giovedì 27 ottobre 2011

Contest e passioni.

Era da un po' che volevo partecipare a un contest di Simo.
Dico a "un" contest, perché è più o meno da febbraio che ci provo, con tutta la buona volontà, mi dico: ora scrivo un post per il contest di Simo. Poi invece il tempo passa, il contest finisce, e io rimango con un nulla di fatto. Sono una personalità decisamente troppo indecisa, risolutamente irrisolta.
Beh, fortuna che lei ne sfodera uno nuovo più o meno ogni due mesi (inesauribile Simo!).
Ma stavolta no. Ecco.
Per scaramanzia non ho nemmeno lasciato un commento sotto al post di apertura del Contest. Stavolta non mi freghi, gli ho detto tacitamente.

E allora, per farla breve, eccolo qui, il mio post:

partecipo al Candy Kitchen di A Casa di Simo! Yeeeeeee!


Simo ci chiede di parlare di un nostro hobby. Sì, vabbè, diciamo pure, di una passione.
Suster esita, ci pensa un po' e poi...
Haem (colpo di tosse iniziale per sgranchirmi la voce e darmi un tono).
Da dove comincio?
Fin da piccola mi sono sempre sentita portata per la coltivazione di un orto... volevo dire: di un Hobby! (Scusate, è il panico da palcoscenico).
Il problema era capire quale fosse.
E allora ho provato un po' a lasciarmi trascinare dalla marea. Dalla marea e dalla prima idea balzana che qualcuno o qualcosa mi faceva balenare per la mente.
Credo che il primo tentativo sia stato il corso di taekwondo (grazie Wikipedia: ora so anche come si scrive). Galeotto fu mio fratello, sì, proprio quel Totto che mi seviziava con le sue maligne burle a cui io prestavo fede come a un oracolo.
Naturalmente l'idea di seguire un corso di arti marziali con un nome così impronunciabile non poteva venire da me, che avevo appena sei anni. Io volevo solo fare quello che faceva lui. Tutto, esattamente tutto quello che faceva lui. E se lui si fosse buttato dalla finestra, beh... considerato che all'epoca vivevamo all'ottavo piano di un palazzo, forse allora avrei iniziato a dubitare della giustezza delle scelte del mio fratello maggiore. Ma ciò non avvenne: lui invece si iscrisse a taekwondo, con l'accento sulla "o", e io pure.
Di quel corso ricordo: la noia incredibile di ripetere all'infinito gli stessi gesti, senza senso e controvoglia; l'imbarazzo di dover gridare quando si sferrava un pugno e il maestro che mi ripeteva che sembravo un pulcino pigolante; la brutta sensazione di essere la più piccola aspirante taekwondista e di sentirmi assolutamente fuori posto; il ribrezzo delle tette al vento e dei pubi pelosi sfoggiati dalle ragazze grandi negli spogliatoi, giacché tutti sanno quanto lo spogliatoio di una palestra sia risaputamente uno dei luoghi di maggior sfogo dell'esibizionismo nudista femminile (non so se anche maschile).
Ma non ricordo nemmeno una mossa letale, nemmeno una parata, nemmeno come si scaraventa in terra un avversario di molti chili più grosso di te. Peccato.
Ma comunque mi dissero che ero diventata cintura mezza gialla (termine forse coniato appositamente per me e in abbonamento alla quota versata da mia madre alla palestra, oltre al prezzo del kimono).
La cosa finì così.

Ma andiamo avanti.

In prima elementare Venne una volta in classe una maestra di canto a promuovere l'attività pomeridiana di un coro di voci bianche, a cui io senz'altro aderii.
Cantare per la verità mi piaceva, ma non recarmi a quei corsi, i pomeriggi di inverno, che alle cinque già imbruniva, ed entrare in punta di piedi nella scuola silenziosa e scura, col fiato sospeso fino all'aula di canto, con i capelli ritti per lo spavento di quello che stava proprio per saltare fuori da quel corridoio buio, un attimo prima che io riuscissi ad entrare nel cono di luce della porta.
Di quel corso ricordo che seguii forse due, tre lezioni massimo. Perché poi credo che dovettero cambiare l'orario o il giorno di lezione, o magari l'aula, chissà, solo che io mi dovevo essere distratta quando la maestra lo disse, e una settimana, giunta sempre sul far dell'imbrunire nella scuola buia e deserta, intrufolatami in punta di piedi, prima nel cortile passando per il cancelletto laterale, poi nell'atrio, anch'esso oscuro e deserto, attraverso i corridoi bui e deserti, arrivai davanti alla porta dell'aula di canto... chiusa. E deserta. Tornai a casa e per me la cosa finì lì. Del resto mia madre non si prese mai la briga di capire com'era andata a finire, o forse semplicemente le era passata di mente la storia del canto. Solo in occasione del saggio di canto di fine anno nell'aula magna della scuola, la maestra, scorgendomi in platea in prima fila e riconoscendomi, mi chiese perché non ero più andata, e io allora credo che risposi che non mi era piaciuto.

