domenica 19 febbraio 2012

Memorie libiche. Grande grande famiglia.


Lo so che sembrerò ripetitiva, che ne ho già parlato e riparlato, ma questo della famiglia è stato in effetti l'aspetto più significativo della mia vita laggiù. Merita per questo un capitolo tutto suo, e non è certo detto che l'argomento si esaurisca qui.
C'è da fare una debita premessa ai miei appunti sul campo: a detta dello stesso interessato signor Hasuna, che della famiglia è il primo rampollo, la famiglia in cui io ho navigato per un mese è una famiglia estremamente tradizionalista, oserei dire all'antica. Certo a questo avrà un poco contribuito il carattere burbero del capofamiglia, la sua formazione militare, il suo essere a sua volta il primogenito di un altrettanto numerosa e prolifica famiglia di origine, o il fatto di essersi sposato giovanissimo e dietro accordo delle famiglie, altri tempi, altra mentalità, altre consuetudini.
Fatto sta che il mio campo di osservazione è stata questa, e non altre famiglie: lungi da me la pretesa di voler generalizzare. Chissà, sicuramente anche in Libia i tempi cambiano, la gente si adegua, i giovani smaniano, e la famiglia pure, di conseguenza, modificherà impercettibilmente e sempre più la sua forma tradizionale, per lasciar spazio a nuove esigenze, nuove aspirazioni, nuovi tipi di rapporto.


Famiglia.

Grande, grande famiglia: io in effetti mi ritrovo con una quantità notevole di cognati e cognate e la pupa con una quantità non indifferente di zii e zie.
Jamal  ha 30 anni, Hassan ne ha 28, Abdulhadi 27, Ali 25, Monà 22, Zenab 20 e Mohammed appena 18, e questa è solo la prima tranche. Perché poi ci sono Fatma (13), Safah (11), Ahmed (9), Marua (7), Aiub (5), Basma (4) e Aimen (3).
Ecco, tanto per rendere l'idea.

Ci tengo a dire che io in mezzo a queste persone mi sono trovata benissimo: nessuna rimostranza da muovere nei loro confronti, sono stata trattata con un affetto e un'attenzione, una disponibilità e una gentilezza che non avrei potuto desiderare o immaginare maggiori, e i miei rapporti con loro improntati a una generale spontaneità e intesa (salvo che col burbero suocero, preciserei) malgrado le ovvie difficoltà comunicative.
Si tratta di persone estremamente aperte, schiette, semplici e, non mi viene altro termine, pulite. Tutte, a loro modo, belle e interessanti, ricche, in sentimenti e capacità di dare e di darsi all'altro.
Devo dire che in generale la pacatezza dei rapporti e del vivere che mi sembrava di respirare lì in mezzo mi faceva spesso sentire come una nota stonata, avendo avuto modo nel corso della lunga convivenza, di mettere in luce i miei pessimi momenti di insofferenza, astiosità, esasperazione, intemperanza , scorbuticità e musonaggine (fortuna che la tipa del piano di sotto per contro era davvero una gran rompiballe, e a gareggiare con lei avrei sempre e comunque perso).

Cosa annotare sulla vita in famiglia? La famiglia qui è un luogo in cui ci si confronta, ci si aiuta e sostiene, si cresce, si impara (i più piccoli dai più grandi), si fanno esercizi di autonomia e si dà grande importanza all'altro. Si condivide, quasi tutto per la verità e raramente ci si pesta i piedi. I bambini appartengono alla famiglia, più che alla mamma: orgoglio e ansia di farsi approvare dai fratelli maggiori, apertura a spazi comunicativi in cui i più piccoli si possano raccontare e partecipare alle attività dei grandi. In generale una grande ricchezza di esperienze e di socialità.


Ma... la famiglia in Libia è un concetto dai confini ampi e assai poco definiti.

