martedì 18 gennaio 2011

Tutto è cominciato un mattino d'estate. Ma forse anche prima.

Ora vi racconto com'è nata la Pupa.
Uff, basta con queste storie di madri che parlano dei loro parti sul web, scrivono libri, partecipano a forum, aprono blog, non se ne può più!
Beh, considerato che avere la pupa è stata la cosa più emozionante che mi sia capitata negli ultimi 6 mesi, anzi, diciamo anche negli ultimi 16, ho ben diritto di dire anch'io la mia, e lo faccio oggi, che decorre il sesto mese da quell'evento.
L'idea mi è venuta leggendo questo libro:

Uh, che noiosa! Ormai legge solo libri di mamme, per mamme, sulle mamme.

Uff, come siete critici! No: è che me l'ha prestato la mia amica Samantha, che nella nostra vecchia compagnia di amici un po' scoppiati si colloca al terzo posto in ordine d'arrivo, dopo la sottoscritta, nel fare il suo ingresso nella fase riproduttiva della sua esistenza.
Insomma, per capirci: essendo al sesto mese di gravidanza, si trova anche lei impelagata in questo genere di letture, perciò, quando mi sono presentata a casa sua con la pupa e il mio manuale per donne gravide, che ti dice mese per mese cosa fa il tuo pupo dentro la pancia, lei mi ha risposto per le rime, mollandomi questo.
Poi non sono nemmeno troppo inguaiata: in relatà è solo il terzo libro che leggo sull'argomento. Il vero problema è che tutte le altre possibili letture pare si siano arenate irremediabilmente e il fatto che io ormai riesca a leggere solo questo genere di libri, sì, lo ammetto, è un po' deprimente.
Ma: che vi devo dire? Già l'averlo ammesso è il primo passo verso la guarigione, che auspico vicina.

Dunque l'autrice del libro racconta, con l'intento di sdrammatizzare e un po' ironizzare su alcune situazioni tipiche da madre con bambino appena scodellato, la propria esperienza con i suoi due pargoli. Dichiara anche che l'intento sarebbe pure quello di sfatare alcuni luoghi comuni sull'essere mamma, ma nel far questo mi pare che cada in altrettanti luoghi comuni quali la neomamma appena dimessa dall'ospedale che piange a oltranza e il padre imbranato.
Comunque nel complesso non male.
Certo però non mi sono ritrovata in molte delle situazioni descritte, che qui vengono presentate come scontate e standard.

Quindi, è andata così con la pupa.

Mi sveglio al mattino allagata.
Quella mattina scadeva il termine della mia gravidanza e avevo appuntamento per il primo tracciato.
Dopo essermi accertata che non me l'ero fatta sotto, prendo atto della gravità del momento e cerco di mantenere la calma.
Che puntualità questa pupa! Di certo non ha preso da me. Neanche da Hasuna direi.
Il quale intanto se la dorme beato. Lo sveglio con circospezione e ci avviamo all'ospedale, dopo aver raccattato la borsa dell'ospedale (l'unica cosa che io abbia preparato in anticipo in vita mia), sfamato i gatti, steso la lavatrice, e non so che altro, mentre a ogni passo la sgradevole sensazione di farmela sotto non mi abbandonava.
Tragitto in macchina con un filino di ansia. Ebbene, infine era giunto anche per me quel momento.
Non si poteva aggirare l'ostacolo: ci stavo andando proprio incontro e un po' mi sembrava assurdo che setsse accadendo questo a me.
Gli eventi che seguirono mi avrebbero confermato in questa insensata convinzione.
La pupa ci avrebbe messo un bel po' per venire alla luce, ma io questo ancora non lo sapevo.
In effetti, dopo aver surclassato tutte le partorienti in attesa, perchè, in quanto "sacco-rotto" (così mi avrebbero chiamata per le prossime 24 ore, so che non è molto carino, ma a quanto pare è il codice dei medici) mi spettava la priorità, mi visitano, mi ricoverano e mi raccomandano di rimanere a letto il più possibile.