Fu la volta della chitarra. Stavolta mia madre fece venire un maestro capellone e con un naso importante a casa, per insegnare a me e a mio fratello Totto. Non so cosa imparai, ma ricordo che lui continuava a ripetere che la nostra chitarra aveva il manico storto e io attribuii sempre a questo difetto dello strumento il fatto che non ci capii mai assolutamente niente né di arpeggio né di accordi.

Poi ci fu il flauto dolce, alle medie. Per il compleanno mi feci regalare, lanciatissima, il contralto, flauto di dimensioni medio-grandi. In classe mia lo avevamo solo in tre, e lo suonavo nel grande concerto di fine anno, organizzato, sempre con maggior fatica e dispendi enormi di energia, dalla mia volenterosa ed energica professoressa di musica. Forse quei saggi di fine anno furono l'approdo più consistente a cui avessi mai condotto una delle mie passioni. A parte il fatto che in alcuni brani non riuscivo a capire perché il mio spartito riportasse note diverse dagli altri (credo per ragioni di sinfonia polifonica che tuttora mi sfuggono), e quindi, non trovandomi, finiva che andavo dietro agli altri suonando un po' a casaccio, o facendo finta di suonare quando già da un pezzo mi ero persa sullo spartito.
Comunque.

I primi anni di università mi fissai parecchio con il fai da te. La fregatura era che le amiche mi incoraggiavano sulle improbabili strade dei gioielli in filo di rame, della lana cotta e dell'oggettistica futile-ma-graziosa. Avevo coinvolto persino la mia istruttrice di palestra, con la quale scoprii questa passione comune, e ogni sera a fine lezione ci scambiavamo idee e fiori di legno, pinze per il rame e materiali vari ed eventuali. Ci avventurammo a cercare un corso di bricolage da frequentare insieme per affinare le nostre doti con la tecnica; finimmo in una stanza piuttosto squallida e male illuminata, sedute intorno ad un tavolone sorretto da treppiedi assieme ad una quindicina di altre persone mal capitate come noi a fissare un'orrida natura morta di fiori finti da riprodurre su fogli di carta arrangiati, sotto l'occhio vigile di un sedicente maestro di disegno poco convincente. Il corso di bricolage era stato annullato causa pochi partecipanti, e così ci avevano accorpato a quello di disegno.

Poi fu la volta del tornio...
Per la verità io avevo solo chiesto a mio fratello dove avrei potuto trovare un seghetto alternativo a buon prezzo, perché era quello all'epoca il mio chiodo fisso. Lui, chissà per quale bizzarra associazione di idee, per il mio compleanno mi regalò questo tornio per legno di tre metri, completo di pratico manuale e degli attrezzi per tornire.
Ci misi due anni solo per farmelo trasportare a Pisa, un'estate a capire come funzionasse, assai poco per realizzare che se avessi davvero voluto applicarmi alla raffinata arte del tornio avrei avuto bisogno di: più spazio, più tempo, più attrezzi e di un luogo dove comprare i pezzi di legno pretrattati a un prezzo decente, che consentisse ai miei capolavori di costarmi meno di un Boccioni.
Decisi che avrei realizzato trentadue pezzi formato XL di una scacchiera gigante (mai realizzata) da regalare al beduino scaccofilo. I tronchetti di legno mi si fessuravano stagionando male sul terrazzo, ci mettevo una giornata per scortecciarli e ridurli in cilindri, che poi mi si spezzavano sempre mentre li lavoravo, ed era un'impresa non da poco riuscire a realizzarne due non dico uguali, ma anche solo lontanamente simili. Immagino quanto potesse essere pratico giocare una partita con i miei pezzi. E comunque non andai mai oltre al primo pedone bianco, che ancora conservo a casa, sbilenco come la torre che è emblema della città in cui vivo.


Ho ritentato con la chitarra: condividevo l'appartamento in cui vivevo con due discreti chitarristi, che acconsentirono a darmi qualche lezione casalinga. Stavolta ero convinta. Mia sorella per Natale mi regalò una chitarra classica che, non ricordo bene se per la maestria con cui l'adoperavo o per il valore strumentale dell'oggetto venne battezzata "il legno". Mi ero fatta venire i tanto sospirati calli e forse iniziavo a fare pace con la ritmica. Mi macinavo i pomeriggi a provare e riprovare gli stessi pezzi, nel modo in cui almeno supponevo dovessero essere eseguiti. Ero arrivata a un pelo dall'eseguire quasi senza sbagliare l'arpeggio iniziale di Wish you were here.
Ma poi niente: partii per l'Erasmus e imballai "Il Legno" insieme con tutti i miei averi di allora che divisi per le case di amici vari e la faccenda fu definitivamente archiviata (e ora giace sul soppalco accanto al tornio, ai pattini, al violino e alle carrozzine varie dismesse).

