venerdì 13 febbraio 2015

Beatrice Alemagna: ode all'imperfezione.

Posso ormai dirmi un'ammiratrice ufficiale di Beatrice Alemagna (qui, qui, qui, qui, gli altri libri da me postati).
Perciò non starò a dilungarmi sul perché oggi vorrei presentare questo libro:

Autore-illustratore: Beatrice Alemagna
Editore: Topipittori
Età: dai 3-4 anni
Voto: 10


Perché malfatti? E chi sono questi cinque?
I cinque malfatti sono cinque "cosi" non meglio definiti nell'ambito della narrazione.
Del resto non sono nemmeno cinque cosi ben fatti, è chiaro che oltre ad essere dei "cosi", sono dei cosi venuti male, ovvero difettati, con dei difetti così macroscopici da renderli a tutti gli effetti inservibili a qualsiasi mansione o funzione.
Dunque sono cosi da buttare, inutili, inservibili. Ma sono anche, pure se il libro non lo specifica, degli "esseri", cioè quei cosi sono cosi senzienti e pensanti, e conoscono assai bene i propri limiti e difetti e sono capaci di riderne e sono in grado di accettarli.
Non è poco, in fondo, per dei semplici cosi malfatti, non lo è affatto, tutt'altro.
I cosi malfatti mostrano da subito una straordinaria capacità di distacco dal mondo, dai suoi insulsi metri di giudizio e dagli accidenti della vita, che sono solo accidenti e non fanno né la sostanza, né la felicità.

Dunque i cosi malfatti sono già avanti rispetto al mondo, e ai suoi canoni estetici, funzionalistici e standardizzati.
Secondo. I cosi malfatti, non solo si accettano così come sono e dimostrano capacità di distacco da se stessi poiché sanno ridere di sé e dei propri difetti (indizio questo di una non consueta sicurezza emotiva), ma anche, i cosi malfatti sanno vedere ciò che dei loro difetti può tornare a proprio vantaggio, proprio perché esce dal consueto, proprio perché li rende unici, sanno vedere la risorsa nel deficit, sanno vedere l'opportunità nella crisi.
E sanno essere felici anche se non combineranno mai un tubo, come crede il tizio perfetto.

Il tipo perfetto, lui, ci è antipatico.
Non abbiamo bisogno che ce lo descriva l'autrice del libro: lo conosciamo già tutti il tipo perfetto.
Lui è quello che arriva laddove noi non arriviamo, quello che riesce laddove abbiamo fallito noi, quello che fa le cose sempre meglio, quello che tutti ammirano, che tutti conoscono, che tutti vorrebbero essere.
Ma i cinque malfatti no: loro non vogliono affatto essere come il tipo perfetto. Non glie ne frega un fico secco ai malfatti di essere come il perfetto.
Loro riescono a fare cose che al perfetto non riuscirebbero mai.
Il bucato non si arrabbia mai: la rabbia gli passa attraverso.
Il piegato non perde mai nessuno dei ricordi che nasconde tra le sue pieghe.
Il molle non ha bisogno di istituire confronti tra sé e il perfetto: si è già addormentato; evidentemente ha già tutto ciò che gli serve per star bene.
Quello rovesciato vede le cose da una prospettiva che gli altri non hanno.
E quello tutto sbagliato? Lui è capace di gioire di un suo successo, fosse anche il più piccolo e insignificante.
E forse è proprio questa la chiave di tutto.
No, non nell'accontentarsi del poco che si riesce a tirar fuori dalla propria pochezza, ma nel saper gioire.
Gioire ed esultare per il fatto di essere, e di essere unici, e di riuscire, fosse anche una sola volta tra mille tentativi, ma gloriosa.
Come quella prima volta sulla bici senza rotelle. Ve la ricordate? Io sì. Ma non ricordo la seconda, e nemmeno la terza.
Ma la prima sì, perché arrivò dopo infiniti tentativi falliti e frustranti. E fu un trionfo.
Perché ci possa essere trionfo, forse c'è proprio bisogno di quegli innumerevoli tentativi falliti prima.
In effetti dubito che la vita del perfetto annoveri un qualche trionfo.
Lui si muove nell'alone dell'aurea mediocritas.
Colui che non ha difetti non si muove di mezzo millimetro dalle aspettaive prefissate, e dunque è prevedibile, e dunque vive senza colpi di scena, senza drammatiche cadute e fantastiche risalite.
Insomma, in poche parole: il tizio perfetto è patetico.

