giovedì 21 febbraio 2013

La prima casa. (Ovvero: è giusto pagare l'IMU? No, va be', scherzo!)


Stavo pensando (ogni tanto mi capita ancora) a che ricordo rimarrà a Mimi di questa casa in cui si è trovata a vivere sin dal giorno della sua nascita, questa casa che si è ritrovata come sua.
Come se fosse scontato, senza sapere come né perchè, senza chiedersi cos'è che ci ha portato qui, senza pensare che potrebbe esser stata un'altra casa, magari, la sua prima casa.
Lei l'ha semplicemente acquisita come realtà di fatto: a chi appartiene questa casa? A noi, che ci viviamo, ovvio. Lei questa casa la sente come sua, come LA sua. Come è giusto che sia.
Mi fa tenerezza quando a volte usciamo da scuola in compagnia di qualche amichetta e lei si fa avanti, tutta caruccia e propone: "Maua/Emma/Pedeica, vuoi venile a cada mia? Che ti faccio vedele la mia cada?"
Naturalmente nessun'amichetta è mai "venuta a casa sua", e in questo gioca anche la mia inossidabile resistenza a schiudere al mondo "regolare" i misteri inconfessabili della mia situazione abitativa. Magari prima o poi, chissà, supererò questa mia tara, questo mio senso di inadeguatezza, ma per ora la nostra casa per me continua a rimanere quella dimora provvisoria e arrangiata che era sin dal primo giorno in cui ci ho messo piede (appena possiamo ne cerchiamo una migliore).

Per lei no.
Natale dalla nonna: non c'è stato giorno che non mi abbia ricordato che quella non era casa sua, che lei voleva dormire a casa sua, nel suo letto, non passava giorno che non mi chiedesse: quand'è che torniamo a casa nostra? E non che dalla nonna sia stata male, anzi! Ma la festa che fece il giorno in cui siamo rientrate poi alla base ha avuto del commovente, con lei che girava di stanza in stanza ripetendo: "Che bello che siamo tonnati a cada! Che bello mangiale a cada! Che bello fare la cacca a cada nostla!"
Insomma, per lei la Casa con la maiuscola, la sede dei suoi primi ricordi, dei suoi legami emotivi, delle sue sicurezze di bimba, è questa, questa scalcinata, amataodiata dimora provvisoria, dove ci sentiamo precari ormai da quasi otto anni.

Perché, si sa, la prima casa è sempre la più bella che tu abbia mai avuto.
Per voi non è così?
Ah, per me sì.

La mia prima casa era proprio bella, la più bella che io abbia mai visto, la più bella senza dubbio in cui io abbia mai vissuto, e la migliore in cui io potessi mai aver vissuto. E se non ci credete ora vi dò un sacco di motivo per convincervi di ciò.

La mia prima casa, quella all'ottavo piano, era la più bella di tutte le case esistenti, perché era al piano più alto, e da lassù potevi vedere lontaniiiiissimo affacciandoti alla finestra di camera nostra, e potevi anche fare la gara di sputi sulla serranda del signor Naclerio, del piano di sotto, e potevi guardare le macchine in strada che sembravano le nostre Micro-Machines e scommettere sul colore della prossima che avrebbe girato la curva, e contare i Maggiolini che passavano, e gridare qualcosa ai passanti e poi nasconderti e non farti vedere quando quelli alzavano la testa guardandosi intorno spaesati.
Poi era bella perché da casa nostra si arrivava facilmente su in terrazza, nella grande terrazza condominiale, e avevamo un sacco di spazio per pattinare, e siccome eravamo coraggiosi e non avevamo paura di cadere andavamo a pattinare al di là del parapetto, almeno finché qualcuno dai palazzi vicini non ci urlava di tornare dentro, e allora, seccatissimi, dovevamo smettere.

Era bellissima, casa nostra, ma la cosa più bella era la nostra camera, tutta arroccata di scale di legno, e scaffali in cui infilarsi e a cui appendersi, e cassetti e scrivanie a scomparsa, e letti apribili, e un enorme armadio dove infilarsi quando si giocava a Strega di mezzanotte (c'era da essere orgogliosi di quella camera, quando qualcuno veniva a trovarti), e tutti i nostri giochi e giocattoli, generazioni e generazioni di giocattoli ereditati o sempre esistiti, e inventare storie e percorsi e villaggi, far incontrare i Lego con i Play-Mobyl, schierare gli Exogini contro gli Happy-Potami, far salpare i Puffi a bordo dello skate-bord... e i piumoni rossi invernali lasciavano posto ai copriletti a motivi peruviani sui nostri tre materassi in fila, alla parete, nella mezza stagione, e il sole che ci arrivava di pomeriggio a tingere tutto di colori caldi, e la carta da parati in gommapiuma tutta grattata dalle unghie dei gatti...

