venerdì 28 novembre 2014

Libri: il peso delle parole.



Titolo: La grande fabbrica delle parole

Autore: Agnés de Lastrade

Illustratore: Valeria Docampo

Editore: Terre di Mezzo

Voto: 10


Eccolo finalmente: l'ho inseguito tanto, come non mi capita spesso di fare coi libri.
L'ho cercato e corteggiato, l'ho atteso e fantasticato.
Infine è arrivato.
Ne avevo letto in rete, qualche tempo fa, e per prima cosa mi sono innamorata delle illustrazioni; incuriosita dal tema poi e dall'originalità dell'ambientazione, un Paese fantastico, ai limiti del metafisico, in cui le parole non si pronunciano mai a cuor leggero, dal momento che ognuna di esse per essere pronunciata deve prima essere acquistata, pagata in base al valore di mercato, poi ingoiata.
Immaginate dunque quale debba essere la cura e l'attenzione nella scelta del proprio eloquio da parte degli abitanti del Paese in cui sorge la Grande Fabbrica delle Parole.
Ovviamente, come in ogni Paese che si rispetti, tanto in quelli reali, quanto in quelli immaginari, vi sono disparità di condizioni sociali ed economiche, e anche qui c'è chi può permettersi di scialacquare in chiacchiere e luoghi comuni, chi invece è costretto a fare i conti con le sole parole che può permettersi, e puntare all'essenziale.

In questo Paese le botteghe espongono insegne in cui reclamizzano "Modi di dire per ogni occasione", o prospettano spaghettate di discorsi, e ci sono parole che ogni tanto vengono buttate via, nell'immondizia, da chi le ritiene ormai superflue, e c'è chi anche si accontenta di rovistare tra i rifiuti altrui pur di portarsene a casa qualcuna; in questo Paese a volte le parole vengono trascinate dal vento, e i bambini possono acchiapparle coi retini per le farfalle.



In questo paradossale teatro si svolge la vicenda, semplicissima e commovente, di Philéas, il piccolo protagonista di questa storia dolcissima, e di Cybelle, la bambina di cui è innamorato.

Philéas non ha tanti soldi, ma vuole comunque poter esprimere i propri sentimenti a Cybelle regalandole le parole che è riuscito a raccogliere.

Come è possibile parlare al cuore se la lingua non possiede che tre semplici parole ordinarie e quotidiane?
Esiste un linguaggio che va oltre il significato di ciò che diciamo?
Cos'è che rende così importanti le parole di Philéas?
Perché come Philéas pronuncia a Cybelle quelle tre parole tutto il mondo intorno sembra cambiare, colorarsi, farsi più caldo e luminoso, passare dai bruni spenti e freddi della gamma cromatica finora dominante nel libro al rosso ciliegia, come quello del vestito di Cybelle.
Le parole di Philéas riempiono l'aria e l'atmosfera intorno, svolazzano allegre come farfalle, quasi a ricordarci che spesso non serve riempirci la bocca di paroloni e vuota retorica, che la potenza del linguaggio si sprigiona quanto più accurata e attenta è la scelta di ogni singolo vocabolo, che il potenziale della lingua è immenso, e che una parola da sola può evocare mondi, ed emozioni e schiudere porte nell'animo di chi le riceve.




In fondo si dice che anche a Dio bastò il Verbo per creare l'Universo.

Una riflessione per nulla scontata proposta in una forma semplice e poetica: questo libro invita a considerare il valore dei contenuti, in un mondo in cui, sempre più, le parole si retribuiscono davvero "a peso" a discapito della qualità e dell'essenzialità del messaggio che si vuole trasmettere; autori mercenari riversano fiumi di caratteri nella compilazione di testi per altri, annoiati, demotivati, puntando a "raggiungere il numero".

