sabato 13 luglio 2013

L'ira funesta.

Ok, partiamo da qui.
Sono piuttosto stremata.
Nemmeno una settimana che è finito il nido e ho le due pupe sul groppone da gestire in contemporanea, visita oftalmica per cisti palpebrale inclusa, spedizioni punitive (per me) ai giardini nel tardo pomeriggio "quando rinfresca" incluse, e sono un tantino provata.
E lei che urla, lei che piange per ogni cosa, lei che è tutto un no, tutto un "voglio farlo io" tutto un mandare all'aria se la contraddici, solo per tornare poi come acqua fresca alle carezze dell'amore, ai "mamma io ti amo", "Mamma, voglio stale con te".
Ok. Ma me l'avevano detto, quando paventavo la neonata ventura, che la parte più difficile forse non sarebbe stato tanto gestire la neonata ma...



La neonata, lei, è una neonata nella norma. Mi fa la grazia di piangere sottotono, e comunque compensa ridendo un sacco.
Poi ci ha 'sta capocciona che si trova al momento molto impegnata a voler gestire in asse col busto, ed è fantastica.
Ma la grande...

Si inizia col non dormire più di pomeriggio. Oh, be', era ora, mi pare di sentirli, loro, il coro di quelli che  "sei tu che non sai gestirla, 'sta figlia".
No, signori miei, mi oppongo, e non ammetto obbiezioni.
Mi ergo invece a difesa e baluardo di tutti quei genitori (o genitrici) di bambini con un carattere di merd di indole focosa. Ah, l'indole! Che idea! Che concetto! (Che alibi! -Sempre loro, mi par di sentirli!)
Faccio ammenda dei miei precedenti errori, io che, prima di essere genitore, ero anche io una senza figli, e allora era tanto bello e facile, e comodo, e dava un certo tono d'importanza sparare a zero sui presunti errori di genitori di figli altrui. Io che guardavo SOS Tata e inneggiavo a Tata Lucia e alle sue soluzioni universali. Io che, ora, quando snocciola le sue perle di saggezza pedagogica, le sparerei volentieri.
Si presuppone che se un bambino di tre anni rompe le palle più della media dei suoi coetanei, sia per forza di cose, colpa del genitore (leggi "della madre").
Si presuppone e lo si dice anche, apertamente: "Sei tu che l'hai abituata così" "Sei tu che non sai mettergli dei limiti" "Sei tu che la lasci troppo libera".
La interpelli su tutto, glie le dai tutte vinte, giustifichi tutto quel che fa.
Non sapete quante me ne son sentita dire.
E che cazzo però!

Mimi nella pancia mi puntava i piedi contro le costole togliendomi il fiato.
Me la immaginavo lì dentro stizzita e rancorosa nel suo ristretto mondo intrauterino a menar pedate per guadagnarsi spazio vitale da contendere con fegato e polmoni del genitore ospitante.

Mimi da zero a quattro mesi ha dato il suo buongiorno al mondo con grandi e clamorose, da diversi testimoni oculari ricordate con terrore costernato, scenate di pianti e urla da strappare il cuore e pure i capelli.
Lei nella sdraietta ci rimaneva all'incirca sette secondi e mezzo, prima di iniziare a manifestare il suo più sentito disappunto, sempre senza mezzi termini, nella maniera più energica che conoscesse, e malgrado la tenera età le riusciva piuttosto bene.
Lei a spasso nell'ovetto non ce la sono mai riuscita a portare. L'ovetto è stato infatti la new entry di questa seconda esperienza di maternità. Lei nel passeggino faceva affacciare alle finestre e ai balconi tutti i residenti limitrofi delle strade che battevamo nei nostri percorsi cittadini, che vogliamo chiamare "passeggiate", con grande sforzo d'immaginazione.

Da neonata il suo stato basic da sveglia era il pianto, con varie intensità e picchi, ma sempre difficilmente ignorabile, faticosamente arginabile.
Il mio era un continuo tenerla impegnata, distrarla, ninnarla, rintronarla di canzoncine e balletti, per distoglierla da quella rabbia cieca e sorda, da quell'incazzatura ancestrale che si portava dietro e che sembrava espressione di un suo moto interiore di protesta contro l'esistere, e l'esistenza, e il suo stesso essere al mondo, e contro me che ce l'avevo messa.
Saranno le coliche, uno si diceva. Ma poi sono passate le coliche e sono iniziati i dentini.
La cosa pareva dovesse durare per l'eternità.

Io poi non è che stavo bene eh. E' logico che mi fossi anche un po' esaurita pure io, a vedermi appioppata da una sorte beffarda e maligna cotanta erede, e già mi figuravo il resto di mia vita come un infinito supplizio, in perenne balìa  delle sue epiche sfuriate più o meno giustificate.
E allora c'è stato pure chi mi diceva che ero io, io che non ero serena, io che trasmettevo a mia figlia quell'irrequietezza che lamentavo, che paventavo.

