sabato 18 febbraio 2012

Riflessioni claustrofobiche di una donna italiana in Libia.

Esercizi di adattamento

Che mi piace più dell'originario "Esclusione".
Vivere in questa maniera qui, rispettando questi rigidi "confini" di genere, anche se solo per un mese e anche se in parte riuscivamo ad eluderli per necessità, non è stato facile, e solo ora mi rendo conto che forse questa storia dei sessi, questo vivere in mondi separati, sia stato l'aspetto che maggiormente ha fiaccato le mie resistenze, perché l'assenza di Hasuna al mio fianco in alcuni momenti di totale isolamento e assenza di altri appigli, mi ha fatto mancare il terreno sotto i piedi.


Ma ecco, lascerò parlare la me stessa di allora, che forse riuscirà ad esprimere meglio quel che intendo dire:


...Ma forse questi miei pianti solitari sono il lavaggio catartico della mia anima che deve spogliarsi di tutto quanto dava per assodato e qui non va più bene.
Adattarsi, deve essere la parola d'ordine.
Del resto su questo punto avrei molto da imparare da queste donne. Avessero avuto la metà delle fisime che mi sono fatta io nell'allevare mia figlia, non ne avrebbero tirati su nove. E non dimentichiamo che vengono fuori da una guerra, fresca fresca di bucato.
Eppure l'universo femminile in cui ora sono segregata continua a suonarmi estraneo, stretto, claustrofobico, mentre guardo con simpatia ed empatia a quello maschile, per quanto riconosca che qui sono le donne a mandare avanti la baracca; mentre un numero eccellente di uomini in panciolle si accomoda ad ogni ora a ricevere il proprio vassoio di vivande, dietro c'è l'alacre lavoro e continuo di poche donne, per le quali la giornata non è altro che un continuo rassettare e preparare, e il massimo dello svago rimanere ore a ricevere visite di sorelle e cognate querule e voraci, e servire anche a loro (e di pari passo al parallelo e sottostante universo maschile) vassoiate di biscotti e thé, frutta e succhi vari, latte e datteri, caffè e panini imburrati.
Giornate casalinghe a scaldarsi con coperte e stufe, a sgranare piselli e tritare prezzemolo, intrattenere lattanti, parlare di trucchi e di vestiti, pensare ai matrimoni che verranno e aiutare le figlie a riempirsi gambe e braccia di fiori disegnati ad henné.
E sempre accroccati su quei cuscini in terra.
Davvero dovrei decantare questa immagine di vita familiare e rimpiangere la perduta innocenza della nostra società individualista?
Certo, no.
Spirito di adattamento, tolleranza, accettazione di culture diverse.
Tutti concetti bellissimi finché non ci sei dentro.


***

Ci sono cose a cui non credo che mi abituerò mai, che non credo capirò mai, che forse preferisco non capire, o che mi rifiuto di cercare di comprendere, perché sarebbe come ammetterle in un posto nella mia personale scala di valori.
Dove finisce la tolleranza culturale e inizia l'annullamento acritico della tua capacità di giudizio?
Ho parlato con Hasuna di certe mie riflessioni e impressioni, di certe interpretazioni che ho dato ai fatti di tutti i giorni, come quella del venerdì a pranzo, quando noi donne siamo andate a mangiare in corridoio, così la sala grande rimaneva libera e disponibile per il padrone di casa, che quel giorno di festa, a differenza degli altri sei della settimana, lo passa in casa.
Perché?
Non avremmo potuto mangiare tutti nella sala grande? Posto ce n'è in abbondanza. Di sicuro più che nel corridoio, dove ce ne stavamo tutte accovacciate vicine vicine, nella penombra delle finestre chiuse della stanza semidistrutta dai bombardamenti.
Dicevo ad Hasuna queste e altre cose che mi avevano colpito, me forestiera e non avvezza a tali "delicatezze", mentre lui evidentemente le considera normali, tanto che si è anche irritato, e come al solito, ha voluto cambiare discorso, via da questo argomento, dei ruoli maschili e femminili, che scotta.
Ma intanto ho segnato una pallottola nera nel mio taccuino mentale, sul pallottoliere immaginario delle mie credenze, quelle viziate dal pregiudizio, e quelle frutto della conoscenza acquisita, e ho fatto un passo indietro dalle mie posizioni possibiliste e liberali, aperte a un moderato relativismo culturale: questa di qui "è", e non il contrario, è una cultura profondamente maschilista.
Viverla dall'interno è un'altra cosa dal fare la spettatrice della domenica.
Ciò non significa che le donne di qui avvertano la propria condizione come subordinata, o almeno come menomata.
Ciò non significa che probabilmente la maggior parte di loro non sia serenamente soddisfatta del proprio ruolo e della propria vita, così com'è, ed è probabile che nessuna di loro si preoccupi del fatto che a girare per le strade della città si vedano in pratica solo uomini, ovunque volgi  lo sguardo.

