mercoledì 25 giugno 2014

Primo bilancio (pessimista e sfiduciato)

Malgrado gli ottimi propositi sto trascurando molto questo povero neonato e incolpevole blog.
Sto trascurando un po' troppe cose ultimamente.
I giorni si susseguono ai giorni e poi le settimane alle settimane.
Passano i pensieri e se non li acchiappi si disfano come volute inconsistenti di fumo.
Non è che non vorrei scrivere, al contrario, continuamente mi ripropongo di annotare pensieri che mi nascono così, dal susseguirsi dei giorni e dei momenti, pensieri profondissimi e quieti, pensieri stupidi e rumorosi, pensieri brevi, quasi massime di vita, pensieri che quando cominciano a dipanarsi non finiscono più e prendono vie traverse, rimbalzando di neurone in neurone, rotoloni Regina delle cellule cerebrali.

Ma poi finalmente, quando per la diciottesima volta nella serata riesci a far riaddormentare la piccola che sgomenta di svegliarsi senza il calore corporeo materno al suo fianco, ti reclama lagnosa, quando infine ti siedi e ti decidi a mettere finalmente qualcosa nero su bianco, ecco l'imbarazzo delle dita sulla tastiera, che non sanno cosa farci, di tutti quei tastini, e si chiedono cosa stai aspettando a dar loro le direttive del caso, ché loro da sole non se la son mai sbrigata, e iniziano a mandarsi occhiatine eloquenti e scettiche, le maledette, le vedo, cosa credono? L'indice che ammicca all'anulare, il medio irriverente che se ne sta lì sospeso a mezz'aria con l'aria di quello che non si aspettava niente, lui; il mignolo che tanto non ha mai partecipato a quelle loro danze sulla tastiera, ma se n'è sempre rimasto un po' in disparte. "Cosa fa, non ci dice ancora cosa dobbiamo scrivere? Che aspetta?"
Allora inizi a rigirarti i pollici, ché loro non sono così pettegoli e maligni, se ne stanno buoni buoni a parlottare tra loro di fatti non inerenti.

Cos'è che volevi scrivere?

Oh, accidenti! Ce l'avevi proprio pronto in testa, il post, non vedevi l'ora di poterti sedere in pace a concretizzarlo. Perché tu da quando ne hai memoria, ti sei sempre un po' raccontata in testa quello che ti accadeva, ti sei sempre scritta il tuo libro mentale al passato remoto, usando la terza persona singolare riferita a te stessa per descrivere le tue azioni quotidiane come se si trattasse di faccende di interesse planetario.
Da quando hai il blog poi la cosa è diventata un po' patologica, ma mai come ora ti trovi nella difficoltà di finalizzare ciò che la tua mente ossessivamente elabora.
Dici alle dita di iniziare a scrivere un po' quello che par loro, e loro vanno, un po' sbuffando, ché tocca pure di fare gli extra qui, un po' divertite e orgogliose del nuovo incarico conferito.
L'importante è sempre rompere le acque, ricorda. Ti dici autocitando una tua celebre gaffe.
E un po' è vero.

Il beduino è rientrato per un breve periodo, per ottemperare ad alcuni obblighi burocratico-notarili.
Il beduino ripartirà presto, ma intanto che sia rientrato è stato un gran sollievo, bisogna che le mie dita lo ammettano.
Dunque devo rivedere per l'ennesima volta le mie convinzioni pregresse:

  1. non è vero che andandosene via lui avrei avuto più tempo da dedicare a me stessa, come credevo.
  2. Non è vero che senza la sua presenza ingombrante e poco collaborativa tutto in casa fili più liscio e che io riesca a tenere meglio il punto, le tabelle di marcia, gli orari, e tutte le altre imprescindibili cazzate che ritenevo fondamentali.
  3. Non è vero che "Vai, vai, se vuoi andare, cosa vuoi che ti dica? Sono anni che mi rompi le palle co'sta storia che vuoi andare via. Se devi stare qui per rimanere depresso a non fare niente, se sei convinto che lì tu ti possa realizzare, cosa aspetti? Non ne posso più di averti sempre intorno musone e nervoso, sempre a lamentarti, sempre scontento. Vai una buona volta e vediamo che succede. Se sei contento tu sono contenta anche io. Così almeno non mi rompi più le palle".
Dopo appena un mese di rodaggio crollano dunque le mie velleità di madre semi-single convinta, perché la casa quando è in attesa di qualcuno che rientri la sera, ti sembra più accogliente. E magari ti fa innervosire perché non dice mai a che ora torna, e in genere ritarda sempre, e tu non sai mai per quante persone devi cucinare, e se lui mangia o no, e devi mettere a letto le bimbe presto. Ma sai di avere qualcuno da aspettare, ed è tantissimo.

