venerdì 18 novembre 2011

Pensavo.

Che il modo migliore di comunicare fosse la forma scritta. Che quella fosse la forma che più riuscissi a padroneggiare e con cui maggiormente riuscivo a esprimere me stessa.
Pensavo che quando hai davanti a te tutto il tempo per pensare, scegliere, ponderare le parole, costruire periodi, elaborare discorsi, nessuno che ti incalza, che aspetta una risposta ora e subito, che ti interrompe, che ti fraintende, solo allora riesci davvero a raccontarti come vorresti.
Che ti sottrai alla fretta, ai vuoti di memoria, ai lapsus, ai colpi di tosse, ai rumori di fondo, alla disattenzione altrui, ai lasciamo perdere, agli scusa non ho capito puoi ripetere, ai silenzi imbarazzanti, alla necessità di riempirli, ad abbassare gli occhi, al brufolo gigante che mi è spuntato sul mento, cavolo ho ricominciato a strapparmi le pellicine dalle dita, chè non sono io quella, è solo il mio modo di apparire.

Pensavo che fosse come a scuola, interrogazione o compito in classe? Io preferivo lo scritto: tieni a bada l'ansia da prestazione, valuti il tempo che hai a disposizione, scrivi scrivi, poi torni indietro e correggi, diecimila asterischi, richiami, e freghi freghi freghi, poi copi in bella. Ci ripensi e cambi attacco, aggiungi sul finale, e non stai lì a macerarti dopo a dire: ecco, lo sapevo, potevo dirlo meglio, potevo evitare di parlare di quello chè non ero sicura, mi sono bloccata, non mi veniva la parola, ho detto una cosa per un'altra, ma lo sapevo, cazzo se lo sapevo!

Pensavo anche che prescindere dalla nostra fisicità ci rendesse più liberi di essere chi ci pare, chi davvero ci sentiamo, presentare di noi l'immagine reale di come ci vediamo, senza doverci adattare a come ci vedono da fuori gli altri, senza dover fare i conti col suono della nostra voce, col movimento delle nostre mani goffe che gesticolano, con quel filtro che sta tra noi e chi ci vede per la prima volta, e ci ha conosciuto invece per ciò che di noi abbiamo raccontato, scrivendo, trasfigurando il mondo in cui viviamo attraverso i nostri occhi e i tastini del computer.

Pensavo tutte queste cose e un poco titubavo a infrangere la barriera tra i due piani, rompere l'incanto. Chè la vita è più bella quando la racconti, si colora di parole e accenti che le dai tu, e assomiglia ad una storia, ad una fiaba, o alla trama di un film, o di una novella.
Pensavo che la comunicazione fosse più facile e più efficace quando te la puoi gestire pazientemente, seduta davanti allo schermo del tuo computer, e puoi usare tutte le parole che vuoi, anche quelle che quando parli non usi mai, e puoi eliminare e correggere, aggiungere e interrompere e poi riprendere dopo una pausa pipì.

Ma dimenticavo le inflessioni della voce. Dimenticavo le pause, le cadenze, gli accenti, il volume. Dimenticavo l'importanza dell'andamento altalenante di una frase, del tono a salire o a scendere, del detto a mezza voce, del significato diverso delle parole che escono fuori da un sorriso.

Dimenticavo le espressioni facciali, gli incroci di sguardi, il linguaggio del corpo, l'immediatezza del pensiero, il senso del contesto, le abitudini verbali, gli ammicchi involontari, le reazioni facciali, studiarsi in un'occhiata, il percorso delle onde sonore dalla bocca all'orecchio, il vibrare delle corde vocali, l'aria nei polmoni, parlare mentre cammini, volgere la testa per vedere in faccia il tuo interlocutore, una frase completata dal gesto di una mano, una risata che interrompe un discorso, una bambina che pretende che tu canti per lei.

Quindi mi sono sbagliata. Non esiste comunicazione migliore di un'altra. Non esiste una forma più efficace. E' nell'insieme di ciò che offriamo di noi agli altri, nella nostra immediatezza e nel nostro costruirci come immagine mentale di noi stessi, che consiste la nostra identità.

Non pensavo che avrei scritto ancora di quell'incontro, ma invece ci penso, perchè è stato strano, ma anche normale al tempo stesso. E dopo aver letto questo, non ho potuto non rispondere.
Strano come ti figuri le persone in un qualche modo anche se non le hai mai viste in vita tua, e quasi sempre sbagli.

12 commenti:

  1. Io preferisco sempre scrivere. A torto, le persone mi mettono spesso in soggezione e non mi esprimo come vorrei. Infatti spesso mi pigliano per scema :)

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  2. Che bella riflessione.
    Invece io no, io quando leggo gli altri me li vedo, mi appaiono, forse ho l'antenna del tra le righe, capto il non scritto, non so. Quando leggo cose che mi piacciono so che se incontro la persona, mi piacerà. E so che leggere e basta è l'inizio, ma se resta fermo lì è una cosa monca. Che deve esserci il "contorno" alle parole. Gli occhi che si abbassano o magari si sgranano, i sorrisi, la timidezza, il tono della voce... Che fin quando si scrive, ci si può piacere anche tantissimo, ma è sempre una cosa a metà. Però quando leggi, leggi il nocciolo. E se quel nocciolo lo trovi bello, poi non può che migliorare. Perché a quello si aggiungono la sorpresa dei gesti, dei suoni e della pelle.