***

Ci sono diverse cose a cui non so se mi abituerò mai.
Una è la netta divisione della vita in due universi paralleli e non comunicanti, o assai poco, ovvero quello maschile e quello femminile.
Un'altra è imparare a mettermi in maniera decente quell'affare sulla testa senza che mi si allenti o mi cada giù ogni dieci minuti. Loro lo fissano in maniera impeccabile e senza spille da balia, liscio e tirato una volta per tutte e non si muove più per l'intera giornata.
Un'altra sarebbe poi l'abitudine delle donne qui di truccarsi come trans e ingioiellarsi come reliquiari barocchi anche quando devono stare a casa (cioè sempre).
Poi ci sarebbe quella cosa dei vassoi che circolano in continuazione per casa a ogni pasto più intermezzi (ma era troppo complicato avere una mensa comune a cui far riferimento?)
Poi ci sarebbe questa dannata cosa di star seduti sempre per terra, mangiare in terra, scrivere per terra, cucinare in terra, stirare in terra.
Poi c'è il fatto dell'assenza di riscaldamento in casa, e quell'infernale braciere coi carboni e l'incenso che intossica l'aria, e che per quanto possa scaldare, forse giusto le mani a starci appiccicati, poi tocca aprire le finestre per far uscire il fumo, et voilà, addio lieve tepore.
E mi chiedo ancora come accidenti facciano a girare sempre a piedi nudi. Ma forse a questo potrei anche abituarmi, alla lunga. Già mi sono abituata al bidet (se così si può chiamare lo stare accovacciata su quell'orribile turca irrorandosi intanto le parti basse con l'acqua gelida che esce da una cannella attaccata al muro), e alle bevande iperglicemiche. Direi che sono a buon punto.

***

Alla resa dei conti la mia capacità di adattamento si è rivelata insufficiente, ed io assai poco intraprendente. Ma questo lo sapevo già. Solo è frustrante essere messi una volta di più di fronte ai tuoi limiti, alle tue tare caratteriali, contro le quali combatti da una vita. E ora che hai 30 anni, ti senti ripiombata nei tuoi 12, con tutto ciò che comporta: senso di inadeguatezza, alienazione e estraneità all'ambiente circostante, incapacità di comunicazione, timore di agire in maniera difforme alle circostanze, ricerca affannosa di un appiglio, paura di mettersi in gioco, incapacità cronica a lasciarsi andare e ad ironizzare un poco su se stessi.
Ecco la mia pietosa autoanalisi.
Per quanto catastrofisti, i miei pronostici sull'andamento della permanenza si rivelano esser stati decisamente ottimisti.
Un pesce fuor d'acqua se la cava meglio di me qui, e per lo meno a un certo punto ha la decenza di crepare.

***

E' chiaro che Hasuna qui è abituato a vivere alla maniera di qui. Inutile continuare a pretendere da lui presenza assidua e continuata al mio fianco.
Non sono piccola, non sono in pericolo. Me la saprò cavare anche in sua assenza.
E se non ci si capisce pazienza.
Che mi capiscano anche loro se ogni tanto necessito di un po' d'isolamento.
Il mio tentativo di portarmi i libri di sotto in giardino per potermi mettere a leggere al sole accanto a lui che lavora alle sue preziose macchine è stato intercettato e bloccato per tempo dalla suocera solerte, che mi ha spiegato pazientemente che sotto c'erano "ragiul", gli uomini, e quindi, non sia mai che mi vedano, perché poi non sai cosa può succedere, capace che ti saltano addosso e ti stuprano così, su due piedi.
Mi ritiro ancora una volta nella penombra della stanza mentre Mimi dorme e dal bagno sento provenire rumore di panni strizzati e lavatrici. E' il bucato plurimo di tutta la numerosissima famiglia cui le due donne di casa attendono con incredibile e ammirevole dedizione praticamente tutti i giorni (meno male che asciuga in fretta).

***

Il senso di riportarvi questi passi sarebbe quello di documentare il mio disperato tentativo di integrazione laggiù, ostacolato in primis dalla mia assoluta mancanza di volontà di adeguarmi a quelle regole tacite, a quelle consuetudini asfissianti, non dico per loro, per me.
Ecco, così spero che si riesca a capire un po' meglio quando dico che "è stato difficile" , che è stato faticoso per me questo viaggio.