Ma poi anche il resto della casa era bellissimo, anche se la nostra camera era di gran lunga il pezzo forte della casa.
Per esempio c'era un lungo, lungo corridoio per farci le scivolate coi calzini.
E poi c'era un grande salone, grondante tralci di filodendro dalle pareti e dal soffitto, con un lungo lungo divano murato, con grandi cuscini arancioni, che si prestavano alla grande a diventare capanne su uno o due piani, dove accamparsi e improvvisare rifugi di fortuna. C'erano le due poltrone di legno a dondolo per andarci a cavallo, ma dovevi stare attento a non infilare le dita in mezzo alla molla, o te le schiacciava. E il pianoforte a muro col suo bravo sgabello girevole.

C'era il tavolino basso di mattonelle, ribaltabile, nel senso che se per distrazione ti appoggiavi troppo ad una delle due estremità, ti si ribaltava l'intero piano, perché poggiava semplicemente su due trespoli di ferro battuto, e quando si ribaltava venivano giù tutte le mattonelle, e allora toccava fare un laborioso lavoro di restauro-lampo, tipo tessere di un puzzle astratto, e rimetterle al loro posto. Che poi a volte lo facevi anche apposta,a  rovesciarlo, per poterti cimentare nel puzzle delle mattonelle. Però era un disastro quando la sera ci portavamo i piatti della minestra per poter cenare in pace davanti alla tv, mentre mio padre friggeva i Sofficini. Allora bisognava stare attenti, al tavolino ribaltabile, o rischiavi di buttarti tutto il brodo sulle gambe, ed era caldo!
E poi cuscini, cuscini, cuscini per sdraiarsi a terra, e il tappeto sardo peloso con la grande chiazza marrone di quella volta che col Piccolo Chimico prese fuoco...

E poi c'era anche la sala del tavolo lungo, che era davvero lungo, e ci potevi stare sdraiata per intero, sulle sue piastrelle azzurre fiorite, e ancora avanzava spazio. Arsenali di fogli da disegno e scatole di Stabilo, ben schierati per la battaglia, bicchieri d'acqua colorata pieni di pennelli, tempere e acquarelli e fogli di giornale che subito finivano inzuppati: quante mappe del tesoro furono realizzate su quel tavolo, quante pergamene, quante "guerre di Saddam" furono documentate con minuzia certosina, tra gli omini verdi e quelli blu e quelli gialli (il guerrafondaio in realtà era solo mio fratello Ergino, ma la stesura di quel progetto colossale ben presto appassionò anche me).

E poi la grande terrazza traboccante di piante, che pareva un giardino pensile di Babilonia, ed era il nostro pezzetto di "fuori" privato, dove noi un giorno piantammo in vaso i nostri dieci pinoli, chiedendo impazienti quando sarebbero diventati alberi, e rimanendo delusi alla risposta: almeno una ventina d'anni. E invece ora sono davvero alberi, anche se ne sono rimasti forse tre o quattro, e non ci si crede che furono piantati per gioco da due bambini su una terrazza all'ottavo piano, tanti anni fa...

Anche la nostra cucina era bellissima, comunque, per quanto piccola, perché a frugare bene tra le credenze saltava sempre fuori qualcosa da spiluccare, e se non trovavi niente potevi sempre improvvisarti qualche frittella di banana: la ricetta era top secret, ma comunque la cambiassi veniva sempre fuori qualcosa di abbastanza commestibile da meritare gli onori dello stomaco.

Ah! E poi c'era la camera dei miei genitori, dove potevi saltare sul lettone grande e fare i campionati di Wrestling e lotta (due discipline molto diverse, non vi sbagliate), ma sempre stando attenti a non far piangere nessuno, che se no poi arrivava mia sorella dalla camera accanto e ci maziava un po' tutti, ché lei era sempre alle prese con le sue lingue astruse, il greco e il latino, e ripeteva tutto il giorno ton-ton-ton, toin-toin-toin allo sfinimento, e chi lo sa che vuol dire?

Insomma: vi ho convinto?
La mia prima casa era senz'altro la casa più bella che io avessi mai visto.
Chissà allora perché poi dovemmo cambiarla. Crescendo mi è parso di capire che sia stato per questioni di eredità, proprietà catastale, cose da grandi, comunque.

Ci tornai solo una volta e rimasi sconcertata dal trovare tutto stranamente più piccolo di come lo ricordassi, un po' vuoto e "impoverito".
Le case hanno questo guaio: che se le abbandoni si rattristano, e perdono smalto.
Potessi riavere quella mia prima casa così come la ricordo! Nessun IMU potrebbe mai farmi desistere dal desiderio di riaverla, quella mia prima casa!