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  3. PS Mafalda, mi vien da pensare che ti contorni di persone sbagliate ;)

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  4. Strano come una volta che vedi le persone, non riesci più a figurarti l'immagine che avevi di loro!

    @ladoratrice; sono un pò come Mafalda. Non sempre dipende dalle persone che ci circondano! Spesso è la mia timidezza o l'insicurezza a creare barriere difficili da superare. Con l'età si migliora, ma non so quante volte sono caduta (e ancora cado) nella trappola del "se avessi detto, se avessi fatto!". Forse solo ora ho cominciato a convivere bene con tutti i miei modi di comunicare!

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  5. Bellissima riflessione.
    Io per timidezza mi nasconderei sempre dietro la scrittura, ma come dice Ladoratrice, è rimane una cosa monca. Se leggo e la persona mi piace il passo successivo e cercare almeno di immaginarla in carne ed ossa.

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  6. Mi è piaciuto moltissimo questo post e sono così d'accordo che condivido sia la prima sia la seconda parte :)
    Anche io quando leggo i blog altrui mi figuro la persona dietro allo schermo: il suo aspetto, il suo modo di parlare, la sua casa, ecc. Non c'è niente da fare, ho sempre avuto una fantasia ipertrofica! Eppure nel momento in cui c'è l'incontro dal vivo quella persona si rivela sempre diversa da come me l'ero immaginata. Talvolta anche deludente :/ Ecco perchè ci vado molto cauta ad incontrare nella realtà chi conosco solo online

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  7. @Ladoratrice, senza falsa diplomazia hai ragione tu ma anche Trimamma: poiché la prima impressione è spesso quella che conta, mi si prende per sciocca perché non so giocare ben e le mie carte (soprattutto lavorativamente parlando). A quasi 32 anni suonati e nonostante sia circondata da amore e conferme resto un'undicenne insicura :)

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  8. Mafalda, io ho letto che son le persone a metterti in soggezione e che ti prendono per scema, per quello ho parlato di persone sbagliate.Ma se ti metti in confusione da sola allora su su su! Più sicurezza! E la prima impressione che conta, se la persona che hai davanti è sensibile e merita, va ben oltre il giudicarti male solo per la tua timidezza. Se tu stessa cancelli le conferme e l'amore di 32enne riportandoti a undicenne... ti fai un annullamento da sola!!! Orsù, che non è malaccio trasformarsi in ciò che siamo :D

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  9. Bella riflessione, già. Io non riesco ad esprimermi un granché bene attraverso la scrittura. Ed anche dal vivo non è che sia un'oratrice formidabile. Preferisco leggere, ascoltare e... scattare foto. ^^

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  10. eh, sì... ma come resistere alla tentazione?

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  11. Avete dibattuto in mia assenza vedo!
    Io non mi pronunciavo sul giudizio altrui sulla mia persona, ma solo sulla mia personale predisposizione ad espormi di più nella forma scritta. Che però poi non è vero nemmeno del tutto: ci si espone quando ci sentiamo comunque protetti da un qualche filtro. Altrimenti molte persone non scriverebbero blog in forma anonima. Nel mio caso la consapevolezza che un certo numero di persone che conosco nella vita mi legge su queste pagine, mi costringe ad un certo livello di autocontrollo, non diciamo proprio autocensura. Ci sono diversi livelli di espressione di sè, che non sempre sono compatibili tra loro. vedi alla fine quanti timidi preferiscono raccontarsi attraverso lo scritto?
    Che poi uno crescendo impari a mettersi in ballo in maniera più disinvolta è vero, man mano che si acquista autocoscienza di sè si impara anche a relativizzare l'eventualità di un giudizio negativo su di noi, perchè impariamo che se ciò che esprimiamo è il nostro modo di essere, poco importa corrispondere a modelli precostituiti nei quali non ci sentiamo a nostro agio. "Se non ti apprezzano non ti meritano", ti dicono, ma ci sono periodi della vita in cui non riesci a non essere convinto che il problema sia tu. E forse è anche vero: nel momento in cui ti piaci, allora piaci. Sarà una banalità. Quando ho smesso di censurare i miei atteggiamenti spontanei in pubblico, ho scoperto che alla gente piacevo molto di più per le mia particolarità, un po' svampita ed eccentrica, di più, che la gente mi consideravano come una che vale la pena conoscere, una che "Ma tu la conosci Suster?", che magari ti strappa il sorriso con una frase involontariamente comica, quella che colleziona gaffe su gaffe, che non riesce a a prendersi sul serio per più di mezzo minuto. Io credo che la chiave sia in questo: prendersi un po' per il culo, non prendersi troppo sul serio, e se temi che ridano di te, ridi te per prima. E poi a questa accettazione di me hanno contribuito molto le persone che ho incontrato sul mio cammino: è vero che a volte sono le compagnie sbagliate a impedirci di liberarci di zavorre di inibizione. Puntualizzo che: non sono di natura una persona molto espansiva ed estroversa, ma, sono migliorata crescendo.
    Non lo so a chi rispondo e se rispondo. Mi riesce difficile rispondere a tutti, che avete sollevato tanti argomenti diversi e correlati. bello!

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