Ma sono contenta, perché parlando con quei due reporter italiani con i quali abbiamo avuto modo di incontrarci laggiù, mi sono trovata nella spiacevole posizione di dover giustificare il mio atteggiamento critico rispetto ad alcuni aspetti della vita laggiù di fronte al loro incondizionato entusiasmo. Mi si tacciava di snobismo e atteggiamento prevenuto, e di non aver fatto abbstanza sforzi per capire e adattarmi a una cultura diversa dalla mia.
Ciò che sono riuscita a dire loro è stato questo: voi siete due giornalisti, e fate il vostro lavoro, ma per quanto voi possiate sforzare di farlo bene, non potrete riuscire MAI a descrivere fedelmente tutti gli aspetti di questa realtà sociale, perché vi manca qualcosa che io ho.
E cioè fondamentalmente due cose:
1- siete stranieri e osservate comunque dall'esterno, per quanto vi possiate sforzare di guardare con gli occhi delle persone che intervistate e che vi ospitano, che vi tratteranno con ogni riguardo e magari simpatia, ma sempre e soltanto come ospiti esterni. Godete di conseguenza di una certa libertà d'azione, che altrimenti non avreste, vi vengono perdonate di buon grado mancanze e  sconvenienze che vengono attribuite al fatto che non potete conoscere le usanze di qui. Io mi trovo nella condizione di dovermi far accettare all'interno di un tessuto sociale compatto e basilare, che è la famiglia. Provate a entrare a far parte di una di queste famiglie, chiedete a uno di questi ospiti di darvi in sposa la loro figlia, e allora vi sarà richiesto non solo di osservare, ma anche di condividere e adattarvi al loro modo di vedere e di comportarsi. Dovrete farvi accettare.
2- Ahimé, siete maschi. Questo significa, in un Paese come la Libia, dove due universi umani vivono fianco a fianco quasi senza mai intersecarsi, che vi è preclusa del tutto un'intera e cospicua fetta di umanità, alle cui usanze e consuetudini, ai cui codici e linguaggi, non sarete MAI ammessi a partecipare, ma nemmeno da osservatori esterni. Il mondo femminile di qui non vi sarà mai schiuso.
Io, in quanto membro interno acquisito, ho invece accesso a questa e, come minimo, posso interagire con l'universo maschile almeno per quanto riguarda le situazioni di coesistenza dei due mondi, rare ma esistenti, per quanto mi siano precluse quelle legate esclusivamente al mondo maschile.
(In sostanza ne so più di voi, pivelli!)

Ecco, press'a poco, come chiusi la conversazione. E c'è da dire che almeno uno di questi due personaggi, mi stava cordialmente sui cabasisi, ma in fondo questo alterco mi ha aiutato a tirare fuori una grande verità: il mio punto di vista è stato in effetti un punto di vista privilegiato per questi due motivi, e solo ora, a posteriori e mente fredda, coi piedi nel mio bellissimo, amatodiato Paese ove il sì suona, posso finalmente rallegrarmene come di un'esperienza preziosa, che realmente può aprire mente e cuore, sempre che tu sia disposto a lasciare che ciò accada.


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26 commenti:

  1. Ho letto tutti questi tuoi post con molto interesse..sono sempre mentre curiosa verso culture a abitudini diverse e così lontane dalla nostra e leggendo rimango letteralmente senza parole quando mi imbatto nella, per me, triste realtà di questa condizione femminile così bistrattata e sottovalutata. Non sono una femminista sfegatata, anzi sono molto normale senza idee estreme sulla donna, nè in un senso nè nell'altro, eppure quando leggo queste parole mi balza agli occhi in tutta la sua verità quanto siamo fortunate noi donne al di qua della barricata. Grazie per aver condiviso questi tuoi bellissimi pensieri di vita vera

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    1. Ci sono aspetti della nostra società che sviliscono l'immagine della donna e la sua identità assai più di quanto accade laggiù.
      Io credo si tratti solo una ben più marcata definizione dei ruoli di genere, che qui tendono ormai da più d'un secolo a mascolarsi, lì invece assecondano la permanenza di uno stile di vita ancora fortemente legato ad una economia domestica autosufficiente, a una preminenza dei bisogni primari sul sovrappiù, a tempi e ritmi ancora fortemente vincolati a quelli biologici, al lavoro, alla lavorazione casalinga dei prodotti alimentari, ad un più forte legame con la terra. Chi lo dice che qui viviamo meglio... siamo soggetti ad ansie e depressioni, viviamo alienati da tempi di lavoro insostenibili che ci stressano, isolati nelle nostre case sempre più piccole in città sempre più caotiche e impercorribili; l'età media in cui in genere arriviamo alla maternità sono i 35 anni, e fino ad allora non abbiamo la più pallida idea di cosa significhi, tardi , troppo tardi per imparare, con già una vita cristallizzata alle nostre spalle, di abitudini e piccoli piaceri che riteniamo inviolabili e irrinunciabili.
      vedi, io credo: troppo tardi per tornare indietro, ipotizzare il ritorno di una felice età dell'oro è stupida vanità. Ma non dobbiamo fare l'errore di trasporre negli altri esigenze che sono in realtà solo nostre. Anche se l'ho detto in chiave molto farsesca, credevo di averlo spiegato un poco nel post precedente, sulla condizione femminile.
      Io comunque, malgrado la difficoltà di adattamento a questa cultura, continuo a trovare ancora più deteriore e umiliante la visione della donna che esce da certe nostre copertine patinate di gossip o dal bunga bunga...