(Foto di repertorio)

mercoledì 20 febbraio 2013

Un rapporto difficile. Ovvero: utile guida per muoversi all'interno di un ospedale.



Io non ho un ottimissimo rapporto con gli ospedali, e soffro quando non posso fare a meno di recarmici, come per esempio ora, che devo fare tutte le analisi di screening della gravidanza.

E' che con gli ospedali ho un pessimo rapporto. Proprio.
Il primo problema è di ordine topografico.
Gli edifici degli ospedali non rimangono mai al loro posto. Tu vai a cercare l'edificio 8, ti dicono, ti ricordi perfettamente dov'era, ci sei stato la scorsa settimana, era proprio lì, accanto a quello verdino, dietro l'angolo, ma... lui si è spostato: non c'è più.

Gli edifici degli ospedali cambiano di posto per farti ammattire.

Le indicazioni con i numeri degli edifici, poi, hanno la facoltà inspiegabile di rendersi invisibili almeno finché non decidi di chiedere informazioni a qualcuno di passaggio. Allora ecco che si materializzano a meno di mezzo metro dal tuo naso, facendoti fare la figura dell'idiota: "Ah, era lì! Toh! Non l'avevo proprio vista, la freccia!"

E sappiate che i numeri degli edifici NON seguono MAI un ordine numerico lineare! No, sarebbe troppo semplice, eccheccavolo! Vuoi mettere il divertimento di azzeccare la sequenza random? Tipo 20-13-8-2-5-18, area viola. Chiaro no?

Poi: raramente l'entrata principale di un edificio è quella da cui si deve e si può entrare.
Il più delle volte ti faranno cenno da dentro, mentre tu lotti disperatamente con la porta a vetri che resiste a ogni tuo strattonamento, esasperando una mimica facciale da sordomuti, di fare il giro dell'edificio (se nel frattempo non ti si sposta) ed entrare dall'uscita secondaria, quella che si passa sotto a un'impalcatura, tra i calcinacci, sollevando una spessa tenda di plastica imbrattata di vernice, perché stanno rifacendo gli impianti, poi attraverso un dedalo di corridoi fino alla reception, dove ovviamente non c'è nessuno a cui chiedere, dove, quando, perché sei lì.
E finalmente trovi un inserviente gentile che appoggia lo spazzolone e ti dice: "Ah, ma lei deve fare prima l'accettazione! Deve andare all'edificio 15! Guardi, è facilissimo: passa vicino a quell'edificio azzurro, poi gira a destra e si trova a neurologia". Perfetto! Perché naturalmente l'accettazione di cardiologia è a neurologia. Uhm...
Non ci arrivo, non fa per me. Mi pare un videogioco di ruolo dove ogni ostacolo aggirato te ne propone altri a catena.
Ma poi esci e... l'edificio azzurro è scomparso. Com'è possibile? Dove si è cacciato?

Forse c'è un'altra spiegazione alternativa all'idea che gli edifici degli ospedali se ne vadano a spasso per il giardino e si scambino di posto per divertirsi a farti saltare i nervi, ed è questa: c'è qualcuno che cambia in continuazione i loro connotati per renderli irriconoscibili.
Là dove c'era una facciata intonacata di giallo, ora c'è un severo edificio di pietra a bugnato.
Là dove si entrava da una scalinata alta che dava su un ampio portico, ora c'è un piccolo ingresso seminterrato.

E comunque a fare stu cazz' di ECG tu ci sei venuta meno di due settimane fa, ad accompagnare il tuo lui, e a lui l'accettazione non glie l'han fatta fare, te lo ricordi benissimo: a lui l'esame l'han fatto così, su due piedi. E che è? Ogni giorno si adotta una procedura diversa? Chiedi e ti dicono: "Ah! Due settimane fa!" manco si trattasse di un'era geologica fa "No, adesso si fa l'accettazione a neurologia (ovvio, no?), poi si viene con la preospedalizzazione fatta all'ambulatorio". Preospedalizza... Che? Ma io mica mi devo ricoverare! E scopri che questa preospetc.etc. anche se suona male non è una cosa terrificante, ma solo roba burocratica, a cui a mio dire, avrebbero fatto meglio a dare un nome come minimo più breve...

Chi, dopo tutto questo, arriva pure a farsi fare gli esami che doveva, avrà perso intanto mezza mattinata, e gli risponderanno che per i referti dovrà tornare un altro giorno, perché ormai è tardi, e il medico è andato a lezione.
Ospedali universitari... ci mancava solo questa!

Ora io a ritirare i referti ci torno, sia chiaro: ma voglio proprio vedere dove sarà andato a finire nel frattempo l'edificio 20!

martedì 19 febbraio 2013

Reduce.