Ecco quanto annoto in proposito:

I rapporti umani e familiari qui sono complicati per la mia sensibilità, figlia della civiltà borghese post-industriale.
La famiglia è patriarcale, gerarchica, i confini tra i nuclei familiari al suo interno chiari solo per chi vi appartiene.
I parenti da parte materna hanno un nome specifico: "Kawali" (trascrizione fonetica approssimativa) che io ricordo con facilità perchè mi fa pensare ai cavalli. Dunque i parenti da parte di madre per me sono cavalli.
La famiglia paterna invece non ha bisogno di altri appellativi perché è generalmente a quella che si fa riferimento. E' intorno alla famiglia paterna che tendono a svilupparsi tutti i successivi nuclei familiari; anche la sposa di un figlio finisce nell'orbita della famiglia di lui, per quanto continui a mantenere contatti con la propria.
Di fatto è come se ne uscisse. Con questo fatto si spiegano almeno due cose: perchè Iman, mia cognata, è sempre a casa della suocera, cosa che se io potessi eviterei volentieri.
L'altra è l'usanza da parte della famiglia dello sposo di offrire in dono alla sposa per il matrimonio un tot quantitativo d'oro. In pratica una dote al contrario.
E' come se i parenti dell'uomo offrissero un riscatto per l'entrata della donna all'interno del loro nucleo familiare (la donna è un plus-valore all'interno della famiglia).
Se vogliamo svilire la cosa, è come un contratto di compravendita, e in fin dei conti in un tempo non tropp lontano doveva trattarsi di una cosa del genere.

Le tradizioni che resistono salde ai cambiamenti globali portano in sé il segno residuo di un tipo di civiltà ormai estinta, o in via di estinzione, di cui forse non è neppure del tutto viva la coscienza.
Quando ho chiesto ad Hasuna che senso avesse che uomini e donne (appartenenti a diversi nuclei familiari) non si potessero incontrare all'interno del perimetro domestico, ma fuori sì, lui non ha saputo rispondermi altro se non che era tradizione.
Poi però vivendo e osservando ho forse capito. Il divieto a incontrarsi in casa non riguarda tutti gli esponenti di sesso maschile e femminile in seno alla famiglia, ma solo quelli al di fuori di un certo livello di vicinanza parentale.
Se arrivano cugine in visita per intenderci, loro cercheranno di non incontrare i propri cugini adulti, almeno se maritati (o soprattutto se). ma su questo punto sorgono poi delle deroghe.
Se però dovesse arrivare in visita (per disgrazia) la moglie di un cugino, guai a quel maschio di famiglia che osasse farsi vedere i giro per il "gineceo" (mi permetto questa contaminazione con il mondo dell'antica greia, sebbene non esista nulla di simile in Libia, non vorrei essere equivocata).
La mamma vigila con rigore a che questa regola venga osservata e rispettata e le giovin donzelle si scherniscono pudicamente attendendo fuori dall'uscio della sala che l'eventuale presenza maschile intrusa si sia dileguata prima di fare il proprio ingresso (pazzesco eh?).
Questi divieti non sussistono però tra cognati dell'identico nucleo familiare (per fortuna, se no sarei impazzita). Sia io che Iman, cioè, possiamo incontrarci e parlare (parlare???) liberamente coi nostri cognati, maritati o no (quella del contatto fisico è un'altra storia, niente stretta di mano per i saluti, di scambio di baci fraterni sulle guance, poi, non se ne parla nemmeno! Attenti a sforare se mai vi trovaste a passare di lì!)

E' tutto un po' complicato a doverlo imparare da forestiera, ma assai di più da spiegare per iscritto.
Io comunque, in questi complessi balletti per non incontrarsi, ci vedo il residuo di una società in cui la donna, in quanto bene privato, andava preservato da sguardi e vicinanza di possibili pretendenti antagonisti, compresi gli appartenenti alla medesima cerchia familiare (chè la carne è debole, eh!)