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    2. Sai Suster, io se devo dirla tutta, non mi sento svilita in quanto donna da certe nostre copertine di gossip o di bunga bunga...non fraintendermi non mi piace vedere la volgarità ma penso sia anche questione di scelte...se una donna sceglie di usare il proprio corpo per far carriera perchè devo sentirmi svilita io che invece penso che per andare avanti ci voglia ben altro che un bel culo, due tette o il darla a chiunque dietro compensi o regali costosi? E non credo che quella stessa donna non abbia avuto scelta, una scelta c'è sempre. Ora non vorrei che il mio pensiero ti sembrasse maschilista o altro ma solo per spiegare che come donna mi sento molto più svilita quando leggo che in certi posti la donna non può permettersi di dar voce ad un suo pensiero o deve sottomettersi alla volontà degli uomini perchè donna e quindi, in quanto tale, essere che va solo bene a sfornare figli e nient'altro.

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    3. Sono molto contenta che tu esponga queste tue idee, e non pretendo di avere ragione o di essere assecondata in tutti i miei contraddittori ragionamenti.
      E'che tento solo con tutte le mie forze di cercare di mettermi nella testa di queste donne, di cercare di capirle.
      Il senso di pubblicare questi miei appunti, che testimoniamo la mia difficoltà di riuscirci (diciamo pure il fallimento in questo tentativo) voleva essere una dichiarazione, un tentativo di essere sincera con me stessa, al di là dei facili atteggiamenti di apertura interculturale.
      Il tuo pensiero non mi sembra affatto maschilista.
      Capisco: anche io ho trovato molte di queste situazioni castranti.
      Il punto è che quando si parla di libertà di scelta, bisognerebbe anche considerare che il retroterra culturale che contribuisce a formare la nostra personalità e i nostri desideri, le nostre aspirazioni, a dettarci le nostre scelte, finisce sempre e immancabilmente per condizionarle.
      Così io non voglio mettermi a giudicare chi sceglie di fare la velina, non in questa sede, non mi interessa sinceramente. Parlavo di una società (mediatica, almeno) che trasmette valori sballati, un'idea della donna vacua e volgare. certo che non ci appiattiamo tutte nella dimensione di oggetto sessuale, ma il fatto che oggi sempre più spesso la libertà della donna venga considerata in relazione alla libertà di usare e di sfruttare il proprio corpo o l'immagine di esso ai fini di autoaffermazione, mi fa in certo senso pensare che forse emancipandosi da un ruolo che in passato poteva essere prevalentemente riproduttivo e coniugale per finire col misurarsi solo sul metro della propria fisicità, l'immagine della donna non ci abbia guadagnato. Poi, certo, hai ragione, non solo di questi episodi è fatta la nostra rappresentanza femminile.
      Comunque forse sono stata drastica nel presentare la condizione della donna laggiù. Non saprei e non ho avuto modo di osservare e poter giudicare quanto e se davvero la donna sia sottomessa o debba farlo in quanto donna alla volontà maschile, nel rapporto di coppia, così come negli atri rapporti non mi è parso che le cose stessero così. I ruoli sono diversi, questo è vero, e forse le possibilità di scelta laggiù sono estremamente limitate rispetto a quelle che abbiamo noi qui. Il fatto è che io non immagino come potrebbe trovarsi bene una di quelle donne se si trasferisse a vivere qui. probabilmente si sentirebbe ugualmente o più disadattata e sofferente di quanto io mi sia sentita laggiù...

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    4. Hai ragione e ho trovato i tuoi post veramente interessante...certo è che sicuramente, come per noi è incomprensibile, per certi versi la loro cultura, così lo è per loro e sono convinta che se loro vengono qua non si trovano affatto meglio...Penso che così come noi, da loro, ci sentiamo totalmente fuori dal mondo così accada loro. Ho letto molti libri in proposito e trovo l'argomento molto interessante. Tutto ciò che è diverso mi stimola a mettermi nei panni degli altri per tentare di capire come ci si possa sentire...certo non arrivo ad una risposta ma comunque trovare il tuo blog, leggere i tuoi pensieri e la tua storia mi ha molto incuriosita. Io abito in un paesino di provincia dove purtroppo la mentalità è ancora molto ristretta e poco aperta e quindi certe volte ragiono o meglio sragiono proprio perchè non sono abituata a confrontarmi con realtà diverse...

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  2. Sai, mia madre è sempre stata una di quelle i diritti delle donne e dei lavoratori, bandiera rossa, gli operai, lavoratori uniti.
    Mi ha insegnato tante cose belle, in cui tuttora credo.
    Ma ha vissuto in paesi arabi per 10 anni, con amici arabi, colleghi arabi, conoscenti arabi, ha cresciuto la sua bambina chiedendo aiuto a una dolce, bellissima tata con velo e l'ha ascoltata dire la sua prima parola, che è stata "maya", non "acqua".
    Tornata in Italia c'era il liceo di mia sorella e i ragazzi con la kefiah, le loro parole, le loro idee così belle e così teoriche, le loro lotte così pure e così ingenue, così attratti da un mondo di cui non conoscevano che una parte,e io noi ci stupivamo, non capivamo.
    Lei allora ci diceva:" 'scoltate, ragazze. 'sti qui non sanno un cazzo. Non hanno capito un cazzo. Tenete solo in mente quello che avete visto, sentito, conosciuto, mangiato, bevuto, amato o detestato. Il resto non conta, ok?".
    In sostanza, credo, ci stava chiedendo di ragionare con la nostra testa. Allora ho cominciato a smettere di lottare coi miei ricordi, e ho cominciato ad amarli. Ma da qui è INFINITAMENTE più semplice.

