giovedì 6 febbraio 2014

Mimi e le piccole cose. Ovvero: la felicità è un pezzo di carta da imballaggio da scoppiare.

Pensavo a questa cosa, al fatto che parlo spesso degli aspetti "faticosi" del carattere di Mimi, che è testarda, incline alla drammatizzazione esasperata delle emozioni, lunatica, scontrosa, preda di soventi e devastanti escandescenze, ma... devo anche rendere onore agli aspetti invece che più apprezzo e che più mi inorgogliscono di lei, per quanto non possa certo arrogarmene il merito, se non entro certi circoscritti limiti.

Dunque, qualche tempo fa mi è capitato di assistere ad una scena ai miei occhi sorprendente e ai limiti della farsa. In effetti per qualche frazione di secondo ho avuto la sensazione di trovarmi davanti a uno spettacolo inscenato per registrare le reazioni degli astanti, tipo una candid camera.



Comunque, ero con Mimi nel negozio di giocattoli più frequentato della città, perché si trova sul corso principale, in centro, è ben fornito e soprattutto è organizzato come una specie di percorso espositivo, dove il piano superiore è un susseguirsi di sale della meraviglia, tappezzate di oggetti del desiderio per tutte le età raggruppate per aree tematiche: la sala dei lego, la sala dei giochi da maschio, la sala delle case di bambola, etc. Io Mimi capita che ce la porti,in questo negozio, quando siamo a passeggio per le strade del centro, unicamente come diversivo e intrattenimento, ma mai lei ha mai preteso che ne uscissimo con le mani più piene e il portafogli più leggero di quanto non fossero al nostro ingresso. Anche perché se no smetterei semplicemente di portarcela.

Quindi siamo a tutti gli effetti delle scroccone del desiderio, ci inebriamo della voluttà del possesso senza peraltro lasciare che il suo appagamento ce ne svilisca l'oggetto e il sentimento, e ci riempia casa di robaccia, infilandoci nel circolo vizioso del sempre più.

Invece a quanto pare la bambina che frignava davanti allo scaffale dei Cicciobello era abituata ad andare lì per uscirne a mani piene, e quella volta stava ingaggiando un braccio di ferro all'ultimo sangue col padre perché non voleva obbligarsi a scegliere tra l'acquisto di una bambola e quello del suo (della bambola) seggiolone. A nulla son valsi gli inviti garbati e sensati del padre solerte a riflettere sul fatto che il giorno prima appena essi avessero giustappunto acquistato un'altra bambola, e che non sarebbero mai usciti di lì con entrambi gli articoli, quindi, che scegliesse una buona vota, senza più capricci. In tutto ciò la commessa che assisteva, lungi dal portar soccorso al padre, attendeva paziente, elencando le caratteristiche di entrambi i prodotti, che poi alla fine, come prevedibile, vuoi per evitare di prolungare la sconvenientissima scenata, vuoi per debolezza delle paterne posizioni, sono stati portati entrambi al piano di sotto alla cassa, e poi, suppongo in macchina, e poi, suppongo in casa, e poi, suppongo, aggiunti nel mucchio delle bambole già possedute.

Allora io adesso non voglio dire: Ah! Mia figlia! Lei sì che si diverte con un tappo di sughero e due ciavatte rotte! No. Mimi ha un numero cospicuo e più che sufficiente di giocattoli (acquistati o ricevuti in regalo da una schiera di zii acquisiti e parenti prossimi più che ben disposti a soddisfare ogni suo desiderio possibile e futuribile) tale da permetterle finanche di dimenticarsene per mesi qualcuno in fondo ad uno scaffale.

Però quello che mi piace di lei è che sa apprezzare, almeno per ora, le cose semplici, e sa soddisfarsene.

