lunedì 17 novembre 2014

Il viaggio ti salverà da questa palude dell'anima.

Ci sono giorni, ci sono periodi, che l'umor nero prende il sopravvento, e tu rimani prigioniera dei tuoi pensieri ossessivi, claustrofobici. Ti svegli con loro, ti accompagnano per l'intera giornata.
Non è che tu non veda il bello e il buono nella tua vita, non è che tu non sia grata per ciò che hai e ciò che hai ricevuto, non è che non ti basti.
Non è che vuoi di più. Non è niente di tutto ciò, è l'assenza di prospettive, il sentirti in trappola, l'insoddisfazione di te, il chiederti continuamente: "Potevo fare di più? Ho usato al meglio la mia vita? Il mio tempo finora?" E rifiutare di risponderti, perché la risposta è avvilente.
E' il tarlo subdolo dei potrei, avrei potuto, avrei dovuto, dei rimpianti che riempiono le fosse.
In mezzo, mischiata, c'è la paura, tacita, nascosta, perché guardarla in faccia ti fa ancora più paura, e allora eviti di farlo, la allontani, scacci quel pensiero.
La paura del domani, la paura di non trovare più strade percorribili, di non corrispondere alle aspettative, tue o di chi ti ama, di dover un giorno giustificarti di fronte a tua figlia, o alle tue figlie per ciò che non sei stata in grado di garantire loro, per aver chiuso vie di fuga anche a loro, per non aver saputo offrire orizzonti più vasti, e limpidi.


In questi giorni puoi anche cercare una motivazione del tuo malestare nella tua condizione di single momentanea con due bambine piccole, nell'isolamento che è dato dalla routine con loro, nella lontananza della famiglia, nelle piccole guerriglie domestiche, che ti logorano i nervi e ti lasciano sfinita anche fisicamente, come se avessi fatto a botte con dieci balordi, che ti lasciano scontenta di te una volta di più, per la tua incapacità di gestire i rapporti, di mantenere il controllo, di arginare i conflitti prima che deflagrino, di fornire quelle sicurezze emotive e affettive che, sei sicura, renderebbero vane quelle manifestazioni plateali di rabbia, e disappunto, di ostilità nei tuoi confronti, si direbbe quasi.
Puoi anche pensare che tutto ciò non ti aiuti a ritrovare i tuoi equilibri, che hai bisogno di una persona adulta accanto, con cui confrontarti alla pari, con cui non dover incarnare un ruolo educativo che prevede la messa in sordina di alcuni tuoi sentimenti, una persona a cui a fine giornata poter dire: "Sono stanca, prepari tu la cena?"

Forse è anche una mancanza di prospettive comuni, che ti prostra, il non sapere il come o fino a quando e se sarai in grado di andare avanti così, se è giusto nei confronti di lui, delle bimbe, e anche nei tuoi, che archiviato tutto il resto, compresi i sogni, ti sei infilata con tutte le scarpe nell'impresa titanica quanto angusta di mettere insieme una realtà domestica accettabile e portarla avanti, giorno dopo giorno, tra scuola e nido, nido e casa, casa e giardini, giardini e amichetti, e poi supermercati, poste, ancora casa , e ancora giardini, dormire svegliarsi ancora con loro, ricominciare un'altra giornata, uguale ma diversa, come tutte le giornate diverse tra loro, con nuove questioni su cui incapricciarsi, e qualcosa di diverso da inventarsi per cena.
E sempre quei pensieri grigi ad affollarti la testa, che non ti lasciano.
Disperazione, angoscia, solitudine, nera solitudine.
Senti che così non va e senti che non hai più voglia di lottare per cambiare.
Ti chiedi quando hai cominciato a sbagliare strada, a fare passi falsi, prima di trovarti in questo vicolo cieco.
Ti aggrappi alle bambine ma loro non possono salvarti. Loro hanno bisogno di un rifugio sicuro, di certezze, poche, ma granitiche, hanno bisogno di non vederti tremare sotto il peso delle loro domande scomode.
Hanno bisogno di una madre che non si senta una fallita.
Puoi riempirti le giornate di attività ludico ricreative da fare e far fare con e per loro.
Quei pensieri comunque sono lì, no ti lasciano.
E poi sforzarti ogni giorno di mantenere la calma, di essere serena, di far quadrare tutto, per cosa?
Per rimanere in questa miseria?
Per fare le pulci sulla spesa alimentare? Risparmiare in vista delle tasse da pagare a fine mese?
Non ho mai creduto che i soldi fossero una priorità per me. Non lo sono.
Ma servono cazzo.
Mi son sempre fatta bastare pochissimo per vivere, anche quando lavoravo, ed ero studente. Risparmiavo quasi tutto. Mettevo da parte in vista di progetti che poi mai ho realizzato.
Ma con quel denaro risparmiato ho potuto campare negli anni successivi, quando servivano, e il mio progetto ormai sfumato, troppo caro era quel progetto anche per i miei sudati anni di risparmi, e forse non mi avrebbe portato da nessuna parte.
Non sono andata da nessuna parte.
Non andrò mai da nessuna parte.
Non ho le palle e non ho la tenacia. Non ho la forza, e non è più tempo.
Ogni giorno diventa pesantissimo quando non hai prospettive, e ti sembrano tutti la copia fotostatica sbiadita del giorno precedente e poi ancora domani.