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    1. Grazie per il tuo intervento, la tua testimonianza preziosa.
      Non voglio condannare questa realtà, lungi da me la pretesa di giudicare dall'alto dei cieli della nostra presunta emancipazione femminile. Spero almeno di essere riuscita ad essere chiara su questo punto. Ma le differenza tra le due culture esistono, inutile negarlo, e si sentono. Pretendere che loro accettino di buon grado e accolgano come avvento della liberazione da una schiavitù il nostro modo di vivere è altrettanto ottuso che andare ad esportare la democrazia e la pace con eserciti e bombe...
      So what?
      Tua madre aveva ragione: forse semplicemente aprirsi alla conoscenza e ragionare su ciò che è diverso, e che in quanto tale ci turba. Non sempre sono riuscita però a non metterci di mezzo l'emotività. Quant'è difficile accettare certi compromessi!

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  3. io sono folle! Ti ho quì a portata di mano per poterti fare mille domande sul viaggio e parlare faccia faccia di tutta la tua esperienza, invece aspetto con ansia i tuoi post... adoro troppo leggerti. Preferisco la sciorinatura a ruota libera piuttosto di un colloquio che altrimenti sarebbe interrotto da miei interventi o da distrazioni varie ed eventuali. Mi immergo come sempre nei tui scritti lasciandomi cullare dalle tue parole (troppo poetica?)

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    1. Beh... ma il quadernino che mi hai regalato a questo serviva no? Allora è giusto che ne paghi le conseguenza anche tu! (troppo comodo prendere la scorciatoia del racconto orale!)

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  4. La conseguenza peggiore sarà sfogliare le foto dal tuo pc mentre facciamo l'hennè e ci trucchiamo come trans agghindate a festa...tanto è carnevale

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  5. I tuoi post sono davvero interessantissimi, li ho letti tutti d'un fiato.
    1) la "divisa" da donna libica ti dona :P
    2) secondo me non ci si può adattare...o meglio io fossi stata in te avrei fatto finta di adattarmi perchè cmq mi piace rispettare le altre culture, conoscerle, viverle di 1 persona, ma adattarsi davvero significa condividerne tutti gli aspetti. Ma non si può..viviamo in una società molto più libera e sappiamo qual'è la bellezza dell'esser liberi, del poter aspirare, almeno virtualmente, ad avere lo stesso ruolo ed importanza dell'uomo, a condividere tutto con gli uomini, ad avere i propri sfoghi e attività autonomamente decide da noi stesse.... vissuto questo...non ci si può adattare a delle regole che vietano praticamente tutto ciò. Non è il fatto di essere femministe che a me nn importa neanche tanto..ma di essere individui liberi. Io spero che prima o poi tutte le persone godranno di sufficente libertà per decidere cosa farne della propria vita. Comunque rispetto la loro cultura, mi piacerebbe tantissimo conoscerla da dentro come hai avuto l'opportunità (preziosa) tu. Ma non ti rifugiare nell'alienazione se ti sei sentita diversa e un po' fuori da quella cultura...perchè ogni donna con una propria personalità si sarebbe sentita così :)

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    1. Mia cara Mel, non saprei come prendere il tuo consiglio sul far finta di adattarsi e sinceramente non credo che avrei potuto metterlo in atto. Adattarsi non è una richiesta che ti viene fatta da fuori: è una tua necessità. Come si può fingere con se stessi?

      Dal tuo e da precedenti commenti deduco con rammarico di non essere riuscita, malgrado lo sproloqui, a esprimere al meglio le mie impressioni e le mie osservazioni su questa realtà, e in particolar modo sulla condizione femminile.
      Ci tengo a insistere sul fatto che le donne in Libia non vivono affatto schiave di alcuna costrizione esterna a se stesse, o oppresse da un regime fondamentalista e bigotto.
      Non è di libertà che intendevo parlare, ma di consuetudini, modi di vivere, più nello specifico, di "ruoli".
      Mi chiedo se si può parlare di "cultura che non contempla la libertà individuale" quando questa cultura fa parte dell'individuo stesso, poichè alimenta l'individuo che in essa si forma, e al tempo stesso è alimentata dall'individuo, dal suo agire e dal suo perpetrarla. Noi siamo schiavi della nostra cultura in un certo senso, ma non ne soffriamo più di tanto, perchè in fin dei conti la libertà assoluita non esiste, e per definirci abbiamo bisogno di misurarci con dei limiti. E' la misura di questi limiti che varia col variare delle culture.
      Non so se mi spiego...