Perché quando la sera loro dormono e tu stai lì in mezzo a loro, mezza addormentata tu pure, che vorresti alzarti per finire di rigovernare e magari leggere due pagine di libro, o accendere un po' di tv, finisci un po' per perdere la motivazione a fare alcunché, e in fondo ci stai così bene lì, sdraiata tra i loro due corpicini tiepidi, in orizzontale, e l'altra prospettiva è la casa deserta, disabitata da forme di vita diverse dalla tua, per quanto irritanti possano essere nel loro assenteismo da Dmax-dipendenza.

Perchè infine quando finalmente lo senti sereno, e soddisfatto di sé e della sua nuova sistemazione lavorativa, laggiù, dall'altra parte del telefono e del Mediterraneo, a spiegarti il perché e il percome oggi ha fatto la tal cosa e non la talaltra, lungi dal sentirti finalmente sollevata dal fardello della di lui pesantezza e insoddisfazione, ti senti rodere dentro il tarlo infame del "E io?".

E io che mi arrabatto ogni giorno con pagamenti da far quadrare e litigo con inquilini insolventi, e trepido perché le nostre finanze sono al tracollo, e voglio piangere ogni volta che arriva una nuova lettera nella cassetta della posta perché l'unica incognita ogni volta è solo quale sia l'entità della cifra che dovrò sborsare?
E io che corro dietro alle bimbe ai giardini, parto a recuperare una a scuola lasciando l'altra a dormire a volte in casa, sperando che non si svegli e col cuore in gola arrivo pedalando al cancello della materna tagliando i convenevoli con custodi e maestre e dico di mandarmi fuori Mimi alla svelta?
E io che mi sveglio insieme a loro ed è tutta una gara a vestirle/lavarle/colazionarle nel tempo concesso dall'orologio e un perenne ripetere la frase "su che è tardi!", che le carico in bicicletta una davanti e una dietro e devo cantare la canzone delle ortensie ogni volta che ci passiamo vicino, e devo raccontare mille volte la storia di quando Mimi è nata dalla mia pancia, o la storia di Frozen, o la storia di Ariel, però quella di Waldisnei non quella che lei alla fine muore, e devo sempre mantenere il controllo, non tanto della bici, pure quando faccio 20 kg di spesa, 10 kg su ogni manubrio, ma dell'umore e dei nervi, per non rispondere una volta di più "Basta Mimi, mi sono rotta i coglioni di questa Ariel" o perché ogni divergenza di opinione sull'opportunità di fare pipì o meno prima di uscire di casa non si trasformi in una tragedia greca che mi farebbe perdere più del tempo che ho a disposizione praticamente ogni mattina?

E io, che domande, rimango qui, a fare solo una cosa: trascorrere i giorni.
E questa cosa non è tanto che ti logora nel lungo termine, è proprio difficile da sostenere nell'immediato della tua percezione di te, del tuo presente, della tua vita.
Ogni persona ha bisogno di sentire che il proprio agire è finalizzato a qualcosa di più che il tirare avanti i giorni.
Per chi resta, rimane la parte peggiore.