Poi piano piano gli stati di quiete hanno iniziato ad affacciarsi nell'economia dei momenti di veglia, e infine ad essere abbastanza più frequenti, fino a sostituirsi come stato basic agli stati tempestosi, che però hanno continuato ad affacciarsi periodicamente nella sua e nella mia vita, con conseguenze a volte catastrofiche per la pace domestica.

Intorno agli otto mesi di sua vita, ricordo che è subentrato un ulteriore aspetto disturbante nell'armonia precaria del nostro rapporto: accadeva che non potevo fare un passo da lei senza provocare incontenibili e inconsolabili accessi di urla e pianti, tanto per cambiare. Non vi dico come fosse facile per me preparare la cena con lei avvinghiata al mio stinco urlante, barcamenandomi tra le canzoncine sul tappeto e la pentola sul fuoco.
Il pediatra me la definì come la "crisi dell'ottavo mese" e almeno il fatto che esistesse una cosa con questo nome mi tranquillizzò del fatto che prima o poi sarebbe passata (assieme all'ottavo mese, speravo).
Invece durò un po' di più, e io non riuscii a divincolarmi da Mimi fino a quando lei non imparò a camminare.
Ah, ma poi fu una pacchia: l'entusiasmo di potersi finalmente muovere in autonomia da me la rese molto  più gestibile e di "piacevole" compagnia.
Allora aveva circa un anno.
Poi a settembre feci la cazzata di mandarla al nido e tutto finì.
Un inserimento traumatizzante, sul quale avrei diverse cosette da rimproverare alle educatrici di turno, ma lasciamo perdere. Se voleva essere una terapia d'urto, l'intento terapeutico è drammaticamente naufragato. Ritornò ad avvinghiarmisi agli stinchi
Il trauma del distacco me lo fece pagare con moneta sonante di paturnie e grandi crisi di abbandono improvvise e incontrollabili per diversi mesi a seguire.

Intorno ai diciotto mesi Mimi capì che poteva avere voce in capitolo circa le scelte quotidiane che riguardavano la sua persona, e da allora furono cazzi amari.
Lei voleva fare tutto da sola, ma rendendosi conto di non essere sempre e comunque all'altezza, di non essere capace, entrava in crisi. Non la si poteva aiutare e guai a dirle: "Beh, allora fai da sola".
Bloccata tra l'orgoglio dell'autonomia e l'evidenza della propria iadeguatezza sapeva dare sfogo ad una rabbia nera e verde e rossa e di tutti i colori e le sfumature che un sentimento distruttivo e autodistruttivo come quello può avere.
Mimi che piange fino al vomito.
Mimi che tira calci e lancia le cose.
Mimi che si strappa i capelli e i vestiti di dosso.
Mimi che tira capocciate contro il muro, che si spalma il moccio sul viso, che rifiuta di farsi pulire, che si ostina nel pianto, che chiama mamma e poi mi urla contro di andarmene via, che rimane un'ora di orologio a piangere disperata nel mezzo del giardino pubblico davanti agli occhi costernati di madri sapienti educatrici, mentre la madre incapace tenta di mettere in pratica i saggi consigli circa il "capriccio che va ignorato", finché non perde la pazienza e finisce per dare spettacolo del peggiore dei lati di sé, sbatacchiando sua figlia con malagrazia e altre amenità su cui preferisco non soffermarmi troppo.

Se ripenso a molti di quegli episodi ci vedo una certa continuità tematica di fondo, una congruità se non proprio caratteriale, almeno di indole.
Cavolo se non credo nell'indole!
Stufa e arcistufa di vedermi addossare presunti successi e insuccessi (ma soprattutto insuccessi) educativi relativi all'esuberanza emotiva di mia figlia mi chiedo perchè l'approccio comportamentista sia considerato superato persino tra gli studiosi di etologia animale, ma non in pedagogia.
Io dico: fanculo a loro e ai vari "sei tu che l'abitui".
Il comportamentismo e altre stronzate.

Ma sapete che vi dico? Io ho visto, io ho sperimentato sulla mia pelle, io ho lottato, faticato, sudato, io ho dato anima e sangue, io mi sono sgolata, ho urlato, ho ignorato, ho mediato, ho sorvolato, ho schiaffeggiato, ho sofferto, ho provato la frustrazione di non essere all'altezza troppe volte, di non venirne a capo, di perdere la pazienza, di sbagliare, mi sono scontrata contro questa piccola furia un milione di volte da quando è nata. Io la conosco. Io magari non la so ancora del tutto gestire, non sempre, ché spesso e volentieri sono stanca pure io, e non ho voglia sempre di discutere per tutto, e di urlare per tutto, e di sentire urlacci e piagnistei, e vorrei poterci mettere cinque minuti a preparare mia figlia per uscire e non quaranta, e vorrei che le semplici operazioni quotidiane non dovessero essere ripetute almeno tre volte perché deve farlo lei, e deve farlo da sola, e vorrei che chiunque la smettesse di elargire giudizi sul mio modo di essere madre e sulla mia presunta educazione all'anarchia.