Dalle nebbie informi della mia memoria recente, qualcosa inizia a prendere forma.
Un buco di un quattro-cinque giorni buoni durante i quali sono stata molto moto impegnata a: sudare, rigirarmi nel letto, cercar di capire che ora era dalle variazioni luminose del cielo che intravedevo da sopra la serranda (sempre crollata) di camera, scoprirmi perché mi bollivano i piedi, coprirmi perché avevo i brividi freddi, cambiare lato perché mi si schiacciavano le costole, togliermi i piedi di Mimi dalla pancia/fianco/schiena, assumere Tachipirina a intervalli decisamente irregolari, provare ad alzarmi e constatare che non era cosa.
Una bella batosta, non c'è che dire.
Non ricordo nemmeno da quanti anni era che non me ne prendevo una così.

La fortuna in tutto ciò è che Mimi è stata male con me, la qual cosa non fa una bella figura detta da una mamma, ma è giustificabile se detta da una mamma in coma che non sarebbe in grado di impedire le fughe sempre più frequenti di sua figlia di due anni giù per le scale di casa, scale che presentano ampie voragini tra un gradino e l'altro, perché presentonsi sospese sul vuoto...
Con oggi possiamo sancire il definitivo ritorno alla vita, mio e suo.

Nel frattempo sono riuscita persino a vedere il Festival. Quello di Sanremo, proprio lui. Peccato che non so cos'è che ho visto, dato che non ci ho capito nulla, e fino a poco fa non avevo nemmeno la più pallida idea di chi avesse vinto (senza parlare dei nomi dei cantanti: per lo più degli emeriti sconosciuti. Ma da dove sono saltati fuori tutti 'sti tizi? Boh!).

Nel frattempo sono riuscita a farmi sgombrare la camera "delle bimbe" (almeno in divenire) e ho scoperto enorme macchia di umidità-muffa sull'intera parete coperta dal vecchio armadio.
L'ultimo ricordo lucido: io che, inerpicata in cima a una scala di lamiera mezza rotta, passavo spugnature di candeggina sulle colonie fiorite in questa manciata di mesi invernali.
Io che chiamo il padrone di casa dicendo che probabilmente dev'esserci un'infiltrazione d'acqua dal tetto. Lui che mi risponde che purtroppo ora sto per partire per Dubai (ma vaff...), ne riparliamo quando torno. E la serranda? Pure quella, quando torno. In caso chiedi agli operai che stanno a piano terra a finire un lavoro. Si va be', ma io da quegli stronzi sessisti maleducati che mi spostano sempre la bicicletta da sotto la tettoia non ci vado, piuttosto faccio tutto da me.
Le ultime parole famose, infatti la parete sta ancora là, e anche la macchia.

Nel frattempo dovevo andare anche a cercare i mobili per la suddetta cameretta in un posto che conosco io che vende roba usata, ma è tutto saltato, tutto rimandato, tutto fermo.
Disperazione pre-natale. Profondo panico da nascita imminente e nulla è pronto. Come nei miei incubi peggiori.

L'inquilina staziona ora nel nostro sgabuzzino, come tanti altri ospiti prima di lei, quanti nemmeno immagina, in attesa che si levi una buona volta dai co  trovi finalmente una sistemazione più "consona", a quanto dice lei più che imminente, visto che doveva essere stamani (poi diventato oggi pomeriggio...).
Io attendo speranzosa, eh! Dopo faccio una festa.

Nel frattempo Mimi ha messo a dura prova i miei nervi, abbiamo litigato selvaggiamente per diversi giorni di clausura forzata, io spompata dalle sue richieste almeno quanto dalle sue opposizioni, nette, ripetute, a priori. Abbiamo mangiato a orari fasulli, mettendo in tavola cibi di discutibile valore nutrizionale, quello che trovavo in giro, tra frigo e dispensa, meglio se già pronto. In linea di massima diciamo che ci siamo nutrite di pane in cassetta e miele e "tuccodimele" (lei), tachipirina (io) per una buona settimana.

Mandato in soccorso l'amico Cileno a farmi un rapido shopping alimentare di base. Peccato che poi lui si sia perso il pizzino con la lista nei pantaloni da lavoro e sia tornato alle otto e mezza di sera con una spesa piuttosto fantasiosa, che difficilmente avrei potuto riconoscere come fatta da me (mai comprati i cavolfiori, io!)

Man mano che mi tornano le forze, anche la realtà riacquista confini più netti e "normali".
Cazzarola: in frigo ci sono DAVVERO i cavolfiori! Allora non ho sognato! Ora mi toccherà impestarmi  casa di cavolo.

Le energie ricominciano adagio a circolare nelle mie membra, senza strafare, il cielo è luminoso, preannuncia primavera.
Io mi sento tanto reduce da un naufragio, mentre fuori sentivo scrosciare i nubifragi che hanno coinciso con il picco della mia malattia, su un letto alla deriva con Mimi e Noemma nella pancia che stava influenzata pure lei (l'ho sentita io, tutta mogia mogia, doppiamente imbarcata perché navigatrice del mio utero, e mezza intossicata di paracetamolo, porella), e la tosse ti squassa il petto e la gola, e ti senti tanto lontana dal mondo, isolata, chiusa nel tuo guscio di sonno senza soluzione di continuità, che tutto quello che ti dicevi di dover fare non ha più importanza, tanto non ce la fai, non c'è ieri, non c'è domani, c'è solo l'ora, che non hai la più pallida idea di quanto tempo sia passato, né quanto in fretta.

E poi ti affacci piano piano alla finestra e vedi gli altri sempre lì, e qualcuno si chiede che fine hai fatto, anche se tu, sempre qua sei stata, ti sei solo preclusa per un po' il lusso ozioso del socialnetworking.

Contenta come una reduce perché ho superato anche questa, un po' colpevole forse perché ho strapazzato Mimi, il giorno in cui lei iniziava già a stare male, e io l'ho trascinata a quell'incontro all'aperto con le vecchie colleghe... c'era il sole ma faceva freddo, e tirava vento.
E recupero il ricordo recente.
I nostri incontri periodici, di quel gruppo di donne tanto diverse tra loro, tanto per storie e percorsi, e vite, e caratteri... eppure nonostante tutto ancora riusciamo a trovare una volta ogni tanto una mezza mattinata per rincontrarci tutte, o quasi, condividere novità, nuove pance, bimbi nuovi, racconti, pezzi di vite, ricordi di quel periodo in cui ci sentivamo forse un poco più vive, collocate nel mondo, con un impiego, per quanto precario, uno stipendio, per quanto mediocre, un compito, per quanto noiosetto, un gruppo di lavoro, nato così, un po' a casaccio, che più variegato non poteva essere.
Vederti con gli occhi di un'altra persona, in una mail collettiva un po' nostalgica, ritrovare in quelle parole forse la tua stessa nostalgia, e sorridere pensando a quella che eri:

"la studentessa sempre di corsa, sempre in bici, anche col braccio rotto non si è fatta spaventare, sempre in bolletta, col suo fidanzato libico e le foto della lunga vacanza araba, sempre sorridente, colorata e un pò frikkettona..."

E anche perché tutto sommato, malgrado gli anni, malgrado qualche figlia in più, qualche soldo in meno, non è che tu sia poi cambiata così tanto.

Niente: è che mi sento proprio una reduce, in questi giorni.
Concedetemi ancora qualche pensiero sconnesso.

giovedì 7 febbraio 2013

What a wonderful world!


Il quinto gradino di pietra della scala di casa nostra è rotto: l'ha rotto un elefante quando è venuto a trovarci e non ci passava. E non ci ha detto niente (birbante).

In corridoio ci sono i mostroni, ma vanno via quando accendi la luce, e poi alcuni sono buoni. Fortuna che c'è lo scheletro amico Penz, che provvede a mandare via quelli cattivi, che fanno paura.

Un trattore ieri è passato sopra a Mimi e l'ha tutta rotta, perché lei era di legno, e lei si è molto arrabbiata, e gli ha detto: non si fa così, trattore, adesso mi devi riaggiustare.

Quel birbante del mare si è mangiato la spiaggia. Mimi gli ha detto: "Screanzato!" Perché la spiaggia non si mangia: fa schifo. Rimetti la spiaggia a posto perché io devo fare il bagno.

Quando Mimi era grande una volta ha mangiato una mela avvelenata ed è morta.

Se Noemma non si sbriga a nascere, Mimi prenderà un coltello e mi taglierà la pancia (cesareo d'urgenza, direi), come fa il cacciatore con il lupo, e tira fuori Cappuccetto Rosso e la Nonna (certe fiabe andrebbero vietate ai minori di 14 anni).

Una volta Mimi ha trovato un lambicco nero nero, che stava dentro una bottiglia. Era una bottiglia molto strana, e il lambicco stava bene chiuso nella sua bottiglia. E la bottiglia l'aveva trovata dentro una macchina bianca, che era sua amica, e l'ha presa per le mani e l'ha portata a casa sua, e Mimi ha detto: "Grazie, Macchina Bianca!" E c'eravamo io, lei e Buia dentro la macchina bianca che andavamo in vacanza. Da nonna.

Ieri a scuola Mimi si è tuffata nello stagno e ha nuotato, perché era diventata una papera, e aveva molti amici: un serpente, che si chiamava Nifulap, una rana, una tigre e un gatto. E la macchina bianca.

Quando Buia era piccolo Mimi è andata in Libia e ha trovato un tesoro di Alì Babà. E Buia non sapeva parlare perchè era piccolo, e piangeva perché non aveva ancora i denti. Invece Mimi era grande e aveva tutti i denti.



Giuro che non ho idea di dove prenda i funghetti allucinogeni...



martedì 5 febbraio 2013

Roba da gatti: stato liquido.


(Da Wikipedia)
Il liquido è uno degli stati della materia.

Le sue proprietà principali sono:
  • fluidità: un liquido è un fluido che, in assenza di forze esterne tra cui quella di gravità, ha una forma sferica. I liquidi, a causa della limitata forza di coesione fra le molecole, sono scorrevoli, cioè fluidi. Si dice quindi che "non hanno forma propria". Ciononostante, non tutti i liquidi sono egualmente fluidi, così si dice che l'etere è più fluido dell'acqua o anche che l'acqua è più viscosa dell'etere.

Il gatto è un fluido mediamente viscoso, a seconda dei casi.
    Esempio di fluidità: i liquidi prendono la forma del recipiente che li ospita.


    • elasticità: i liquidi sono molto elastici, cioè si deformano facilmente sotto l'azione di una forza e riprendono immediatamente la forma primitiva appena cessa l'azione della forza deformatrice. 
    Il gatto è un liquido estremamente elastico, ma soggetto a strappi, e non reagisce bene alla trazione delle appendici.
      Esempio di elasticità: come tutti i liquidi, il gatto tende a  deformarsi sotto l'azione di una forza.


      • incomprimibilità: un liquido è un fluido il cui volume è costante a temperatura e pressione costanti; la comprimibilità dei liquidi è in genere molto bassa, e trascurabile se confrontata a quella dei gas, quindi i liquidi sono considerati incomprimibili.
      Il gatto è un liquido difficilmente comprimibile, e non insistete: anche variando temperatura e pressione la sua comprimibilità non aumenterà!

      Esempio di incomprimibilità: il gatto non sembra reagire in alcun modo
      alla pressione esercitata.

      Roba da gatti: la rubrica scientifica del martedì.

      Si ringrazia: Panzumen, per essersi prestato gentilmente all'esemplificazione dei teoremi.

      Ci scusiamo per la pessima qualità di alcune immagini: le nostre tecnologie scientifiche hanno risentito dei tagli ai finanziamenti effettuati dalla spending review.

      lunedì 4 febbraio 2013

      Cattivissima me. Cattivissima ed esaurita.


      Allora, facciamo il punto della situazione.
      Gennaio è finito, mi pare, già da qualche giorno, se non sbaglio.
      Ora: che si fa?
      La domanda sorge spontanea: mi pigli per il culo o cosa?
      No, perché io mi ci son messa d'impegno: fatti andare giù liscia una cosa che proprio ti s'incaglia in mezzo al gozzo. Sì, insomma: In tutto ciò che tocca far, il lato bello puoi trovar... a averne la fantasia.
      E non posso nemmeno dire che non sia del tutto colpa mia, che non me la sia andata, in parte, a cercare.
      E non posso nemmeno dire che l'esperienza non mi abbia insegnato qualcosa negli anni addietro, nei bei nostri anni cazzoni e spensierati (per quanto non meno arraffazzonati di quanto non siamo ora): in anni di studentato in convivenza ho imparato a dividere i miei spazi e i miei tempi con la gente più disparata, ho imparato a conciliare gli attriti, a temperare le intemperanze, a scendere a compromessi, a lasciar correre le inezie, a condividere tutto e più di tutto. Mi son ritrovata a ospitare gente mai vista né conosciuta, a mettere casa mia a disposizione di tutti e pure degli amici degli amici di tutti, ho rinunciato alla mia privacy, al mio riposo, alla mia cucina, i miei orari, ai momenti in cui avrei preferito cento volte il sonno alla compagnia forzata di una decina di ospiti, tornando da lavoro alle due di notte distrutta, sai, non è che alla fine hai tantissima voglia di folleggiare fino all'alba, considerando pure che il giorno dopo ti toccherà pulire montagne di piatti e pentole accumulate nel lavello, buttare sacchi di spazzatura stracolmi e passare lo straccio su pavimenti appiccicosi.

      Però posso dire che tutto ciò ha avuto un senso: perché ho imparato a mettere limiti. Ho, abbiamo, goduto della compagnia altrui finché ne abbiamo avvertito la necessità, della vita in comunione, di azzerare per un certo periodo i confini convenzionali della proprietà di diritto, di distinguere tra il mio e il tuo, il mio e il tuo tempo, il mio e il tuo lavoro, il mio e il tuo spazio, i miei e i tuoi averi, in virtù del bello che ti portava la condivisione incondizionata.
      Ma i conti non tornano mai. Arrivano sempre le frustrazioni, le delusioni, i rinfacciamenti, l'assoluta mancanza di comprensione e gratitudine che ti fanno fare più di un passo indietro, e mettere paletti.
      Se prima dicevo cose tipo: "Non chiedermelo neanche!" "Fai come se fosse casa tua!" "Ma scherzi?  resta pure tutto il tempo che desideri!" "Se hai bisogno di qualcosa non farti problemi a prenderlo!"
      Ora ho imparato a dire cose tipo: " Se hai bisogno di qualcosa, chiedi pure"; "Per quanto tempo avresti bisogno di essere ospitato?"; "Magari vedi se trovi prima un'altra soluzione"; "Vedrò se posso aiutarti, ma preferirei di no".
      E, credetemi, ci vuole una bella faccia da culo, eppure me la son fatta. Ho dovuto. I primi tempi è stata dura, ma alla fine capiscono, e non te lo chiedono più.
      Del resto ha una bella faccia da culo anche chi, dopo tre mesi o un anno che mi fa la muffa in casa (gratis, ci tengo a specificarlo), ha avuto il coraggio di dirmi: "Ma mi avevi detto che potevo restare finché ne avessi avuto bisogno", o anche: "Io credo che voi siate falsi, perché vi siete stancati di me ma non avete il coraggio di dirmelo" (Ma se l'hai capito, allora...), o ancora: "In questa casa c'è sempre casino, se uno vuole concentrarsi come fa?" (Si cerca una casa e se la paga?).

      Ma sto divagando.
      Questo per dire che la generosità idiota non paga. Mai.
      La disponibilità a zerbino è altamente controproducente, e ho smesso di praticarla da anni.
      Finché per un bizzarro inciucio del destino (e varie nostre peripezie immobiliari) non ci siamo trovati punto e a capo.
      Lei è arrivata dicendo che aveva trovato lavoro, e avrebbe pagato la sua parte di affitto.
      Lui voleva liberarsi la casa sotto, e ce l'ha praticamente appioppata.
      Noi programmavamo imminenti trasferimenti, ottimisti e fiduciosi nelle nostre capacità d'acquisto sul mercato immobiliare.
      A noi non faceva schifo dividere l'affitto finché non avessimo sloggiato, viste le spese che poi il trasloco ci avrebbe comportato.
      Noi eravamo abituati alla convivenza estrema, avremmo tollerato per qualche mese ancora.

      Del resto avevo trovato i lati positivi in tutto ciò:
      • lei mi passava i suoi vestiti taglia 50 che non le stavano più (!), perfetti per la mia pancia gravidica (ma immettibili, avrei scoperto dopo, assolutamente orripilanti);
      • Lei a volte intrattiene Mimi mentre io ho da fare, sto cucinando o chessoìo (salvo impellente fiction televisiva che non può permettersi di perdere, allora non manca occasione di farmi capire indirettamente che preferirebbe non avere Mimi tra le scatole. Basta fare orecchio da mercante e fingersi distratti);
      • Lei in fondo sta sempre chiusa in camera sua a guardare la tv, mangia in camera, vive in camera. Chiusa. Pure le serrande: tappata dentro. La qual cosa a me va benissimo. L'effetto ci-sono-ma-non-mi-vedi è pur sempre meglio che averla sempre tra i piedi.
      • Lei mangia una tantum alla giornata, ad orari improbabili, intorno alle 5 del pomeriggio: si spadella il suo mezzo Kg di spaghetti e si porta la padella nel loculo. Sospetto lo faccia perché non ha voglia di mangiare con noi. Non mi pronuncio sull'abitudine di consumare i pasti in camera da letto, che trovo rivoltante, per inciso (fatti suoi), ma apprezzo l'idea di non dover condividere con lei la cucina all'ora dei NOSTRI pasti;
      • I nostri rapporti sono improntati su un generale disinteresse e distacco (cortese, per carità, e finanche simpatico distacco, ma pur sempre tale), la qual cosa mi permette di farmi allegramente i fatti miei, senza dover mantenere in piedi la farsa di improbabili legami affettivi.
      E però, cara la mia Lia:
      • se tu hai sempre l'accortezza di chiuderti per bene in camera, credi sia normale entrare nella mia mentre sto facendo i cavoli miei?
      • Perchè quando Mimi sta mangiando senza fare storie, esci proprio per rompere le palle con la tua pedagogia becera ("Mmmm, che buona la pappa, ora me la mangio io!"), così che lei alla fine s'incazza di brutto e parte coi suoi capricci infiniti, m'incazzo io pure e la serata finisce a schifìo? No, perchè lo fai con una puntualità sconcertante! Direi che il messaggio più chiaro non poteva essere: quando mangio lasciami in pace. Ma lo fai apposta? Non le cogli le mie occhiate assassine?
      • Visto che nessuno ti ha chiesto mai, né pretende che tu faccia le pulizie in casa, perché quando ti accorgi che io sto pulendo, ti affacci a chiedermi se per caso non ho bisogno di una mano e rimani lì a ostacolarmi con il tuo ingombrante deretano mentre passo lo straccio? C'è bisogno che ti spieghi che, se vuoi, puoi tranquillamente pulire casa in mia assenza?
      • Perchè, visto che nessuno ti ha mai fatto pesare la cosa, ti ostini a ripetere che tu, tanto in casa, non consumi quasi niente, e fosse per te potrei anche spegnere il riscaldamento che tanto ti metti le bottiglie di acqua bollente dentro al letto e a te basta così? A parte che nessuno te lo chiede, ma credi che il gas che usi per far bollire litri e litri d'acqua per scaldarti il letto, lo eroghi gratuitamente la Caritas?
      • Perché quando mi metto in santa pace al PC ti senti in dovere di venire a fare conversazione e ritieni di poterti mettere a guardare e sindacare su quello che sto facendo? (Poi dici che uno risponde male...)
      • Ma soprattutto: perchè mai pensavi che se non avessi mai toccato l'argomento noi non ci saremmo accorti che tu hai smesso di pagare l'affitto già da tre mesi? Cosa ti faceva credere che, avendo tu detto che a febbraio schiodavi, siamo al 4 febbraio e tu ancora non accenni ad alzare il culo? E se non te lo facevo notare nemmeno avevi incominciato a fare le valigie? Cosa ti spingeva a credere che saresti potuta rimanere qui vita natural durante? Pensavi che avessi avuto problemi a dirtelo apertamente?
      No, come vedi. Mi so accollare anche la parte della stronza, se serve, e me ne fotto, oramai.
      Certo: che situazione di merda, me ne rendo anche conto.
      Ma non venirmi a piangere che vai a stare per strada al freddo: primo, perché hai avuto tutto il tempo per cercare altre soluzioni; secondo, perchè te ne abbiamo trovate anche noi, di soluzioni alternative, e allora le rifiutasti, schifata, dicendo che la signora TizioCaio ti dava casa gratis... (strano che ora non voglia più dartela. Mi chiedo come mai...); terzo, perché se non schiodi ora,  mi sa che non schiodi nemmeno tra un mese.
      Curioso che io non riesca più a fidarmi di te: mi dici che a marzo hai trovato lavoro a Roma e vai a stare da una famiglia come governante alla pari. Sicuro che tra un mese mi racconterai che sono tutti crepati in un incendio, o che una Filippina ti ha soffiato il posto, e allora non voglio che siano fatti miei.
      Ma poi: che razza di giochetto è questo?
      Noi diamo la disdetta della casa, per non costringerti a sloggiare, e il giorno dopo la dai tu pure.
      Allora ti maledissi, ché avevo già dato la caparra per un'altra casa.
      Poi (lo spiegavo qui) la casa non ce la diedero più, e noi facemmo dietro front: se la casa rimane tutta per noi, allora chi ci costringe a lasciarla?
      Tu dovevi sgombrare entro febbraio, ricordi? Febbraio.
      Ma qualcosa mi dice che sei un pochino paracula. No?
      Che fai: noi rimaniamo, e allora tu pure? Ti sei così affezionata che non vuoi più lasciarci?

      Sì, lo so: me l'avevate detto. Me l'avevate detto tutti. Dovevo saperlo.
      Del resto: meglio tardi che mai.
      E non è bello, no. Non sono contenta di me. Non sarò una persona più felice o più appagata, ora.
      Non avete mai dovuto dire a una persona: "Te ne devi andare, non m'importa dove"?
      Be', è uno schifo, ve l'assicuro.
      Un vero schifo.
      Ma fare beneficenza con il cuore pieno di trasporto emotivo, è una cosa. Farla per un pungolo della coscienza, e rimanere incacchiati e astiosi con una persona che finisci per avere sempre sotto gli occhi, e detestarla ogni minuto per ogni scemenza, e a detestare tutte le sue abitudini, perché avevi messo il pane in congelatore e quando lo cerchi non lo trovi più, perché vuoi tirare fuori dagli scatoloni i vestitini taglia 0 mesi e lavarli, e riporli in un luogo pulito, e non puoi farlo perché non sapresti dove; perché da sola occupa una stanza della casa e voi in tre ne occupate un'altra (e la pagate per intero); per il solo fatto che esiste... no. Ti fa capire che non sei in grado, che la tolleranza non è più una tua virtù, che non vuoi, e allora facciamola finita, e che trionfi per una volta il sano egoismo.