giovedì 4 dicembre 2014

Io le mie figlie e le emozioni in libertà.

Novembre è già finito da un po', subdolamente, senza farsi accorgere, trascinandosi dietro i codazzi di riflessioni sulla stagione che cambia, aprendosi con il culto dei morti e chiudendosi alle porte del Natale, e già nei supermercati rosseggiano insegne di Babbi rubicondi e scintillii che a me come ogni anno danno il prurito agli occhi.
Ma non è di questo che voglio parlare.
La mattina accompagno le bimbe a scuola, ciascuna al suo luogo di lavoro e ritorno pedalando nell'aria fredda ma non ghiacciata, che profuma vagamente di focolare e di paese, all'orizzonte tra pennacchi di nubi azzurrine ecco vicine, quasi a portata di mano, stagliarsi le montagne dietro i tetti delle case gialle.
Tutto ciò è quel che amo di questa stagione.
Mi dà un senso di calma e di sicurezza, come se mi dicesse: vai tranquilla che per quanto ti affanni a trovare soluzioni, la vita basterà sempre a se stessa. Come quando si era più poveri ma più felici, dicono, per quanto io non ci abbia mai creduto troppo. Attribuiamo un'idea di felicità a tempi andati in cui non abbiamo vissuto, che non baratteremmo volentieri per la nostra infelice superfluità, che pure riconosciamo come inadeguata, scomoda e insalubre.

La mattina rientro a casa e mi infilo con la testa nel computer. In senso figurato intendo.
Quando ne emergo sono distrutta, e svuotata, e mi sembra di non aver fatto nulla.
Spulcio annunci, compilo form e invio lettere.
Con un mazzo di curricula stampati due anni fa, recanti data aprile 2012, giro poco convinta per agenzie e mi guardo e vedo che in fondo confrontandomi alla fototessera che ho spillato sopra potrei averla scattata oggi stesso: indosso la stessa giacca e la stessa sciarpa di allora. Solo i capelli sono un poco più lunghi in foto. La foto non lo dice che adesso ho una figlia in più, non diciamoglielo, ché se lei rimane convinta di somigliare ancora così tanto alla me di adesso, che distribuisce maldestramente curricula datati, allora forse anche chi leggerà questi curricula potrà cadere nell'errore che il tempo, intanto, non sia passato.

Ma passa, e passa e passa ogni giorno, ed è già finito novembre, oh cazzo, è già iniziato dicembre.
Dicembre si porta dietro una serie di scadenze improrogabili che mi arrivano tra capo e collo, e no, non sto parlando del Natale, né del regalo per le maestre tanto paventato da me in passato, ma di denaro sonante da distribuire a destra e a manca senza che in realtà mi renda conto di dove vada a finire, in sigle sinistre come RCA INAIL IMU, che alla fine per le cose concrete finiscono per non esserci più, per le cose vere, quelle che restano, come un paio di calzini o chessoìo.
Si galleggia comunque, pur appesantiti da macigni di lamentazioni a non finire: c'è sempre quell'aria frizzantina che ti batte sul viso e la vista delle montagne all'orizzonte, quando smette di piovere e la pioggia ha lavato via tutta la foschia. Devi aggrapparti alle cose reali, per non finire sommerso, alle cose concrete. E mi dico una volta di più che col portafoglio vuoto mi sento più leggera, e sarebbe anche vero se non avessi sempre quel peso di pensieri nella testa che rischiano di farmi perdere continuamente l'equilibrio.