Mi sembra di atteggiarmi ad antropologa quando osservo e annoto queste cose. Ma davvero, la curiosità che suscitano in me è simile a quella di chi osserva il comportamento sociale di un gruppo animale di qualche strana specie sconosciuta (il pangolino africano?), tanto diversi siamo nelle nostre usanze, nei codici espressivi e comportamentali, nel nostro considerare normale una cosa che per altri non lo è affatto.











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23 commenti:

  1. che caooossss... l'ho letto 2 volte :)

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  2. mi stanno davvero appassionando tantissimo i tuoi post sul tuo viaggio libico ^_^ scrivi scrivi... che noi leggiamo :D

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  3. Ammetto che un po' mi sono persa, ma con la seconda lettura credo di aver afferato un minimo le gerarchie familiari :-)

    Quello che mi fa rimanere incantata è questa famiglia grande e articolata, il mutuo soccorso e il non essere lasciati indietro.

    Anche se so che il senso di claustrofobia mi ucciderebbe!

    p.s. li leggi i commenti ai post precedenti? L'altro commento l'ho lasciato di là.

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    1. Proprio così! Mai soli da una parte, un po' di asfissia dall'altra!

      Leggo tutto: controllo i commenti sempre da "design-commenti", perchè non me ne sfugga nessuno!

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  4. Ti sto leggendo con molto interesse.
    Non è facile commentare. Sono troppi i pensieri che frullano, mentre io vorrei cercare di attenermi al tuo modo suggerito di guardare per conoscere, osservare, comprendere, senza giudicare.
    E' dura, e poi sono fortemente viziata da un libro che lessi qualche anno fa, che le tue descrizioni riportano a galla.
    Complimenti per l'organizazione degli argomenti.
    Hai proprio una bella famiglia!

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    1. Eco, lo sapevo: forse ho fatto un po' di terrorismo e nessuno ha più il coraggio di dire niente! E' che da una parte temo sempre di dare un'idea falsata di una realtà che ancora continuo a non afferrare del tutto neanche io. Da un'altra parte mi rendo conto di amare profondamente questa cultura, anche quando non mi ci trovo, anche quando mi fa incazzare, e mi spiace che venga bollata semplicemente come retrogada e oppressiva... la contraddizione è il mio mestiere!

      PS. Ehi: grazie per i complimenti! Me li prendo così me li rimiro quando mi viene da pensare: Ma a chi interesserà tutta questa mia mega-pippa sulla Libia? :D

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  5. Mi avevi già ricordato la Mead un paio di post fa! Osservi e scrivi benissimo. Grazie per la modifica alla visualizzazione, mi ha cambiato la vita! :)

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    1. Eh, per così poco! perdona se non l'ho fatto prima, è che proprio non ne sapevo niente: io sono una gran pippa in queste cose e L'iPhone per me è una leggenda metropolitana! ;)
      Mead: antropologa statunitense... Uhm! Addirittura??? Beh, grazie. Me la sono andata a googlare perchè non la conoscevo, sarò sincera, ma mi incuriosisci e ora mi vado a informare meglio sul suo conto...

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  6. Terrorismo? No... Ecco quindi facevo meglio a stare zitta? ;)
    Tri mamma ricorda saggiamente di essere nongiudicanti, io mi accorgo che questo argomento, che smuove sentimenti e bisogni che appartengono molto al mio "prima" (di tante cose, tante esperienze, compresa la *mammitudine* e un bel *tagliando emotivo* e l'incontro con la CNV) molto forti, che mi fanno sentire il bisogno di commentare (forse pure troppo) e anche un po' "giudicare". E' però un giudizio costruttivo: io vorrei che tutti gli esseri umani, non solo le donne, e ovunque, fossero liberi. E nell'osservare il resto del mondo (e sì, a volte giudicare) entra il mio chiedermi cosa si possa fare per renderlo migliore per tutti, specie per i nostri figli. Quando ravviso margini di libertà ridotti in me suona un campanello d'allarme e sento bisogno di dar voce al mio senso di ingiustizia.