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  6. Sus mi rifaccio della letture perse nel week end. Ero da mia madre.
    Io ho letto e apprezzato tantissimo. Questo e anche gli altri post.
    Quello che mi viene da dirti è che è estremamente difficile ciò che sei stata chiamata a fare. Quello che emana da ogni tua conclusione, ricerca e pensiero è che ci hai provato.
    Io credo, credo eh perchè non ne sono sicura, che questa sia la chiave per una sorta di accettazione, se puoi passarmi il termine.
    Viviamo in culture diverse, sostanzialmente anche se forse non interamente (certi tratti a me hanno ricordato molto da vicino la mentalità del dopoguerra nel brindisino raccontato da mia madre).

    Il fatto di esserti scontrata con tale cultura e ANCHE con la parte di te che faticava (e come non capirti) e smaniava testimonia il tentativo di avvicinamento e comprensione.
    Io la penso così per lo meno. A nessuno si può chiedere di spogliarsi delle proprie abitudini e credenze se non lo vuole fare. Ciò che resta è il rispetto e io l'ho letto nelle tue parole.

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    1. Cara Owl, grazie infinite: il tuo commento mi allarga il cuore! In effetti è proprio quel che cerco di dire girandoci tanto intorno: A nessuno si può chiedere di spogliarsi delle proprie abitudini e credenze e, aggiungerei, della propria identità. Il fatto è che esplicitamente nessuno me l'ha chiesto, ma convivere a lungo in un contesto tanto diverso comporta comunque che tu scenda a qualche compromesso con te stessa, almeno entro certi limiti.

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  7. Oh che bello questo post!!!
    Grazie Suster!
    Ecco, hai esattamente dato voce alle mie perplessità del mio commento sul post precedente.

    Di là dicevi (e anche qui) che a loro non pesa, ma io non ci credo.
    Come può non pesare che ci siano tanti vincoli alla loro libertà?

    "la suocera solerte, che mi ha spiegato pazientemente che sotto c'erano "ragiul", gli uomini, e quindi, non sia mai che mi vedano, perché poi non sai cosa può succedere, capace che ti saltano addosso e ti stuprano così, su due piedi."

    Ecco, come a una donna può non pesare che, "dato che lo sa (!!!)", se fa cose fuori dai loro protocolli di comportamento poi sa che andrà incontro a questo tipo di rischi e allora le verrà magari detto che "se l'è cercata".

    Però davvero capisco le riflessioni sulla capacità di vivere tutto sommato serenamente, forse più di noi per certi versi, ma credo sia solo la punta dell'iceberg. Il nostro amatoodiato Paese tutto sommato è un pochino più avanti in questo. Poco, eh! Che poi ti licenziano quando sei incinta dopo averti messo in testa che "devi lavorare perchè hai diritto-dovere alla parità" (non perchè sei essere umano, punto, e dovresti poter fare cosa vuoi, e non dovrebbe nemmeno porsi la questione di quale sia il tuo genere) e se dopo che hai figliato vuoi tornare a lavorare "*** tuoi" / "paghi per non saperti accontentare" .

    E comunque anche loro hanno dei bei vincoli in questo, non credere: se no perchè si adobberebbero come trans tra loro, e motlo molto altro (io ho letto molto sull'argomento, e viaggiato un po', e ascolto ascolto molto chi fa esperienze come te, so che non basta per un'idea di prima mano come la tua, ma un po' ci ho riflettuto).

    Sì, un punto di osservazione privilegiatissimo, hai ragione i pivelli non potevano anche volendo fare "osservazione partecipata" come te (è una scuola sociologica seria, sai? :) ) in modo efficace, per mancanza di occasioni e ruoli sociali nel contesto che invece tu hai avuto.

    E capisco che tu ora veda tutto qui con occhi diversi. Capita anche quando ci vai solo per turismo, immagino tu...

    Un'ultima cosa, e spero di non offendere, o essere invadente, o aver capito male... ma una domanda mi ha pervasa leggendoti: perchè mai avresti dovuto adattarti e di conseguenza snaturarti? Accidenti, perchè?
    Un minimo, per rispetto dell'ospitalità sì, nele convenzioni e per la tua sicurezza, diciamo per protocollo sì, ma non quando non strettamente necessario, non "tra voi due", non negandoti i tuoi bisogni primari, come quello di amore, vicinanza, conforto, supporto. Lui ti ha scelta per come sei, tutto il pacchetto compreso, o no?

    Grazie per aver condiviso tutto questo.

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    1. Oh beh... caspita!

      Le tue riflessioni sulle contraddizioni del nostro paese sono fantastiche! magari da un altro punto di vista ma anche qui abbiamo le nostre limitiazioni. Condivido tutto ciò che dici.
      Quando scrivevo (esasperata da certe situazioni per me assurde) che mi avrebbero potuto stuprare se fossi andata tra gli uomini in realtà non stavo interpretando il pensiero della suocera, ma solo facendo del sarcasmo sui suoi pudori,dettati in realtà solo dal fatto di rispettare le consuetudini sociali (per questo e non per altro in quel momento non potevo scendere in giardino, perchè c'erano degli ospiti maschi e il fatto che io andassi lì sarebbe stato considerato molto sconveniente. In un certo senso stava cercando di tutelare me e la situazione, che sarebbe stata molto imbarazzante).