All'inizio è stato facile. Di contrazioni neanche l'ombra. Ero lì in rilassante soggiorno, nel mio stanzone con altre 5 donne con pance più o meno visibili, che non si capiva bene chi di loro avesse già partorito e chi no, all'epoca non sapevo che la differenza tra il prima e il dopo non sarebbe stata poi così netta. La cosa mi sconfortò un poco. Ma comunque, ci avrei pensato a tempo debito.

Nelle settimane precedenti avevo seguito un corso pre-parto presso lo stesso ospedale che si intitolava mi pare qualcosa come Musicoterapia e rilasssamento per la preparazione al parto.
Ero stata molto diligente nell'eseguire gli esercizi per casa che di volta in volta ci venivano assegnati, per quanto mi sentissi una vera deficiente.
Ora vi spiego in cosa consistevano.
Il corso insegnava, tra le altre cose, la famosa respirazione diaframmatica, vale a dire, in parole povere, respirare con la pancia.
Funziona così: inspiri per un tempo (gonfi l'addome, non il torace); espiri per un tempo il più lungo possibile, cercando di emettere un soffio controllato e continuo.
In alternativa al soffio semplice, che è più difficile da controllare, si emettono dei suoni espirando.
Il primo esercizio si fa con il suono "S". Poi le vocali: "U, O, A, E, I" in quest'ordine.
Ma questo è niente in confronto a cosa abbiamo imparato a fare negli ultimi due incontri.
In aggiunta alla respirazione con vocalizzi e sibili, bisognava anche "intonare" le vocali.
Cioè: sempre partendo dalla U, la più cupa, alzare di volta in volta il tono della voce e poi ridiscendere.
Una roba davvero un po' imbarazzante, non solo da fare in presenza di altre persone, ma persino in presenza dei gatti, che ogni volta mi guardavano interdetti.
All'inizio a dire la verità mi vergognavo persino a farlo da sola. Vedevo al mia immagine nello specchio sulla parete di fronte al letto e mi sembravo un'idiota.
Ma poi 'sta roba servirà?
La risposta nel mio caso è andata molto vicina al no.
Il motivo di cotanta fatica: questa respirazione permette di ossigenare il feto e aiuta a distendere la muscolatura durante le contrazioni.
In teoria ci esercitavamo sul tempo massimo di 40 secondi, che, a detta delle ostetriche che ci ammaestravano in codesto esercizio, era il tempo di massima durata delle contrazioni, cioè quando proprio sei arrivata alla fine e stai per entrare in fase espulsiva.
La teoria poi era che più lunga è la respirazione, meno atti respiratori riesci a fare entro la durata prevista, prima passa la contrazione, anche perchè tu nel frattempo sei impegnata e non fai tanto caso al dolore.
Poi, passata la contrazione, puoi tranquillamente dedicarti agli esercizi di rilassamento, che sono i più svariati: visualizzazione dei numeri, visualizzazione dei colori, visualizzazzione del bambino, percezione del tuo corpo, percezione delle sensazioni di caldo, freddo, pesantezza, leggerezza e chi più ne ha...

Nella pratica attendevo con impazienza e un po' di delusione l'arrivo delle mie contrazioni sdraiata sul mio letto di ospedale, e mi ero persino portata Guerra e pace da leggere. Una cosetta leggerina, così tantpo per.
Le suddette contrazioni hanno iniziato ad affacciarsi intorno alle 7 di sera, ed erano tutto sommato sopportabili. Quando hanno iniziato da essere un po' più forti, anche io ho iniziato a fare i miei esercizi di respirazione con le Esse, ma non con le vocali, che mi imbarazzava un bel po'.

Però qualcosa iniziava a non andare proprio come mi aspettavo.
Cronometro alla mano, le mie contrazioni duravano ben più di 40 secondi, e io finivo in debito di ossigeno.