    Leggendo quest'ultimo post anche a me sono tornati in mente tante cose lette e viste.

    E' molto bello questo tuo racconto da antropologa dilettante. Continua a condividere le tue impressioni se ti va, a noi fa sicuramente bene e interessa leggerle.

    Sarò più diligente, e commenterò meno ;) ciao

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    1. Vabbeh dovrei rileggermi prima di inviare, scusate qui si ruba il tempo, purtroppo. ciao

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    2. NO, ti prego! Commenta pure quanto vuoi! Mi fanno davvero piacere i tuoi interventi, e poi mi danno modo di chiarirmi meglio su alcuni punti su cui evidentemente non riesco ad essere del tutto chiara, forse per paura di sbilanciarmi troppo nei giudizi, perchè vorrei prima di tutto fornire un resoconto dei fatti, di ciò che ho visto e vissuto, scevro di interpretazioni e giudizi, ma evidentemente ciò è impossibile.
      Sarò sincera: a me tutte queste restrizioni mi hanno fatto venire l'orticaria, mi hanno fatto incazzare, deprimere, esasperare, a tratti sclerare col mio uomo e con le persone intorno che non sempre capivano, e che forse mi avran preso per una pazza isterica... ma mi rendo conto che anche voler forzare una cultura lontana dalla nostra perchè coincida con la nostra idea di libertà individuale non è l'atteggiamento più liberale che ci sia. Cambieranno le cose anche lì, ne sono convinta, i tempi corrono...

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    3. ...a tuo rischio e pericolo ;) e grazie.

      Oh bene!
      Mi sento meglio a sapere che intimamente tu trovavi ingiusto tutto questo :) e ne sei consapevole (nel senso che poteva essere un sentire ancora da elaborare).

      Hai ragione quando dici che non sarebbe liberale forzare una cultura altrui, ma ci sono passaggi intermedi, non si tratta di esprimere un giudizio secco di tipo Buoni/Cattivi.
      Secondo me è legittimo, imprescindibile, doveroso, prendere posizione, soprattutto avere ed esprimere delle emozioni a riguardo di ogni singola cosa che hai visto e vissuto là. Questo non vorrà dire giudicare una cultura, ma di osservare e scegliere in base al nostro sentire cosa possiamo accettare o meno, personalmente, considerando il percorso che abbiamo alle spalle e la nostra matrice culturale.

      Giudizio c'è, quindi, ma non sulle persone, bensì su alcuni comportamenti. Tu puoi sicuramente andare avanti con il tuo percorso di conoscenza ed accoglienza della cultura del tuo compagno - ed è bellissimo questo sforzo, è un'espressione d'amore forte e un'impegno importante anche per la vostra bambina - senza essere incoerente quando prendi (ed esprimi) distanza, sempre rispettosamente come stai facendo, da alcune cose quando le trovi inaccettabili o le percepisci come violazioni delle libertà personali e di espressione tue, o più generalmente delle donne (a maggior ragione avendo una figli-A).

      E' stato complicato per me - a volte lo è ancora -, ma ho fatto pace con questa delicata questione del giudizio. E' giusto imporsi di essere non-giudicanti con le persone e con le culture altrui. Alla fine, però, ho concluso che il giudizio è lecito quando non intacca il rispetto per le persone ma è rivolto solo ad alcuni comportamenti. Non è schierarsi o etichettare, è solo espressione di cosa ci fa sentire bene o male, a nostro agio, oppure no.


      Certo che non puoi essere obiettiva fino in fondo, ma del tuo racconto è bello proprio questo, il fatto che non sia freddo ma nasca dal soggettivo della tua esperienza, che sia uno sguardo dall'interno, che permette anche a noi di osservare con i tuoi occhi, per questo davvero grazie.