Guardo le bambine per cercare di ricordarmi come si fa, a tenerli a bada. Loro vivono le emozioni in pieno, le lasciano scatenare al momento giusto e poi le mettono da parte quando non è più il momento.
Loro si buttano nel gioco lanciando ultrasuoni vocali senza chiedersi se i vicini del piano di sotto apprezzeranno la cosa.
Per loro la rabbia è rabbia, pulita e schietta, senza contaminazioni di sensi di colpa, e la gioia è gioia, senza malinconia di quel che c'è di irrisolto e che permane malgrado i momenti felici, e che poi dovrai affrontare, e la tristezza è tristezza, anche quando si tratta di piangere perché la spazzola è caduta giù dalle scale, precipitando nel giardino dei cani cagoni e frantumandosi in mille pezzi, o perché il pigiama con il pinguino non ti entra quasi più.
Per loro i desideri sono meteore che bruciano ardentemente al momento in cui si palesano, ma che già il giorno dopo potrebbero aver perso di attrattiva, senza rimpianti, e i sogni sono tutti possibili, non scappatoie dal reale, ma idee di una realtà futura.
Per loro quando uno ha fame ha fame, a nulla serve ragionare sul fatto che al momento non sia ancora pronto da mangiare, che basta portare pazienza e in dieci minuti arriva la cena; per loro quando uno non ha più fame non c'è motivo di finire ciò che hai nel piatto, e un gioco finisce quando non ti va più di giocare, non dovrai per forza incastrare l'ultimo pezzo del puzzle, stancamente, senza più ricordarti perché lo stai facendo, ché non ti arreca più alcun piacere.

Per loro fare una scelta significa prendere ciò che ti piace di più, lasciar andare a cuor leggero ciò che in quel momento ti interessa meno, senza considerare le conseguenze postume che ciò potrebbe comportare, senza contemplare l'eventualità di ripensamenti. Per me è barcamenarmi in continuazione tra motivazioni contrastanti e ugualmente valide, macerarmi in un pantano di "e se poi" tra quel che vorrei ma che potrei non ottenere mai e ciò che mi si offre al momento, ma che non corrisponde alla mia idea di felicità.
Per loro l'azione segue al pensiero in maniera quasi immediata, e quando una cosa è conclusa è conclusa, ed è inutile tornarci su.
Loro non sono mai insoddisfatte di una loro creazione: un disegno, una torre, una scultura col pongo, sono tutte bellissime; loro giudicano sul metro dell'intenzione e dell'intuizione che è dentro la creazione, non in base al suo aspetto a lavoro terminato.
Mettere il processo davanti al risultato, è davvero questa la chiave?
Io mi perdo in tergiversazioni sterili prima di metter mano a un proposito, e mi nascondo dietro la paura di un fallimento, quando non ho la forza nemmeno di iniziare; mi areno sul pensiero della prestazione perdendo di vista il fare.

Per loro l'attesa è un'impazienze scalpitare di piedi, un'euforia che si carica nel countdown dell'evento, che non prevede possibilità di delusioni, di speranze disattese, di aspettative tradite; per loro la festa è una luce priva di ombre, un'immagine di felicità che non ammette cinismi, una vetrina addobbata di lustrini è una promessa di realizzazione prossima di tutto ciò che potresti desiderare, che non ammette insofferenze antipopuliste.

Per Mimi finalmente sta arrivando il Natale, sembra una vita che lo stiamo aspettando.
Per me sta di nuovo arrivando un altro Natale, non ci posso credere che sia già passato un altro anno.

Per loro il tempo non passa mai perché sono troppo impegnate a viverlo per accorgersi che sta già passando.
Per me il tempo è in continua fuga perché sono troppo distratta dal dopo per accorgermi che lo sto ancora vivendo.

Guardo loro e cerco di imparare, anzi: di reimparare, quel che evidentemente ho perso lungo la strada.

Impiego tante di quelle energie tentando di insegnare loro l'importanza del mediare se stessi: filtrare emozioni, decantare stati d'animo, tradurre istinti impulsi in gesti e comportamenti codificati e codificabili, per poter essere a sua volta accettati e accettabili dalla società.
Ma forse in tutto questo quel che si perde vale molto di più.
L'immediatezza delle emozioni poi non si riacchiappa.

Illustrazione di Roberta Angeletti

3 commenti:

  1. Come spesso accade, mi lasci senza parole e mi fai riflettere! Bellissimo questo tuo dondolarti - passami il termine- tra concretezza e poesia e azzeccatissimi i tuoi parallelismi sulle emozioni (anche se alcuni pensieri me li dovrò poi rileggere cin calma-chè non sono mica sicura di averli capiti tutti ;-) ) . Chissà che nel finale tu non abbia ragione? Vado a preparare la cena e ci penso...un abbraccio!

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