Ah già: i pattini! Anche quello fu un regalo di compleanno.
Ci andai due o tre volte a pattinare sul Lungofiume delle Piagge con la mia amica Bri, autrice del regalo. Bellissimi i miei Roller Blade, e quanto li ho desiderati da bambina! Peccato che lei era discretamente brava, io sembravo l'orso ballerino con la sciatica e alla terza sessione di pattinaggio caddi su una discesa, di culo, misi la mano a terra per parare il colpo e mi ruppi il polso sinistro. Basta pattini.

E il violino?
Quello fu un regalo di Hasuna. Per la laurea triennale. Vedete? Il mio problema è che la gente che ho intorno ha troppa fiducia in me, e incoraggia i miei slanci vani fornendomi gli strumenti adeguati.
Grave errore! Col violino mi sono impuntata. Volevo farcela! Ho speso un capitale per pagarmi le lezioni pomeridiane: tre quarti d'ora da cui sottrarre i primi 10 minuti, che aspettavo che finisse la bambina prima di me. Mezz'ora di tortura posturale e poi scappavo a lavoro; col violino in spalla facevo il mio ingresso trionfale in ristorante schernendomi di fronte agli inviti scherzosi ad esibirmi.
E' che ero proprio una pippa. Il mio maestro mi aveva infine convinta a seguire anche una lezione o due settimanali di solfeggio: una vera tortura a ventiquattro anni, quando a mala pena trovi il tempo per preparare gli esami all'università, e lo devi trovare anche per metterti come una scema a ripetere "Laaa, dooo" mentre il tuo gatto ti guarda esterrefatto e beffardo.
Accannai tutto dopo qualche mese. Non glie la potevo fà.

Ho poi provato a darmi alle lingue: prima fu la volta dell'arabo. Ho iniziato come autodidatta, per poi infiltrarmi ad un corso di lingua e cultura araba riservato agli studenti di lingue orientali.
Peccato che non ci capii una cippa, e mentre tutti continuavano a fare interventi su cavilli grammaticali di cui non sapevo niente, io mi distinguevo per la prontezza con cui rispondevo su altri livelli alle interlocuzioni della lettrice linguamadre tunisina. Magari non sapevo le declinazioni modali delle radici dei verbi, ma conoscevo i nomi di tutti gli animali, sapevo dire "L'orso è sull'albero" e "Tuo nonno ha tante mogli", e ho addirittura composto una poesia... una poesia d'amore! Dedicata al beduino naturalmente. S'intitolava "Ti amo sopra l'albero", e non ve la trascrivo, perché mi vergogno un po'. Ma comunque il corso di arabo era una vera palla, e mi eclissai, anche perché sospetto che mi avessero individuata come clandestina.

Il corso di francese... uff! Che tortura!

Intanto la mia settimana tipo somigliava ad una maratona di pentathlon, io ero colta da attacchi pomeridiani di narcolessia e di insonnia notturna, ho dato mezzo esame in un semestre, ed ero esaurita.
Quando mi ruppi il braccio mollai.
Mollai tutto.
L'amica Bri, sentendosi colpevole involontaria dell'infortunio, mi prestò, per passare il tempo, i suoi fascicoli di fotografia National Geografic.
Con la fotografia già mi piaceva bazzicare, ma fu solo in seguito a nuovo non richiesto regalo di compleanno che venni in possesso della prima mia macchina seria (la prima compatta era stata dimenticata sul tettuccio dell'auto durante una corsa  in aeroporto).
Col braccio rotto leggevo i fascicoli, guardavo i cd, non fotografavo e mi deprimevo.
Ma mi sono appassionata.
Una volta eliminato il gesso, segato via pezzo pezzo, da me stessa esasperata da prurito e inabilità, ho preso a portarmela dietro quasi sempre, la reflex, quando uscivo di casa, anche per andare a lezione, o a lavoro, e sempre durante le nostre escursioni extracittadine.

