giovedì 12 novembre 2015

Inside out. Emozioni sul grande schermo


Un tempo ero una blogger più assidua. Non più brava, non più figa, ma sicuramente più assidua.
Così riuscivo a concretizzare molte idee che mi passavano per la testa, come rubriche di cui nessuno sentiva l'utilità e pseudorecensioni di mostre che non interessavano a nessuno, e solo una volta che erano terminate, così, anche volendo, nessuno avrebbe potuto andarle a vedere dietro mio consiglio.
L'ho detto che ero più assidua, ma ciò non vuol dire che fossi più efficiente, né più al passo con l'attualità.
Perciò, perché smentirmi ora, solo perché ho cambiato indirizzo al mio blog e sono un po' più schiva?
Dunque da circa un mese a questa parte, da quando cioè sono stata al cinema con le bimbe a vedere l'ultimo film della Pixar, mi sarebbe piaciuto parlarne qui.
Ma i miei aggiornamenti sono sempre più sporadici e faticosi, e non ce l'avevo ancora fatta, a concretizzare questo proposito.
Fino ad ora! (Papparapààà!)
Ora che probabilmente il film non sarà più nelle sale, ma fa lo stesso.
D'altronde ci hanno spaccato le palle con Frozen fino al mese scorso, con vestiti di carnevale di Elsa, feste a tema, un merchandising spietato e cover di Let it go su YouTube. Potrò attardarmi un pochino sull'onda delle mie impressione tutto sommato ancora abbastanza fresche (tutto è relativo, signori miei. Considerate che negli ultimi cinque anni io sono entrata in un cinema in tutto quattro volte. Fate un po' voi).

Malgrado la presenza dei pupazzetti di peluche di Inside Out al Carrefour e album da colorare ovunque a go-go, ho avuto come l'impressione che, rispetto all'illustre predecessore (ma ce ne sono stati altri in mezzo? Non sono abbastanza informata a riguardo, e ciò è malissimo per una blogger o aspirante tale), e malgrado i soliti record di incassi millantati, quest'ultima realizzazione della Pixar sia passata un po' in sordina, insomma, che non se lo siano filato in molti.
Eppure per quanto mi riguarda ero impaziente che uscisse nelle sale, da quando avevo visto il trailer.

L'idea di fondo è geniale (come del resto c'era da aspettarsi dalla mente del regista-sceneggiatore di film quali Monsters & co. e Up): mettere in campo le emozioni dell'animo umano come fossero personaggi.
Ma come avrebbero sviluppato la trama a partire da questa idea? Mi chiedevo.
Certo, portare avanti l'intero film con l'espediente del dentro-fuori sarebbe risultato artificioso e, alla lunga, monotono. Allora mi figuravo i possibili sviluppi della vicenda con queste emozioni personificate che, in qualche maniera da definirsi, si materializzavano al di fuori dell'animo della protagonista, nella vita reale insomma, e interagissero con lei, ciascuno secondo il proprio, peculiarissimo temperamento, e da lì tutta una serie di possibili gag e situazioni surreali.
Niente di tutto ciò.
La trama del film effettivamente risulta alquanto essenziale e poco articolata, e diciamo che si riduce ad una sorta di viaggio simbolico delle emozioni (Gioia e Tristezza) all'interno del cervello (della psiche?) in un momento molto particolare della vita della protagonista, la piccola Riley.
La famiglia di Riley si trasferisce per lavoro dal Minnesota, isola felice della sua infanzia, a San Francisco, segnando il crollo del mondo fino ad allora noto e amato dalla bambina, e in certo senso l'inizio della fine della sua infanzia.
Il film è, a grandi linee, metafora del crescere, e di come sia faticoso, a volte destabilizzante, e di come sia difficile individuare e riconoscere, in quel terremoto di cambiamenti, se stessi, ciò che si è stati, le proprie emozioni, la propria identità e continuità.
Dunque credo che questo sia un film concettualmente non pensato PER i bambini.
Ma ciò non significa che non sia adatto ai bambini, ammesso che siano già abbastanza grandicelli da riuscire a seguire una sceneggiatura in gran parte basata sui dialoghi, e su dialoghi di una certa complessità, continuamente ammiccante al mondo adulto, con frequenti riferimenti alle teorie psicanalitiche e ad una infarinata di neurologia per quanto condita di fantasia.