Spero di non offendere nessuno dei lettori: mica qualcuno di voi presenti sarà perfetto qui?
No? Sicuri? Sicuri sicuri? Meno male.
Perchè di perfetti ne ho proprio piene le scatole di questi tempi.
Ci fracassano gli zebedei con questa storia del perfetto: il perfetto lavoro, il marito perfetto, la casa perfetta, la mamma perfetta, il matrimonio perfetto.
Ma che significa perfetto? E perfetto rispetto a che? A cosa? A uno standard predisposto da chi?
Perfetto significa forse senza intoppi, senza imprevisti?
Francamente arriverei a fantasticare il suicidio di fronte alla prospettiva di una vita "perfetta" intesa in questo senso.
Il web offre una galleria di perfezioni abominevoli da cui spesso ci sentiamo assediati: foto perfette, nitide, sature quel tanto che basta, sfumate su fondali luminosi di pietanze artisticamente composte, su piani di lavoro abbinati al motivo del piatto in cucine da catalogo .
E' una perfezione un po' alienante che spaventa un po' soprattutto perchè finisce per omologare tutto e tutti.

Quindi a me questi cinque cosi stanno particolarmente simpatici, perché osano dichiarare il loro esponenziale "Chissenefrega!" di fronte alla stupida presunzione del perfetto.

Perché non credo che esista la perfezione in sé, come valore; esiste tutt'al più la stupida perfezione, la perfezione passiva, conforme a se stessa; ed esistono i perfetti stupidi.

Il perfetto che si fa un selfie.
- Mamma, tu chi sei dei cinque malfatti?
- Ah, mh... fammi pensare. Io credo di essere il piegato. Sì, sì, credo proprio di essere il piegato. Non lascio mai andare i ricordi; li tengo tutti tra le mie pieghe, anche se non riesco mai a trovare niente quando li cerco. Ma vengono fuori così, quando meno me l'aspetto, e al momento giusto, sai? E tu chi sei?
- Io sono quello capovolto!
- Sì? E vedi le cose che gli altri non vedono?
- Sì: vedo tutti i personaggi della mia fantasia.
- E stai con i piedi per aria!
- Sì! (E ride)



Sono sicura che ognuno saprebbe riconoscersi più facilmente in uno dei cosi malfatti piuttosto che nel tipo perfetto.
Questo è un augurio che vi faccio con tutto il cuore.

Volevo segnalare questa bellissima recensione, trovata per caso nel web, su questo fantastico libro dell'Alemagna, che forse fa meditare più i lettori adulti che i piccoli, ma non è detto che questi ultimi non afferrino il senso, forse anche in maniera più immediata di quanto non sappiamo fare noi.

Il post partecipa a : I Venerdì del libro

Qui la pagina malfatta con l'elenco dei nostri libri.

Qui la libreria virtuale, imperfetta, di Mimi e Rania su Anobii,

e qui quella di Suster, malfatta e imperfettissima.

7 commenti:

  1. io un misto tra il piegato e il molle!

    RispondiElimina
  2. io mio che ansia i perfetti.......mi danno l'ansia e anche un pò di tristezza.....
    E sai cosa mi fa ridere? Pensare che quando da giovane, con le mie amiche, descrivevamo qualcuno così....lo chiamavamo IL PERFETTINO!
    Un abbraccio Emanuela ....piegata capovolta

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Più che i perfetti, questi sconosciuti, a me sta sulle palle questa ricerca ossessiva della perfezione, che poi a ben vedere si riduce e si traduce in una perfezione puramente estetica, formale, riferita a standard eteroimposti, che si accompagna spesso e una generale vacuità dei contenuti... ma questo è ancora un altro discorso, che esula dai nostri malfatti, per fortuna. :-)

      Elimina
  3. Ce l'abbiamo pure noi! Bellissimo!
    A me i perfetti non fanno rabbia ne stanno antipatici. .semplicemente prendo atto del loro eccellere in quella particolare coda e mi chiedo se x me varrebbe la pena di sbattersi x quella coda a quei livelli (cucina perfetta ecc) e spesso la risposta è No, grazie, tieniti la tua cucina perfetta se ti fa piacere (e ne hai bisogno), io preferisco fare altro. .
    Mi sa che sono una Molle io ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ah ah ah! Oh, yeah! Sei una dannata mollacciona! Qui urge esercizio! Tonificare, su su! XD

      Elimina

Che tu sia un lettore assiduo o un passante occasionale del web, ricevere un commento mi fa sempre piacere, purché inerente e garbato.
Grazie a chi avrà la pazienza e la gentilezza di lasciarmi un segno del suo passaggio.