Ci ho messo un po', ma alla fine l'ho trovato, quello che mi piace fare. Il mio hobby! La mia passione!
Non sono brava e non sono esperta, ma mi diverto, mi intrippo, cerco di capire, sperimento e sogno attrezzature da reporter, che mi riservo di procurarmi non appena sarò diventata ricca.
Mi guardo intorno e mi accorgo che il mondo offre tanto, un'infinita possibilità di visuali e punti di vista, che asepettano solo di essere presi in considerazione da qualcuno, raccolti, catturati.
In più questa è l'unica attività che riesco a conciliare alla perfezione con il mio ruolo di mamma.
Esco con la pupa nel seggiolino della bici e la reflex nella borsa, e mentre lei scorrazza qua e là, io dò sfogo ai miei slanci creativi.

Ecco, una sintesi efficacie delle mia attuali passioni si potrebbe condensare così:


Grazie Simo!

12 commenti:

  1. Suster, la tua poesia "ti amo sopra l'albero" è bellissima. Io chiamerei così il blog, anche se Peace and love si difende bene. Ci ho messo un pò a capirlo, dico la verità, ma poi mi sono detta:questa tipa è un genio!

    ora vado di là, da Sbubbu, e gli dico: ti amo sopra l'albero. Vediamo che risponde!

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  2. Bene! fammi poi sapere la sua reazione. E non addossare a me la colpa.
    Era una poesia ermetica: aveva solo 4 versi, ma, diciamo, molto "intensi"!

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  3. No ma te mi dai un casino di soddisfazione e GRAZIE A TE di aver partecipato! bella lei, quando parti non ti fermi più ;-)
    Incrociamo le dita, ma tanto eh?L'unica consolazione è che se vinci non ho spese di spedizione, perché un me lo farai mi'a spedì!!
    Grazie ancora topina! <3

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  4. Dico solo una cosa: bellissimo! Mi è proprio piaciuto tanto!

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  5. Evviva evviva! Sei riuscita a commentare nel mio blog! Festeggerò l'avvenimento stappandomi una penna bic, perchè al momento non ho altro a portata di mano.
    (non te lo farò spedire tranquilla!) :)

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  6. Owl... scusa! Non ti avevo vista! Nella fattispecie ti è piaciuta di più la maxi pedina degli scacchi sbilenca o anche a te la poesia Ti amo sopra l'albero? (o la mia caduta da allocca coi pattini?) ;)

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  7. mi ha risposto: e che vordì? e io: una poesia che ho scritto per te. e lui: grazie (per paura di non averla capita)

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  8. anche io mi dico sempre faccio un contest, un giveaway, un blog candy... ma poi nn partecipo mai. ora x esempio ne ho 4 a cui vorrei partecipare ma finirà come tutte le altre volte?! spero di no dai... magari oggi pomeriggio mi ci metto! ;-)

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  9. huauhauhauha!!!!!
    Dovresti avere un armadio per tutti questi oggetti che non usi più. Siccome la vita è ciclica, magari tra una decina di anni avrai di nuovo voglia di suonare il violino, o andare in giro in pattini con la pupa (ormai non più pupa), o fare bracciali e collane fai da te :D
    bel racconto!!!! :)

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  10. Ho un soppalco dove tengo tutto ciò, da quando abbiamo dovuto trasferire il materasso al piano di sotto. Il violino no. Se lo vorrà provare a suonare lei arò ben felice. I pattini sì. Il francese no, l'arabo mi piacerebbe riprenderlo. La bijotteria no. Magari il taglio e cucito, di cui tra l'altro ho dimenticato di parlare, ma con cui sono rimasta intrippata per un mesetto molto intenso... Sai qual'è il guaio quando una cosa la cominci e la interrompi tante volte? Che poi non hai più voglia di riprenderla da capo per l'ennesima volta. Uno dovrebbe essere un pochino costante. E comunque, mai dire mai!

    Debbie: ma che carino Sbubbu!

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  11. ...ecco svelato il motivo per cui io mi ritrovo un pirografo e un seghetto alternativo!!! Ma cosa fai? Sfoghi su di me le tue richieste regalifere insoddisfatte? Ebbene si ora confesserò che avevo molti progetti per l'utilizzo del seghetto alternativo. Il primo tra tutti era la realizzazione di sagome di animali in legno con cui fare giostrine per neonati, giochi e ornamenti da culla purtroppo però un giorno (fortunatamente prima dell'acquisto del compensato) ebbi l'idea di accenderlo per provare le nuove lame da legno... fu l'unica volta che lo feci! Cara Amichetta scoprii così di avere una fottuta paura degli oggetti elettrici taglienti da utilizzare troppo vicini alle mie dita.
    Ciò non toglie che forse un giorno lo riprenderò dal luogo in cui giace con il nastro da ritmica, i rollerblade, il flauto la chitarra, le perline, il fimo, le stoffe per le borse etc etc etc

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  12. Sarebbe meglio che ognuno si tenesse le proprie manie senza sfogarle sul prossimo!
    (abbiamo avuto fissazioni molto simili a quanto pare! Strano!)

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