Però la conosco, e so che c'è un'altra Mimi che è delicata e intuitiva, che ragiona e ascolta, che sa chiedere e accetta risposte negative e motivate, che non batte ciglio se non si può andare alle giostre, che non pretende che le si compri qualsiasi cosa veda, che sa entusiasmarsi delle cose senza impuntarsi a volerle per sé, che sa interagire coi suoi simili con grande diplomazia e senso della giustizia, senza mai usare prepotenza o prevaricazione, che è generosa e sa condividere, e anche dare.
Non credo che Mimi sia una bambina "capricciosa".
E non credo, come qualcuno mi ha sentenziato, che non abbia il senso dei propri limiti, anche se la lascio giocare con la pompa dell'acqua, ché non ci vedo nulla di male, o fare le bolle con la cannuccia nel succo di frutta (le ho sempre fatte anch'io).
E mi incazzo quando mi dicono che mia figlia è viziata, ecco.
Magari un tantinello testarda, sono d'accordo. E spesso ha difficoltà a gestire le sue pulsioni devastanti.

Chi ha conosciuto Mimi in uno dei suoi momenti no può pensare che sia una bambina capricciosa e malgestita. Se pure non lo dice con queste parole, lo lascia intendere.
Chi la conosce in uno dei suoi splendidi momenti d'oro, è pronto a giurare che sia una bambina meravigliosa.
Lei è tutt'e due le cose: è una furia, ed è una grazia, da schiaffi e da baci.

E in tutta onestà trovo difficoltà a chiamarli "capricci". Le sue esondazioni non sono strategie mirate ad un fine, quanto espressioni di un conflitto interno, prorompere di una rabbia distruttrice che lei a quanto pare non è in grado di arginare. E' quel che viene fuori quando si imbatte in sentimenti quali frustrazione, insoddisfazione, mortificazione, ed è naturale che non sappia ancora come reagire ad essi, come fronteggiarli. Così come non gestisce la rabbia che ne deriva.
Non è facile: non lo è neanche per un adulto.
Non lo è per me mantenere il controllo dei nervi quando mi trovo a dover affrontare le sue sfuriate.
E siccome poi riconosce quando sbaglia, e ci torna su, posso dire che ci sta lavorando, su questa cosa delle esplosioni di rabbia, che si sforza di modificare comportamenti a monte, che se avvertita per tempo, riesce a bloccare la spirale di azioni-reazioni che la trascinano giù in quel gorgo di sentimenti  e impulsi devastanti, e riesce a prendere strade alternative che le vengono suggerite.
In tutto ciò io non sono il potente demiurgo che ne plasma il carattere e l'essere, e lei non è una mia creazione, non scaturisce dalle mie azioni la sua essenza.
In tutto ciò il mio accidenti di compito è solo se mai quello di saperle indicare queste vie, a volte suggerendogliele apertamente, ma soprattutto mostrandogliele, implicitamente, non fornendole dei modelli pret-a-porter, ma sforzandomi io stessa di modificare le mie azioni-reazioni, nella vita, nella crisi, nello scontro, nei suoi e negli altrui riguardi (e per la verità non sempre ci riesco).
Perché essere genitore può voler dire anche imporsi di migliorare se stessi.
Essere una madre migliore, essere una persona migliore. Rivedermi in lei, rivedere in lei certi meccanismi che ben conosco, che riconosco in me, e permetterle di misurare il proprio essere sul mio, e permettermi di cambiare ancora, adulta, grazie a lei.

Non sono una gran pedagogista, ma ascolto e osservo, molto imparo e provo e sperimento e sbaglio magari, e poi mi correggo, o almeno tento. E sento, soprattutto (questa dannata empatia!).
Chi pretende di applicare a qualsiasi bambino un identico precetto educativo a prescindere dal bambino credo sia un po' come quelli che se ti vedono smanicata in aprile con 35 gradi si sorprendono e ti dicono: "Già così leggera? E ad agosto che fai?" Perché quando si vestono la mattina guardano il calendario e non il termometro.
Così bisognerebbe guardare prima del manuale di pedagogia, la persona che sta già, in auge, nel bambino, e imparare a comprenderlo, a conoscerlo.
Mi hanno detto anche, persone a me molto vicine, che un buon educatore non dovrebbe "comprendere e giustificare" un comportamento, ma solo imporre dei limiti.
Non sono molto d'accordo. E' ovvio che se Mimi in un eccesso d'ira pesta la coda al gatto o tira schiaffi alla sorellina, la riprendo, è ovvio che la sua rabbia non giustifica tutto, non giustifica qualsiasi eccesso.
Ma riconosco il diritto di essere arrabbiata, e di imparare a misurarsi con essa.
E credetemi se vi dico che lasciarla libera di arrivare a ciò non è affatto la via più facile. Tanto più facile sarebbe impormi unilateralmente.

Bene, ora ho finito di autoscagionarmi come madre incapace.
La bestia ieri è crollata dopo una delle sue migliori performance. Attendo il risveglio. Fatemi un in bocca al lupo!

Nessun commento:

Posta un commento

Che tu sia un lettore assiduo o un passante occasionale del web, ricevere un commento mi fa sempre piacere, purché inerente e garbato.
Grazie a chi avrà la pazienza e la gentilezza di lasciarmi un segno del suo passaggio.