A questo punto mi trovavo, impantanata, incapace di uscirne, ossessionata dai miei pensieri neri, che mi sforzavo di cacciare, di contrastare, succube, passiva, anche un po'vittima di me stessa.
Il cambiamento a volte arriva da dentro, altre volte hai bisogno di volgerlo all'esterno.

Impegni familiari mi chiamano via.
L'incertezza di imbarcarmi in un altro viaggio con le bimbe, la piccola convalescente sotto antibiotico, con l'inserimento al nido appena cominciato, la grande così faticosa e ingestibile nei suoi momenti di contrarietà, la scarsa voglia di mettermi a fare valigie per tutti, sistemare i gatti, programmare i tempi del viaggio, i cincischiamenti vari a un certo punto li ho spazzati via e sono partita.

Allora è successo qualcosa di incredibile e terapeutico.
Il viaggio, ancora una volta, mi ha salvata.
C'era un mondo là fuori che continuava la sua vita, un mondo vasto e vario, dai molteplici paesaggi, mentre io continuavo la mia esistenza in apnea, nel pantano dei miei abbattimenti quotidiani, un mondo così bello da esser commuovente, dove non trovava posto la scala di grigi, e neppure il nero più profondo. C'era un mondo che andava avanti, malgrado me.

E' bastato poco in fondo. Guidare, sentirmi responsabile della mia strada, del tragitto da scegliere.
Spazzi via tante paure, nell'affrontarle. La paura di non saper gestire i contrattempi, le emergenze, la paura di perderti, e di sbagliare strada, la paura di rimanere fermo a bordo carreggiata, con il motore fuso, ché non si sa mai con la nostra auto, nel bel mezzo del nulla, con due bambine.

Niente di tutto ciò è avvenuto.
Ho visto il panorama cambiare davanti ai miei occhi scendendo a sud, e da un autunno ormai ingiallito e stanco muoversi verso chiome ancora brune e dorate da stagione incipiente.
Ho capito che posso anche fare da sola.
Ho pensato anche che questa metafora della vita come viaggio io ce l'ho proprio dentro e così tanto la sento reale che a volte mi basta cambiare aria per scrollarmi di torno quella puzza di stantio e palustre che mi sento addosso.