Mimi, ad esempio, cinque anni compiuti da un po', l'ha seguito con partecipazione, capito per sommi capi, ma immagino che certi passaggi siano rimasti per lei piuttosto oscuri da un punto di vista diciamo speculativo (tipo il riferimento ad alcune regioni della mente quale il pensiero astratto o il subconscio), altri che le siano decisamente estranei da un punto di vista esperienziale ed emotivo.
Poiché il film in definitiva abbiamo detto che parla del crescere, e precisamente della preadolescenza, immagino sia normale che chi ancora si trovi nella flagranza della propria infanzia, non sia in grado di comprendere a pieno la tematica principale del film, dal momento che non l'ha, grazie a Dio, ancora attraversata, mai vissuta.
Ma questo non è tuttavia rilevantissimo ai fini del puro godimento, e di una comprensione generale delle vicende e del gioco tra interno-esterno richiamato dal titolo: le emozioni che guidano la scelte di Riley, il suo mondo interiore e poi quello esteriore, dove tutti noi ci muoviamo, dove accadono le cose nude e crude.

Per quanto riguarda Rania è stata tutta un'altra faccenda.
Dal decimo minuto la mia duenne ha iniziato a dare cenni di insofferenza. Al quarantesimo era palese che si stesse annoiando, e che probabilmente non stesse capendo una ceppa di quel che accadeva sul grande schermo. Al cinquantesimo risuonava in sala il primo accorato "Agniamo via, mamma? Shono ttanca!" Seguito da frequenti e reiterati "Voglio annare a ccasha!" e "Ora batta quetto cinema!"
Allo scoccar dell'ora di proiezione mi auguravo che quella tortura finisse presto.
Invece mancavano ancora 34 minuti.
Decisamente, è un film che non raccomando prima, forse, dei quattro anni di età. Forse dei cinque.
Ma forse mi sbaglio.
Comunque sicuramente a due anni e mezzo è ancora troppo presto, sappiatelo (e va be', dite che sono stata troppo pretenziosa?).

Comunque per altri versi l'ho trovato, invece, un film meritevole, e per certi aspetti illuminante, geniale, come già ho detto, per la realizzazione e l'articolazione di certe idee di base.
Le emozioni, scelte tra una vasta gamma di possibili, sono quelle più immediate, le primordiali, e sono cinque: Gioia, Tristezza, Rabbia, Disgusto e Paura.
Certo, c'è da dire che io trovo abbastanza rilevante anche Vergogna (o il suo contrario, Orgoglio) e, per lo meno, Calma, ma potremmo far rientrare la prima in una declinazione di paura (paura di un giudizio sociale negativo?) e la seconda come una sorta di "assenza di emozioni" o forse come una sorta di gioia mitigata in serenità.
Ma senza scendere in sottigliezze, quel che ho trovato importante, nello sviluppo del film è come le emozioni, nel corso della vita, si modifichino, cambino di natura e di intensità.
Se le emozioni dell'infanzia sono pure, schiette e totalizzanti (la rabbia è rabbia nera, devastatrice, la gioia è gioia senza ombre, la paura non guarda in faccia al razionale o all'irrazionale), tanto difficili da comprendere spesso per noi adulti che ci troviamo a dover fare conti con quelle dei nostri figli, col crescere esse si contaminano, si mescolano, e diventano più complesse.
Nei ricordi un tempo felici di Riley, generati da Gioia in gran quantità sin dalla sua nascita, perché Riley ha la fortuna di aver vissuto un'infanzia felice, si affaccia un'ombra di tristezza; è la tristezza del tempo che è passato e che non tornerà, della consapevolezza che non ci appartiene più. Noi la chiamiamo malinconia, ed è fatta di languore e di dolcezza, e davvero, non saprei se inserirla tra le emozioni felici o tra quelle tristi, perché ne abbiamo bisogno per poter contemplare il nostro passato e conservarlo come un ricordo prezioso.
Così si suppone che anche le altre emozioni divengano via via più variegate e strutturate.
Il viaggio nella psiche però riguarda solo Gioia e Tristezza: sono loro le emozioni dominanti nella nostra vita, sono loro la cartina tornasole del nostro umore. Le altre le definirei più che altro emozioni di emergenza, che non possono permanere a lungo in noi, perché sono intense, violente, e richiedono una reazione pronta; servono a risolvere situazioni d'urgenza. E saranno quelle che cacceranno Riley nei guai, facendole architettare e attuare una fuga da casa. E sono anche quelle che tanto spesso ci sfuggono di mano durante la nostra adolescenza (anche se, per quanto mi riguarda, ho ricevuto dosi massicce di Tristezza, ché ne avrei volentieri fatto a meno, ma forse era inevitabile. Non sono mai stata una bambina gioiosa come Riley).