      Suster scusami per i commenti così lunghi ma io non ho proprio il dono della sintesi. ciao e grazie.

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    4. Beh, più che ingiusto, è che non mi ci trovavo. Diciamo che non lo sentivo su misura per me, ecco. Questa vita potrà pure andar bene per chi ci è cresciuto in mezzo, ma non per chi per tutta la vita abbia vissuto e respirato un'altra realtà, altri rapporti, altri interessi. Come far stare un quadrato in un cerchio?

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  7. No, non sei tu che hai limitato i miei commenti bensì il rendermi conto che è più facile criticare certi atteggiamenti anzichè cercare di capirli/valutarli. Il loro mondo femminile ha sensore delle limitazioni a cui è sottoposto o siamo noi, "donne libere" che ci facciamo venire l'orticaria solo per aver letto (senza averli vissuti come hai fatto tu) alcune abitudini?
    Inoltre; siamo davvero "libere" come pensiamo di essere o siamo, a nostra volta, schiave di atteggiamenti e tradizioni senza rendercene conto? Dici bene Sus quando affermi che le menate che ci facciamo noi per un figlio loro non se le fanno per dieci!
    Credo ci sia un "velo" che rende difficile scorgere dove finisce la tradizione e dove inizia il poco rispetto per la figura femminile. Sarebbe interessante poter curiosare nel rapporto di coppia (in senso stretto). Che considerazione ha il marito per la propria (e non in senso di proprietà) moglie?

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    1. Ho capito: cercherò di parlare di questo aspetto, dei rapporti di coppia che in effetti ho un po' trascurato. O almeno, ci proverò, come sempre; non sei la prima che fa questa osservazione. Grazie per avermelo fatto presente!

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  8. E' molto interessante leggere questi frammenti di diario di viaggio: m'incuriosisce sempre conoscere le sensazioni "a pelle" provate di fronte a culture diverse dalla nostra, forse perchè tra le altre cose ho studiato antropologia :) <3

    Comunque anche a me è capitato di fare l'esperienza di conoscere una parte di famiglia straniera, visitandoli nel loro paese quando avevo all'incirca 12 anni. Nonostante la differenza culturale non fosse forte come quella tra Italia e Libia, è stata comunque un'esperienza forte: non ha nulla a che fare con il solito viaggio da turista e le differenze si sentono eccome, anche se i parenti sconosciuti (non ci eravamo mai visti prima) facevano a gara per viziarci e coccolarci, come se sentissero un "vincolo del sangue" che da noi è ormai dimenticato

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    1. E al di là di tutte le difficoltà sono esperienze che arricchiscono molto, in tutti i sensi: affettivo e culturale. Io credo che le premure riservate in generale per l'ospite, a lungo andare risultino altrettanto pesanti e ingombranti delle differenze, perchè non siamo abituati a questa venerazione dell'ospite, e in generale ci piace mantenere una certa autonomia di movimento e di vita.
      Lo scendere e salir per l'altrui scale è sempre gravoso...