Penso che la strada non la impari finché c'è qualcun altro che guida per te, e tu stai seduta sul sedile passeggeri a guardar scorrere il paesaggio dal finestrino. E non la impari finché non devi scegliere tra i vari svincoli quello giusto, e prestare attenzione quando arriva, e magari dovrai perderti molte volte prima di impararla, e sbagliare finché non avrai capito dove era che sbagliavi.
Allora impari anche a interpretare correttamente la segnaletica, a fare caso agli autovelox, a tener d'occhio le tariffe della benzina ad ogni stazione di servizio che superi.
Finché qualcuno guida per te non ti rendi conto di quanto sia determinante prestare attenzione alla strada, di quanto sia importante concedersi una pausa dal viaggio, a un certo punto, quando inizi a sentirti stanca.
Penso a tutto questo e penso che non c'è motivo di avere paura, perché la strada di tutti prima o poi porta da qualche parte, e se rimani per strada è sempre possibile chiedere aiuto, e se sbagli puoi sempre tornare indietro.
Ogni tanto qualcuno esce di strada e il suo viaggio finisce lì.
Sarà comunque valsa la pena aver viaggiato, piuttosto che restare fermi al punto di partenza.

Assicurati di avere carburante sufficiente prima di partire, e riduci al minimo le incognite.
Lasciati aperte tutte le strade, anche le più accidentate, perché al termine del percorso l'unica cosa che conterà non sarà la fatica fatta per arrivare dove sei arrivato, ma solo quello che avrai incontrato e visto, e vissuto nel corso del viaggio.

Una volta un'amica mi ha scritto a proposito del mio trasloco virtuale che l'immagine delle barche ferme nel porto di Misurata, scelta come header del nuovo indirizzo del blog le sembrava indicativa del mio stato d'animo mutato; il paragone con l'altra le era subito balzato all'occhio:
il moto perpetuo del fiume contro l'immobilità delle barche in secca...
Protestai allora che la scelta dell'immagine era stata dettata da ragioni puramente estetiche, insieme alla volontà di inserire un elemento che richiamasse un poco la cultura beduina (intesa come araba, sia chiaro), dato anche il titolo del blog.
Ma l'inconscio è forse un po' più fragile.
Forse aveva ragione lei, forse il mio inconscio a volte non lo è poi tanto, se diventa conscio attraverso le metafore dei miei stati d'animo, che altrimenti non saprei esprimere.
Forse sarà il caso di riportare quelle barche in acqua.
Sarà faticoso, immagino, a giudicare dalla stazza.
E poi, sembrano malandate: ce la faranno a stare a galla?
Non so quanto ci vorrà.
Ma va fatto.


9 commenti:

  1. Grazie Suster...semplicemente grazie. :*)

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    1. Grazie a te, che mi segui e commenti con una puntualità che un poco mi confonde...
      Fare "rete" è anche questo, credo. Scambiarsi tanti "grazie", perchè evidentemente c'è qualcosa che diamo e riceviamo dagli altri, per cui sentiamo il bisogno di ringraziare.
      ;-)

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  2. Noi abbiamo due vite completamente diverse, ma molto spesso i tuoi post arrivano al momento giusto, e gli stati d'animo corrispondono. Come in questo caso. Non so cosa serva a me per uscire dal mio buco nero di insoddisfazione, un viaggio si, ma da sola forse, anche solo due giorni. Ma non è molto fattibile per me al momento.
    Ilenia

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    1. Se ne esce, se ne esce.
      Quella del viaggio è stata l' occasione per me, ma non è detto che possano essercene altre e diverse.
      Che poi sembra che chissà che viaggio ho intrapreso... Non ho fatto che andare da mia madre per qualche giorno, ma è che dovevo staccare col cervello. Le persone poi aiutano. Circondarsi di persone, uscire, fare cose. Mi rendo conto che in genere non va. Quando ci sei dentro non hai la forza né la volontà per attivarti e uscirne, sei solo stanca di tutto.
      Ma poi passano, sì, passano...
      Un abbraccio

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    2. Ma non è detto che NON possano!

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  3. interessanti narrazioni di quotidianità di donna ...madre , moglie, della vita che va...

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    1. Felice che qualcuno possa trovarle interessanti!
      A presto

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  4. A me piace come scrivi e fai sembrare le cose poetiche con la tua narrazione nonostante la vita a volte lo sia meno.

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    1. Tiro fuori qualcosa di poetico solo se la vita mi trasmette della poesia. Ti assicuro che L'Aurelia in autunno è qualcosa di commovente tanto è bella. Non lei ma quel che vedi percorrendola... ;-)

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