti, da raccontare ad alta voce o da assaporare in silenzio.


Due parole sulle meravigliose illustrazioni di David Merveille (nome loquens? Guardate qua e qua): una grafica pulita ed essenziale, campiture di colore uniformi dove l'ombreggiatura è affidata unicamente alla scelta e all'accostamento dei toni e delle gamme, la profondità unicamente ai virtuosismi prospettici, il volume delle figure unicamente allo spessore del tratto.
Alla faccia delle tendenze odierne al 3D, questo eccezionale artista belga recupera il gusto per la bidimensionalità della "pura grafica" pubblicistica, in omaggio alla tradizione vignettistica del suo Paese, forte di un grande amore e rispetto per la cultura del fumetto, qui considerato una forma d'arte a tutti gli effetti.


(Scusate, ogni tanto mi piace atteggiarmi un poco a critica d'arte! Vogliate perdonarmi)


Con questo post partecipo al Venerdì del libro.
Per chi fosse interessato: