sabato 29 dicembre 2012

Family days.


Tanto per lasciare traccia di questi giorni di "pausa" natalizia.

Cade la neve e le luci dell'albero ci rallegrano, scartiamo i doni davanti al camino mentre i bimbi fanno a palle di neve in cortile e qualcuno intona Jingle Bells al pianoforte.
Non proprio: purtroppo il Natale medio-borghese statunitense in villette unifamiliari che ci propinano in tv in questo periodo ha finito in parte per sovrapporsi alla mia immagine mentale del Natale.
Qui è tutto abbastanza normale, e non posso che essere grata di ciò.
I pensieri più affannosi li ho lasciati a qualche centinaio di chilometri da qui. Funziona, per brevi periodi, ma dopo qualche giorno, a tratti, si riaffacciano, col loro carico di sospiri.
Io e Mimi siamo a casa di nonna a svernare le feste, Hasuna è ritornato al suo lavoro ingrato e ha già iniziato a mandarmi segnali di insofferenza per telefono.
Mimi è divisa negli affetti e mi chiede quando torna il suo babbo? Io le dico che tra qualche giorno andiamo da lui.
Quando è l'ora di fare la nanna la sera le prende l'attimo di magone quotidiano e mi dice che vuole andare nella sua cada, a dormire nel suo letto, e io mi stupisco dell'attaccamento ad una casa che io continuo a considerare quasi al pari di una condanna del destino, vista l'impossibilità o l'incapacità cronica che ho verificato nel tentativo di lasciarla. Ma è la sua casa, è giusto che lei la senta sua, i suoi ricordi sono lì, le sue abitudini, le sue sicurezze.
Tuttavia mi piace che lei si possa sentire a casa, in famiglia, anche in un altrove che fa sentire me così al sicuro, che lei possa avere una seconda possibilità di ritrovare e ritrovarsi in un ambiente suo, che parli di lei e dei suoi affetti, dei suoi ricordi più antichi, più primordiali, i cui scorci interni porterà dentro come immagini fugaci di un passato remotissimo anche quando la sua vita sarà altrove, e lei non avrà più bisogno di sentirsi al sicuro, nel suo letto, per poter addormentarsi serenamente, anche quando vorrà conquistare il mondo e il mondo intero le sembrerà poter diventare la sua casa.

E io? Io sto un po' sotto un treno: smaltisco raffreddori che credevo scampati da promiscuità con infanti mocciolosi, mi faccio di oscillococcinum, sforzandomi di convincermi che stia facendo effetto, tossisco fuori dal petto i polmoni, passo le notti a rigirarmi su svariati materassi, alla ricerca disperata di quello che rechi il maggior conforto o il minor incomodo alle mie costole e alla mia pancia gravida, rimiro giornate brillanti d'un terso dicembre da dietro i vetri delle finestre di casa, riallaccio a fatica vecchi rapporti con vecchie conoscenze, mi concedo il lusso di guardare qualche film casalingo, mentre lei razzola sul parquet della spaziosa e coibentata casa della nonna intrattenendosi con oggetti e persone, libri nuovi e vecchi ritrovati, intona canzoni a disco rotto e si sdilinquisce in esclamazioni di meraviglia e ammirazione per i dipinti alle pareti, per gli uccellini di polistirolo agganciati ai rami dell'albero, o per pupazzi reduci di altre epoche riesumati in qualche scatolo e riscoperti pincipi o pincipezze, fa razzia di succhi di frutta in dispensa e delle statuine del presepe.

E la panza? La panza in breve lasso di tempo mi è diventata importante appendice, non sempre confortevole da portarmi appresso.
Colei che la abita ha ricevuto il battesimo della sorella maggiore, e attualmente si presta all'appellativo di "Noemma", nato per una spiritosaggine di Mimi, assurto agli allori del generale riconoscimento come nick-name ufficiale momentaneo per la sua ostinazione pervicace, e in assenza di un valido sostituto più convincente. Del resto non voglio nemmeno fermarmi a rievocare le balzane proposte di possibili nomi passati al vaglio quando noi si aspettava Mimi.

Abbiamo ancora tre gettoni delle giostre da sfruttare prima della partenza, e prima o poi mi metterò d'impegno a uscire di casa una mattina di buon ora per una salutare passeggiata quartiere quartiere, destinazione giostrine.
Ancora un buono di compleanno per vestiti da mamma da utilizzare presso il più vicino centro commerciale, e la ferma determinazione a farmici portare da mio fratello sempre una mattina, onde evitare il caos oceanico umano del post-regali natalizi. Già lo so che sarà un massacro.
E tanti propositi di persone da sentire, forse da vedere per le feste, che mi sembrano destinati a sfumare nel nulla di fatto, visto lo stato di inerzia perniciosa in cui sono piombata, panza influenza e stanchezza esistenziale concorrenti.

Ma sto bene. La nonna gestisce spese e pasti. Amiche vengono in visita a darmi piacevoli annunciazioni, il mondo intorno a me si popola di nuove vite. Azzardo cene con antiche conoscenze che finiscono in after hour per Mimi che si dopa di protagonismi e rientriamo a mezzanotte io con le crisi di coscienza e lei con gli occhi cerchiati di blu e i bioritmi tutti sballati. Tentiamo senza buon esito blitz al cinema che si risolvono in file di mezz'ore alla biglietteria, posti esauriti, prospettive terrificanti di virare su Isoliti idioti o Antonio Albanese, ovviamente scartate a priori, quarti di pizza al fast food del centro commerciale (questa è la vita metropolitana, gente).

Mimi fa dichiarazioni d'affetto ai suoi "peluch", continua a ricevere doni rateizzati, mi dice che lo zio Cicci è un ragazzo piccolo e che lo zio Ergino "semba un pincipe". Le piace scovare visi noti nelle fotografie esposte per casa e riconoscerci "Te da piccola" o nonna, quasi sempre invertendo o confondendo identità e ruoli. Aspetta Biola che venga a giocare con lei "con la cucina di nonna" e poi fanno insieme un gioioso casino. E' affascinata dalle poppate di Tebazziano che ha le mani piccole, mentre lei le ha g'andi.
Ha preso il telefono e ha chiamato Nonno Mauo: chissà se lui le avrà risposto?

sabato 22 dicembre 2012

Pisa & Love anno zero.


No, non c'entra niente Santoro, se mai.
La citazione si riferiva, se mai, al film di Rossellini, ma, oh, ecco qua: l'ho rovinata.
Se mai voleva essere l'ennesima, stupida, scontata frecciatina alla presunta fine del mondo che abbiamo appena scampato, almeno fino all'avvento della prossima, e alla prossima "chiusura di un ciclo", come dicono ora i media, senza che si capisca peraltro di che ciclo si stia parlando. Ciclo mestruale? Ciclo a motore? Ciclo di lavaggio?
Ah! La lavatrice! Ma sì: sarà quello!

Dunque, ricominciamo: da oggi (o forse da ieri) ha inizio una nuova era, e sarà un'era in cui nessuno più dovrà trasportare chilogrammi di indumenti da lavare in giro per le strade della città dentro grandi buste della spesa marca COOP, che, si sa, sono i più resistenti.
Nessuno dovrà più smadonnare per l'assenza di monetaglia sufficiente ad avviare la lavatrice, e dinnanzi alla cascata di spiccioli di resto alla banconota da venti inserita nella macchina che programma i cicli di lavaggio.
Nessuno dovrà più caricarsi indietro buste di indumenti umidi da stendere in terrazza, sempre che il tempo regga, ed aver così consumato in quest'andirivieni un'intera mattinata libera.
Nessuno, no. Almeno non da questa parte dello schermo, non a questa tastiera, nessuno che segga su questa seggiola da cucina, ora, in questo momento. Nessuno con una panza pericolosamente in via espansivo-propulsiva, che da un giorno all'altro ti ritrovi con i maglioni più corti di 5 cm sopra l'ombelico, proprio ora che le temperature sono in calo, e gli abiti premaman non ancora in offerta, sempre che lo siano dopo le feste.
Dunque le novità di questa nuova era, ragazzi, ci sono, e promettono davvero una svolta nelle nostre vite.

Avrei potuto scrivere ancora e ancora di sfighe varie e giornate storte. Per esempio, parlarvi del fatto che avevamo trovato finalmente una casa (in affitto, sì), al primo piano di un condominio con giardino, perché i gatti potessero uscire e non mandarci in tilt le fibre nervose con una frequenza ininterrotta di Miao ottantacinque volte al giorno; una casa con due camere da letto, un "disimpegno" (mah!), una specie di salotto, un cucinotto (non arredato) e un balconcino, con un garage per tenere il di più, con una dispensa piena di scaffali; una casa che aveva un canone di affitto mediamente moderato ma un condominio mediamente esoso, che ci avrebbe costretto ad alzare le nostre spese mensili di un buon cento euro, ma che pareva promettere di essere almeno calda e confortevole, e in cui iniziavo a convincermi che avrei potuto trovare uno spazio per ogni cosa, che avrei potuto razzolare con le bimbe su soffici tappeti, baloccandoci con enormi peluche disposti con pessimo gusto per l'arredo nei vari angoli della "camera delle bambine", e sprofondare la sera su accoglienti divani davanti ad un insulso programma televisivo, lusso che non mi concedo ormai da anni, se non da ospite in case non mie.
Tutto questo è assolutamente vano che io ve lo esponga ora qui, visto che... ma era solo per farvi calare nel mio stato d'animo, pronto al cambiamento imminente, sì, al mazzo tanto cui mi sarei sottoposta nel mese di gennaio, al ritorno delle ferie, dopo, e solo dopo una pausa natalizia da mia madre, durante la quale non ammettevo rompimenti d'animo; pronta anche alle difficoltà eventuali di una vita in altrove, dopo otto anni passati a mettere radici in un posto. Oddio, non è che ci saremmo spostati di chissà quanto: diciamo che andavamo a circa 800 metri da qui, ma sarebbero stati 800 metri messi tra il nostro ora e il nostro passato, definitivi e inesorabili.
Fatto sta che avevamo anche dato un cospicuo anticipo in denaro all'agenzia, per stare più tranquilli, e nell'attesa della firma del contratto diamo anche la disdetta definitiva al nostro attuale padrone di casa.
C'è bisogno che io dica che ci hanno tirato il pacco? No, vero? L'avevate già capito due paragrafi fa?
Beh, sono convinta che in fondo sia stato meglio così, anche se mi è costato stare alle calcagna della tipa dell'agenzia per un giorno intero perché mi restituisse l'anticipo pecuniario che aveva preteso sull'unghia, anche se ha significato l'ennesimo giorno di pianti dirotti al telefono con svariate persone ad ascoltarmi dall'altro lato, e Mimi che mi diceva: "Mamma, non piange'e, ci tono io con te! Mamma, guadda: ti metto un ce'ottino, codì tei felice, va bene? Mamma, io ti salvo, non piange'e". Da cui potete immaginare quanto l'intensità del pianto si acrescesse.
Ma va bene, dicevo. Va bene perchè l'ho vista forte, per nulla costernata dalla debolezza materna, e l'ho sentita davvero come una presenza di conforto, che in quel momento "mi salvava".
Va bene anche se il giorno dopo non ha mancato di rinfacciarmelo: "Mamma, ti 'icoddi che piangevi in bagno? Eh, mamma? Non ti piange in bagno, mamma! Io ti contolavo! Ti dicevo: Non piange'e, mamma! In bagno non ti piange."
In effetti il bagno non è un bel posto per piangere.

Sappiate che in una città universitaria è altamente improbabile per una famiglia trovare un appartamento in affitto ad un prezzo abbordabile.
Vi preferiranno sempre gli studenti. Perché ce ne ficcano dentro quanti glie ne pare e non si sentono in dovere di rendere decente lo stato abitativo della casa. Perché li buttano fuori quando gli pare, e perché si suppone che abbiano alle spalle una famiglia d'origine abbastanza facoltosa da consentir loro di andare a studiare "fuori sede" come si dice.
E quindi basta: ci rinuncio, è una battaglia persa in partenza. Non immaginate quante me ne hanno solate da sotto il naso.
Io resto qui.
E poi ho anche assicurato l'auto. Capite? Ho assicurato l'auto! Questo è davvero il segno che una nuova era ha avuto inizio.
E ora, nulla è più impossibile per me. Potrei partire domani per la scalata all'Everest, e come minimo stramazzerei dopo due metri, ma almeno avrò conseguito il guinnes come unica donna ad aver tentato la scalata all'Everest al settimo mese di gravidanza. (Forse).
Invece andremo semplicemente a Roma, da mia madre, e poi Hasuna tornerà indietro, lasciandoci lì, perché non può assentarsi dal negozio, ché ha paura che vengano a fargli controlli e multe, ché già ci abbiamo in cima al frigo una discreta collezione di insoluti da saldare, tra cui svariate multe per le ragioni più disparate (mancata esposizione di cartello con orari di apertura e chiusura, cartone vuoto lasciato fuori dalla porta del negozio dopo l'orario di raccolta dei rifiuti, il titolare era venuto a lavoro in pigiama... no scherzo, questa non è proprio vera, ma quasi), e ogni volta che ne arriva un'altra, trattasi sempre di un importo con almeno tre cifre non decimali.
Basta!
Avevo detto: basta.
Ieri abbiamo ricevuto in dono una lavatrice, e d'ora in poi non ho più diritto di lamentarmi per nulla.
Cambierò, sarò una persona migliore. Lo devo in primo luogo al mio bucato, e in secondo luogo all'esistenza di tante persone che, malgrado i miei assenteismi sociali degli ultimi mes anni, malgrado i miei stati d'animo assai poco piacevoli , malgrado i fiumi di lamentele che riverso in queste pagine virtuali, ancora mi vogliono bene, e talvolta mi leggono, in silenzio, discreti, senza commentare, ma prendono mentalmente nota del fatto che in questo momento possedere una lavatrice mi solleverebbe invero da parecchi fastidi.
Beh, ho solo una cosa da dire a queste persone: anche il nostro frigorifero, a pensarci bene, necessiterebbe un pensionamento. Ce la fate per la Befana?

Yuhùùù? C'è nessuno?

mercoledì 19 dicembre 2012

Ehi, tu, lassù: e allora dillo che ce l'hai con noi!


Disse la Suster agitando il pugno chiuso verso un cielo lattiginoso e pulviscolare, dietro il quale faticava invero a intuire una qualsiasi forma di essenza divina.
Perché non mi spieghi chiaramente cos'è che vuoi da me per emendare il mio peccato originale?
E' forse per quella vecchia storia che non ho fatto battezzare Mimi? Ma non me l'ha già abbastanza fatta pagare mio zio col suo stalking telefonico? O sarà a causa della promiscuità di credo che vige nella nostra peccaminosa famiglia? No, dimmelo, accidenti: illuminami sulla strada della redenzione, e se proprio non vuoi tirarmi fuori da questa valle di lacrime, per lo meno evita di farmi piovere ancora addosso merd locuste, ché tanto sono buona a tirarmici fuori anche da sola, ma sai, qui miracoli non ne posso fare mica.
Del resto non ho mai offeso il presunto Figlio tuo e nemmeno il tuo Profeta dell'altra sponda, ma a pensarci bene forse mi conviene evitare di inimicarmi quello, infilarmi il chador e iniziare a praticare le cinque abluzioni rituali giornaliere, perché a livello di castighi e indulgenze è sempre meglio tenere il piede in due staffe...

Non so quanto mi convenga essere pure blasfema, oltretutto, come se io non ne avessi avute abbastanza, di sfighe su vari fronti negli ultimi tot mesi.
Lo dicevo giusto ad un'amica poco fa, messaggiandola via FB, che ormai non riuscirei a elencarle nemmeno a volerle raccogliere in una trilogia da Best Seller pseudo-storico alla Dan Brown.
E poi concludevo il messaggio così:
Scusa ma ora ho da autoredigermi la denuncia per truffa al mio assicuratore di fiducia avendo cura di falsificare le date in modo da non lasciar trascorrere i tre mesi oltre i quali decorre il limite massimo per sporgerla.
Sì perché la tipa  in divisa che stamani, dopo appena tre ore di attesa nella sala omonima (d'attesa), e pur essendo io in evidente stato d'attesa (ah ah!), e dopo avermi fatto passare avanti due tizie che avevano l'aria losca di essere sue conoscenti, col pretesto che il loro caso fosse più urgente del mio, e avermi ricevuta scocciata manco fossi una querelante alla porta del monastero dicendo che lei non poteva perdere la mattinata appresso a denunce per truffa, quando doveva occuparsi di cose ben più serie (mah! Tipo la rapina a mano armata avvenuta ieri presso il chiosco del kebab in Borgo, immagino), mi ha infine consegnato un fac-simile di denuncia da autocompilare e consegnare in triplice copia al suo collega del pomeriggio, perché tanto si suppone che io non solo non abbia altro da fare, ma persino muoia dalla voglia di trascorrere altre tre ore nella sala d'attesa di cui sopra nell'attesa, appunto, speranzosa di essere ricevuta prima che scocchi l'ora in cui dovrò recarmi a recuperare la pupa al nido.
E la suddetta donna in divisa, che non si capisce bene perché mai le donne in divisa ci tengano tanto a dimostrare di saper essere peggiori (più maleducate, scortesi e inadempienti) dei loro colleghi di sesso maschile, manco fosse un elemento a favore della parità di genere, ci teneva anche a sottolineare che avevamo aspettato troppo tempo prima di deciderci a sporgere denuncia. Chissà poi perché la gente tergiversi tanto quanto si tratta di avere a che fare con i tutori dell'ordine pubblico, che però a fine mese c'hanno lo stipendio assicurato e fanno passare avanti gli amici, e poi ti chiedi perché mai, se son questi i tutori della legge e dell'ordine pubblico, perché mai dicevo questo Paese vada come va.

Ma comunque ora devo andare: mi attende la sala di attesa.
Col mio bravo verbale redatto in perfetto stile sbirrico-verbalizzante, con tanti "di cui sopra" e tanti "come detto" e anche "il detto signor", che ogni tanto ci avrei anche infilato in mezzo un bel "quel testa di cazzo dell'agente assicurativo", ma mi sono trattenuta. Non sarebbe stato professionale.
Che Dio o Allah, o il Signore e Guistori me la mandino buona.
Senza denuncia non assicuro l'auto, senza assicurazione non si parte, senza auto prenderò il treno, se non trovo i biglietti imprecherò in tutte le lingue che conosco (una).
Amen.

sabato 15 dicembre 2012

Le fantastiche creazioni della Suster. Ovvero: ho bisogno che mi si dica che sono brava.

Altrimenti non vedo perché pubblicare questa roba.
Guardate stupite, o pubblico!
Mirabilia!



A quanto pare mi sono messa a fare "qualcosa".
E sì che sono consapevole di non appartenere a quel gruppo di persone, blogger o meno, capaci di "fare cose" e poi di mostrarle al mondo soddisfatte (vedi a proposito utile identikit della blogger inetta).
Infatti, lo spiegavo circa un annetto or sono, io non so fare una gran ceppa.
Pure lo stesso lo spirito avventizio del Natale non aveva niente di meglio da fare che venirmi a sfrugugliare nei meandri del mio arrovellato cervello, ficcandomi idee bislacche in testa.

Tipo questa del calendario dell'avvento, che, tanto per intenderci, è una pratica che io non ho mai bazzicato né da bambina né mai (e si capisce anche che se non lo fai da bambina, non è che da grande puoi aspettarti che qualcuno venga a riempirti i sacchettini dell'Avvento con dolciumi e regalini).
Diciamo che in rete poi arrivano intorno alla metà di novembre valangate di intelligenti e meravigliosi suggerimenti su come realizzare un fantastico calendario per l'Avvento ai tuoi bambini. Io non le ho mai considerate troppo. Sì, mi ci manca solo questa, dicevo.
Chissà poi allora com'è che mi è saltato in mente di mettermi a farne uno addirittura intorno all'11 di dicembre, quando il calendario è ormai giunto più o meno nel mezzo del cammin di sua vita.
Fatto sta che lo spirito avventizio mi ha suggerito la battuta: Mimi avrà il suo calendario dell'Avvento, pazienza se sarà in formato ridotto.

Ed ecco qua:



Il primo giorno sono arrivata al sacchetto numero 4.


Il secondo giorno (anche riciclando i primi due sacchetti già aperti da lei, siamo arrivati addirittura a coprire un lasso temporale che ci avrebbe consentito di aprire sacchetti almeno fino al 21 dicembre (nel dubbio dell'imminente Apocalisse, ci saremmo anche potute accontentare, ma...)


Ecco qui l'opera completa!

Devo dire che solo un'idiota come me poteva pensare ad una soluzione semplice e sbrigativa come quella di cucire a mano ogni singolo sacchetto di stoffa. Ma avevo della stoffa rossa che mi avanzava giusto da un tre natali fa, quando mi venne la molto insana idea di confezionare a mano i miei formidabili regali di Natale, con risultati che potete ben immaginare.

E comunque ecco qua: fregata per il resto della mia vita.
Il prossimo anno mi toccherà finire il calendario confezionando i restanti 12 sacchetti che mancano all'appello, e soprattutto scervellarmi per inventarmi cosa accidenti infilarci dentro senza spendere una paccata di denaro in sciocchezzuole e senza procurare indigestioni e diarree croniche alla pupa, che già ora, con 2 Kinder Cioccolato al giorno la vedo provata. Diminuirò il quantitativo cioccolatifero e riciclerò molta della paccottiglia infilata nei miei cassetti.
Tipo il topolino di legno che lei ha trovato stamani nel sacchetto, riposto da tempi immemorabili tra le mie scartoffie, e che ha riscosso un insperato successo.
A saperlo mi evitavo l'acquisto dei librini di Peppa Pig alle poste, scontati del 15 %, e dei palloncini rossi a forma di cuore (accolti peraltro con un inimmaginabile entusiasmo).
Per fortuna ci vuol poco per rendere felice la pupa, che intanto continua a tartassarmi con "Quando arriva Babbo Natale?" e "Voglio un tacchettino!" E avoglia a spiegarle che se apriamo un sacchettino al giorno al termine dei sacchettini arriva Babbo Natale. Ché lei è dura, eh!

Ma credo che il messaggio sia passato: il senso dell'attesa, il saper dare valore a ogni singolo giorno, il senso del tempo che passa.
Ispirazioni ce ne sarebbero state a bizzeffe ma io credo che ad ispirarmi fondamentalmente sia stato questo post di Debbie (sempre spettacolare lei!).
Dopo aver letto lei, DOVEVO fare anche io un calendario dell'Avvento! (E poi la chiamano "sana emulazione"!)
Tra l'altro le ho fregato l'idea di dire che i sacchettini li riempie ogni giorno il befanotto di B. N. (a casa nostra i folletti di B. N. si chiamavano Befanotti, tanto per la cronaca), e che quindi è inutile aprirli prima del tempo, perché sono tutti vuoti. Così io intanto ho tempo per inventarmi cose, e lei non rompe tanto per aprirli a tutti costi (a parte che poi sono fuori dalla sua portata. Mica scema io!).

Niente, ora potete anche dirmi: "Ooooh, Suster! Come sei stata brava!" Così il mio ego si sentirà appagato.

Messaggio promozionale a esclusivo beneficio della mia autostima:

E' Natale: incoraggia una Suster anche tu!

giovedì 13 dicembre 2012

Il mio personal coach.


Poi arrivano i giorni in cui ti senti totalmente esaurita.
Talmente stanca di lottare per tenerti a galla in questo mare di mer pensieri che sembrano solo aumentare e aumentare, che sei tentata di lasciar perdere tutto e lasciarti andare così, alla deriva, quel che accadrà accadrà.
Far quadrare i conti, risolvere questo e quello, mettere toppe, sopravvivere al quotidiano, non pensare (troppo) al futuro, concentrarti sulle tue piccole cose. Tutti modi per ingannare la tua coscienza di quanto in realtà vi siate inguaiati la vita, e non capite come, dove, perché, a  che punto. O forse era una strada tutta sbagliata fin dal principio?
Fino a quando coleremo a picco? Si toccherà mai il fondo per poi risalire?
E non fai nulla.
Passano i giorni e non hai voglia di vedere nessuno, sentire nessuno, confrontarti con storie altrui per non sentire più schiacciante il peso dei tuoi fallimenti.
Trovi scuse per non andare ad appuntamenti.
Sei arrabbiata e non sai bene contro chi o cosa.
Piangi con una certa regolarità, svariate volte al giorno, e in realtà lo sai che non serve a molto, ma che puoi farci?
Aspetti da troppo che "passi questo periodo" e non hai più diritto di essere indulgente con te stessa.
Soldi da pagare, casa da trovare, panze crescenti, bambini nuovi che arrivano, lavoro che non c'è, Hasuna che parla della Libia, tg deprimenti, gente che rompe solo i coglioni in aggiunta, cose da fare...
Avresti voglia di chiedere aiuto e lo fai allontanando gli altri da te.
Ti autocommiseri, anche. Fin troppo, ma non ce la fai a reagire, a trovare un atteggiamento alternativo, più produttivo. Ti sbrodoli di parole dove puoi. Sbagli. Non fai una bella figura, no, ma non te ne frega in fondo.
Ti lasci andare. hai voglia solo che tutto il resto intorno sparisca. O forse di sparire solo tu.
Sei stanca, ti butti sul letto.
Chiudi gli occhi, non vuoi più pensare più pensare...
...
...
...
...
...
...
...
Poi dal nulla una voce.

"Mamma?"
...
"Mamma, coda fai? Api gli occhi, dai! Mamma, mettiti la maionetta di Pinocchio! Mamma, mi fai Pinoccho?"
...
"Mamma!"
"Mh..."
"Api gli occhi dai, mamma! Altati!"
Apri gli occhi.
"Mamma facciamo il pupazzo di neve col didò? Mamma ti metti Pinocchio pe'ò? Dai, mamma, mettiti Pinocchio!"

Ok, ci saranno altri momenti per deprimersi. Ora bisogna fare Pinocchio.


"Mamma, coda c'è? Mamma, tei titte? Ti dò un bacino mamma, codì tei felize."
"Grazie, amore."

Cosa ho fatto per averti, piccola? Come posso accettare di non poterti dare tutto quello che vorrei?

martedì 11 dicembre 2012

Una settimana piena.

Evviva evviva! E udite udite.
Lo so che al mondo può anche non interessare gran che, ma oggi si celebra la riconquistata libertà di gestione dei tempi e degli spazi.
E fatemela godere finché ce n'è, che tra qualche mese piangerò di nostalgia ripensando a quando potevo permettermi tanto.
La porta di camera chiusa e io a scrivere cose futili sul mio blog. Nessuno che mi interrompe con frasi tipo: "Mamma, ma 'ccuda, io voglio vede'e Pimpaelasuapaperina!" (tono da povera bimba incompresa e frustrata nei desideri, come se non l'avesse mai visto, quel dannato video. Al punto che io stessa ho imparato a memoria le battute e gli spezzoni musicali. Grave.)
Insomma, questa cosa del posto letto al nido è fantastica perché mi permette di godere gli spazi di casa.
In genere quando metto a letto lei finisco confinata nello spazio angusto della nostra cucina sbilenca, appollaiata su una sedia, che non è comodo, a fare cose che farei volentieri sbracata su un letto, o magari su un ipotetico divano, in un ipotetico salotto. Lusso per pochi, finora soltanto il vago miraggio di una terra promessa che per qualche tempo si è lasciata intravedere, per poi allontanarsi...
Sì, sto parlando di nuovo di una casa. Della casa, di cui forse un giorno parlerò per benino a mo' di autoterapia, quando sentirò di aver del tutto metabolizzato il lutto della perdita. Sto pensando (ancora) a "quella" casa, a cui abbiamo rinunciato.
Ma insomma, l'importante è avere un tetto sopra la testa no? No?
E quello ancora non c'è crollato addosso, no.
Per ora.
Ma mi dimentico fin troppo facilmente come è duro calle lo scendere e salir per queste scale (che Mimi ha battezzato "Panzulle", non chiedetemi perché) quando è inverno e sai che in casa troverai solo il momentaneo sollievo di chi viene da fuori, prima che il freddo ti penetri nuovamente nelle ossa e tu sarai costretta ad accendere il forno per salvarti dall'ibernazione casalinga.
Un altro inverno qui non lo faccio, ripeto sempre ad ogni nuovo inverno. Ma guarda: siamo già a otto inverni, e salvo qualche bronchite saltuaria, siamo ancora vivi.
Sopravvissuti anche a questa lunga malattia di Mimi, che oggi, dicevo, certificato medico di ammissione alla mano, è rientrata, con mio grande sollievo e sua insperata impazienza, al nido "dagli amici", e per l'occasione si è voluta mettere un vestitino rosa con fiori e merletti che non sapevo nemmeno di avere (parte degli stock rimediati da mia madre ai vari mercatini dell'usato che metto da parte perchè sempre immancabilmente fuori taglia, e poi dimentico) e andava rimirandosi felice come solo una bambina di due anni sa essere e ripetendo convinta: "Mamma, guadda: sono popio una pincipetta! Sono popio la Pincipetta 'Ccopa!" Sì perchè ora il suo alter-ego principesco ha un nome: e il suo nome è Principessa Scopa... Mah! I doppi sensi non sono ammessi, prego.

E comunque era ora. Abbiamo esaurito fantasia, energia, e buona volontà.
Abbiamo giocato col didò, dipinto un quadro, fatto le collane, preparato la cena (lei ha tagliuzzato un fungo nel tempo in cui io ne ho affettata una confezione), fatto la pizza, fatto l'albero di Natale, indossato le collane di mamma, letto più volte l'intera nostra biblioteca casalinga, fatto una torta, dipinto le farfalline di pasta, fatto il pane, colorato ancora, travasato secchiate di nocciole, fatto il bagno agli animali e guardato Olivia Paperina allo sfinimento.
Nel frattempo è passata una settimana più o meno infruttuosa, tra febbri, antibiotico, conseguenti diarree, fiumi di cacca, ritorno al pannolino, piumoni da lavare, pioggia torrentizia che mi ha impedito fulminei blitz alla lavanderia, crisi di nervi legate all'assenza di lavatrice in casa, notti praticamente all'addiaccio, ricerche spasmodiche di coperte volatilizzatesi nel nulla, telefonate ad amiche ex-coinquiline per chiedere se, fosse mai, per caso non avesse preso con sé sbadatamente una nostra coperta di lana pesante non più pervenuta, risposte che, no no, io non ce l'ho, avete guardato bene nello sgabuzzino?, gite al mercato ad accattare di corsa un piumone, notti ancora tutti e tre nel lettone per evitare di disperdere il nostro prezioso calore corporeo più due felini scalda-piedi, telefonate continue ad agenzie e visite pomeridiane sotto la stessa pioggia torrentizia che "mi tieni la pupa per favore una mezz'ora c'ho da andare a vedere una casa", altre corse in farmacia a (ri)comprare l'Enterogermina. Cose così.

E' che dicembre finisce sempre troppo in fretta, e uno si fa troppe illusioni di poteri riuscire a fare troppe cose.
Ti frega, sì, anche perché ci sta sempre di mezzo almeno una settimana di malanni, guarda un po', tutti gli anni è lo stesso.
Per esempio mi sarebbe piaciuto portare Mimi alla biblioteca dei piccoli di Lucca, e per l'occasione fare un giro per la città.
Poi vorrei trovare casa, magari, che io non demordo.
Poi avrei tante cose da scrivere sul blog, che mi vengono in mente sempre mentre sono in bicicletta e le trovo cose molto degne di nota e attenzione, se non è una ripetizione usare entrambi i termini, peccato che poi mi manca il tempo e la presenza mentale per dar loro una forma compiuta e scritta e lineare, e così prendo nota e loro si accumulano.
Poi vorrei portare a stampare le foto del 2011, che ho messo sulla pennina da circa un anno, aspettando di avere i soldi (ah ah!) per portarle dal fotografo.
Poi vorrei finire l'album dei primi due anni di vita di Mimi (e guardate, questa settimana ho finalmente finito di riempire quello della nostra vacanza estiva dell'anno scorso! Wow!)
Poi volevo realizzare un (tardivissimo) calendario dell'avvento (tanto lei non è che si formalizza se lo faccio iniziare a scoppio ritardato), perché lei continua a dirmi: "Che bello il nostro albero mamma! Natale sarà felice quando viene!" intendendo, credo, Babbo Natale, e mi piacerebbe dare un'idea del tempo che occorrerà aspettare prima che "Natale" venga a farci visita. Non l'ho fatto prima perché... stupidamente pensavo non fosse in grado di apprezzare al pieno il senso dell'attesa, ma mi sbagliavo, e ora rimedierò. Lo faccio eh, promesso (ormai domani).
E a proposito di calendari, avrei un conto in sospeso con un'amica blogger che aspetta da circa un annetto... lo faccio, giuro! (sob!)
Poi programmavamo di andare una domenica all'acquario di Livorno, visto l'entusiasmo da lei dimostrato per gli acquari. Rimandato, per ora, che ci abbiamo un po' di spese in sospeso, e non è ora per i surplus.

Per esempio ci avrei ancora da pagare la retta del nido di ottobre e l'affitto di casa di dicembre, la bolletta del gas che scadeva oggi, la multa di 700 e passa euro per lo scontrino fiscale smarrito (perchè lui sostiene di averlo fatto, così ci tocca pagare pure le spese per la contestazione rigettata), la seconda rata della spazzatura che scadeva a ottobre, l'assicurazione della macchina che... va be', non è mica colpa nostra.
Sentite questa: l'amico fidato di amici che "guarda è proprio un bravo ragazzo, e poi ha bisogno di ingranare, gli va data fiducia, vi fa un prezzo buono etc etc" è andata a finire che ci ha solato 700 e passa euro (sì, ancora: sarebbe da giocarsela al lotto 'sta cifra) e mai ricevuto il tagliando dell'assicurazione. Dopo svariati mesi ci viene in mente di indagare, ma lui è ormai irreperibile. Vien fuori che ha diverse denunce per truffa, e non ultima quella da parte della compagnia assicurativa per cui lavora... va be', ma allora ditelo, cazzarola! Se non è sfiga questa... come? Dite che è anche idiozia? Magari un po'. Vatti a fidare più degli amici di amici.
E' che il beduino si rifiuta di pagare l'assicurazione più di quanto non abbia pagato l'auto... difficile obiettivo, se si considera che il catorcio ce l'han tirato dietro e a momenti ci pagavano per portarcelo via.
Ma comunque il catorcio richiede una ripassatina dal meccanico, perché al mattino con il freddo si rifiuta di partire.
Non che io prenda la macchina senza assicurazione eh! Mmmmh...
Va be', come non detto.
E poi dovremmo pure andare a Roma per le feste... Pro memoria per me: sistemare la questione "auto" prima della partenza (no! Il treno nooooooo! Vi prego!)
...
Il regalo alle maestre! Oh, cazzo! Quasi dimenticavo!
Dite che va bene anche un "pagherò"?

Femminile singolare

Lei e il boa
albero sbilenco

Mimi concentrata a metter palle
I grappoli di palle assemblati da Mimi



Mamma a me piacciono tolo i chicchi.

Si fa quel che si può...

domenica 9 dicembre 2012

Giochi in casa: il nostro didò.

Posso dire che questi giorni in casa sono stati fruttiferi almeno sotto due aspetti:
  1. Ho finalmente trovato un programma che mi permette di ridimensionare le foto in blocco (e ho anche imparato ad usarlo!). Svolta epocale per la pubblicazione sul blog. Ora sospetto che nel giro di un paio di settimane sarò capace di esaurire lo spazio disponibile per pubblicarne, perché la riduzione della mole di lavoro di riduzione una per una è un valido incentivo a ridurre di pari passo il lavoro di cernita. Ahimè! Aspettatevi di tutto.
  2. Con Mimi abbiamo messo mano a una serie di attività casalinghe che altrimenti non avremmo mai finalizzato, visto che quando la recupero dal nido di pomeriggio è sempre abbastanza stanca e provata, e proporle un'attività impegnativa e costruttiva è cosa altamente controproducente. Tende più alla destrutturazione.
Oggi vi mostrerò, per la gioia dei miei lettori, i nostri sorprendenti risultati con il didò homemade, risultati di cui vado oltremodo fiera, vista la genesi travagliata che questa impresa ha avuto.

Intanto posso dire che la realizzazione del didò risale a circa un mesetto fa (uh, che tempismo!), ma che questa settimana abbiamo avuto modo di sfruttarlo tantissimo come gioco in casa, e il nostro didò, conservato in perfetti panetti nel cellophane, è ancora perfettamente malleabile e morbido.
Per chi non avesse mai provato: esperimento da tentare. E se ci sono riuscita io, potete farlo tutti!

La ricetta la si trova in rete un po' ovunque, basta digitare le parole magiche "didò fatto in casa", e ve ne escono a decine (per esempio questa e questa).
Io ho preso l'idea da questo blog, che offre anche un utile e comprensibile tutorial, ma poi ho integrato la ricetta, ne ho confrontate diverse e, dopo essere riuscita finalmente a procurarmi il famoso cremor tartaro, ho tirato a semplificare laddove necessario.
Se posso darvi qualche dritta: la maizena NON può esser sostituita con fecola di patate, magari vi fosse mai venuto in mente. Tanto per averne conferma, io l'ho fatto (perché non avevo la maizena in casa, e ho pensato: tanto sarà uguale), e il risultato è stato molto sconfortante. La pasta infatti non si presentava affatto malleabile, ma elastica, tendeva cioè a mantenere la forma originaria quando manipolata, tirata o compressa, e di conseguenza per nulla modellabile.
I coloranti alimentari che ho utilizzato, poi, si sono rivelati pessimi all'uso. Trattavasi di tubetti di colore in gel, che nella farina diventa quasi trasparente, e solo ad usarne parecchio si riusciva a dare una qualche pallida colorazione alla pasta (ma con il giallo non c'è stato niente da fare), e questa eccedenza di colore non ha migliorato le prestazioni del didò.

Dopo questa prima batosta ho dovuto riprendermi dal fallimento, ma poi ho osato ritentare, e stavolta ho eliminato del tutto la maizena, della quale continuo a ignorare la funzione (ma un giorno proverò, tanto per capire in cosa consiste la differenza, e quali proprietà particolari conferisce alla pasta), e anche la vaniglia, che non diventasse troppo una tentazione per Mimi divorare interi panetti di didò, che sarà pure atossico, ma forse non proprio un alimento nutriente al massimo.
Il secondo tentativo ha dato ottimi risultati, anche perché nel frattempo avevo sostituito i miei vecchi colori alimentari in gel con altri liquidi, che costano anche meno dei primi, e devo dire che posso dichiararmi soddisfatta della prestazione.


Ho coinvolto Mimi nell'operazione di impastaggio del didò colorato.
Vedo che molte ricette fanno aggiungere il colore PRIMA della cottura. Io l'ho aggiunto a cottura ultimata, e non mi pare che ciò abbia compromesso il buon esito dell'operazione, ma abbiamo avuto modo di usare la stessa pasta per realizzare tanti colori diversi, mischiando i tre primari (giallo rosso e blu), anche se le tonalità più scure non si riescono ad ottenere, ed anche il rosso alla fine risulta più un fucsia intenso. Ma pazienza.



Il didò tiepido che si raffredda ha una consistenza paradisiaca, e funge da efficacissimo antistress.
Avrei impastato all'infinito. E anche lei.





Alla fine la pasta è risultata molto più morbida e malleabile del didò commerciale, che inoltre tende a seccare e a sbriciolarsi molto più facilmente e rapidamente (i nostri panetti sono tutti ancora perfettamente utilizzabili dopo più di un mese, al contrario dei due barattoli acquistati nello stesso periodo, la cui sorte è stata assai più triste...)



E così li conserviamo, ciascun colore incartato a sè.
Devo dire che fatico un po' a garantire l'integrità di ciascun colore, perchè la pupa tende a mischiarli tutti e la cosa, ahimè, mi fa impazzire.
Ebbene, sì: ero una di quelle bambine insopportabili che quando aprivano un nuovo giocattolo, tenevano integra la confezione, e continuavano a riporvelo alla fine di ogni sessione di gioco; ero una di quelle che aveva i pennarelli perfettamente infilati nell'originario astuccio metallico, con il marchio rivolto verso l'alto, ordinati per gamma cromatica, e qualora qualcuno ne avesse spostato uno, o cambiato di posto a due vicini, non si toglieva dalla testa il tarlo finché non aveva ripristinato l'ordine iniziale; detestavo avere le matite spuntate, e mi assicuravo che avessero sempre la punta ben temperata; odiavo i pastellia cera per la facilità con cui si spezzavano, e odiavo sopra ogni cosa che i miei panetti di didò finissero mischiati in un unico, indistinguibile, atono marrone-grigio.
E questa cosa la detesto ancora, quindi confesso che amministro con una punta di militaresco nazismo i panetti di didò di Mimi, e finora ho evitato danni irreparabili, permettendole di mischiare sempre porzioni di colori, e riuscendo a salvare una parte di colore puro.
Lei del resto per ora sembra poco interessata alle potenzialità figurative della pasta modellabile, e all'utilizzo di colori diversi per la realizzazione di parti differenti.
Più che altro le piace martoriare la pasta, e a questo fine le offro diversi strumenti.


Però non resisto a partecipare ai suoi giochi regredendo paurosamente ad uno stadio pre-pubere.
Io mi diverto a plasmare pupazzetti e animali che lei provvede ben presto a decapitare o ridurre in frittelle umane o animali ("Uh, guadda mamma, è motta la pincipetta, pove'ina!"), lei preferisce creare fantasiosi pastiches con altri materiali, ridurlo in frammenti e arrotolare palline, che poi cuoce diligentemente in pentola per sfamare Pinocchio, Biancaneve, o i topini, a seconda del caso e dell'occorrenza.

 






In  ogni caso un gioco che offre una gran varietà di spunti e soluzioni creative e che al momento soddisfa appieno le sue esigenze manipolatorie.
E poi non so se avete fatto caso in questi giorni di attesa spasmodica del Natale, quanto costa al supermercato una valigetta di didò con quattro panetti e qualche strumentino di plastica per lavorarlo? No? Beh, io sì, e vi assicuro: troppo!

giovedì 6 dicembre 2012

In questi giorni.


Allora la malattia fa il suo decorso, ormai battendo in ritirata, si spera.
Noi siamo chiuse in casa, anche quando esce fuori una giornata tersa e luminosa come quella di oggi, che ti vien proprio voglia di uscire e di sentirti sulla pelle e dentro le narici quel freddo pizzicorino ma salubre che ti sa di pulito e di aria di montagna, con un retrogusto di focolare che arriva da non si capisce bene dove.
E sì che dicembre si risolve in una lunga e snervante attesa del Natale. Dicembre non è altro che una propaggine fastidiosa del Natale, ecco il motivo principale per cui io non lo sopporto.
Come tutte le attese è snervante, e non sai se sperare che l'agonia passi presto o augurarti che ti lasci almeno il tempo per portare a termine tutto quello che ti proponevi di fare.
Sì, anche quando decidi di dire no a tutte le fastidiose incombenze satelliti del periodo, annunciando che non vuoi e che non farai regali a nessuno quest'anno (ad eccezione dei bambini, si intende), anche quando credi di esserti impermeabilizzata al bombardamento consumista dagli scaffali dei supermercati e dalle vetrine dei negozi, anche quando non esci dopo il tramonto pur di non essere sopraffatta dalla miriade di lucine decorative di strade e vetrine.
Si può essere più Grinch di così?

Primo problema: la riunione maestre-genitori del nido porta sempre con sè due fastidiosissime quanto inevitabili questioni. La prima è la faticosa festa di Natale, in occasione della quale si deve stabilire quale pietanza porterà chi per l'immancabile vergognosa abbuffata che manco fossimo profughi armeni in fuga. Oh Signore, se sei nei Cieli, ascoltami: poni fine alle nostre sofferenze prima di quella data. Visto che alcuni sostengono tu abbia fissato il dì di nostra dipartita da questo universo proprio il 21 corrente mese e anno, fa' almeno che sia prima delle ore 17. Grazie.
L'altra immediata conseguenza di tale riunione (espletata da me diligentemente lo scorso pomeriggio) è la temuta colletta per l'inutile regalo alle maestre. No, cioè, che cazzo (si può dire in tempo di avvento? Tanto a Babbo Natale ho già specificato di non includermi nella sua lista dei buoni). Dicevo: no, cioè, che cazzo, ma è proprio necessario immolare 10 euro a capoccia per stelle di Natale che appassiranno nel giro di un mese e panettoni artigianali che finiranno pigramente sbocconcellati a termine di qualche estenuante pantagruelico cenone? No, non lo è, ma pare brutto.
Questa vexata quaestio (scusate se può sembrar che me la tiri col mio latinorum, almeno non sarà del tutto vano l'aver fatto il liceo classico) del regalo alle maestre, occupa in genere la seconda parte della riunione dei genitori, quella che si svolge al freddo fuori dalla porta del nido, prima di tornare alle rispettive case di appartenenza, e ha una durata di poco inferiore alla prima riunione, quella con le insegnanti, che si svolge all'interno della struttura, ma vi assicuro che non è meno importante di quest'ultima.
- Allora, che si fa? Lo facciamo il regalo alle maestre quest'anno?
- Mah, non saprei... l'anno scorso abbiamo chiesto loro cosa volessero per Natale e ci hanno chiesto di prendere qualcosa per i bimbi del nido.
- Beh, secondo me è normale che rispondano così. Se vogliamo fare un regalo personale è inutile chiedere loro cosa vogliono. Facciamolo e basta (Questa era la Suster, che avrebbe volentieri aggiunto: "Ma si può anche evitare di farlo e festa finita", ma il pudore la fermò).
- O se no prendiamo dei librini per il nido, che Lucia ha detto che quelli che ci sono sono tutti rovinati.
- Mah! A me sembra inutile prendere altra roba per il nido. Mi pare che sono pieni di giochi! (Questa era sempre Suster).
- Sentite, alle altre possiamo anche non fare il regalo, ma ad Antonella BISOGNA farlo, visto che se ne va.
- Potremmo farle un fotobùc di tutti i bimbi. Mio marito fa il fotografo. Bisognerebbe che ogni genitore gli faccia avere una foto di ogni bambino in tempo...
- Ecco, appunto. Non riusciremo mai a raccoglierle tutte in tempo.
- Potremmo prenderle un gioiello; qualcosa di bigiotteria ma bello però. Ho visto che porta volentieri gli orecchini. Ora che non lavorerà più con i bimbi potrà portarli più spesso...
- Ma a me non piace l'idea di fare un regalo solo ad Antonella però... Non è bello, no. O a tutte o a nessuna.
- Potremmo fare a tutte un dono simbolico e ad Antonella aggiungere il fotobùc.
- Ma allora, quanto mettiamo? 5 euro?
- No: l'anno scorso è stata una faticaccia raccogliere tutti i soldi, e alla fine non erano nemmeno la metà dei bambini. Facciamo almeno 10. Una quota per Antonella, e una per il regalo collettivo.
- Ma scusate: io direi di lasciare l'offerta libera, senza stabilire un tetto, perché ci sono famiglie che non possono permetterselo (questa non ero io, eh. Io non mi espongo così).
- E' vero: per noi 10 euro non sono niente, ma ci sono molte famiglie... (di stranieri) per i quali magari è una grossa cifra.
("Non saranno niente per te. Io mi autoincludo nel novero delle famiglie sfigate per le quali è una cifra di tutto rispetto, e ti assicuro che preferirei utilizzarla altrimenti" questa ero io, ma l'ho solo pensato).
- Sì, ma mica sono obbligati ad aderire, eh! Se uno vuole contribuisce, se no no. Ma mettere l'offerta libera è un deterrente secondo me.
("Deterrente, deterrente! Voglio essere detratta da questo onere sociale!")
- Allora come facciamo? Si mette un annuncio in bacheca?

Vi assicuro che ho semplificato all'osso.
E' stata una discussione estenuante.
Insomma: Palestina all'ONU, i tagli alla spesa pubblica, tifone nelle Filippine...
Non c'è storia, ragazzi. La vera questione è questa: il regalo alle maestre.

Eccheppalle. Ho pure dimenticato che altro volevo dire. Sul Natale.
Forse che ho comprato al supermercato un pigiama di pile per Mimi in offerta perché a tema natalizio e ho pensato: ma è normale che la roba di Natale sia già in offerta? O sono io quella con problemi di tempismo?
Forse che, mio malgrado, ho tirato fuori il nostro striminzito albero di plastica.
Aspetto che Mimi si svegli e poi ci diamo alla pazza gioia con palle e lustrini.
Almeno la tengo occupata per una mezza serata.
E' quasi una settimana di casa e iniziano a scarseggiare le idee.
E poi i bambini devono avere il loro Natale.
Ahimè, che sentimentale, che sono diventata!
Una cinica sentimentale. Che orrore!

mercoledì 5 dicembre 2012

Avventure di un medico di guardia.


Tuoni, fulmini e saette.
Tempo perfetto per l'ambientazione di un film gotico horror di inizio '900.
Il dottore saliva le scale sbrecciate e scivolose sotto una pioggia torrentizia, in cuor suo smadonnando per quella fastidiosa chiamata domenicale, e maledicendo le ansie eccessive di queste madri moderne, che pare aspettino le condizioni meteorologiche più inadatte e impraticabili per manifestarsi, reclamando urgenti il suo intervento.
D'altra parte non era mica colpa mia se quella domenica gli era toccato di fare il turno di guardia, aggiunge il narratore.
Comunque il nostro dottore di guardia medica arrivò incolume anche se un poco grondante acqua in cima alle scale, e fu introdotto attraverso l'acquoso terrazzo, fino alla portafinestra a vetri che dava su una sbilenca cucina-soggiorno-non-si-capisce-bene-cosa dove un arsenale di pentole e tegami gravava minacciosamente impilato nel bel mezzo del tavolo, ingombro peraltro di una varietà strabiliante di altri oggetti inutili, almeno quanto il piano cottura ingombro di teglie di pizza mezze iniziate.
Altro che sinistro maniero abbandonato, questa era una sinistra catapecchia fin troppo abitata.
Due enormi felini domestici gli guizzarono tra le gambe facendolo incespicare sull'uscio, allontanandosi poi ballonzolando le grasse pance e lasciando sul pavimento di casa scie di impronte bagnate.
La padrona di casa lo accolse da dietro le lenti appannate dei suoi occhiali che lasciavano intravedere comunque due occhiaie non indifferenti, un sorriso imbarazzato, e una massa di capelli lanosi arrotolati in una specie di nodo infeltrito sulla nuca, che avevano tutta l'aria di non essere lavati da almeno una settimana (caro dottore, dì pure dieci giorni, non mi aspettavo mica di dover ricevere visite, quel giorno).
Evidentemente seccato per una serie di circostanze seccanti, rispose appena ai saluti di accoglienza e alle scuse di dovere per l'eventuale disordine della casa, disordine che in questo caso era tutt'altro che eventuale.
Una grossa sagoma umana emerse dall'oscurità del corridoio che dava sulla cucina e il dottore si trovò vis-à-vis con una donnona africana avvolta in un accappatoio abbastanza capiente dal contenerla, la testa pure avvolta in un asciugamano, era evidentemente appena uscita dal bagno e non si aspettava di trovar gente in casa; salutò imbarazzata e si infilò in un camera. Imbarazzato anche lui, e piuttosto confuso a quanto pare, tagliò corto con i convenevoli e si diresse deciso, anche lui, verso l'ingresso di quella camera da letto.
- Di qua di qua, dottore!
Fu bloccato appena in tempo dalla tizia con i capelli da matta e le occhiaie che lo condusse nella camera accanto.
C'era penombra e un letto sfatto, con un lettino da bimbo in fondo alla stanza.
Lui posò la borsa sul lettone, si avvicinò al lettino, ormai sicuro di trovare finalmente il suo paziente, ma... nel lettino stavano acciambellati tra bambole di pezza e orsetti di peluche , i due grossi gatti di prima, intenti a lisciarsi con cura il mantello bagnato dalla pioggia.
La bimba era nel lettone, il visetto pallido e sbattuto, e le labbra rosse dalla febbre, arse e screpolate, da cui usciva un respiro accompagnato da un flebile lamento.
la visita fu breve: un minuto e mezzo a dire tanto, e la diagnosi: tonsillite.
Antibiotico e cortisone. Arrivederci.
Girò i tacchi e se ne andò, senza aspettare di essere riaccompagnato all'ingresso, senza badare alle smancerie del tizio con la parlata da cammelliere beduino in una réclame televisiva degli anni '40, che continuava a chiedergli se magari non volesse un thé o un caffé, ma facendo cadere rovinosamente la busta dei rifiuti umidi attaccata per un manico ad uno de cardini della porta-finestra.

Ecco perchè mi vergogno di far arrivare a casa gente "normale" (e un dottore nella fattispecie).

La pupa malata comunque ha continuato ad avere la febbre per un altro giorno e mezzo, tra patemi d'animo e lagne, tossi e vomitini; fino a ieri, esausta e lamentosa ha continuato a sudare il sudabile, e languire a letto, resuscitando solo quando si trattava di opporsi con furore guerrigliero a qualsiasi misura curativa: termometro, sciroppi, pastiglie effervescenti o supposte che fossero.
Oggi va meglio, ma inizia a scalpitare per la reclusione obbligatoria prolungata.
Uff, che fatica starle dietro.
Ogni altra presa d'iniziativa è rimandata dunque a convalescenza conclusa.
Mi concederò solo oggi pomeriggio il lusso di recarmi all'attesa riunione con  le maestre del nido.
Woew!
In attesa di amica baby-sitter dunque, per ora passo e chiudo.

domenica 2 dicembre 2012

Delirium di dicembre (io odio dicembre!)


Acqua. Secchiate d'acqua. Buio diurno. Cortina di grigio.
L'ideale per lasciarsi a crogiolare nella propria depressiva autocommiserazione, che è una goduria quando ti trovi in perfetta sintonia psicologia con la situazione meteorologica, così non ti senti l'unica nota stonata del contesto. A me almeno girano abbastanza quando le giornate risplendono di luce e cielo limpido, ed io sono convinta di avere delle ottime ragioni esistenziali per deprimermi, mi sento quasi depauperata di un mio sacrosanto diritto.
Infine una domenica stranamente tersa e luminosa, dopo n domeniche di clausura domestica.
Lei ha la febbre. Lei chela febbre da quando è nata l'ha avuta sì e no altre due volte (una per il vaccino, una per i canini che le spuntavano), oggi, così, di punto in bianco, febbre.
E altra notte horribilis, addormentata a fatica una pupa euforica  e inesauribile, mi sveglio con lei nel letto che era diventata improvvisamente un Dolce Forno Harbert, e mi conficcava due piedini incandescenti tra le costole.
E siccome che ultimamente sono parecchio incline alle paranoie notturne, ché mi assalgono sempre i pensieri più gai puntualmente dopo le due di notte, sono rimasta vigile e ansiosa, occhi sgranati nel buio a pensare e ripensare a quali sintomi di incipiente malattia avrei potuto individuare nel corso della giornata precedente, una lunghissima e tediosa giornata casalinga di pioggia, trascorsa tra camera e cucina (perché essenzialmente di due locali si compone la parte di nostra dimora destinata a nostro uso e godimento), a legger libri, travasare nocciole, cucinare pappe a Pinocchio, saltare su materassi, seviziare gatti innocenti (o quasi), parlare col Signor Forchetta.
E sveglio Hasuna ogni tre per due chiedendo se secondo lui non sarà il caso di andare alla guardia medica (e se fosse meningite? Che senso ha la febbre senza altri sintomi? Niente mal di gola, niente raffreddore, niente diarrea, niente di niente), e mamma voglio l'acqua, e mamma mi fa male la pancia, mamma voglio la ttega... cos'è che vuoi? La strega? E piglia la Tachipirina. E dov'è il termometro. E che cazzo 'sti termometri a batteria che non funzionano mai. Domani vai a comprarne uno normale a mercurio. Ma che non li fanno più, il mercurio è tossico, lo sai. Inquina. E invece le batterie no? Ma a che serve un termometro che misura tre volte di fila tre temperature diverse? Zorro levati dalla mia pancia che mi schiacci l'altra creatura. E MIAO MIAO MIAO. Guarda che se ti faccio uscire poi rimani fuori fino a domattina, guai a te se rompi.
Insomma così.

Se fossi superstiziosa, e forse inizio quasi a esserlo, direi che mi sta bene, per essermi gloriata a sproposito della salute coriacea di Mimi, come del resto della mia (e mo' voglio proprio vedere). Ma ora imparo a tacere. Tacere sempre, quando le cose vanno bene, e anche quando vanno non troppo male, ché si fa sempre in tempo a peggiorare.
Come quando mi son messa a dire in giro che forse compravamo casa... (cojona!)
O dicevo quanto fossi felice della mia vita (patetica cojona).
E la gente affermava di invidiarmi... (mah!) Sana invidia, la chiamavano. Le persone non stanno bene, no. Me la sono cercata, sì.

Lei ora dorme. E Hasuna... aveva detto che andava a comprare gli ingredienti per fare la pizza, e non è più pervenuto.
Ed eccomi ancora alle prese con siti di annunci immobiliari di appartamenti in affitto, e telefonate ad agenzie, e visite demoralizzanti, e topaie muffose e umide, con cucinotti infilati nei corridoi, e richieste assurde di anticipi stellari, e preventivi di spese condominiali assolutamente ingiustificabili con il pretesto del riscaldamento incluso (suvvia, e da aprile a novembre come la mettiamo?), e pensare ancora una volta all'eventualità di una resa.

- In fondo questa casa non è poi così male...
- E paghiamo poco...
- Va be', non pochissimo, se consideri che fa schifo.
- Non così schifo, dai.
- Sì, in fondo è una bella casa.
- E ha le terrazze.
- Ormai non te la danno più la casa senza fideiussione bancaria...
- E poi perché regalare i soldi alle agenzie?
- E qui non paghiamo il condominio.
- Ma spendiamo un sacco di gas, e moriamo di freddo, e la pupa si ammala. E poi non c'entriamo più.
- Mandiamo via Lia.
- Dove? In mezzo alla strada?
- Ci facciamo sistemare il riscaldamento.
- E l'autoclave.
- E cambiare il frigorifero, che fa acqua e rovina tutto il cibo.
- E comprare la lavatrice. Ci serve una lavatrice ora che nasce quest'altra...
- E sistemare le finestre.
- Non ce la posso fare senza lavatrice, a lavare montagne di tutine smerdate...
- E chiudere la terrazza.
- Non lo farà mai, Lo sai.
- Ci proviamo.
- Non lo farà mai.
- Smettiamo di pagarlo.
- Ci butta fuori. Abbiamo già mandato la raccomandata per la disdetta. Ci butta fuori.
- Che coglioni che siamo!
- Già...
- ...
- ...
- Se no ti ricordi la prima casa che abbiamo visto, quella al quarto piano senza ascensore? Non era male.
- Ma non c'erano balconi. Come facciamo coi gatti?
- E quella qui vicino 750 euro più condominio? Non era carissima...
- Ma non era arredata.
- E va be', qualcosa ce l'abbiamo. Andiamo al negozio dell'usato.
- Era piccola.
- Non tanto... 65 metri quadri mi pare...
- A questo punto restiamo qui.

Ci incartiamo.
Sempre.
Impantanati.
Drammaticamente fermi.
Mi drogo di Extreme Makeover e sbavo non tanto sulle case strafighe che gli costruiscono, ma pure su quelle che buttano giù perché secondo loro invivibili.
Ma mi stanno sulle palle le scenate isteriche che fanno quando vedono le case nuove. Questi Americani: sempre esagerati. Va be', è show.

E ora chiudo questo post sconclusionato. Insopportabilmente autocommiserativo.
E mi rimetto a leggere, che magari finisco il libro prima che Mimi si svegli, e in quei momenti lì sto bene, quando leggo, sì.

Scusate lo sfogo.