Io abbioccata che aspetto il beduino (che oggi è andato a pesca)

10 commenti:

  1. Cara Suster, questo post lo rileggo oggi e lo trovo dopo tanto tempo davvero sincero e... vero, non ho altre parole.
    Per cui visto che ti deprimi un po' a vedere che nessuno ha sentito il bisogno di aggiungerci due parole di commento, ti ci scrivo due righe io, ché in fondo era anche un po' per questo che hai cambiato indirizzo e ti sei trasferita in semiincognito, per poter ricominciare a scrivere liberamente da ogni vincolo e aspettativa presunta altrui. E allora, dai. Non importa se non riesci a tenere il ritmo di un tempo. Continua a scrivere. Lascia una traccia di questi giorni, perchè poi un giorno tu possa rileggerti e dire: beh, è tutto vero. E' proprio così.
    Buona notte.

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  2. cara suster, ho appena visto il trasloco del blog. Quanta amarezza nelle tue parole, quanta comprensione nel mio cuore.
    Tanti auguri e buona fortuna

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    1. Grazie mille! E' stato un trasloco sofferto, ma necessario per molti versi. Qui inspiegabilmente riesco ad esprimermi meglio e con più libertà.
      Siamo alla seconda separazione. Vediamo come andrà.

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  3. La commentatrice misteriosa8 luglio 2014 alle ore 01:00

    Prova adesso, Suster....

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    1. La commentatrice misteriosa8 luglio 2014 alle ore 01:01

      Ok, bravissima: ora potrai scriverti da sola tutte le volte che vorrai senza sembrare patetica!

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  4. La lettrice silenziosa8 luglio 2014 alle ore 17:33

    cara Suster, sorrido con un pizzico di malinconia perché conosco bene questa sensazione di parlare davanti a una platea buia e silenziosa... lo schermo acceso in faccia come un riflettore puntato sul palco, le tue parole che non trovano eco che nel silenzio. ma il silenzio va riempito, niente tempi morti quando si è in scena! basta improvvisare la parte dello spettatore, recitare la sua indifferenza, far sentire un'altra voce di te che reagisce alle tue stesse parole

    eppure, ricordo quante volte avrei preferito che - invece - da quel silenzio uscisse qualcosa, un segnale qualunque, una risposta. non importa se positiva.

    mi immedesimo tanto che quando, dal vivo, sono nel pubblico riesco poche volte a trattenere un intervento. mi dico: questa volta non parlare, lascia spazio agli altri; mi propongo di rimanere in silenzio ma, spessissimo, sono la prima a romperlo. è quando si prolunga e sta per sconfinare nell'imbarazzo... allora, vedo il sollievo nello sguardo di chi aspettava un riscontro, mentre la mia voce inizia a vibrare, un tremito di vergogna che cerco di controllare ora che l'attenzione di tutti, di tutti è su di me.

    ho letto diversi tuoi testi e oggi voglio ringraziarti per avermi regalato tanti spunti di pensiero. forse sento una certa similitudine con te quando vedo lo sguardo che hai, di un pittore davanti alla realtà, anche se qui la tastiera è il tuo pennello. oppure quando intuisco una ricerca di poesia nella realtà, quanto più prosaica e meno romantica, perché è la parte di ossigeno che ti serve, che mi serve per continuare a respirare

    perché nell'incolmabile solitudine della condizione umana, leggere una frase come "Ogni persona ha bisogno di sentire che il proprio agire è finalizzato a qualcosa di più che il tirare avanti i giorni." mi ricorda che in tanti combattiamo una battaglia personale e incomunicabile però siamo nella stessa guerra. e dalla stessa parte.

    ogni tanto fa bene saperlo, no?

    saluti e sorrisi,

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    1. Wow! Sono senza parole. (Stavolta proprio senza).
      Fa moto bene, infatti.
      Non mi sento isolata nella mia battaglia, malgrado le mie cadute vittimiste sporadiche.
      Grazie a te per queste tue, lettrice silenziosa. Sono davvero un balsamo

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  5. Io non so scrivere come "Lettrice silenziosa" o come Te, ma ti sono vicina e solidale. Un abbraccio grande. Nadia

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    1. Fa tantissimo, anche questa riga solitaria di comprensione e vicinanza spirituale.
      Grazie davvero, soprattutto per la volontà di andare a ripescare e commentare vecchi post, quando sembra che a nessuno interessino più, una volta usciti dalla blogroll, inghiottiti dall'indifferenza della rete...

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