E mi sembra che di fronte a tutto questo profluvio mediatico di opinioni, contraddittori e autoproclamazioni di chi sbandiera slogan ad effetto per ottenere risposta di pubblico, sia più che attuale l'invito a restituire alla parola la sua giusta importanza, la sua valenza quasi magica, nella sua capacità di materializzare quasi l'immagine di ciò che significa.

Queste le mie impressioni, di una che con le parole spesso e volentieri ci gioca, che si lascia prendere dal loro suono e ne stravolge il senso, che troppo di frequente ne usa più di quante dovrebbe o fosse necessario.
Ma il libro era comunque indirizzato a Mimi, anni 4, non a me.

Tante volte da ché son diventata madre, mi è capitato di fermarmi a riconsiderare il valore del linguaggio, di stupirmi di come sia profondo e incredibile il processo di apprendimento della lingua, e di cosa significhi per loro imparare ad esprimersi con le parole.

Mimi lo sa, che il mondo delle parole lo indaga e lo esplora sin da piccolissima, che si nutre di racconti e che mi chiede ogni giorno: "Mamma, mi dici cosa significa irruento?" oppure: "Mamma, non ho capito bene cosa vuol dire patrimonio".

Mimi che a due anni voleva sapere il nome dell'alloro, del melograno, della mimosa e del cedro del Libano, che non diceva "guarda, mamma che bei fiori" ma: "guarda, mamma, che bello il Blicine", o la bouganville, aveva già capito quanto fosse potente il linguaggio, quanto più pregnante potesse essere descrivere un prato in primavera quando ad ogni nome corrisponde quel dato profumo e colore, e forma dei petali, e non un'altra, raccoglieva malva e primule di bosco, e non solo fiori.

Che a volte si impunta e si rifiuta di dire "mi dispiace", oppure "scusa", di ammettere "ho sbagliato" finché sono io a insistere perché lo faccia, che si rifiuta di pronunciare quelle parole finché davvero non le sente sue.
Che altre volte mi fa sorridere con frasi del tipo: "Grazie mamma che mi dici tutte queste belle parole. Sono davvero lusingata per quello che mi hai detto".
Altre volte: "Ti dico una cosa, ma... è un segreto, vieni qua che te lo dico all'orecchio".
Mimi sì che lo sa cosa significa regalare a qualcuno le tue parole, quando sei ben consapevole del loro reale valore e significato, e non è solo un pro-forma.

E poi c'è Rania, che ha 20 mesi e ancora si aggira in un momento esilarante del suo percorso verbale in cui parole e frasi sono fantasiosi aggregati di sillabe in libertà, e dove è il tono piuttosto a decretare il senso di quel che vuole dire.

Ma già iniziano a stagliarsi nette alcune parole sovrane, di indiscussa supremazia semantica, quali "Mimi!" "Via, via!" "Di là!" "Gira gira" "Acqua" "Alta alta" e ogni nuova conquista è un trionfo, che a volte per giorni interi va ripetendo, affinando la pronuncia e arrotolando la lingua, come ora che impara a rispondere: "Sì!" consapevole dell'enorme potere di quell'unica sillaba, che significa tutto un mondo di cose, riassumendo il biblico: "Tu l'hai detto; è come tu dici".

Ecco. A loro non c'è bisogno di ricordare, forse non ancora, quanto sia importante il rispetto delle parole e riconoscere che sono un bene prezioso, da non sperperare.

Loro il valore delle parole ancora lo possiedono, come Philéas.
A loro questo libro parla senza bisogno di interpreti.

 C I L I E G I A... P O L V E R E... S E G G I O L A.

Il post partecipa a I venerdì del libro

Qui per chi volesse, la pagina con i libri recensiti finora sul blog.
Qui la libreria di Mimi su Anobii.
Qui la mia.

2 commenti:

  1. Bellissimo!!! Sarà sotto il nostro albero di Natale e te lo dico per certo... ho avuto una soffiata da un certo omino vestito di rosso ;-)

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  2. Lo voglio.
    Ho giusto un codice sconto IBS.

    Susibita

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