Verso le 11, le maledette erano davvero un po'troppo forti, ravvicinate e lunghe. Io cercavo ancora di mettere in atto gli insegnamenti del corso: respiravo, cambiavo posizione, mi contorcevo sul letto sopprimendo i gemiti, per non disturbare le altre mamme che dormivano.
Da qualche parte avevo letto che la posizione carponi (a pecorina) aiutava a sopportare e a lenire i dolori delle doglie. Ma che! Iniziavo adesso a soffocare insulti e imprecazioni, mischiandoli alle respirazioni diaframmatiche e a lamenti che dovevano suonare esilaranti.
Quello che proveniva dal mio letto doveva essere qualcosa di simile a questo: "SSSSSSSSSSS...ma porc... Cazz.. Fanc... Ahiahiahiahia...SSSSSS...nonce la facccccioppiùù SSSSSSS...merd..." e via dicendo.

Quando, nel pomeriggio, aspettavo la loro venuta, la mia vicina di letto, già al suo terzo parto, mi aveva detto che le contrazioni di pancia non erano tanto dolorose come quelle di schiena (di schiena? Avevo pensato io). Ora capivo.
Era come se le ossa della schiena m si sbriciolassero tutte insieme. Come se un rullo mi passasse sui lombi e me le frantumasse. Mi sembrava che cambiando posizione sarei stata meglio, ma quando, dopo sforzi immensi, riuscivo a girarmi, non c'era alcun sollievo, anzi, forse era meglio prima, aspetta che mi risposto. Ma quanto dura questa? Ahi, che dolore. Riuscivo ad alleviare un po' la mia sofferenza automassaggiandomi con le mani. Avevo al gola secchissima a furia di emettere "S" e mi si chiudevano gli occhi dalla stanchezza. Ma appena prendevo sonno, ecco arrivarne un'altra, altrettanto dolorosa e infinita.
La mia notte era una lunga veglia di dolore intervallata da brevi istanti di oblio.

Quando ho creduto di non farecla più ho suonato il camapanello per chiamare l'infermiera di turno. La quale, dopo avermi visitato, mi dice, con mio grande sgomento: "Non ci siamo, sono appena 2 cm, chiamami quando senti più dolore".
Come si fa a capire quando il dolore è sufficientemente forte? A me pareva di essere già arrivata al limite insuperabile.
Dopo quella visita e quel verdetto ho evitato di chiamare ancora soccorso. Dovevo vedermela da sola a quanto pareva.
Ma la mia notte era interminabile e io me ne andavo a spasso per i corridoi del reparto malgrado mi avessero detto di rimanere a letto. Facevo avanti e indietro dal bagno. Una volta l'arrivo dell'ennesima contrazione mi ha risvegliata su una sedia a rotelle accanto alla toilet.
Quella è stata la notte più lunga della mia vita.

La mattina dopo mi hanno portato in sala travaglio per il tracciato. Ti attaccano ad una macchina che monitorizza le contrazioni e il battito fetale. Un casino pazzesco. A lungo andare entri in trance, cullata da quel battito acquoso che proviene dal tuo utero, dato anche che già le due notti passate praticamente insonni non aiutano a mantenere la lucidità. Se non fosse per quelle maledette contrazioni che ti riportano sempre alla dura, triste realtà del presente: una bambina da partorire e un travaglio appena iniziato.
Mi averbbero fatto l'epidurale solo a mezzogiorno, malgrado io non fossi ancora arrivata al giusto livello di dilatazione, ma il primario vedendomi in quello stato, si vede ha avuto pietà di me, dopo che mi sono accasciata sul pavimento davanti alla porta del bagno, e mi hanno riportata di peso sul mio lettino. Avevo smesso già da tempo di tentare la respirazione del corso, ed un'ostetrica molto carina mi aveva insegnato come respirare in maniera più efficace e meno sfiancante. Ad ogni nuovo picco mi chiudevo in me stessa, tutto il mondo fuori non esisteva. Mi parlavano e io fulminavo tutti con lo sguardo. esisteva solo il dolore. Anzi no: il dolore esisteva solo dentro di me. Fuori da me non esisteva, quindi il dolore in realtà non esisteva. cercavo di convincermi così, e quasi ci cascavo, almeno fino all'arrivo della successiva.