E' principalmente su Tristezza che si incentra l'attenzione del film. Tristezza è quel sentimento che tutti noi rifuggiamo, quello che vorremmo evitare ai nostri cari, ai nostri figli, quello di cui a volte ci vergognamo, quello che non favorisce le relazioni sociali, perché nessuno vuole intorno un individuo cupo, negativo, uno che rende l'atmosfera intorno a sé pesante. E' così che ci appare Tristezza all'inizio del film. Ma sarà davvero così? A cosa serve la Tristezza, se tutte le altre emozioni hanno un ruolo ben preciso nella vita di Riley?
E come mai sarà proprio Tristezza a risolvere situazioni critiche quando Gioia si dimostra incapace di farlo?
A pensarci bene una persona che reagisce in maniera spensierata e propositiva sempre a tutto a volte può risultarci fastidiosa, fatua, o addirittura molesta.
La tristezza serve a segnalarci che qualcosa dentro o fuori di noi non va, serve a chiedere aiuto, serve a creare empatia (come accade con Bing Bong, l'amico immaginario di Riley bambina, disperato perché la protagonista lo sta dimenticando). Serve, come dichiara a un certo punto la stessa Tristezza, a "fissarsi sulla gravità delle situazioni", e da lì provare a reagire per risolverle.
Dunque il messaggio è: riconoscere e accettare le proprie emozioni. Tutte. Perché ciascuna di esse ha un ruolo importante nella ricerca di una nostra armonia interiore, nella formazione di una nostra identità.

E poi: che cosa è la nostra personalità? Chi siamo noi veramente? Siamo le stesse persone di quando siamo nati? E che ruolo hanno le nostre esperienze? I nostri ricordi? Gli scossoni della nostra esistenza?
Personalmente, come genitrice, la prospettiva di dover affrontare, dall'altro lato, dopo aver affrontato la mia, anche la crescita delle mie figlie, mi ha messo addosso un certo sgomento e turbamento.
Il mondo infantile di Riley, la sua personalità strutturata attorno a poche, riconoscibili, costanti, viene a poco a poco a mancare, cade letteralmente a pezzi sotto i colpi inesorabili della vita: le delusioni in amicizia, la famiglia che non ti capisce più, o accorgersi di non essere più capaci di giocare a fare le smorfie con papà come quando eri più piccola, la prima volta che tradisci la fiducia dei tuoi, la prima volta che non ti senti più all'altezza delle situazioni.
Crescendo arriverà a costruirsi una nuova personalità, in parte simile alla vecchia Riley, in parte nuova, sicuramente più complessa, varia e sfaccettata.
E questo è il bello del crescere, ma la Riley bambina non esiste più, è caduta in pezzi. Come può una madre guardare a questa inconfutabile realtà prossima senza sentirsi un poco un nodo alla gola, quando è lì a guardare questo film con a fianco la sua bimba di cinque anni e in braccio la piccola di due, e ogni giorno si sforza di affiancarle nel difficile compito di far emergere la loro peculiare e già in auge personalità?
Ammetto che questo aspetto mi ha un po' provato. Ma è giusto che io sappia, in fondo.
Mi fermerei qua.
Solo una nota sull'esilarante excursus finale: una panoramica interiore sul team di emozioni che albergano in ogni singola comparsa del film. Fantastiche quelle del cane e del gatto!