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  9. Parto dal tuo ultimo commento (quello qua sopra)"non siamo abituati a questa venerazione per l'ospite" io sono mezza Sarda e seppur a fatica ricordo di come sia considerato l'ospite in Sardegna, specialmente se vai nell'entroterra, non troppo differentemente dalla Libia, quanto meno nell'atteggiamento.
    Leggendo (a fatica data una connessione leeeenta) mi vengono per lo più domande: ad esempio sarebbe interessante sapere COSA davvero intendono le donne libiche per "libertà femminile" Sono quasi certa che abbian le idee più chiare delle nostre che ci riteniamo più libere di loro (e -come dici tu nel post precedente, mi pare- una serie di comportamenti loro li danni per scontati)...In parte,lo siamo ma c'è ancora un superfice inquietante per la facilità con cui può esser grattata via basti pensare a quanto sessualizzata sia l'infanzia, ai modelli che vengono imposti ad adolescenti e bambine ed altro ancora e porto solo questo come esempio.
    Poi mi domando anche se un tuo disagio (giustificabile e comprensibilissimo) non sia dovuto non solo al fatto che sei una occidentale urbanizzata ma anche del Centro-Italia (nn conosco le tue origini)Leggendo vedo alcune affinità con zone del Sud Italia...Mi sovviene che c'è stato un tempo (direi tranquillamente ancora negli anni'50) in cui madre e figli non mangiavano alla stessa tavola del padre oppure i bambini mangiavano in cucina, dipendeva a volte dal ceto sociale come dalla regione di provenienza...molte cose son sparite proprio con l'inurbanizzazione dei lavoratori della terra, e dell'emigrazione interna, nelle case di città la stanza dove si pranzava/cenava spesso era una sola...
    E in quanto a padri-padroni, a volte basta leggere nella nostra cronaca che purtroppo ce ne sono ancora, e fan danni.
    Eppoi non siamo più abituati alle famiglie allargate, alla presenza di cugini, bis cugini, zie e zie e pro-zii e pro-zie, nipoti e figli di nipoti, cognati e nuore acclusi...Che pure sono una presenza non indifferente, un sostegno non da poco e di questo ne parlo con assoluta conoscenza di causa sia nel bene che nel male (o nel meno bene)e nonostante alcuni miei parenti carissimi li abbia conosciuti dopo i 30! Mi domando, ad esempio, quande madri in attesa, possano contare solo sulla presenza materna o di quella dell'amica e nessun altra donna con un legame importante in un qualsiasi momento prima-durante-dopo la gravidanza.

    Volendo esser cattiva e citando una mia amica: "Oggi i genitori delle due famiglie si incontrano quando lei resta incinta!" E devo dire che fin'ora UN caso ce l'ho sotto gli occhi!
    Mi scuso per la lungaggine e le divagazioni.

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    1. Mia cara, abbiamo già avuto modo di parlare delle nostre comuni origini sarde (ti dovrei bacchettare per questo!): sono anche io mezza sarda, ma per parte di madre, mentre tu lo sei per parte di padre se ben ricordo. In ogni modo sono felice che tu abbia fatto presente questo parallelismo, perchè anche a me viene spesso in mente la Sardegna quando ho a che fare con l'ingombrante senso dell'ospitalità degli arabi... sarà, a me ha sempre pesato molto l'accoglienza che ci veniva riservata da zie e cugine ogni volta che ci recavamo in visita al paese di mia madre (nell'entroterra nuorese). Mette a disagio perchè innanzi tutto non ti lasciano la possibilità di replica, poi perchè non hai mai modo di poter ricambiare, non dico di sdebitarti, ma anche solo di dimostrare la tua riconoscenza e disponibilità nei loro confronti. E' sempre una gara di cortesie a senso unico. Io comunque, come tu ben dici, mi ritengo figlia della città, e, sì, riconosco che questa cultura primigenia, attaccata alla terra e alla famiglia non mi appartiene, si è persa nell'andare delle generazioni, e se da una parte rimpiango un poco l'impoverimento culturale che ciò comporta, mi sento sempre un pochino soffocare da questi stili di viya di comunitari totalizzanti.

      detto questo condivido in pieno le tue osservazioni sulla famiglia come appoggio del singolo da cui noi, nella solitudine dei nostri bilocali unifamiliari, non ci rendiamo conto nemmeno di esser stati sradicati e impoveriti.
      Grazie mille per questo intervento, che testimonia la pluralità dei punti di vista sul tema della libertà femminile e del relativismo culturale...

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  10. Risposte
    1. E vabbé dai, per stavolta sei perdonata... ma che non accada più!
      ("Titti fa!" direbbe la pupa, brandendo un minacciosissimo dito indice e agitandotelo sotto il naso)

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