      Sai, ora che sono qui è difficile anche per me da capire, ma stando lì ospiti è venuto praticamente da sè doversi adattare anche nei rapporti tra noi due. non sai quanto questa cosa mi abbia messo in crisi la prima volta che andai in Libia e mi accorsi che tutto era diverso... una crisi che durò un annetto, sì. La prima andata in Libia in effetti fu devastante... stavolta sapevo già cosa aspettarmi, ma evidentemente, è stata dura uguale. Rispettare l'altro quando sei ospite spesso significa negarti atteggiamenti che tu ritieni normali e che ti vengono spontanei, come una carezza in pubblico, prendere la mano al tuo compagno, o la sua semplice presenza accanto a te in alcune situazioni in cui più ne avresti bisogno, perchè l'isolamento linguistico e la tua insicurezza nell'interpretare usanze e situazioni ti portano a dipendere tantissimo dalla sua mediazione. ecco, forse a cosa mi riferivo quando parlavo di dovermi adattare. Adattare a cavarmela da sola, perchè i rapporti di coppia laggiù si presentano in maniera assai diversa da qui, e anche nel matrimonio per gran parte del tempo si continua a vivere in mondi separati e spesso non comunicanti.
      Ciò che tu mi dici è ciò che mi ha detto anche mia madre: come si può rinunciare alla propria identità per compiacere altri?

      Io credo di essere rimasta in fondo fedele a me stessa, non ho finto di essere chi non ero. Ciò che mi è davvero pesato era da una parte l'impossibilità di vivere insieme a lui molti momenti della giornata, dall'altra il continuo timore di fare qualcosa di sconveniente e fuori luogo. Lo so che avrei potuto vivermela meglio, ma purtroppo non sempre si riesce a prescindere dalle proprie tare caratteriali... Dici che avrei dovuto pretendere di infrangere quelle regole per forza di necessità? In realtà molte volte ho fatto presente a lui questa mia necessità di averlo accanto e quanto in realtà lui si sia sforzato di tutelarmi da un'ingerenza esterna continua e insistente. Altre volte ho dovuto adattarmi, anche perchè sarebbe stato stupido, una volta lì, precludermi qualsiasi esperienza solo per paura di essere inadeguata e per rifiuto.

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    2. Lungi da me giudicarti! :)
      Un conto è leggere belle comode sul divano le tue pagine di diario, pagine piene di vita, un conto esser lì al tuo posto! Ci è voluto coraggio, non sarebbe stato facile per nessuna di noi, credo, incontrare un mondo tanto diverso. Sicuramente sei rimasta fedele a te stessa, ma, anche perchè sei mamma (i bimbi ci insegnano umiltà e donano un'elasticità che prima non avevamo, in genere...), hai avuto l'intelligenza di mediare, di cercare un adattamento rispettoso di loro, ma anche di te.
      L'accento era sull'accettarlo intimamente o meno. E mi hai risposto nel tuo ultimo post.

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  8. I commenti li ho letti dopo, condivido parola per parola cosa ti ha detto Owl. Di rispetto se ne sente tantissimo. Davvero.
    E quando dici a Mel che non vivono in alcuna costrizione esterna a loro stesse in realtà c'è, a mio parere, un errore di percezione: è sì loro scelta tramandare certe tradizioni, convenzioni e tutto (ho visto con interesse Muladè, un piccolo film sulle mutilazioni genitali femminili in Africa, in cui di fondo si invitavano proprio le donne, che sono le più ferventi in questo, a spezzare la catena di violenze che avevano subito e perpretravano), ma questo accade perchè sono educate così, cresciute con l'idea che solo questo modo di vivere sia possibile, che chi si ribella paga. Quindi portarle avanti non so quanto sia scelta, non so quanto "convenzione" per evitare conseguenze. E a chi non vuole seguire queste convenzioni che accade? Chissà che accadrà quando le giovani delle prossime generazioni saranno grandi. E' vero che anche qui in Occidenti ci siamo passati, anche qui si lottava per tante piccole conquiste (anche portare i pantaloni, sposare chi si vuole, studiare, lavorare, o votare) SOLO 100 anni fa o anche molto meno (due esempi a caso: Maria Montessori è stata la prima donna medico in Europa, però non ha "potuto" per convenzioni sociali crescere suo figlio, che era nato fuori dal matrimonio; in SVizzera le donne votano dal Settanta-qualcosa!). SOLO. Resto convinta che sia questione di libertà e di libertà di scelte. Poi cosa, potendo, si scelga e quanto liberamente è tutto da discutere. Scusa sono andata un po' fuori tema, i tuoi post mi hanno fatto scattare tanti interrogativi... ora spero di riuscire a leggere anche l'ultimo (ora di nanna e ho una lavatrice da stendere e un marito chce mi reclama!)