Esempi:

  • Un giorno la lascio col padre per andare al supermercato, torno con le buste della spesa, busso alla portafinestra della cucina e mi viene ad aprire lei. Mi saluta con un "Mamma! Sei tornata!" entusiasta che mi allarga il cuore, manco mi avesse persa di vista da giorni, poi aggiunge un "Cosa mi hai portato?" che mi getta nel panico. "Ti ho portato... Vuoi sapere cosa ti ho portato, Mimi?" Rispondo annaspando penosamente nel riepilogo mentale della mia lista della spesa appena fatta. "Ecco, guarda cosa ti ho portato. Ti ho portato... un bel... pacco di... cerotti!" "Che bello! Grazie mamma! Sono così felice! Evviva! proprio quello che desideravo!" E ditemi se non sono soddisfazioni.
  • Al rientro da scuola. La vado a prendere e la trovo un po' di cattivo umore. Rompe un po' le scatole a casaccio, le dico di stare buona che poi le darò un premio. Arriviamo a casa e io intanto me ne scordo. Per la verità non avevo preparato proprio niente per lei, ma pensavo che qualcosa mi sarebbe venuto in mente. Mentre sono in altre faccende affaccendata la sento che esclama: "Oh, mamma, cosa mi hai comprato! Che bello! La carta con le bolle da scoppiare! Grazie!" Esce dalla camera saltellante con in mano un foglio di carta da imballaggio venuta fuori chissà da dove. E anche stavolta, l'ho scampata.
  • Torna da scuola insieme al padre, entra in casa e si precipita da me brandendo un mazzolino striminzito di margherite gialle malmesse, strappate da qualche sfortunata aiuola di passaggio: "Mamma! Guarda che bel mazzo di fiori mi ha COMPRATO Buia! Guarda che meravigliosi i miei fiori! Ti piacciono? Ah ah!" (Risatine di emozione contenuta). Mah.
  • Una volta ho trovato accanto a un cassonetto un cestinetto di vimini con manico che mi è sembrato in buone condizioni. L'ho ispezionato un po' e l'ho raccattato, portato a casa, utilizzato per raccogliere le formine del didò. "Mamma!! Mi hai "comprato" il cestino di Cappuccetto Rosso! Grazie! Che bellissimo questo regalo! Lo amo tanto!" (e altre espressioni simili di estremo apprezzamento, mai sperato) Non avrei potuto farle regalo più gradito. Quello è stato per giorni il suo gioco più sfruttato, riempito, portato attraverso boschi immaginati, e poi svuotato e riempito ancora. Un successone.
  • La volta che ho speso più soldi è stata quella in cui mi trovavo con lei in una cartolerie-copisteria per fare alcune fotocopie. Lei a momenti smonta il negozio, in preda a raptus di entusiasmo epifanico di fronte a scaffali pieni di fiocchi da regalo e confezioni di pastelli colorati, sicché al termine dei miei affari, mi sento in dovere di acquistare qualche aggeggino per ovviare al disturbo arrecato dalla di lei esuberanza, più che per farla felice. Scelgo a casaccio un tubetto di Crystal ball, che non credevo più in commercio almeno dal 1988. Credevo di spendere qualcosa come un euro, invece quasi sbianco quando la cassiera mi spara una cifra di ben tre volte superiore alle mie aspettative. I tre euro peggio spesi della mia carriera di mamma, se considero che lei sarebbe stata forse altrettanto se non più soddisfatta se le avessi raccolto un geranio dal vaso antistante la suddetta cartoleria (e se lo sarebbero meritato, ecco).
Perché voglio condividere qui questi episodi?
Perché mi chiedo se troppo spesso non siamo noi ad avere e a crearci aspettative errate riguardo le reali necessità o ai desideri dei nostri figli, e se in questo modo non facciamo loro un pessimo servigio, abituandoli al rituale viziato e vizioso della presa di possesso di beni inutili, ad un piacere che si esaurisce nell'atto della presa di possesso di qualcosa da cui, a ben vedere, non traiamo alcun giovamento maggiore dal momento in cui ne possiamo disporre a nostro piacimento.
Mi chiedo anche se Mimi abbia compreso il senso del termine "comprare", e per la verità credo di no. Ma esistono infiniti verbi ben più belli e più importanti di cui credo sia più urgente che comprenda il significato.
Poi che lei non ha alcuna cognizione della diversa entità del valore monetario degli oggetti, visto che con la stessa facilità è capace di chiedermi il permesso d raccogliere una rosa da un giardino, o di domandarmi: "Mamma, ti piace questa macchina? Ce la compriamo?" Al che le rispondo: "Sì, per me va bene. Ma poi che ne facciamo di quella nostra vecchia? La buttiamo?" "No, mamma, poverina, teniamola! E' bella la nostra macchina!"

E così, gente, niente: mi ritengo una madre davvero fortunata, benché squattrinata.



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