Positivo il messaggio finale: Riley ce la farà, come tutti noi in fondo, superstiti più o meno illesi della nostra adolescenza.
Vedetelo, se non lo avete fatto, in dvd (o altra tecnologia che io non padroneggio).

Alla prossima, eh!

6 commenti:

  1. la tua capacità di analisi, che sa partire da ogni situazione, è stupefacente e questa è una delle cose che più ammiro in te.
    E questa non è la semplice recensione di un film.......sappilo!
    le tue bambine non sono ancora in grado di capire di avere una mamma speciale - e te lo dico non certo come complimento, ma come constatazione:il fatto stesso del tuo sentirti " sgomenta e turbata" di fronte alla prospettiva, per altro inevitabile, di dover affrontare la loro crescita , ne è una delle dimostrazioni.
    Loro crescono e cresceranno e tu continuerai a farlo con loro: io sto continuando a " crescere" grazie e per merito dei miei nipotini, scoprendo ogni giorno o riscoprendo qualcosa di me che era nascosto da qualche parte.
    un grande grazie ed un abbraccio
    Emanuela
    se ti capiterà di tornare a Genova, città in cui vivo da quando avevo 4 anni e che amo profondamente.......batti un colpo!
    magari ti farò fare un tour non da accompagnatrice turistica, ma da abitante - amante di questi luoghi e scoprirai che Genova si deve guardare " dal basso", girando sempre con la testa girata all'insu', per perdersi nelle sue meraviglie.Magari ti farò vedere i luoghi del cuore, quelli di fronte ai quali mi commuovo ogni volta, come se fosse la prima in cui li vedo. E la mia casa, nonostante siamo tutti adulti, è ancora una casa a misura di bambino.

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    1. Non sapevo tu fossi di là! Tutto sommato non siamo lontane allora! È mia cognata originaria di lì da parte di padre. È senz'altro una città dalla forte e caratteristica personalità e, sì, ho notato questa sua tendenza a farti girare col naso in su!
      Grazie per l'apprezzamento della recensione. Una delle mie aspirazioni fallite era riservare una rubrica cinematografica sul blog... Ma a parte il dettaglio della mia latitanza dalle sale negli ultimi anni, la cosa mi richiederebbe un impegno che sento di non poter garantire.
      Il film in questione forse comunica più ai genitori che ai bimbi, o forse ha il pregio di contenere messaggi trasversali. A presto! ( terrò conto del tubo invito, sappilo!) 😜

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  2. Mi hai fatto venir voglia di vederlo *.* quoto in toto il commento qui sopra :) Sono cinefili sicché avrei apprezzato e non poco la tua rubrica di cinema sul.tuo.blog e spero di vederla presto materializzarsi!
    La mia ultima volta al cinema è stata la visione del film di Virzì, "Tutti i santi giorni " che, per ovvi motivi che senz'altro potrai immaginare, mi ha lasciato con le lacrime agli occhi e un nodo in gola terribile, anche perché è una vicenda biografica di una persona che conosco e che mi è entrata nel cuore, visto il dramma che ci accomuna. Se questo di cui parli è un film soprattutto per adulti, un po' come il Piccolo Principe, se non rischiero' di fuggire in lacrime dalla sala, allora lo andrò a vedere senz'altro. Un abbraccio grande

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    1. Per bambini in crescita o adulti non del tutto cresciuti, se vogliamo.
      E, no, non mi pare sia particolarmente da singhiozzi.
      Baci a te!

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  3. MI sa che devo cercarmelo in DVD o qualche diavoleria del genere :)

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    1. Sulla tecnologia sono sempre arrivata con un dieci anni di scarto. Tipo fino al 2002 circa andavo avanti registrandomi su musicassetta i cd degli amici, visto che non possedevo uno stereo normodotato di lettore cd. Al videoregistratore ci sono arrivata nel 2000, e al lettore dvd solo da qualche anno... Lo streaming per me è pura fantascienza! ;-)

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