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    1. Ah! mia madre dice anche che dovrei limitare la lunghezza delle mie risposte ai commenti... ma tu in quanto a lunghezza mi provochi! ;-D

      Certo, ogni civiltà, io credo, ha da portare avanti le sue battaglie. Così sarà per le donne in Libia e in altri Paesi.
      Ed è vero ciò che dici, che è difficile determinare fino a dove ci sia libertà di scelta e fino a dove necessità sociale. Certo, laddove esiste una forte volontà di portare avanti proprie scelte, si può arrivare a sfidare anche le convenzioni sociali, la morale corrente e la tradizione bigotta.
      Forse queste motivazioni non sono abbastanza forti da indurre la maggior parte di queste donne a fare scelte così coraggiose. E forse al loro posto nemmeno io lo sarei...
      In Libia però le donne studiano, vanno all'università e lavorano, anche da professioniste, sebbene in percentuale assai minore rispetto agli uomini. E in questo credo incida il fatto che l'esser madre e dedicarsi alla famiglia continua ad essere per loro un traguardo e una priorità preminente rispetto al resto.

      Grazie a te per gli interventi ricchissimi di spunti e l'attenzione con cui mi leggi!

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  9. Grazie per le pazienti e generose risposte. Soddisfano molti interrogativi e curiosità sulla condizione delle donne nelle varie culture e sul tema delle differenze (di ogni genere, ad ogni latitudine), a me molto cari.

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  10. Invece secondo me sei stata bravissima a tollerare la convivenza nella famiglia di tuo marito e ancor più brava ad accettare il fatto che lui giudicasse "normali" certe abitudini per noi inconcepibili. Anche il fatto di dover vivere per la maggior parte del tempo da sola in mezzo a donne estranee (non nella loro mentalità forse, ma nella nostra sì) non è da tutti! Quindi, prima di tutto, mi congratulo con te :)

    Secondo, non sei solo tu a doverti adattare a loro, ma anche loro che, se vogliono conoscerti, devono adeguarsi a te e cercare di capire le tue abitudini, le tue opinioni, come anche il fatto che certi comportamenti non li accetterai mai (ad esempio il maschilismo imperante).

    Infine, come mi fa arrabbiare l'atteggiamento di chi per forza deve entusiasmarsi davanti alle differenze! Come se non fosse permesso dire "non sono d'accordo", "non mi piace", pena essere ottusi o razzisti. Se non è vera l'equivalenza diverso=negativo, è altrettanto falsa quella diverso=positivo. Non mi sembra che quei reporter siano degli antropologi provetti migliori di te, anzi secondo me peccano di esotismo!

    P.S. Ma sei tu nell'ultima foto? Stai proprio bene! :)

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    1. Allora è deciso: devo definitivamente passare al velo? ;D
      I reporter erano due superficiali, fondamentalemnete, o almeno uno di loro, l'altro era un po' più serio, ma mi sono stupita nel constatare che non si ponevano il problema di immedesimarsi in un punto di vista esterno al loro, che invece è proprio ciò che si richiede, o che dovrebbe porsi come obiettivo, chi per lavoro si occupa della divulgazione della conoscenza, o almeno dell'informazione. ma non me la sono presa poi tanto, perchè questo stesso tizio aveva dimostrato di essere un grande ignorante facendo della gaffe in presenza dei familiari di Hasuna che mi hanno fatto vergognare di essere sua connazionale, e a me hanno fatto capire che non valeva la pena prenderlo troppo sul serio.

      Quello che mi è pesato a star con queste persone è stata soprattutto la difficoltà di comunicazione e questa cosa di stare separati: per me è assurdo in un rapporto di coppia, che significa in primo luogo condivisione della vita, come credo sia per tute voi che mi leggete.

      Io credo infine, per rispondere a tutti i tuoi punti, che da parte loro non ci fosse mancanza di volontà di comprendermi, ma proprio incapacità di farlo, mancanza dei mezzi per poterlo fare, perchè in fondo hanno conosciuto sempre e solo la loro realtà, ed è anche raro che abbiano ricevuto dall'esterno input differenti, testimonianze esterne al loro mondo. Io per loro ero una novità. Mia suocera nella fattispecie quando capiva che non mi trovavo a mio agio stava proprio male, e non si capacitava di trovare il modo per rendermi felice, per farmi stare bene. Erano anche molto curiose di conoscere particolari della mia vita qui, anche se quando cercavo di spiegar loro le differenze tra i due mondi rimanevano un po' sconcertate: dev'essere davvero difficile per loro figurarsi il nostro modo di vivere... forse più di quanto non lo sia per noi.

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    2. Caspita, pensare che la famiglia libica non avesse proprio i mezzi per capirti, indipendentemente dagli sforzi, è triste ma vero. Chissà, forse tua suocera ha anche fatto grandi sforzi per accettare, ad esempio, che il figlio abbia sposato una donna di un paese diverso, che lei non vede mai e che non vive sotto lo stesso tetto con loro, il fatto che abbiamo fatto solo un misero figlio ;) ecc.
      Beh, non saprei, non ti ho mai visto senza velo ;D

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    3. E' che sono anch'io pudica, quasi come una libica! ;D

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    4. Oddìo... ora non è che voglio farne una tragedia di questa cosa di non essere capita, sono sopravvissuta eh! ;-)
      E' che abbiamo esigenze diverse: tutto qui.

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