Dopo, tutto è cambiato: niente più dolore. Sparito. Ho amato il mio anestesista con tutta l'anima. Non finivo più di dirgli grazie, mio salvatore! Davvero: non credevo di essere così scarsa nel sopportare il dolore. Io mi ritenevo una dura, prima del parto. Non volevo neanche farla l'epidurale. Le vie naturali sono sempre preferibili, pensavo. E una cospiqua letteratura a riguardo mi aveva assecondato in questa folle convinzione. Ora so.

Dopo l'anestesia tutto è stato più bello: mi sono fatta una pennica di un paio d'ore, cullata dal ronzio dell'apparecchio per il tracciato, che nel frattempo diventava sempre più lungo, un lenzuolo di carta spiegazzata di qualche chilometro. I medici si davano il cambio, credo di averli conosciuti tutti durante la mia permanenza in sala travaglio. Anche le partorienti si avvicendavano: arrivavano, urlavano lungamente e accoratamente, poi a un certo punto qualche infermiere veniva a buttare un fagotto pieno di cacca nella pattumiera che trovavasi nel mio abitacolo, che quindi iniziava anche ad avere un odore poco gradevole. Quando una partoriente fa la cacca vuol dire che è pronta per scodellare anche il bambino, e quindi viene trasferita prontamente in sala parto. Le urla cessavano, e io restavo di nuovo sola, con la mia anestesia, e con la cacca nel secchio della spazzatura accanto al letto. Ho già detto che era luglio? Quindi aggiungete il caldo, la puzza, la totale mancanza di riservatezza, le partorienti che si avvicendavano e io che ero sempre lì e la situazione non sembrava smuoversi.
Ogni tanto qualcuno mi visitava, tanto per dirmi che ancora eravamo lontani dal vederne la fine.
Io non ci credvo quasi più che prima o poi anche io avrei fatto quella cosa che le altre donne facevano in sala parto dopo aver fatto la cacca. Ho dovuto fare la pipì in un vasino davanti a una schiera di medici che intanto discorrevano tra loro amabilmente. Tutti i miei precedenti schemi mentali di cosa fosse lecito fare in pubblico e cosa no, su quale fosse il confine tra intimo e pubblico, venivano stravolti.
Ero lì scosciata, culo all'aria da più di 12 ore. Iniziavo a non poterne più, quando qualcosa laggiù si è mosso.

La pupa è nata alla mezzanotte meno due minuti di quello stesso giorno, 40 ore dopo il mio arrivo in ospedale.
Spingi quando senti arrivare la contrazione, mi dicevano.
Ma io, drogata da ore, non sentivo propio un bel niente. Nada de nada. Diciamo che spingevo a caso.
Chissà quanto ci vorrà, pensavo. E invece, apro gli occhi e guardo giù, ed eccola! La testa...

Mi aspettavo un mostriciattolo. Mi ero preparata al peggio. Non ho mai capito come la gente potesse dire che i neonati sono belli. Me l'aspettavo paonazza e un po' grinzosa, la testa deforme a pera e gli occhi gonfi.
Niente di tutto ciò: la pupa era nera nera, con una cespa di capelli nerissimi appiccicati alla testa, tonda come una boccia, anzi no, un boccino.
Però! Non è poi così male, ho pensato.
Benvenuta pupa, tra esattamente due minuti sarà il tuo sesto complimese.
AUGURI!

(to be continued...)

2 commenti:

  1. hei, ma quant'è lungo questo post???
    ok, archivio nelle "cose da leggere"... a settembre!

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  2. Mh... ma cosa vai a ripescare. Dovevo ancora imparare a dosarmi.

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